Il 1970 è uno degli anni più determinanti nella carriera di Lucio Battisti. Oltre a beneficiare -come in tutti i primi anni di carriera- altri colleghi italiani di proprie ottime canzoni da classifica (vedi Mina, Patty Pravo, Formula 3, Bruno Lauzi, ecc), il menestrello di Poggio Bustone porta a compimento ben due album, quasi il lato A e il Lato B del suo far musica, due facce complementari che accostate rivelano la molteplicità d’intenti del Lucio del primo periodo.
“Emozioni” è un greatest hits già pronto e confezionato, un disco “killer” che a suon di record di vendite s’impone come uno dei best sellers all’italiana, condannando comunque il nostro ad essere per molti identificato con le pur adorabili canzonette per il resto della sua vita (e anche dopo).

Ma nello stesso anno viene anche elaborato il progetto di “Amore e non amore”, un divertissment prog-folk che verrà ritenuto così anti-commerciale da rimanere chiuso nei cassetti della Ricordi fino all’anno successivo. L’album viene comunque anticipato nel’70, dal singolo “Dio mio no”, futuro brano d’apertura del 33 giri, torrenziale racconto psichedelico di una sveltina che finisce per attirarsi la censura radiofonica anche per un esistente vilipendio alla religione (per l’esclamazione del titolo!). Battisti nel bigottismo democristiano dell’epoca finisce addirittura per passare da“artista maledetto”, nomea alimentata anche dalla fantastica copertina (prima di una meravigliosa serie mistico-hippie che arriva fino a quella di “Anima Latina“), con Lucio in primo piano su un prato, sfatto come un fegatello dalla barba alle superga, con la futura moglie Maria Grazia nuda con chiappe in vista (in alcune copertine ristampata con le mutandine!) e sul retro una coppia di cavalli (forse un confronto tra coppie?). Già da questo abbiamo gli indizi di quelle che saranno le tematiche dell’album.

Otto pezzi soltanto, dei quali quattro sono magnifici strumentali con titoli enormi (forse uno sfogo di Mogol?), tipo “7 agosto di pomeriggio. Fra le lamiere roventi di un cimitero di automobili solo io, silenzioso eppure straordinariamente vivo”. Incredibile. E queste piccole sinfonie o questi fantasiosi intermezzi oltre a rispecchiare gli enormi titoli che trattano di esistenza tormentata, politica ed ecologia post-boom economico sono dei gioielli sonori, pieni di sperimentalismi impiantati sulla tradizionale forma della canzone d’autore chitarristica. Le altre quattro tracce, oltre alla già citata “Dio mio no” provano tutto quel che ad un Celentano o a un Morandi non era concesso neppure di immaginare: la canzone proto-demenziale di “Una”, una delle love song più belle mai scritte, in cui gli organi hammond della Pfm (qui in veste di band di supporto) fanno la parte del leone (allucinato); “Se la mia pelle vuoi”, canzonaccia hard-rock con scatenati assoli di Alberto Radius e un Lucio quasi indemoniato, che si lamenta per l’eccessiva attività sessuale della propria lei… e infine arriva “Supermarket”, stele di rosetta per tutti i rini gaetani successivi, nella cavalcata blues di una storia d’amore con una commessa del reparto banane…Possiamo voler di più? Se la vostra risposta è sì non dovrete che aspettare l’anno successivo con "Umanamente uomo: il sogno".

Ma "Amore e non amore" rimane un album irripetibile, unico anche nei suoi difetti. Sarà per sempre considerato un album minore di Lucio nella sua fuoriuscita più selvaggia e polemica, trascurato da tutti, ma non da chi l’ha capito e amato con quelle rose sul suo consunto cilindro.

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