editoriale di Bearry

E' da poche minuti che il calendario segna il 1° novembre (2018), e da oggi finalmente la mia vita cambia, pur sfuggendo da sempre schemi e classificazioni, da qualche ora, una volta che ho salutato quel posto frequentato per anni, ora mi sento veramente un uomo libero.

Prima che fosse troppo tardi, da mezzanotte per me tutto sarà con la lievità di ogni domenica, o meglio come quella dei giorni di festa.

Da oggi potrò affaccendarmi solo in questioni a me gradite, riguardanti le mie cose, la mia famiglia, il mio cane, la mia musica, sino a quando Dio vorrà, e se lo voglio potrò anche annoiarmi come e quando voglio.

Da oggi, senza alcuna nostalgia, la mia vita sarà migliore, dimentico di quella precedente ormai sempre più distante, dove molti vivono intrappolati in meccanismi che non condivido più da tempo, detto da uno che ha iniziato in tempi lontani, cioè nel ’73.

Da oggi vivo quello che sino a ieri pareva impossibile, perché da oggi sono finalmente in pensione.

Ed ora, simpaticamente… tièèèè (gesto dell’ombrello).

Ciao. Bearry

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editoriale di Bearry

Se è vero, come dicono, che nella nostra esistenza terrena viviamo momenti chiari ed altri più scuri, quelli dei Dè Noot sinora erano stati decisamente i più bui, comunque e sempre, di quei poveracci che abitavano quel gruppo di case, oscillando dalla penombra dei casi migliori alle tenebre di quelli più tristi.

Qualcosa però forse stava cambiando in meglio per la Famiglia di Angelo, da quando, insperatamente, erano diventati con poco i nuovi proprietari di quella villa d’epoca arroccata sopra la città di Gevona, che a breve avrebbe permesso loro di allontanarsi da quei ruderi dove aveva vissuto in passato il Conte Vlad, che da tempo li costringeva a convivere con la sua ingombrante presenza.

A poche ore dall’imbrunire, con l'aiuto della consorte Eveline, detta anche Smile per il perenne sorriso, lo stesso aveva accatastato lo stretto necessario in quella grande stanza del primo piano, rimandando al giorno dopo, con l’arrivo del mobilio, a sistemare il resto dei loro averi, ancora stipati negli scatoloni rimasti nell’ingresso.

“L’acquisto di questa casa, Cari miei, nel tempo sarà il nostro riscatto”

sostenne convinto Angelo, conosciuto come Tumòrro nàit (tomorrow night) da quelli del bar vicino per i suoi eccessi notturni dovuti all'acool.

“eh già, un po’ d'affare 'sta villa del 'zzo, con tutti ‘sti ambienti uno dentro l'altro, chiusi tra loro come in una matrioska da porte interne, con su scritto: chiudere bene a chiave la notte, che terminano contro le stanze da letto del primo piano”.

questa fu la risposta del solito prendingiro di Andrea, loro ultimo genito rinominato dagli stessi come Bimbo Stress.

In attesa di migliorie a quello strano assetto interno, i nostri ligi a quei cartelli serrarono tutte le porte interne, pronti a dormire in fondo a quella lunga serie di stanze chiuse, adattandosi all'occorrenza anche, femmine incluse, a fare i propri bisogni notturni, qualunque fossero, giù dalle finestre verso il sottostante giardino, con l’incredulità della bella Catterina, la prima genita, detta anche la Bronzsa Cuerta (brace coperta), perennemente alla ricerca del moroso perfetto...

Un attimo prima di prender sonno ci fu la buonanotte di Angelo, che, rassicurante, chiosò:

" ’notte, domani finalmente arrivano mobili ed utenze…, le torce elettriche sono ormai scariche, per stanotte usate il grosso cero trovato sopra quella vecchia cassa che è sotto…”.

Contro ogni regola della fisica, erano ormai le tre quando quel cero, anziché continuar a far luce, si spense di colpo.

Rimasti al buio i presenti, si divisero tra quelli che continuarono a dormire, e chi, ancora sveglio, si rigirava nel letto, facendo strane ipotesi su quel posto così isolato e disabitato da anni, come Catterina, che nel mentre guardava fuori silente.

BOOM! Un tuono li svegliò. Si guardarono per un attimo intorno, cercando di capire se era realtà o frutto della loro immaginazione, mentre Andrea guardò l’ora del cellulare, purtroppo senza campo, ma erano solo le quattro, e grazie alla sua luce si apprestarono preoccupati verso la porta interna, mentre continuavano i boati.

In un primo momento, pensarono che qualcuno fosse entrato in casa a loro insaputa, poi rimasero in silenzio sino a che dal sottostante salone partirono fortissimi stridii e riverberi che evocavano atmosfere inquiete e rumori da vecchio film horror, portando dentro la stanza tanta inquietudine, paura e malvagità.

Poi quei rumori si mischiarono gradualmente ad una Musica, sempre più forte ed angosciante, a cui Andrea diede subito un senso: tutto viene dallo stereo di sotto, ieri sera ho sentito "Bela Lugosi's Dead", primo singolo dei Bauhaus del 1979, si vede che quel CD ora inspiegabilmente ha ripreso a suonare..."

Mentre tutto proseguiva ancora, fuori nel sottostante giardino ecco una sagoma. È quella di uno indefinitamente pericoloso, che indossa strani abiti neri, in piedi di fronte alla luce della luna, con la schiena rivolta verso di loro.

Anche se tutto sembra reale, il loro sguardo va oltre la sua inconsistente figura. Immobilizzati dalla paura, respirano a fatica, quando lo stesso, lentamente, guarda poco a poco verso di loro.

I loro occhi strabuzzano quando si accorgono delle sue sembianze così poco umane, mentre quella visione si offusca e si dilegua, ritornando a giacere in quella vecchia cassa di legno, da cui Angelo la sera prima aveva recuperato quel cero.

Un suono li sveglia, è il cellulare di Andrea che vibra contro il pavimento. È mattina. La luce filtra attraverso la finestra, ed i tecnici per attivare le utenze sono rassicurantemente sotto casa ad aspettarli, mentre i Dè Noot finalmente scendono, per riappropriarsi delle loro cose, anche se ancora spaventati per quella notte.

Intanto Angelo si attarda per cercare Catterina, e quando non la trova pensa tranquillo "sarà sicuramente scesa a Gevona", mentre il Conte Vlad ritorna polvere per sempre, anche se non più solo come prima, libero finalmente da quel maleficio, scomparendo dalla sua vista...

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Mi chiamo Leon, sono un tizio ben strano, un vero cane sciolto, dal carattere aspro e spigoloso, da tutti ritenuto, purtroppo con giusta ragione, un figuro sprezzante e malvagio, umanamente un vero demonio, con cui è meglio non scontrarsi mai, che, malgrado la mia vetusta età posso ancora vantare un fisico asciutto e prestante, mentre mi ritrovo a coprire, direi sempre, la mia crescente calvizia, mio vero tallone d’Achille, con dei vistosi capelli colorati, ormai convinto che la stessa sia un castigo del Creatore, contro la mia straripante cattiveria, aumentata a dismisura con l’avanzare dell’età.

Da pochi minuti, ormai libero da qualunque impegno, sono nuovamente tra le mura di casa, ho appena dismesso la mia ingombrante armatura psicologica, pronto ad ascoltare quel vecchio disco come tanti anni fa, con l’anima candida dei miei 16anni, anche se non sono mai stato un fan così “a prescindere” del suo rinomato Autore, di cui, diciamocelo, non ho mai abbastanza apprezzato la sua Musica.

Solo ieri sono riuscito grazie a quel negozio un po' vintage, frequentato da attempati musicofili, a recuperare la ristampa originale del 45 giri di Space Oddity di David Bowie, pubblicato l'11 luglio 1969, pochi giorni prima della discesa sulla Luna di Neil Armstrong con l'Apollo 11, con l'intento di rinserirlo di nuovo nella mia discoteca com'era già stato molti anni prima, in occasione di quell'evento così epocale, perché è diventata una mia fissazione quella di disporre di ogni Artista famoso tutti i suoi dischi, dall’inizio alla fine della sua carriera.

La mia casa ora mi protegge di nuovo, insieme alle mie rughe, sprofondato nel divano, mentre dal mio angolo musicale inizia a suonare quel disco, con l'idea, tutta mia, che lo stesso possa riportarmi indietro ai miei beati anni giovanili, mantenendo invece fuori dalla porta di casa, almeno per il tempo del suo ascolto, quel mondo dove domani ritornerò inevitabilmente, costringendomi ad armarmi con la mia inseparabile e precisissima Smith & Wesson M&P 9 Shield.

Ma qualcosa incombe sulla mia apparente tranquillità di quel momento, perchè, tutto preso da quell'ascolto, sinora non ho avvertito cosa sta avvenendo fuori, evocato dalle note di Space Oddity, sino a quando mi giunge netta la sensazione che qualcuno mi sta osservando tra gli arbusti del mio giardino...

Apro incuriosito la porta di casa, pronto a far fuoco con la mia pistola, che come detto mi porto con mè ogni mattina uscendo di casa, ma non vedo nessuno, a questo punto decido di uscire, seppur c’è solo la notte ad illuminare gli alberi circostanti, e rimango quasi impietrito per lo spettacolo che si presenta ai miei occhi: laggiù sull'asfalto, insieme alle auto parcheggiate, c’e anche un oggetto che assomiglia ad un grande piatto rovesciato.

Rimango attonito a guardare, quando mi sento sollevare di forza dalle onde mentali di un Androide, che, guardandomi tra il sorridente ed il sottilmente minaccioso, mi scaraventa brutalmente dentro casa, dopo aver intuito la mia prossima e violentissima reazione

Vorrei urlare e dibattermi, ma lui mi paralizza con lo sguardo, tanto che non riesco a reagire in alcun modo. Dotato di un impressionante sguardo magnetico e di una strana e fluente chioma rossa, inizia a parlare, e dopo pochi attimi come per magia continua nella mia lingua, dicendomi che non devo aver paura perché nessuno mi farà del male, a condizione che...

Mentre migliaia di altri Androidi, da quel disco volante si allontanano, alla ricerca della propria cavia umana, quello che ormai pare chiaramente uno dei loro capi, una volta seduto sul mio divano insieme a chi scrive, mentre continua ad immobilizzarmi, con un cenno perentorio mi ordina di far suonare ancora quel 45 giri.

Tutto pare finalmente tranquillo, grazie alle radiazioni positive emesse dall'Androide, tanto che, con mia grande sorpresa, l’ascolto di Space Oddity diventa anche per le mie orecchie meraviglioso, come giusto che sia.

Dopo tanti preamboli, finalmente il mio nuovo coinquilino si presenta: mi chiamo Neo, che poi è il vostro Attilio, mi spiega, dimostrandosi, mentre parla, di essere un essere intellettualmente superiore, leader indiscusso, dotato di un intelligenza straordinaria, in grado di distinguersi per comprensione ed umanità molto più di molti umani, me compreso.

Mi racconta che viene da un altro pianeta, molto lontano, dove alla loro civiltà incredibilmente perfetta, e straordinariamente buona, manca ancora qualcosa per completare tanta perfezione, la nostra Musica, visto che nel loro pianeta regna dovunque il silenzio.

Già da tanto tempo ci stanno osservando, spiega Neo, mentre David Bowie continua a cantare:

Though I’m past one hundred thousand miles

(Malgrado sia lontano più di centomila miglia)

I’m feeling very still

(Mi sento molto tranquillo)

And I think my spaceship knows which way to go...

(E penso che la mia astronave sappia dove andare)

Lo stesso poi precisa che, una volta conosciuto il nostro mondo, molti hanno deciso che non se ne sarebbero più andati, incorporandosi nell'ombra di noi umani, visto che il nostro mondo, se vissuto a lungo, per loro diventa mortale, tanto che, per convincermi delle sue buone intenzioni, prende gradualmente sempre più forme umane, le mie.

Ormai Neo è quasi di casa, mentre Leon pare finalmente privo delle sue negatività, tanto che lo stesso dal divano si dirige autonomamente verso i CD e gli LP appilati disordinatamente su di una mensola, per guardarli con interesse, e leggerne le note di copertine, e poi i nomi dei loro Autori: King Crimson, Van Der Graaf Generator, Led Zeppelin, e tanti altri ancora...

Dopo aver ascoltato insieme tanti dischi, finalmente, come detto avviene l’incorporazione, quando Leon, con una rinnovata capigliatura da ragazzino, ed uno splendido carattere, aperto e solare, torna verso la sua postazione musicale per passare al lato B dell’ultimo ascolto, mentre Neo, malgrado la poca luce elettrica che dà luce alla stanza, ne diventa rapidamente la sua ombra, dopo aver trasferito al suo nuovo Amico i tanti bei lati del suo carattere, convinto che tutto il suo mondo ormai si trova dentro quella sua nuova passione musicale...

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editoriale di Bearry

Due realtà parallele, così distanti tra loro, com'è giusto che sia per chi conosce da sempre tale loro lontananza.

Poi, di tanto in tanto, c'è qualcosa che porta questi due mondi ad entrare obbligatoriamente in contatto, coinvolgendo anche quelli allocati nelle posizioni migliori, per poi rivedere subito dopo gli stessi riallontanarsi verso le loro postazioni originarie.

E così via in un movimento infinito, dove a volte figure ormai vetuste vengono sostituite da forze più giovani, pur mantenendo le stesse abitudini ed i medesimi rituali della propria cerchia di appartenenza.

Due realtà parallele che ieri sono entrate ancora in contatto, come di tanto in tanto succede, quando cariche istituzionali, politici di turno, rappresentanze sindacali, alti ufficiali e dirigenti, etc., del mondo di sopra, a cui a volte si aggiungono, a secondo delle situazioni, imprenditori, finanzieri, giornalisti, scrittori, filosofi, etc., hanno interagito e condiviso per un’intera giornata le vicende di quelli del mondo di sotto, fatto di noi gente comune impegnata nella solita vita, con i nostri mille problemi di tutti i giorni, sconosciuti ai primi come ovvio che sia.

Ieri ricorrevano due anni dall’inizio di quella prolungata sequenza sismica che, in mille crolli, ha devastato i paesi, ed i loro abitanti, di Amatrice, Arquata del Tronto, Norcia e tante altre località umbro-marchigiane, quando ecco quel mondo di sopra, fatto di cariche istituzionali, politici di turno, rappresentanze sindacali, alti ufficiali e dirigenti e figure affini, mischiarsi ai terremotati nel ricordo e nelle commemorazioni di quei crolli.

Il ricordo di allora è ancora ben presente tra quelle macerie, dolorosamente sentito da Tutti, tanto che la distanza tra quei due mondi pare scomparire, sino a quando, conclusa quella giornata di tristi ricordi, ed anche di qualche speranza, i convenuti del mondo di sopra salutano, salgono sulle auto di rappresentanza e se ne vanno, mentre gli altri rimangono in mezzo alle proprie vicende, impegnati nella ricostruzione delle proprie case, grazie anche al lavoro, grande e piccolo, di migliaia di Volontari, Protezione Civile, Operatori vari.

Due realtà parallele, che, come dicevo prima, dopo questo contatto, sono ritornate nuovamente distanti tra loro com'è giusto che sia.

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Non c'e verso in questo Paese, tantomeno una possibile soluzione a breve.

La mia non prendetela come una triste resa, anzi, perchè se avessi abbastanza strada davanti, tanto da proseguire ancora qualche decina di anni, è più che sicuro che sarei già altrove, lontano da questo Paese alieno ormai senza futuro.

Dopo il crollo del ponte Morandi di pochi giorni fa, tutti Noi siamo inevitabilmente portati a trarre qualche riflessione al riguardo.

Seppur non attendo questa evenienza con inquieto timore, purtroppo la mia strada non sarà così lunga, tanto che mi aspetto anch'io "idealmente" qualche ponte che mi crolli davanti, chissà quando, che mi costringa a lasciar il mio posto a qualcun altro, anche se spero avvenga il più tardi possibile, poichè qui avrei ancora qualcosa da dire e da fare.

Ormai da tempo viviamo una brutta storia, dove chi può fugge da questo Paese, mentre un'elite arrogante si arricchisce sempre più, ed un malaffare, a volte malavitoso, è sempre più invasivo.

Una brutta realtà, dove chi non ha santi in paradiso, grazie ad una sregolata globalizzazione, si impoveraccia sempre più, perdendo diritti e lavoro, mentre da un rapace colonialismo del passato giunge sino ai giorni nostri una ridondante immigrazione, che, alibi per molti, distrae risorse verso chissà dove.

Il tutto mentre una sinistra e dei sindacati, che dovrebbero fungere da argine difensivo, invece sono colpevolmente sempre più distanti dalla realtà, condividendo spesso una politica economica infausta, mentre chi giustamente li abbandona lo fa come il marito che se lo taglia per far dispetto alla moglie.

Ahhh, mentre mi son tolto finalmente un po' di peso dalle palle, mi disturba dover abbandonare i miei cari affetti, ed amate consuetudini, forte però dell'idea che quel ponte non è così prossimo a crollare, e mi giungerà davanti non così tanto presto.

Tieeè, per il momento vade retro Signora in nero, insieme alla tua affilata falce…

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editoriale di Bearry

Con il cuore provi tanto dolore nel ripensare a tanti morti e feriti dovuti al crollo di quel ponte, poiché con lui è venuto meno il nostro vissuto di genovesi, così anche fortissima rabbia quando scopri che lo stesso da anni era noto come un ponte malato, e che questa tragedia, se monitorato e rinnovato come necessario, forse poteva essere evitata.

Mentre sulla Città diluviava, seppur additato da tempo come critico, il Ponte Morandi da anni stava lì in mezzo a quei palazzi popolari, da quando fu costruito irresponsabilmente sopra gli stessi, abitato da povera gente, che, pur di aver un tetto sopra la testa, aveva accettato la sua degradante presenza, quando, crollando, ha travolto e cambiato le sorti di tante persone.

Sono le 11:50 del 14 agosto 2018 quando di colpo una delle sue arcate precipita, uccidendo chi sta sotto, ed anche chi, ignaro, sta transitando sopra in auto, com’è già stato un'infinità di volte per moltissimi che hanno avuto a che fare con quel ponte, sotto o sopra che fosse.

Tutto è ancora più drammatico, quando apprendi che quel crollo, così devastante, non era poi così inevitabile, tenuto conto delle tante evidenze provenienti da quel Ponte maledetto, a cominciare da quanto emerso nei carteggi ed accertamenti riguardanti lo stesso, e dal fatto, come scrivono i giornali, che da tempo i sottostanti capannoni erano costretti a proteggersi dai suoi detriti mediante delle reti metalliche.

Ancora un tragedia, rabbiosa, su di una Città costruita male, già provata più volte da accadimenti luttuosi, come le reiterate e drammatiche esondazioni, frutto dell’incapacità di difendersi da un’urbanizzazione sregolata, ed incidenti causati da insediamenti industriali ad alto rischio ubicati al suo interno.

Quasi fosse stata vittima d’improvviso di un evento bellico o di un atto terroristico, da quel momento Genova, dopo decine di lutti, tante rovine, una viabilità ormai imperfetta causa di danni incalcolabili, ed un quartiere quasi fantasma costretto ad esodare altrove, vive una fortissima domanda di giustizia, per una tragedia che ha sconvolto tutti, che con buone probabilità poteva invece essere evitata.

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"Vuoi sapere come cancellare un Uomo, senza dover agire con violenza?" chiese Criminal Man al suo Interlocutore, fornendo allo stesso anche la risposta: "Portagli via le sue passioni più autentiche, e Lui non avrà più motivi per vivere felice".

Mentre Bearry dormiva ancora, arrivò una notte in cui Criminal Man, forzato l’ingresso, si diresse verso il suo angolo musicale, consapevole che lo stesso senza la sua Musica preferita avrebbe perso anche ogni ragione di vita.

Portava con se anche due ampi borsoni, dove intendeva riporre i tanti album una volta sottratti a Bearry, dallo stesso raccolti ed ascoltati amorevolmente in tanti di anni.

Come fu finalmente nella sua sala d'ascolto, vicino ai suoi preziosi album musicali trovò anche Richard, che, ancora nascosto nell'ombra, era pronto a fermarlo ad ogni costo.

Quando Criminal Man allungò la mano verso quegli Album, con l'intenzione di portarli via nei suoi due borsoni, togliendo così a Bearry ogni passionevole ragione di vita, Richard uscì finalmente allo scoperto, insegui lo stesso sino alla finestra, che, urlante, precipitò tragicamente verso terra da quel 4° piano dov'era posto l'alloggio del suo Amico.

Scampata quella minaccia, Richard rientrò rapidamente nella sua casa, mediante i solchi di "If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You" dei Caravan, dove risiedeva felicemente dal 1970, contribuendo alla magia della rivoluzione gentile di Canterbury.

La mattina dopo Bearry, ignaro di quanto sopra, estrasse dalla sua custodia quel cd, lo introdusse nel cassetto del lettore, e schiacciò il tasto play, dopo di che risuonò nella sua stanza le note dell'imponente suite "Can't Be Long Now/ Françoise/ For Richard/ Warlock", che comprendeva tra i suoi solchi anche il suo Amico Richard, artefice del suo salvataggio notturno di qualche ora prima.

Felice di tanta passione musicale, riguardò nuovamente le note di copertina dello splendido "If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You" dei Caravan, con in 4^ pagina delle belle immagini di un loro concerto live, e finalmente sorrise finalmente soddisfatto...

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Appena rientrato, dopo l'ennesima trasferta di lavoro, tolta la giacca, Christoffer Anberg si buttò sfinito sul divano del suo rifugio.

Troppo stanco per prepararsi da solo la cena, pensò di ordinare qualcosa di pronto dal bar lì vicino, con l'idea, nel mentre che aspettava, di ascoltare un po' di buona musica tanto per raddrizzare il verso di quella giornata.

Era di nuovo a Hjertvika, suo paese natale, dove aveva portato il suo punto d’appoggio tra un viaggio e l’altro, poco distante da Molde, famosa per l'omonimo festival jazz che si tiene ogni luglio.

Dopo un’interminabile viaggio, che toccò anche l’Atlantic Ocean Road, che sarà pure la strada più bella del mondo per i turisti, ma che era per lui solo un menoso dejavù ripercorso all'infinito, Christoffer si trovò nuovamente nel suo spartano Rorbu in legno.

Finalmente era di nuovo a casa, nei luoghi della sua infanzia, indifferente ai rinomati punti panoramici a strapiombo sul mare di quella strada, che, saltando da un’isola all’altra grazie a ben 7 ponti, by passa l'arcipelago, collegando Molde a Kristiansund, dov’era allocato il suo lavoro ed anche la sua dimora, famiglia inclusa.

Costruito a mò di palafitta sul mare, a ridosso di terraferma e soprastante vegetazione, quel rifugio consisteva in realtà in un modesto capanno, già base per dei pescatori sino a qualche anno prima, epicentro sia del miglior paesaggio che delle turbolenze meteoriche che spesso impattano su quel tratto di costa.

Lo stesso, ancora riscaldato a legna, era incentrato su di un ampio monovano, con funzione di soggiorno e camera da letto, dotato sui tre lati di gabinetto, deposito per la legna e piccola cucina, mentre sul quarto lo stesso prospettava, attraverso la bella vetrata d'ingresso, sull'ampia balconata coperta con vista sul Mare di Norvegia.

Fatta una breve doccia, ed estratte dal trolley le sue poche cose d'ordinanza, lo stesso ordinò per telefono al bar la sua cena; in attesa del suo arrivo, scelse di ascoltare Dead Man di Neil Young, acquistato tempo prima su vinile nello storico Muzak Store, posto nel centro di Molde, con l’auspicio di rinverdire così quell'Amore un po' sfiorito.

Estratto quell’ellepi dal cartone, si avviò verso la postazione musicale, lo centrò sul piatto del giradischi, e fece scendere lentamente la puntina sullo stesso, che iniziò a percorrerne i solchi concentrici, mentre partivano le sue note emozionanti e potenti, grazie al vecchio e prezioso ampli valvolare ed ai due pregiati speakers, compagni di tanti bei ascolti.

Attempato studioso della Groningen Research Institute, noto per la sua solare presenza, Christoffer, impostata la sua cena, così come anche quel ascolto, si accomodò piacevolmente sul divano, esattamente al vertice del triangolo musicale con i due speakers, in modo di cogliere dagli stessi ogni piccola sfumatura di Dead Man.

Appena avviato quell'ellepi, Christoffer apprese dalle note di copertina il suo senso, avvertendo così tutto la sua tragicità, grazie agli obliqui riff chitarritici di Neil Young, intrinsecamente legati all'omonimo film di Jim Jarmusch del 1995, dedicato alle drammatiche vicende umane di William Blake, giovane poeta e pittore inglese di fine '800, interpretato nello stesso da Johnny Depp.

Apparve subito chiara la bellezza, non solo del film, ma anche della sua colonna sonora, così intensa da riconquistare anche l'amore perduto di Christoffer.

Quella musica, seppur scevra delle necessarie immagini, grazie alle note strazianti dell’Old Black di Neil Young, era capace di evocare perfettamente la vita del suo protagonista, che, in un lontano ed ancora selvaggio West, attirato da un'allettante offerta di lavoro, intraprendeva un avventuroso viaggio, anche interiore, che, prima di vederlo scendere verso la terra degli spiriti, travolto infine dalla morte, lo portava ad una profonda rivisitazione mistica di sè stesso.

Prima del previsto, arrivò il ragazzo del bar, che posò sul tavolo quanto ordinato, ma Christoffer, anzichè cenare, preferì concludere Dead Man, affascinato dalle sue note, malgrado il suo stomaco fosse vuoto ormai da ore.

La sua attenzione fu distratta da una certa presenza che avvertì nei suoi pressi, e che si concretizzò con un'impronta sul divano, mentre gli evocativi riff chitarristici di Neil Young via via venivano amplificati dai suoni, ugualmente laceranti, che giungevano da fuori, dietro la porta d'ingresso, di sicuro estranei alle forti raffiche di vento che nel mentre stavano battendo furiosamente la costa.

Decise di non silenziare la musica, ma la riascoltò più volte, tanto che apparve sempre più netta quella presenza seduta sul divano al suo fianco.

Anzichè farsi prendere dal panico, rimase immobile, in attesa del rassicurante giorno dopo, convinto che la miglior guerra è quella vinta senza combattere nessuna battaglia, anche se poi, prima che sorgesse il sole, si decise a chiamare la polizia.


Pochi attimi dopo giunse il Tenente Olsen, che, non riscontrando alcun pericolo, dopo aver ascoltato il racconto di quella notte insonne, ritornò verso la balconata indicando una preziosa Gibson Les Paul Gold Top del '53 lì appoggiata, per poi rientrare di nuovo verso il divano dov’era rimasta la copertina di Dead Man.

Olsen, un po’ scocciato completò il suo mero lavoro, e mentre si avviava verso il suo fottutissimo ufficio indirizzò a Christoffer un mezzo sorriso, aggiungendo infine:

“Ciao Amico, là fuori c’è la mitica Old Black di Neil Young, e ci sono anche segni che lì la stessa ha suonato ininterrottamente per tutta la notte, e che Neil Young sia stato pure qui vicino a te, anche se ormai è andato via, quindi fammi un piacere, quando avrai modo di rivederlo mandagli un saluto anche da parte mia".

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Poco prima di entrare in autostrada c’è un bar, frequentato come ovvio da automobilisti, che ad ogni occorrenza diventa una sala concerti affollata di curiosi ed appassionati musicofili.

Se provenite dal centro non potete non vederne l’insegna, accesa giorno e notte, con la scritta lampeggiante “Qui Musica”, che indica l’unico posto della zona, nel giro di chilometri, in cui si suona musica dal vivo giorno e notte, e dove puoi mangiare semplice e casalingo.

È un posto simpatico, come i suoi gestori, che al momento di chiudere, ormai a notte fonda, ha davanti all’ingresso più gatti che clienti, dove capita che trovi della bella musica, anche se la stessa a volte appare annacquata come certa birra che ti servono al banco.

Dopo tante belle cose dal vivo, i concerti iniziarono a scarseggiare, anche in termini di qualità, tanto che una sera una band chiamata a suonare delle cover hard rock per pochi euro, prima che iniziasse a suonare, fu letteralmente bottigliata, con annientamento della relativa strumentazione, mentre i più contemplativi si domandavano attoniti se tanta intemperanza dipendesse dai presenti oppure dalla loro pessima qualità musicale.

Intanto che si avvicendavano pseudo cantanti a pseudo gruppi, seguì un inevitabile spopolamento del locale, mentre tale andazzo proseguiva immutato, tanto che un giorno le esibizioni dal vivo furono sostituite da uno stereo posto in pianta stabile sul palco, ciò al fine di evitare ingaggi scadenti, a cui i gestori sopperivano, per abbandono del palco, da abbondanti stuzzichini ed aperitivi al posto di artisti decenti.

Eravamo nel ’71, appena prima che il locale fallisse del tutto, quando una sera si presentò al bancone un tizio, insolitamente diverso dai tanti musicisti scalcinati visti sinora, con in testa uno strano copricapo, che pareva giungere da un altro mondo; lo stesso, mentre sorseggiava una birra, in un inglese quasi italiano, chiese: “Qui live music?” stupendosi della reazione del barista, che tentò di spedirlo malamente fuori dalla porta d’uscita, mentre gli astanti assistevano in silenzio alla scena, con uno sguardo che fu tutto un programma, in cui gettavano gli occhi al cielo disperati e memori dell’ultimo concerto…

“Vedi Amico, io la serata te la farei anche fare” esordì il titolare, tra lo stizzito e l’annoiato, proseguendo: “il problema è che qui non suoniamo certa musica, perché i più pensano che Vasco Rossi sia un rivoluzionario e che il rock l’abbia inventato Ligabue…”

Senza aggiunger parola, David Jackson, questo era l’Inglese, chiamò dentro gli altri tre della Band, che, accomodatisi ad un tavolone nei pressi del palco, iniziarono un’abbondante cena a base di pastasciutte, frittate, spezzatini, tiramisù, insomma tutta roba nostrana di qualità in grande quantità.

Intanto la sala stava animandosi dei soliti abituè, impazienti di ascoltare il Blasco, in formato cover, quando alle 22 in punto, senza presentazione alcuna, i Nostri, ormai madidi, recuperata dal parcheggio fuori la loro strumentazione, raggiunsero di botto il palco iniziando un concerto mai annunciato.

Seguirono brani emotivamente forti, in continuo addivenire, portati avanti senza alcun risparmio di energia,e capaci di suscitare stupore ed entusiasmo tra i presenti, specie in occasione di veri eventi “assoluti” come Killer, Refugees, House With No Door, Lemmings, A Plague Of Lighthouse Keepers, mentre qualcuno dei presenti iniziò a domandarsi se quelli che stavano esibendosi erano i grandi Van Der Graaf Generator in persona, protagonisti di uno strano baratto, tanta buona musica contro qualche abbondante e gustoso piatto di cucina casalinga.

Poi, quando gli stessi passarono infine all’entusiastica Man Erg, tutto fu finalmente chiaro, su quel palco, quasi buio, c’era una grande Band all’ordine di un grande Artista, poco più ventenne, di nome Peter Hamill.

Ed a seguire tutto riniziò miracolosamente a funzionare, grazie ad una rinnovata ed eccellente musica dal vivo, tanto che quel locale, sempre meno bar, diventò una sala concerti rinomata “Big Soundy ‘71”, in onore di quel inconsueto concerto...

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E' sicuro, che in quegli anni chi viveva la Musica solo da ascoltatore, lo faceva senza conoscere i meccanismi economici che stanno dietro alla stessa, cosa che avviene anche ai giorni nostri, non immaginando quanto questi il più delle volte cambino la sua storia, fatte salve quelle volte che è il Destino a deciderne le sorti...

In una storia verosimilmente di fine anni '60 il ruolo di determinatore delle scelte musicali di quei tempi era il potente, e sconosciuto ai più, Mr.Nicholas Busienes; diversamente dai promoter che proponevano nuovi talenti, mettendoci la propria faccia, Nick, questo era il suo nome per gli amici, era il decisore finale, ben più autorevole dei primi, capace di segnarne veramente le sorti.

Seppur di modeste origini, partito dal minuscolo St.Malo in Louisiana (Usa), sito nei pressi di New Orleans, in meno di 20 anni da semplice costruttore di sondaggi musicali, aveva scalato la Sounds the Music, trasformandola in un team, ugualmente piccolo, ma ineditamente più intrusivo, volto a studiare ed influenzare, a loro insaputa, la vita di Artisti specie se emergenti.

Schivo, ed ancora minimalista in ogni suo aspetto, non certo per questioni di budget, e cresciuto all’ombra del jazz di New Orleans, grazie alla sua esperienza nella Musica era diventato il più importante influencer, capace di condizionare con le sue scelte ogni sua sfumatura espressiva.

Da esterno, l'ultimo incarico di Nick era quello della Corporation Bell's Sound, preminente editor di musica folk, psichedelica ed idealista di allora, che intendeva eliminare dall'orizzonte musicale una nascente Band, con alle spalle già un bel passato, pronta ad imporre un sound rozzo e rocciosamente blues, destinato ad offuscare le loro vendite, seppur non ancora apprezzati dai critici più colti.

Era giusto il '69 e Nick, vista l'urgenza della questione, portò avanti i contatti con quei ragazzi, incontrandoli ugualmente nel piccolo cottage di St.Malo fronteggiante il vicino Lake Borgne, posto ai margini dell’Oceano Atlantico, dove sin da bambino tornava a trascorrere i fine settimana, piuttosto che nei suoi uffici come di consueto.

Come già in tante altre occasioni, dove aveva concluso positivamente la sua mission, li aveva invitati per un'audizione privata nella saletta nel piano fondi di quella sua dimora estiva, dove gli stessi lo sbalordirono con una folgorante esibizione dal vivo.


Subito dopo, propose agli stessi un interessante contratto discografico della Hidden Worlds, ramo secco della Corporation Bell's Sound, predisposto ad hoc per questo tipo di evenienze, con l'idea di portarli avanti invano, sino a farli scomparire, insieme alle loro belle velleità artistiche.

Contenti, con in tasca quel Contratto, Billy G., Dusty H. e Rube B., lasciarono Nick con un sorriso, che, ugualmente soddisfatto li salutò, entusiasta del bel risultato appena conseguito.

Era il 14 agosto , e differentemente da altre volte, fu il Destino a dire la sua su questa Band, perchè, mentre Nick riposava nel suo bel pensatoio all’aperto, dal sottostante Lake Borgne saliva devastante la furia dell’Uragano Camille, uno dei più catastrofici di sempre, che dall’Oceano Atlantico portò morte e distruzione, per poi dissolversi verso il Nord alla velocità di 280 Km/h, sradicando il pensatoio all’aperto, il cottage e tutto quello che ci stava dentro, proiettandoli verso l’Oceano.

Miracolosamente, qualche ora dopo quando l’onda venì meno, Nick capì di essere un sopravissuto, poichè sfuggito alla furia dell’Uragano; rimasto a lungo indenne in quell’ambito, sino all’arrivo dei soccorsi, nel mentre ripensò inevitabilmente al suo lavoro, approntando bilanci ed ipotesi per il futuro.

Debitore di un grazie al Destino, decise di lasciar libera quella Band, capendo il loro valore, e svincolandola dal Contratto appena sottoscritto, con lo sbigottimento dei suoi componenti, che, dopo numerosi contatti, il 16 gennaio 1971 pubblicarono, grazie ad un'altra major discografica, il loro First Album, dando vita finalmente ai grandi ZZ Top !!!

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