Questo disco, nonostante sia stato registrato nelle più spaventose condizioni possibili e rimissato un numero imprecisato di volte, rimane uno dei principali capisaldi dellla discografia dei Rolling Stones. Fuggitivi, mal visti e fuorilegge gli Stones nel 1972 lo erano veramente, più in fuga dagli esattori delle tasse del Regno Unito e dai poliziotti londinesi, che spesso arrestavano Jagger e soci per detenzione di sostanze illecite, che dai demoni che si erano mostrati drammaticamente qualche anno prima durante il raduno ad Altamont. Esiliati e nascosti nell'umido e claustrofobico seminterrato della villa di Keith Richards a Nellcote nel sud della Francia, i Rolling Stones riuscirono a produrre il loro grande capolavoro. Un disco caldo, denso, grezzo, anarchico e incontrollato.
"Exile On Main Street" è uno dei capitoli discografici più importanti ed influenti della storia del rock. L'opera che con "Beggars Banquet", "Let It Bleed" e "Sticky Fingers" regala ai miseri mortali un poker d'assi musicale maledetto, inarrivabile e febbricitante che ha donato agli Stones l'immortalità. Mai una raccolta di brani ha coperto tutti gli aspetti della musica rock con una tale esauriente precisione di dettagli.
Il tema di fondo del disco è un ritorno all'essenzialità e alla purezza genuina del primo rock'n'roll. Un juke-box di suoni disadorni, antichi, anacronistici, ricchi di musica nera, di blues, di gospel profano confezionati con una ricca veste strumentale grazie alle decisive aggiunte di Nicky Hopkins, Bobby Keys, Jim Price e completati da un missaggio per nulla rifinito ed altamente tossico. I colori che predominano sin dalla famosa copertina sono il bianco e il nero e su tutto aleggia un senso di alienazione. I mesi che servirono per registrare quest'opera furono deleteri e duri per tutti. Droghe di tutti i tipi e alcol erano una costante così come la frustrazione infernale di vivere e lavorare quotidianamente tutti insieme in un luogo inadeguato e poco confortevole usato, un tempo, come quartier generale nazista.

Questo doppio album rimane sostanzialmente una creatura di Keith Richards, con Mick Jagger quasi assente e impegnato a Parigi dove la moglie Bianca doveva partorire. Keith, con l'aiuto del produttore Jimmy Miller, organizza il gruppo come una band di sporco e viscerale rock-blues, benedetto dal fantasma di Robert Johnson e illuminato dai cari vecchi riff alla Chuck Berry, dal rhythm'n'blues di marca Stax e dal country-rock dell'amico Gram Parsons. Il risultato finale ed esaltante è un disco dall'incisione sporca, senza nessuna nitidezza e accuratezza tecnica in grado di recuperare la spontaneità degli esordi. Una parabola della storia musicale degli Stones dalle origini fino agli anni Settanta, con centro focale le loro radici musicali di sempre. Un album seducente, disinvolto e seminale che mostra il lato selvaggio e proletario del rock e capace di influenzare da Springsteen a Petty, dai Clash ai Replacements, da John Mellencamp ai Black Crowes diverse generazioni di musicisti.
Il sound di "Exile On Main Street" è lontano anni luce dalle produzioni tecnologiche degli anni Settanta e non è ricercato o studiato a tavolino. Si tratta solamente del risultato di registrazioni approssimative, precarie e spesso caotiche svolte tra le sale, la cucina e la cantina della villa di Richards. Inutile citare o commentare tutti i diciotto brani di questo classico. Quei pezzi rimangono lì, fermi da quel lontano 1972 a testimoniarci e a dimostrarci la completa padronanza musicale che avevano i Rolling Stones all'epoca e a ricordarci, ad ogni religioso ascolto, che cosa realmente significasse produrre un disco di rock'n'roll, concepito sulla strada quando tutti i sogni sono svaniti e l'inquietudine regna sovrana.

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