Pink Floyd - San Tropez (Remastered - HQ) Meddle è un gran disco anche grazie anche #pezziminori come questo
 
The Chesterfield Kings - Selfish Little Girl

A mio gusto mi Ck, favolosi sia chiaro, ma sono troppo perfetti, puliti. Suono impeccabile, probabilmente i “migliori” in questo. Infatti sono favolosi nelle cover, un pò meno a mio avviso nei loro pezzi, a volte senza il necessario “mordente” garage. In questo album 4/5 pezzi di livello eccelso, altri decisamente anonimi…

La copertina era un presagio di sventura.

Se sul disco di debutto, quello che aveva gettato l’ancora nella baia nascosta del punk delle garage band dei sixties, sembrava di vedere la reincarnazione dei Blues Magoos e sul capolavoro successivo uno scatto degli Stones dell’era Brian Jones, sulla copertina di Don’t Open Til Doomsday i Kings sembravano un’anonima band proto-hard degli anni Ottanta, con tanto di fumo dietro le spalle e t-shirt di dubbio gusto. Girata la copertina, ecco spuntare anche il nome di Dee Dee Ramone. Per i puristi della scena garage, quasi uno sputo in faccia.

I Chesterfield Kings non sono gli unici ad avvertire la stretta di una scena che continua a celebrare se stessa fino a diventare grottesca. Miracle Workers, Sick Rose, Fuzztones, Morlocks, Creeps, Untold Fables, Fourgiven stanno analogamente allontanandosi dal concetto teocratico che vuole la musica garage punk completamente impermeabile a quanto musicalmente sperimentato dal 1967 in poi.

Hanno scavato dentro il cimitero beat e ora che iniziano ad avvertire i primi segni di stanchezza, hanno tentato a fatica di alzare la schiena e hanno visto che c’è tanta altra roba da scavare, da tirare fuori. Ci sono i Ramones, c’é il folk rock, ci sono gli MC5, c’è Johnny Thunders. E presto ci saranno anche le New York Dolls, gli Aerosmith, il blues del Delta, Jan & Dean e i Beach Boys. Lo sapevano già.

Solo, presi da quel lavoro di scavafosse, se ne erano dimenticati.

A ricordarglielo sono i centinaia di concerti che diventano sempre più una gara improponibile (ed impari, perché i Re suonano come nessun altro, all’epoca, NdLYS) a chi suonasse le cover più sconosciute o a chi rifacesse meglio The Witch dei Sonics. Ma Greg e Andy non si divertono più, in quell’acqua park dove le vasche non vengono più disinfettate e l’acqua è diventata stagnante.
 
@[Pink84] è uscito l'album del concerto live che hai pubblicato ieri!!!
 
Leighton Koizumi feat Tito And Thee Brainsuckers Born Loser (Murpy And The Mob)

L’ho rimesso in chiavetta… diamo un omaggio al maestro Pinhead alias @[danip], a Tito, a Leighton… a Leighton raga…

Il più bell’album di Cover??!! Per me nessun dubbio…
 
Szechuan Capital in effetti 23 è IL numero Negro. Gli anni 90 ormai li possiamo considerare l'asilo del Rap.
 
Yasujiro Ozu - Tarda primavera

"Tarda primavera"
di Yasujiro Ozu (1949)

#35mm
 
Keith Jarrett - De Drums

Keith Jarrett (8 di 10)
"De drums" from: Fort Yawuh
1973 (Impulse!)

#jazzlegends
 
Depeche Mode - One Caress #pezziminori brano che andrebbe ricordato di piu anche dagli stessi Mode ... melodia strepitosa e prova vocale intensissima!
 
RAIN DOGS SWEDEN: Things Have Changed (Bob Dylan cover) questa canzone l'adoro in tutte le salse.
 
Dire Straits - News #pezziminori Da tanti, troppi , Communiquè viene trattato alla stregua di una fotocopia del primo omonimo. A mio parere splende ( ancora oggi ) di luce propria ed è sicuramente il disco di Knopfler e soci che ascolto più spesso e volentieri.
 
Musica altra di mondi altri (sottotitolo: 'scolta un cretino)
Ketama, Toumani Diabate, Danny Thompson - Mani Mani Kuru
"...e allora statevene fra di voi ad ascoltare gruppi peruviani con la cornamusa che se li ascoltano in 4 gatti e che non se li comprano neanche i loro parenti!" (cit.)
ECCOMI! PRESENTE! Io spocchioso saputello, frequentatore delle nicchie più maleodoranti e nascoste, che "io non farò mai parte di una maggioranza" come diceva quello in quel film...vi propongo di ascoltare alcune delle robe più impensabili che mi siano capitate tra le mani e le orecchie negli anni. Voi, date retta a un cretino, perdeteceli 5 minuti che ad ascoltare (leggere, guardare, mangiare, annusare...) sempre le stesse cose che già sai come sono, che non rischi, succede semplicemente che ti si atrofizza il cervello.
3) Ketama, Toumani Diabaté, Danny Thompson - Songhai
Che alla fine ruota sempre tutto intorno alla stessa cosa etc. etc.(2). E, insomma, fu Phina ad instillarmi il virus della musica gitana e, così, mi misi a cercare i dischi dei Pata Negra, di Camaron De La Isla, Tomatito, Vicente Amigo, Ketama...
Ecco, i Ketama al piatto già ricco (flamenco, rhumba gitana, musica kletzmer) aggiungevano anche spezie arabe e mediorientali, gran gruppo, ma scavando nella loro discografia mi capitò in mano questo "Songhai". Warning Masterpiece! WARNING MASTERPIECE! WARNING MASTERPIECE! Una collaborazione a tre, un piatto ricchissimo e speziatissimo: I Ketama ci mettono il flamenco, Toumani Diabatè l'Africa e Danny Thompson (sì quello dei Pentangle!) il folk inglese ed il jazz, aggiungeteci spezie mediorientali, profumi di kletzmer e ricordi di popoli nomadi in Europa come in Africa e preparate il bicarbonato...
Disco fantastico, musica di tutti i sud del mondo, roba inaudita (nel senso di mai udita prima)! Se vi siete spellati - giustamente - le mani per "Talking Timbuktu" splendida collaborazione fra Ry Cooder e Ali Farka Touré non potrete restare indifferenti a "Songhai".
Ci sarà anche un "Songhai 2", bellissimo ma un pelino (giusto un pelino) al di sotto del primo, io ce li ho tutti e due, voi fate un po' come vi pare...
 
Kim Squad - Animal - Live at DOC

2a puntata e così mettiamo a posto pure questi Nobili

L’inizio è affidato a Broken Promises, rodatissimo purosangue che cavalca le intemperie elettriche della band, con la consueta alternanza di vuoti e pieni che il gruppo ha imparato a dosare sin dagli esordi, quando si aggirava come una versione capitolina dei Violent Femmes con un carico di musica acustica da buskers. Le chitarre che fremono, di tanto in tanto ammansite dall’organo di Roberta e dal tocco discreto del basso della Palmieri.

Ci girano sopra pure un video, nei dintorni di Torvajanica.

Roba low-budget che Videomusic passa un paio di volte, prima di metterlo in archivio, sullo scaffale degli sfigati.

The World‘s a Burn è un 4/4 che pesta a sangue e cita gli Standells (“I‘m a young barracuda swimming in the deep blue see, I mean barracuda, don‘t you mess with me”) prima del crescendo conclusivo.

Che dal vivo non arriva mai prima del quinto minuto.

Alla faccia di quanti storcono la bocca ricordando che Talk Talk dei Music Machine non toccava manco il secondo minuto e che guardano inorriditi al minutaggio di Renaissance, la cavalcata che chiude l’album sfoggiando orgogliosa i suoi 11 minuti dentro cui succede di tutto, con il “Greco” che si masturba sulla tastiera della chitarra finché la Possamai, intenerita, non gli arriva in soccorso sbocchinando con la sua tastiera.

Sulla carta, roba da pornazzo anni Ottanta, insomma.

O da padelloni di vinile anni Settanta.

Ma qui il gioco riesce. E pure bene. Suona orgoglioso e strafottente.

C’è aria di amplificatori che friggono e odore di sesso.

7 Tex Mex & Gilbert Gin è invece un tripudio di tastiere doorsiane.

Serge Est Un Salaud è cantato nella lingua del Cambuzat.

È un ballatone che odora di alberghi francesi, di voci che si accarezzano e spasimano di lussuria, con Francois e Roberta a vestire i panni che furono di Gainsbourg e della Birkin.

Macaibo ristringe le cosce attorno al folk/punk imbevuto di sambuca. L’anno dopo finirà dentro una delle tante piccole compilation di cui il rock italiano di quegli anni, in cerca di visibilità, si satura i polmoni. La raccolta di intitola Rockbeef e i Kim Squad fanno la loro bella igura a fianco di Liars, D.H.G., Not Moving, Settore Out e Views. La portano in tivù sul palco di DOC offerto loro gentilmente da Renzo Arbore.

L’anno successivo i Kim Squad cominceranno a mutare pelle, primi a sdoganare l’italiano dentro un contesto “fisicamente” rock (e lo farà un francese, questo è bene ricordarlo), e a reclutare gente nuova (tra cui il Cesare Basile in fuga dai Candida Lilith e pronto per inaugurare il progetto Quartered Shadows, NdLYS), poi via via sfaldandosi per lasciare spazio prima alle introverse ballate amare di Francois, e quindi all’estetica decadente del Gran Teatro Amaro, dove i sogni di rock ‘n’ roll si schiantavano contro il muro della consapevolezza dell’età adulta.
 
The Kim Squad And Dinah Shore Zeekapers - Macaibo

E dopo il Maestro, il Reverendo

Belli e dannati. Anzi, giovani e bastardi.

E veloci, come una meteora. Anzi no: luminosi. Come una cometa.

Era il 9 maggio del 1987 quando Rai Stereo Uno trasmise in diretta la finale di Indipendenti, il concorso di Fare Musica che premiava la miglior band emergente italiana dell’anno. Sul palco dell’Auditorium della Rai di Torino quattro bands: le inutili Funky Lips di Torino, gli Entropia di Palermo, i bravi Lonely Boys di Porto Sant’Elpidio e poi…loro.

Una band con il rock ‘n’ roll fin dentro le mutande che si mangiò tutti, critica e pubblico compresi. Viscerali, deraglianti, sudici di rock ‘n’ roll come raramente si era ancora sentito in Italia. C’è dentro il garage rock con cui stiamo ancora tutti condividendo il sogno di un rock ‘n’ roll sanguigno e radicale ma c’è pure tanto altro. C’è l’aria maudit del diciassettenne François-Régis Cambuzat e c’è la chitarra assassina di Giorgio Curcetti che restituisce sul palco le orge infette degli MC5.

E c’è il sudore che fa colare il make-up attorno agli occhi di Roberta Possamai ed Elena Palmieri. Chissà cos’altro un po’ più sotto.

Dietro, c’è la batteria implacabile di Angelo Pinna che non cede il passo, segue l’assalto, inflessibile, monolitica.

Esplosivi. Arrabbiati e cattivi.

La finale di Indipendenti la vincono loro, manco a dirlo, a soli 40 giorni dal primo round giocato sul palco della prima edizione di Arezzo Wave, assieme a piccole glorie dell’epoca (Weimar Gesang, Rats, Party Kidz, Underground Life, Sleeves, Ritmo Tribale, Art Boulevard, ecc. ecc.).

Dopodiché si chiudono dentro gli Studi Pollicino di Roma in compagni di Oderso Rubini e, nel giro di soli due giorni, Young Bastards è pronto. Missaggio compreso.

Perché i Kim Squad suonano col sangue.

E bisogna registrare tutto prima che coli via anche l’ultima goccia.

L’album è, nei fatti, un live in studio. Ed è così che suona.

È una lacerazione sul corpo vivo del rock ‘n’ roll.

Sotto, le carni si muovono ancora, macerandosi nell’alcol ad ogni frustata.