DISTRAZIONI PER LA TRUPPA
(Riascoltando Più Vicino, prima di uscire per andare a vedere Controllo)

(“Ero ben consapevole, mentre la componevamo (dal novembre del ’78 al novembre del ’79) che la musica trascendeva la composizione—e i compositori. Era come se, per quanto tentassimo di essere originali, fossimo in qualche modo responsabili del ri-assemblaggio di qualcosa che già esisteva in un inconscio collettivo—cogliendo frammenti dall’etere per istinto, e usando la nostra arte per metterli nel ‘giusto’ ordine...”—S. Moxham, Giovani Giganti di Marmo, 1993).

Nei suoi momenti migliori il Reparto Gioia, che in effetti consta di quattro elementi, suona come quattro pezzi distinti, separati da un grande vuoto (o, visto che si tratta di suoni, da un grande silenzio): come quattro strappi su una tela di Lucio Fontana. Strappi, perché i suoni di quello che si è ironicamente chiamato Reparto Gioia richiamano sensazioni che dal punto di vista tattile o visivo sono adeguatamente descritte dalle idee di ferita, rottura. (Ironicamente, perché come tutti sanno il Reparto Gioia era, almeno secondo la leggenda, il battaglione di prostitute al seguito di ogni divisione tedesca nel ’39-’45, con il compito, naturalmente, di tenere alto il morale delle truppe. In un film recente che parla anche del Reparto, per la scelta di questo nome un giornalista accusa Steve Coogan, o Tony Wilson, proprietario della loro etichetta, di nazismo subliminale, e Tony Wilson si arrabbia, ci mancherebbe altro! abbiamo anche un gruppo che si è chiamato Colonna Durruti! allora siamo fascisti o comunisti? ha mai sentito parlare del dadaismo? del situazionismo?, neppure lui, probabilmente, sapendo molto bene di cosa stesse parlando).

Per raggiungere questo risultato il Reparto Gioia si è servito almeno per quanto riguarda gli strumenti a corde (chitarra e chitarra-basso, elettrici), dei suoni che erano diventati di tendenza nel periodo del suo massimo sviluppo, con l’avvento, grazie alla crisi energetica ed economica degli anni settanta, al riflusso delle illusioni fiorite nella decade precedente ed altre contigenze (Margaret Thatcher ecc.), della moda dadaista nichilista cosiddetta punk.

Basso profondo e distorto, chitarra distorta e compressa come il rumore dei martelli pneumatici sotto la finestra della camera da letto che esplode improvviso nel silenzio della mattina e ti costringe a svegliarti. Come detto, però, ed ecco l’altro ingrediente fondamentale della musica del Reparto Gioia, i suoi quattro suoni distinti, messi insieme non formano un muro compatto che riempie il locale e le teste e ti fa saltare, ecc., rimangono invece separati come quattro aerei che solcano un cielo blu profondo lasciando quattro diverse scie, o quattro navi nell’oceano, quattro entità individuali in un mare di silenzio. Il suono del Reparto Gioia non era frutto di un progetto. Erano troppo giovani per rendersi conto di quello che stavano facendo. Non ho mai dimenticato una frase del chitarrista del Reparto Gioia, da un’antica intervista: ci sembrava di non essere noi a comporre le nostre canzoni; la nostra musica era nell’aria che respiravamo; eravamo soltanto un tramite, esecutori. Eppure nessun altro gruppo musicale contemporaneo cosiddetto punk suonava così. Né, d’altronde, ha senso annoverare il Reparto Gioia tra i gruppi appartenenti al “movimento”. Oltre, infatti, a basso e chitarra già menzionati, il Reparto Gioia comprendeva una batteria, analogica e suonata normalmente, ma che il produttore visionario Martin Hannett era riuscito a far suonare esattamente come una macchina industriale (La fiera delle atrocità), e la voce cavernosa dell’unico esponente del Reparto Gioia di cui farò il nome: Ian Curtis.

Personalità lirica, irrequieta ecc., Ian Curtis aveva piegato il Reparto Gioia alle sue esigenze personali (la musica che al chitarrista sembrava non di comporre ma di respirare emanava probabilmente, altrettanto inconsapevolmente, da lui). A Ian Curtis importava di esprimere in forma di canzone la sua rabbia per la limitatezza della condizione umana. Non perché ne fosse filosoficamente consapevole; come per qualsiasi poeta il suo bisogno di articolare era fisiologico più che intellettuale. Ian Curtis conosceva il punk attraverso le Pistole del Sesso, lo Scontro, gruppi estemporanei che aggiunsero nuove parole al vocabolario della musica popolare. Alcuni di loro (Sid Depravato) morirono, e furono vittime più delle circostanze storiche e sociali che di sé stessi. La loro rabbia era più che altro adolescenziale, pronta a dissiparsi al crescere dell’età e della pancia. La disperazione di Ian Curtis invece non appartiene a nessuna epoca particolare. E` l’intuizione dell’assoluta inermità dell’uomo di fronte alle leggi della vita, alla morte, agli dei e al destino. E l’incapacità di accettarla, Prometeo che vuole nonostante tutto rubare il fuoco ecc. (Ian Curtis soffriva di epilessia, come molti grandi che hanno creduto di poter diventare dio). A Ian Curtis per spiegare la disperazione che nasce dalla coscienza di questo paradosso (una coscienza non data a molti, non voluta da nessuno, ma impossibile da rifiutare se ricevuta) fu dato il punk, e Ian Curtis usò il punk, o lo fece usare al Reparto Gioia. In un’altra epoca avrebbe usato forse un altro linguaggio, ma certi suoi versi, dove la sua tragedia e la sua hybris sono più chiaramente articolati, forse sarebbero nati identici. Se solo potessi mostrarti la bellezza, quelle cose che non so descrivere... e invece piaceri, distrazioni effimere: è questo il mio splendido premio? (Un mezzo per conseguire un fine) e il corteo funebre visto passare dall’Eterno: si va avanti, le grida sono finite, i vivi si scrollano ingenuamente di dosso l’idea della morte... io invece voglio gridare, di fronte alla loro futilità, effimeri come nuvole che scorrono via nel cielo.

Quando infine si è impiccato, rifiutando di accettare la fragilità della sua condizione, della sua umanità, la morte è stata per Ian Curtis l’unica conclusione logica. Il Nuovo Ordine non è stato paragonabile al Reparto Gioia, e il Reparto Gioia è diventato eterno: quattro strappi su una tela vuota, quattro schiaffi sulla faccia di Dio.

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