Indubbia è l'utilità dei poeti, ma, a onor del vero, anche quella degli idraulici. Provate a rinunciare a una doccia fresca, specie adesso che fa caldo.

Le parole sono importanti, ma anche i tubi non scherzano. Lo dico perché quando si parla di poesia vien naturale fare un po' i sostenuti, ti scappa anche se non vuoi.

Allora, per non stroppiare, serve un contrappeso.che, nel mio caso è quello di dire che la poesia è una cosa come un'altra, se non addirittura una cosa da niente.

Riguardo poi al fatto se Dylan sia o no un poeta, provate a pensare a quell'idraulico che vi ha estorto una cifra considerevole e dopo qualche giorno il problema si è ripresentato peggio di prima.

Ecco, forse quell'idraulico non è proprio il migliore sulla piazza, ma i tubi son comunque il suo mestiere. E’ così, non si può dir di no.

Ma la cosa più importante è che all’improvviso rimembrate che mentre smanettava sui tubi, egli fischiettava un strano motivetto. Aggiungeva musica, insomma. E aggiungere musica è sempre una buona idea.

In ogni caso, e a scanso di equivoci, è cosa nota che il signor Dylan il lavandino se lo aggiusta da solo.

Incisa in un pomeriggio assonnato, uno di quelli dove le muse ti saltano addosso anche se non vuoi, I'm not there avrebbe dovuto vivere un solo giorno come le rose. Oppure starsene in un cassetto come certi foglietti d'appunti senza importanza.

Invece ha vissuto una vita semiclandestina, spersa in bootleg introvabili o nel ricordo confuso di chi in qualche modo era riuscito ad ascoltarla.

Fino a diventare una specie di leggenda, anche in virtù di un titolo che più dylaniano non si può e cioè “io non ci sono”, che è poi quello che diceva Dylan ogni volta che si liberava di una maschera prima di indossarne un'altra.

Son dovuti passare quarant'anni per poter ascoltare questa canzone in un disco ufficiale. Ci ha pensato Tod Haynes che l'ha inserita nel soundtracks del suo film su Dylan che, guardacaso, come titolo ha proprio I'm not there.

Dal 2014 potete trovarla anche nell'edizione completa dei Basement Tapes (Bootleg series numero 11) insieme a un altro CENTINAIO di canzoni (!!!) che, sorridendo, immagino di far ascoltare in modalità Ludovico a tutti quelli che detestano Dylan.

Voglio vederti danzare? No, voglio vederti soffrire...

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L'epoca è quella della casetta rosa e del ritorno all'ordine. Il re ha abdicato e se ne sta rinchiuso coi pochi uomini fidati. Si suona nel granaio, si suona in cantina. Andare per forza d'inerzia, ricaricare le pile, questo il mandato.

Gli ultimi anni sono stati troppo, tutta quell'eloquenza da joker sparata in faccia al nemico, i nervi sempre tesi e lo sguardo da furetto dietro gli occhiali scuri. Senza contare tutta quella poesia decadente.

Ma chi me l'ha fatto fare? Rimbaud l'aveva capito, cazzo, quaalche anno di poesia e poi merda, chi s'è visto s'è visto. Di questa cosa tutti i decadenti futuri si sono scordati, ma non io, io sono Bob Dylan.

Da qui il ritorno all'ordine. Anche se non è questo il punto. Il punto sono i fantasmi e ai fantasmi frega un cazzo, loro non si occupano di estetica. Credo anche che c'entri l'essere posseduto, e se sei posseduto puoi suonare rococò, qui pro quo o vattelapesca.

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“Se I'm not there è la più grande canzone mai scritta lo è perché non è scritta.” Così un dylanologo di alto rango, anche se, adesso come adesso, non ricordo più quale.

Potrebbe essere Greil, oppure Alessandro, oppure il Riccardo. Oppure mio cugino Ismaele che sono anni che in macchina ascolta solo Blonde on Blonde e infatti viaggia sempre da solo.

In ogni caso, chiunque ne sia l'autore, la frase potrebbe sembrare la solita boutade da intelligentoni buona per impressionare i gonzi. Beh, niente di più sbagliato. Primo perchè I'm not there è una di quelle canzoni che un'altra così non c'è e secondo perchè si, non è scritta, oppure è scritta poco, oppure quanto basta.

Dylan aveva solo qualche frase e il resto l'ha improvvisato li per li. Alcune delle parole non sono nemmeno parole, ma semplici suoni. Così quel che abbiamo alla fine è un testo confuso e incoerente, un guazzabuglio insensato di dislessia emotiva.

Del resto quando parli di certe magagne l'unica cosa che puoi fare è arrampicarti sugli specchi. E se vedi un volto tra le nuvole basta un filo di vento per non vederlo più.

Ma il carico da undici è quella voce situata in una zona psichica tra il grigio e il tremolante e registrata in presa diretta dall'inferno.

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Avete presente “Sad eyed lady of the lowlands”, quella melodia ultraterrena addizionata di dilatazione psichica? “Un sogno, un indovinello, una preghiera”, come ha detto magistralmente Tom Waits.

Bene, il nostro sogno/indovinello/ preghiera parla di una donna magica e lo fa con una specie di stilnovismo sballato. L'impressione è quella di una serenata in un mondo a parte, un mattino di primavera che si annuncia.

Ora prendete “Sad eyed lady” e fatela passare attraverso uno specchio opaco. Quel che otterrete sarà “I'm not there”, ovvero una canzone fantasma o, se preferite, il fantasma di una canzone.

Nessun mattino di primavera allora, l'alba è livida e il sole si è nascosto, nessuna speranza che faccia almeno capolino. Nessuna proprio.

Certo, anche “I'm not there” è intrisa di stilnovismo, ma vane e strazianti sono le immagini che intagliano la figurina della ragazza, “ la mistica dal cuore triste, , l'angelo, l'arcobaleno, la bellezza, la pietra miliare”...

E sono vane e strazianti perché chi canta non è più li, chi canta se ne è andato.

Ma la stronzetta col frustino in mano, ovvero la musa, impone che si vada avanti. Questa volta però non è come le altre, le parole escono, ma escono confuse.

“Isolotti -scrive Alessandro Carrera- che si toccano solo sotto la superficie”.

Poesia d'avanguardia? Delirio? Sumero moderno? Oh no, no e ancora no. E' solo che è stato tuo il morso del serpente e non è che sia proprio facile dirlo.

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Certo, niente attira un poeta quanto le donne magiche, tutte quelle piccole Audrey in sedicesimo sul tipo della maestrina.

Ma è anche vero che niente gli riesce meglio che farle cadere a pezzi. Una volta che le ha angelicate per benino, il suo compito è finito e allora hai voglia a cercarlo. Sparito, puf.

E con Euridice che vaga nei suburbi di una qualunque città di merda d'America, sai cosa ce ne facciamo stronzo delle tue lacrime di coccodrillo?

Ma la vogliamo ascoltare questa canzone?

Ok, andiamo...

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…In media res. un vero inizio non c'è. E, se c'era, qualcuno l'ha tagliato con le forbici.

Nessuno specchietto per le allodole, solo sabbie mobili. Si sente, si avverte, che il soffio che produce il suono è quello di un demone

“I'm not there” non è che materia grezza sfuocata, una melodia che s'attorciglia su se stessa, grigia e sinistra.

Un'ipnosi nera raggrumata intorno all'impossibile da dire. Una lanterna magica al contrario

Con un crescendo emotivo implacabile che termina con un troncarsi improvviso, Se non c'è inizio non può esserci nemmeno fine. Se non tagliando con l'accetta.

Ad ascolto finito a rimanerti addosso è una specie di crash tra quello che si riesce a dire e quello che no.

Anche se poi mica c'è bisogno di ricordare che la vita è una merda, lo sappiamo. E nemmeno noi, del resto, siam tutto sto granché.

I'm not there Dylan non l'ha mai considerata.

Chissà, forse gli sarà senbrato assurdo che uno sconclusionato bozzetto potesse avere il rango di un'opera fatta e finita. E poi come si permetteva il caso di essere un poeta migliore di lui?

Oppure ha sempre mentito sapendo di mentire. Il poeta non solo è un fingitore, ma anche uno che gioca a nascondino e lui, cavolo, a nascondino ha sempre giocato benissimo. Del resto come fai a trovare uno che non c'è?

Ma, soprattutto, caro il mio fottutissimo ebreo errante dalla voce di cornacchia e falso come Giuda, che ne sai tu delle tue canzoni?

Tu sei solo Dylan, mica un Dylanologo.

Trallallà...

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