“Barrett" è un disco avvolto in una specie di sonno e le canzoni sembrano quasi lottare per venire fuori. La voce, che si è fatta ancora più spenta, è accompagnata da pianole gentili e suoni stanchi. Solo ogni tanto un guizzo repentino, e sballato non poco, sveglia i poveri barrettiani estremisti sempre ben disposti ad addormentarsi insieme al loro eroe.: un assurdo e scanzonato boogie, qualche chicca di avanguardismo estremo, filastrocche innocenti e felici/infelici mettono ogni tanto la testa fuori dall'acquario.

"Barrett", ovviamente è anche un disco favoloso, con un mood insinuante, che una volta che ti ha preso non ti molla più, come succede ai sognatori con le loro fantasticherie preferite, o a certi bambini con i presepi meccanici o con i carillon della zia Ada.

E, a proposito di carillon e anche di fantasticherie, ho sempre immaginato alcune canzoni di questo disco, diciamo quelle più svogliate, spente, e magicamente incartate su se stesse, come, appunto, musichette da carillon, appena appena psichedeliche, o, se preferite, psichedeliche al minimo sindacale.

Che meraviglia pensare ai clowns di "Baby lemonade", allo strano scarrecrow di ""Waving my arms in the air"( i piedi ben piantati a terra e le braccia che si muovono nell'aria), alla coppia annoiata di "Dominoes" come figurine meccaniche, irreali, roteanti..

E magari anche alla Zia gigolò e ai quei tipi con secchi e lattine di piombo che sempre più pallidi guardano il grigio e il blu. Anche se "Gigolò aunt" è una delle poche canzoni non avvolte dal sonno.

E comunque già mi vedo in tarda età, passar le mie lunghe giornate a costruire quei deliziosi aggeggi, e mica solo barrettiani, che già mi vengono in mente le città addormentate e le ragazze in altalena di Kevin Ayers, la "Carnival street" di tim buckley, o tutte le follie di "I'm a walrus"

"Wolfpack" però non è un carillon.

E', nel grande sonno, ' una irruzione potente di spaventosa e spaventevole realtà, come un urlo, come un grumo di colore spremuto direttamente sulla tela, Oppure di lucido da scarpe. O un fantastico dentifricio a strisce rosse e blu, di quelli che piacciono ai bambini, fate voi.

Spremuto dicevamo, Syd non era uno che diluiva ed anche per questo, come diceva lo zio Robyn, è arrivato presto alla fine del tubetto...un'amichetta di mio figlio una mattina si è lavata i denti undici volte undici e il tubetto lo ha finito anche lei, in una specie di gioco, fatto di nascosto dai genitori, chissà, magari le piaceva il sapore di quel dentifricio che poi le avranno certamente ricomprato.

Ma il dentifricio Barrett quello ricomprarlo non si può, è scomparso dagli scaffali....c'è però speranza nelle fatine, loro, tutti lo sanno, ogni mattina si lavano i denti con tre dentifrici diversi...e il dentifricio Barrett magari riescono ad ottenerlo per formula magica...

Si, la sto prendendo alla lontana, è che faccio fatica a parlare di “Wolfpack”, dove per altro non c'è traccia di sorrisi, né tanto meno di fatine., che “Wolfpack” significa branco di lupi

Dice Syd che“il branco appare schierato e urlante" e son "diamanti e randelli, luce velata di nebbia".

Eancora "schierati, il morto ci fa ondeggiare indietro e chiama all'ordine/schierati, il branco in formazione/lanciati, battenti, in gruppo, di buon ora, con il nostro leader alla testa”...l'intruppamento sociale insomma.

Mentre “la vita che era nostra cresce più tagliente e più forte, lontano e ancora oltre, portando per un poco la stretta primavera stretta tra ossa sbiancate”...già, “la vita che era nostra”..

Syd si esibisce nella sua dizione "very english" da lieder sballato, quella di "Feel"... quella di "Golden hair”...ma il canto è più sguaiato...niente intimismo qui...niente magia...e, riguardo alla musica, niente lievi alchimie...ne tantomeno polvere da folk psichico...piuttosto una acustica sgraziata, punteggiata da cacofonie d'organo e di elettrica a cascata...insomma un grande poeta strafatto che regala versi chirurgici ad una pessima band...difficile chiedere di meglio.

Ma torniamo al carillon

“Waving my harms on the air” è un grumo di esile pazzia innocente che tenta di essere una canzone pop, senza ovviamente riuscirci e quindi riuscendoci al massimo grado. Non stupitevi, così ragionano i barrettiani estremisti, corrente di cui io e Edgar ci onoriamo di fare parte...

Più una canzone agli altri fa schifo, più a noi piace...la principessa Oxana Veleska non ha forse definito “Waving” un raro dono?...lode a lei quindi... e lode alla sua cuffia di leopardo...e lode a “Ultraringo” e a Rebecca labbra di seta...per non parlare ovviamente di Diego Santiago de La Torre..

A parte Edgar, fino adesso non avevo mai citato nessun altro componente della mia setta barrettiana. Ma ho davvero bisogno di qualche pards a darmi man forte, perché forse vi capirei se qui vi sembrasse di sentire solo un busker stordito e assai poco mistico stellare.

Non si diventa certo barrettiani estremisti in un giorno.

E dire che “Waving” non è nemmeno una canzone scheletro o una cosetta d'avanguardia sussurrata con spenta ed estetica noncuranza...niente a che fare con l'uccellino hop o con lo scarabeo per poeti smarriti.....è solo una cosa da nulla...come uno di quei tappini che trovi per strada...io ne ho uno in tasca da qualche giorno e mi fa compagnia...e ci giochicchio...ne tasto l'ammaccatura...spingo sulla pelle le piccole punte...e certo, tappino e canzoncina non hanno relazione...salvo che tutti e due sono piccoli talismani personali... ed è bello il momento in cui capisci che sono parenti stretti.

Un grumo di esile pazzia innocente dicevamo...e regressiva...e bambinesca...specie nella versione solo voce e chitarra, quella da abominevole e insulso strimpellatore, senza disperati tentativi wright/gilmour di agganciare una parvenza da bignamino pop...ma regressiva e bambinesca è anche la mia idea di poesia...certe volte almeno...e non fa nulla se il supremo barrettologo dice che quelli di waving sono i versi più insipidi di syd...che a me piace questo scarecrow che prende vita, i piedi ben piantati a terra, le braccia che si muovono ondeggiando...mi piacciono il sabato di pioggia, i cani e gatti per la strada, la inevitabile fanciulla psichedelica che veleggia a nell'aria, come una stagista/apprendista in un cielo senza diamanti...e se una se ne sta lassù le muoverai quelle cazzo di braccia...

E comunque ci sono anche capolavori per tutta l'allargata famiglia floydiana. Cosette psico/pop piuttosto meravigliose: “Dominoes”, “”Love song”, “Wined and dined”.

Tra l'altro, lo ammettiamo a malincuore, qui il contributo Gilmour/Wright è notevole.

“Dominoes”: organo indolente e sottilmente emotivo, mood scazzato, svogliatezza di canto e una lunga coda musicale, perfetta nella sua meravigliosa inconcludenza. Probabilmente opera del syd/talpa, in presa diretta dalla sua cantina/ mausoleo/sepolcro "dove la vita arriva senza far danno"...e dove “si gioca a domino”...e “un'allodola passa per caso fuori nel cielo”

“Love song”: pianola innocente vagamente piangente con saltello finale da uccellino hop in una specie di niente appena appena imbizzarrito, perfetto luna park psichico dove il tiro a segno è uno sparare alla cieca, perché non c'è nulla da colpire

Son canzoni al rallentatore, lo abbiam detto. A me sembran come fiori catturati per sempre da un fossile.

”Si sentono i mostri” mi ha detto una volta Edgar, mentre ascoltavamo “Dominoes”...”i mostri?”...((breve pausa)... “si, ci sono dei mostri nascosti sotto il letto di questa canzone, proprio perché la vita arriva senza fare danno”.

Io quei mostri non son mai riuscito a vederli, ma tempo fa, in un pomeriggio indolente alla “Dominoes”, mentre me ne stavo in una vecchia libreria per bambini (luogo ideale per un barrettiano terminale come me) mi è capitato un bel libriccino tra le mani...è il racconto di un bimbo che una notte riesce finalmente a vedere il mostro che vive sotto il suo letto, sorprendendolo mentre gli sta distruggendo la camera...appena il mostro vede il bambino si spaventa perché per lui è il bambino a essere un mostro “tu metti a posto di giorno quel che io distruggo di notte”...alla fine i due si stanno simpatici e trovano un accordo...

Ovviamente ho pensato a Edgar...e poi a Syd...che forse anche lui si è accordato col mostro...o forse no...

"Esta cancion me pone loco" disse un giorno, di”Wined and sined”, Diego Santiago de La Torre, il barrettiano ispanico dai vivissimi e malinconici occhi d'ebano spento, uno che sproloquiava sulle canzoni carillon avvolto in una sgargiante veste da camera da fantasma psichedelico. “Quelle note piene di sogno e di sonno hanno una vibrazione così sottile”

"Col passato -aggiungeva- riesci a fare tuttalpiù un castello di carte, fino a che non crolla tutto è perfetto, le carte più belle in questa canzone sono i gessetti e la cenere azzurra, quindi l'infanzia ancora e sempre"..."la malinconia è sapere che il castello sta per crollare, che l'organo da giostrina che lo tien su è un trucchetto buono per tre minuti tre.”

Non è male, come vedete, frequentare una setta barrettiana. Li trovi sempre qualcuno con cui poter parlare di quei “gessetti”, di quella “cenere azzurra” e di quel “vento che sa di muschio”. Oltre che qualche alleato per infestar le notti dei floydiani ortodossi.

Fuori dal cassetto melodico della nostra cassapanca alla Bernard White, stipata tra la lieta stravaganza e la leggerezza più assoluta, se ne sta “Gigolo aunt”, pop sbarazzino e lucente dal groove quasi figo, dove il banale è riscattato dal chiacchiericcio insensato di uno zombi/vampiro, che se ne va bighellonando "col trench che lascia una scia di raso"... e poi "sempre più pallido balla il jazz alla spiaggia".

Ah, questa è musica per svaporati, una marcetta per gente vissuta, che irresistibile ti entra in testa da subito, sciocca e geniale insieme..il ritmo è veloce e incongruo e una elettrica scolastica implode e rimbomba felice nella sua assoluta banalità.

Che dove regna la svaporatezza, o, se preferite, la saggezza non esibita dei vissuti, anche il banale prende strade inconsuete...e questo per rimanere soltanto alla musica, che le parole son fuochi d'artificio, memorabilia della poesia che affiora per caso, quasi controvoglia.

Oh, anche noi pazzi abbiamo bisogno della nostra musica pop, di girellare stonati da una musichetta che fa zum zum, ballando anche noi sempre più pallidi alla spiaggia, ammaliati dalla zia gigolo della canzone...che "è una furia" mentre "il suo maschio è una conchiglia".

E "la vita è quest'amore, pietra dell'uccello di fuoco che precipita in me"...sti cazzi!!! è questo tipo di frase, che in mezzo a un farfugliamento senza senso, vogliam sentire nelle nostre canzoncine alla moda

Ah, qui ci si sente il re del pianeta degli sfigati, un pianeta dove “siam tutti qui, con secchi e lattine di piombo, sempre più pallidi, guardando il grigio, il blu”, ma “tutto, tutto è rosa in questo giorno magnifico”....

Insomma pop per sfigati assai fighi, categoria umana piuttosto amabile.

Di “Rats” ho già parlato recensendo “Opel”.

Della bambina limonata parlerò recensendo “Radio one sessions”, che la versione li presente is the best.

Rimangon fuori la sposa del toro, gli elefanti effervescenti e anche altre cosette, ma non vorrei abusare della vostra pazienza.

Perciò, passo e chiudo.

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