Prima di cominciare queste due righe voglio anticipare la mia assoluta adorazione per quest'uomo, per le sue corde vocali e per quelle caspio di mani che gli fanno suonare così divinamente il suo strumento.

Poi, per il resto.
 
John Martyn è sempre stato un artista umorale, esposto come e più di altri alle furie e agli scherzi del vento e dei sentimenti. Il suo grande capolavoro è "Solid Air", zeppo di canzoni che parlano di donne contrastate e dedicato, come molti sapranno, a Nick Drake, uno che certo non se la passava bene. Così anche per "Inside Out", pregno di umile incertezza; insomma, pareva sempre muoversi brancolando, docilmente seguendo i flussi di quella chitarra che sembrava parte di lui.

D'altra parte, durante il biennio 1973/74 il buon John vive - credo - uno dei periodi più felici della sua vita, soprattutto con la moglie Beverley, bontà sua. Inevitabile che questa condizione si rifletta quasi in ogni nota: "Sunday's Child" è un disco solare, e gli estimatori di Martyn faranno fatica a riconoscerlo e riconoscersi in certi passaggi. Il buio dove Martyn tastava timido i suoi sentimenti si è diradato, e ha fatto spazio a un tinello in un giorno d'estate, i raggi del sole che entrano dalla finestra e illuminano canzoni come One Day Without You o My Baby Girl. I bambini giocano, e sotto il tappeto, tra le assi di legno  della casa (rigorosamente in riva al mare, come da copertina) ci puoi trovare Lay it All Down o magari Sunday's Child, sempre se prima non trovi una chitarra che strimpella da sola Call Me Crazy da dietro la porta. Cosa vuol dire "Sunday's Child"? Niente, è semplicemente una rivisitazione delle Monday's Child, una delle nursery rhymes (dice niente i Genesis?) che si usavano raccontare ai bambini nel XIX secolo.

John Martyn riprende in qualche modo il filone inglese della fiaba coniugata alla canzone, peraltro sfruttatissimo anni addietro in termini di psichedelia e progressive, rivedendolo però alla luce di un adulto che vede giocare un bambino - e non che gioca a fare il bambino. Chitarre acustiche (tante), piano, basso e batteria: forse non è un caso che alla fin fine i due pezzi più riusciti, Spencer the Rover e A Satisfied Mind, siano folk ereditati dalla tradizione; un percorso a ritroso, un viaggio lontano dagli abissi di introspezione dei dischi precedenti. Dei quali peraltro non vengono dimenticate le conquiste: condotte dal magistero dell'echoplex, le sperimentazioni soprattutto ritmiche di Root Love e dell'infernale Clutches sono lì a dimostrarlo, e i frutti non tarderanno a maturare qualche anno dopo.

Carico i commenti... con calma