Sembrava che Sanremo avesse divorziato da un cantautorato di qualità o da un repertorio musicale vagamente originale, invece quest'anno ha lanciato Raphael Gualazzi, vincitore della sezione giovani. La sua musica ha evocato suggestioni differenti, c'è chi parla di ragtime o stride piano, chi di Paolo Conte, Tom Waits o di Fred Buscaglione, e si potrebbe andare avanti molto per analogie musicali che sembrano combinarsi male fra loro.

La musica di Gualazzi non è sfuggente o in qualche modo inaudita, di certo però ascoltando "Reality and Fantasy" ci si rende conto che di carne al fuoco ce n'è molta, con un denominatore comune: la musica americana. Si può allora trovare un filo conduttore che passa fra il ragtime, Tom Waits, Fred Buscaglione e Paolo Conte (posto che tutti questi paragoni siano convincenti).

Raphael Gualazzi è prima di tutto un ottimo e fantasioso interprete, l'ha dimostrato nel suo album precedente "Love Outside the Window" (2005), nel quale il suo amore per la musica d'oltreoceano si era già palesato con le ottime interpretazioni di standards, brani celebri del blues, del jazz, riuscendo a infilare anche citazioni di un repertorio classico legato sicuramente alla sua formazione pianistica accademica (per un'idea ascoltare “A french cartoon” da Love outside the window).

"Reality and Fantasy" presenta 14 brani autografi, alcuni talmente distanti fra loro che verrebbe da chiedersi se si stia ascoltando lo stesso disco della traccia precedente.

C'è del Rock: è il caso di “Scandalize Me” con il suo ritmo serrato, i suoi riffs, i coretti, e tutti gli ingredienti di una hit da anni '80.

C'è del Pop, beninteso, si tratta sempre di un pop ampiamente filtrato dalla mano del Gualazzi jazzista (e che non ha niente a che vedere con il jazz/pop di Norah Jones, qui del jazz c'è veramente), ed è il caso di “Icarus”, “Tuesday”, “Empty Home” e la più nota “Don't Stop” (cover dei Flatwood Mac).

Altri brani come “Out of my mind” e “Behind the sunrise” conservano delle venature più strettamente jazzistiche ma rimangono a mio parere su un profilo più basso, senza riuscire a decollare o a convincere troppo.

Tengo per ultime quelle che per me sono le chicche del disco: quelle in cui Raphael canta in italiano, e non lo dico per una qualche forma di campanilismo, penso siano veramente i brani che aumentano lo spessore del disco.

Con “Sarò Sarai” Raphael sembra voler rivestire di parole poetiche quel "Kind of Blue" di Miles Davis (parlo di “So What” del 1959), inserendo anche il jazz modale nella rosa delle sue ispirazioni.

Follia d'amore” e “Lady O” riprendono uno swing jazz anni '30, in maniera del tutto convincente, è qui che Raphael inserisce le liriche fumose in stile americano che lo hanno fatto accostare a Fred Buscaglione (perchè francamente a parte il richiamo al gin, ai sigari, al “si vive così: day by day, night by night” non ci trovo proprio niente di Buscaglione in lui).

Infine “Calda estate (dove sei)”, un salto a sonorità da anni '20 (il famoso stride piano), Gualazzi nei suoi brani in italiano è brillante, divertente, bravo, non banale, rispolvera e rinnova sonorità.

La titletrack “Reality and Fantasy” appartiene ad altre sonorità ancora, forse queste si, assimilabili a Paolo Conte o a Tom Waits (la cui analogia nasce forse anche dal timbro sporco e grave del vocalizzo che caratterizza il ritornello), ma non strettamente americane, dalle parole alla musica evoca un'atmosfera surreale accostabile al dark cabaret e ad altri musicisti europei.

Ha messo insieme molta musica, penso che per questo sia un album difficile da apprezzare dall'inizio alla fine, però nel complesso un ottimo album di esordio (come autore).

Sperando che produca presto un nuovo lavoro

Pollice alzato per Raphael Gualazzi

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