Premetto che è la mia prima recensione e probabilmente sarà una recensione inutile dopo ben 15 anni dall’uscita di questo album, ma dato che è il mio album preferito della mia band preferita non potrei non iniziare da lui.

Questo è il primo album che mi viene in mente quando prendo in mano la chitarra, perché sì, nell’album c’è molta chitarra, suonata nel modo che più mi piace, arpeggi che si intrecciano tra loro in modo delicato, che rimane tale anche negli sprazzi di distorsione, mai cattiva per le mie orecchie. Ma c’è molto di più, cominciando dalla voce sublime e pulita di Yorke, sempre centrale nel disco, linee di basso accattivanti e mai banali del fratello, forse troppo sottovalutato, di Jonny Greenwood, Colin e inserti di pianoforte qui e là fino allo sfociare nella bellissima videotape. La batteria in questo disco è discreta (non nel senso di mediocre ovviamente ma di timida), resa molto sottile, ma che comunque sta molto bene nel mood del disco e anzi contribuisce parecchio alla sua resa.

Come tutti i dischi dei Radiohead poi è pieno di suoni a riempire, di quelli che scopri solo al decimo ascolto e ti fanno rimanere stupito del fatto di non averli sentiti prima, perché comunque, pur ritenendolo uno dei loro album più accessibili, è molto complesso, ma ovviamente non c’è da meravigliarsene, conosciamo tutti ormai cosa sono in grado di fare.

In conclusione In Rainbows lo considero l’album della loro sintesi, quello che ha saputo prendere spunto da OK Computer, combinandolo con ciò che avevano imparato durante il periodo Kid A/Amnesiac, forse quello che non era riuscito a fare fino in fondo Hail To The Thief, troppo eterogeneo per i miei gusti.

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