Una realtà tutta italiana e tanto interessante quanto probabilmente poco sponsorizzata come meriterebbe data anche la "universalità" della proposta rispetto a quelle solite del nostro paese che poi alla fine divengono quella solita roba da disputa da cortile e dove non si capisce più di che cosa stiamo parlando veramente. Come tale probabilmente questo non poteva che affondare le sue radici nell'underground della città come Milano che (senza entrare nel merito di dispute campanilistiche di qualsiasi tipo, altrimenti facciamo un passo inditetro) è sicuramente quella che più tra tutte ha un carattere internazionale. I riferimenti al mito degli Aktuala, il gruppo fondato da Walter Maioli all'inizio degli anni settanta e rimasto come uno dei momenti cult nella musica italiana di questi anni, si sprecano ma sono anche in qualche modo giusti: gli Al Doum & The Fardys ne raccolgono effettivamente il testimone e riprendono quella stessa attitudine acid-jazz mescolata a influenze del sound africano e asiatico ma attualizzato ai giorni d'oggi, riprendendo ad esempio alcune forme compositive nello stile Goat ("Weed And Love") oppure dando al sound anche delle flessioni di carattere drone come nel caso di "Unity Is Brotherhood".

Al Doum & The Fardys è un ensemble avant-jazz composto di otto elementi e formato da Davide Domenichini nel 2011. Davide peraltro è anche il "boss" della Black Sweat Records, l'etichetta che ha pubbliato tutti gli LP del gruppo, compreso questo ultimo intitolato "Spirit Rejoin", uscito in collaborazione con la label svizzera Bongo Joe (la stessa che ha pubblicato di recente il progetto Altin Gun di Jesper Verhulst e prodotto da Jacco Gardner). Sicuramente molto apprezzati dalla critica, in qualche modo il progetto non ha ottenuto la stessa popolarità che è stata invece deputata ad esempio (senza allontanarsi troppo dal genere) a gruppi più convenzionali come i Calibro 35 oppure In Zaire. Eppure qui la qualità e la varietà dei suoni sono a dir poco sorprendenti: dai episodi più selvaggi come la già citata "Weed And Love" oppure l'acid-jazz elettrificato di Satieva" a momenti più convenzionali come il notturno "Jimmy's Gun", affiorano reminiscenze da "Riusciranno i nostri eroi..." (colonna sonora di Armando Trovajoli) come in "Light Up" e soprendenti sessioni di carattere meditativo e contemplativo come "Solchi", "Unity Is Brotherhood", "Drums Odyssey", "Spirit Rejoin" dove i vari paragoni dal jazz di Miles Davis a quello di marca Sun Ra e Pharoah Sanders, l'afro-beat l'ethio-jazz si sprecano e dove permane una componente tribalista sotterranea che sembra quasi ribollire come una specie di brodo primordiale nel sottofondo di suggestioni allucinate da giungla urbana.

Sicuramente uno dei dischi più interessanti sfornati nel nostro paese nel corso di questo anno 2018, "Spirit Rejoin" può ricoprire una doppia funzione e essere un oggetto di puro godimento per quanto riguarda l'ascolto, oltre che portare sollievo alle vostre anime; ma è anche una finestra su un mondo che poi alla fine potrebbe essere una volta tanto non così lontano, ma semplicemente dietro casa vostra.

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