Un disco con le palle. Dopo il mezzo passo falso del precedente Six Degrees Of Inner Turbulence i Dream Theater sfoderano il loro lato più heavy, e il risultato è a dir poco straordinario. Il compito di aprire l'album è affidato anna folgorante As I Am, che vanta un espressività e una cattiveria che i Metallica di oggi manco si sognano. This Dying Soul (secondo capitolo della saga degli alcolisti) è la perfetta sintesi tra l'aggressività di The Glass Prison e l'impatto di The Root Of All Evil, con in più quel vago tocco dark che è nel DNA di quest'album. Finito un capolavoro ecco che ne comincia subito un altro: Endless Sacrifice è a dir poco stupenda, parte lenta e sofferta, per poi sfociare in un incazzatissimo ritornello da stadio e soprattutto in una parte strumentale davvero superba, con assoli da puro headbanging. Honor Thy Father è impreziosita dalla mostruosa intro di Mike Portnoy (il miglior batterista sulla faccia della terra, per chi non lo sapesse) che contibuisce alla buona riuscita del pezzo (da lui stesso scritto) con la sua voce forte e aggressiva, che si intreccia alla perfezione con quella più melodica di James LaBrie. Vacant è l'unico lento del disco: non si tratta di una ballata alla Hollow Years ma di un brano breve, triste, cupo ma molto intenso: magnifica l'interpretazione di James LaBrie, sostenuto dal violino e dal piano di Jordan Rudess. Che dire poi di Stream Of Consciousness: undici minuti strumentali di rarissima intensità bellezza che riescono a portare in estasi l' ascoltatore. Capolavoro assoluto che supera ampiamente altri strumentali del gruppo com Ytse Jam o Dance Of Eternity. Il disco si chiude (purtroppo) con In The Name Of God, che condensa nei suoi quattrordici minuti  tutta l'atmosfera cupa, metallica eppure melodica e struggente di questo ennesimo capolavoro di una band che da ormai vent'anni non fa altro che regalare al metal (e non solo) canzoni che non smettono mai di emozionare.

LISTEN TO DREAM THEATER

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