Kim Squad - Animal - Live at DOC 2a puntata e così mettiamo a posto pure questi Nobili
L’inizio è affidato a Broken Promises, rodatissimo purosangue che cavalca le intemperie elettriche della band, con la consueta alternanza di vuoti e pieni che il gruppo ha imparato a dosare sin dagli esordi, quando si aggirava come una versione capitolina dei Violent Femmes con un carico di musica acustica da buskers. Le chitarre che fremono, di tanto in tanto ammansite dall’organo di Roberta e dal tocco discreto del basso della Palmieri.
Ci girano sopra pure un video, nei dintorni di Torvajanica.
Roba low-budget che Videomusic passa un paio di volte, prima di metterlo in archivio, sullo scaffale degli sfigati.
The World‘s a Burn è un 4/4 che pesta a sangue e cita gli Standells (“I‘m a young barracuda swimming in the deep blue see, I mean barracuda, don‘t you mess with me”) prima del crescendo conclusivo.
Che dal vivo non arriva mai prima del quinto minuto.
Alla faccia di quanti storcono la bocca ricordando che Talk Talk dei Music Machine non toccava manco il secondo minuto e che guardano inorriditi al minutaggio di Renaissance, la cavalcata che chiude l’album sfoggiando orgogliosa i suoi 11 minuti dentro cui succede di tutto, con il “Greco” che si masturba sulla tastiera della chitarra finché la Possamai, intenerita, non gli arriva in soccorso sbocchinando con la sua tastiera.
Sulla carta, roba da pornazzo anni Ottanta, insomma.
O da padelloni di vinile anni Settanta.
Ma qui il gioco riesce. E pure bene. Suona orgoglioso e strafottente.
C’è aria di amplificatori che friggono e odore di sesso.
7 Tex Mex & Gilbert Gin è invece un tripudio di tastiere doorsiane.
Serge Est Un Salaud è cantato nella lingua del Cambuzat.
È un ballatone che odora di alberghi francesi, di voci che si accarezzano e spasimano di lussuria, con Francois e Roberta a vestire i panni che furono di Gainsbourg e della Birkin.
Macaibo ristringe le cosce attorno al folk/punk imbevuto di sambuca. L’anno dopo finirà dentro una delle tante piccole compilation di cui il rock italiano di quegli anni, in cerca di visibilità, si satura i polmoni. La raccolta di intitola Rockbeef e i Kim Squad fanno la loro bella igura a fianco di Liars, D.H.G., Not Moving, Settore Out e Views. La portano in tivù sul palco di DOC offerto loro gentilmente da Renzo Arbore.
L’anno successivo i Kim Squad cominceranno a mutare pelle, primi a sdoganare l’italiano dentro un contesto “fisicamente” rock (e lo farà un francese, questo è bene ricordarlo), e a reclutare gente nuova (tra cui il Cesare Basile in fuga dai Candida Lilith e pronto per inaugurare il progetto Quartered Shadows, NdLYS), poi via via sfaldandosi per lasciare spazio prima alle introverse ballate amare di Francois, e quindi all’estetica decadente del Gran Teatro Amaro, dove i sogni di rock ‘n’ roll si schiantavano contro il muro della consapevolezza dell’età adulta.