1)

“Rock bottom” inizia con la luna e con una melodia non di questo mondo. Delle pianole, fate conto...ma delle pianole come? Metafisiche? Ipnotiche? Romantiche? Infantili? Come?

Come cavolo sono queste pianole? Qualcuno lo sa?

E poi quella voce...e quella creatura che esce dall’acqua ogni volta diversa... e il“different you”. (Che poi come si traduce “different you”? E cosa sarebbe di grazia? L’ombra? L’inconscio? La notte più nera?)…

Potremmo andare sul difficile e dire che il different you è il lato oscuro del principio femminile e, di riflesso, dell’anima...o andare sul facile e limitarci a pensare alla nostra ragazza quando è incazzata.

Che oltre che favoloso ying yang ,“Sea song”, il brano introduttivo di “Rock bottom”, è, alla fine, una semplice e incredibile canzone d’amore…e, nel suo essere incredibile, a un certo punto rinuncia persino alle parole…e quella voce, divenuta nient’altro che suono, vaga nel...nel...nel…

Va be, limitiamoci a dire che vaga...

2)

“Rock bottom”è un disco d’avanguardia. Avanguardia dolce, ma pur sempre avanguardia.

E ha una peculiarità che solitamente i dischi d’avanguardia non hanno: commuove.

Tipo l’altro giorno Stefania, una non così avvezza a frequentare le lande canterburyane, né, del resto, nessun altro luogo della stravaganza musicale, ecco, dicevo, l’altro giorno Stefania ha pianto...

E ho visto la stessa cosa accadere ad altri, ecco, magari, quelli si un po’ più avvezzi a certi suoni…

E questo, quando accade, vuol dire che si è arrivati a toccare qualcosa di profondo (e che riguarda tutti) partendo non dal raziocinio ma da quelle che potremmo chiamare emozioni base…

Ok, e io come faccio a parlare di un disco così? Ah non lo so, non lo so proprio…

E se tipo cominciassi dalla copertina? Però, un attimo…

Io mi ricordo...

3)

Mi ricordo di un disegno...

Un disegno dove si vede il mare, il mare come lo conosciamo tutti. Ci sono i gabbiani, per dire, e un battello in lontananza, e un ragazzo che si tuffa da uno scoglio.

Poi nello stesso disegno c’è anche un mare diverso.

Ed ecco una donna che salta di gioia, e un uomo, che, si, sta facendo il bagno, ma con una mano regge un filo con dei palloncini.

Per non parlare della talpa e del porcospino che a riva osservano la scena.

Poi, ok, c’è pure un castello di sabbia, ma quello mi sa che è di nuovo il mare normale. Sempre che esista un mare normale, che insomma il mare è fatto d’acqua e noi camminiamo sulla terra. E fa nulla se un tempo eravamo pesci, che quello è stato milioni di anni fa.

Il disegno, il disegno che devo aver visto quando ero un ragazzo...ecco, il disegno, quel disegno, è in bianco e nero. Però, non so come dire, sembra a colori. Deve essere l’energia che trasmette...o forse il tratto naif...

Ma non è finita qui, che oltre al mare normale e al mare diverso, c’è anche il mare profondo, forse proprio quello dove siam stati pesci milioni di anni fa…

E il mare profondo è tutto un brulicare di improbabili creature che, magari non conoscono il sorriso, ma sorridono lo stesso.

E quel sorridere che non dovrebbe esserci è un po come i colori che, pur non essendoci, ci sono.

E comunque la più strana di quelle creature (un animale, una pianta?) sembra una via di mezzo tra una torta di compleanno e un pianoforte…

“Mi aveva molto colpito qualcosa che avevo letto a proposito del fango marino organogeno sul fondo degli oceani: negli abissi ci sono cose strane e bizzarre quanto quelle che immaginiamo su Marte” (Robert Wyatt)

4)

E mi viene in mente il mio amico Carlo, che il mio amico Carlo è uno che disegna. Disegna di tutto, ma è bravissimo con le creaturine.

Tipo, andava nei prati e si incantava a guardarle, le creaturine intendo.

Poi tornava con quei fogli pieni di schizzi ( farfalle, coleotteri, maggiolini, ma anche favolosi esseri senza nome).

Che forse anche in un prato “ci sono cose strane e bizzarre quanto quelle che immaginiamo su Marte”. Non sono lontane come quelle che vivono dieci chilometri sotto il mare, ma è come se lo fossero.

In ogni caso anche quelli di Carlo erano disegni in bianco e nero che sembravano a colori.

5)

E il brulicante mondo dei prati mi fa venire in mente Ivo Cutler “Allunga il passo di quattro centimetri e risparmierai la vita al quattro per cento di insetti”, diceva.

Ed è proprio Cutler, strampalatissimo poeta/pedagogista, a chiudere “Rock Bottom” cantando, su un’inquietante bordone di viola, una storiella che ha come protagonisti una talpa e un porcospino che rotolano in direzione del tramonto impegnandosi a distruggere tutti i pneumatici che possono.

E la sua voce ha l’ironica prosopopea di un papa libertario impegnato a chiudere il più strano dei riti.

E comunque si: talpe porcospini…

E, per non farsi mancare nulla, pure Robin Hood e Cappuccetto rosso...

6)

Ah, sono importanti i compagni di viaggio…

Ivo Cutler, fate conto...un tipo che, perennemente vestito con pantaloni alla zuava e fez, distribuiva epigrammi ai passanti andando in bicicletta. E che diceva “io non sono eccentrico, son tutti gli altri ad esserlo”.

O Alfreda Benge, una favolosa ragazza dal buffo sorriso, nonché moglie di Wyatt, nonché autrice del disegno che vi ho malamente descritto e che è stato, ora risolviamo il mistero, la prima copertina di “Rock bottom”. (Chissà poi perché poi a un certo punto l’han cambiata ?)

Ah signori, il mondo è così triste. C’è bisogno di tipi come papa Ivo I e Alfreda.

Poi ovvio, tutti i musicisti coinvolti, che se penso a come Mongezi Feza suona nel pezzo su Cappuccetto Rosso, le trombe del paradiso/inferno in confronto non son nulla…

E fosse solo lui…

7)

Ma torniamo alla talpa e al porcospino del disegno di Alfreda.

Se ne stanno li vicino al castello di sabbia a fare esattamente quello che devono fare, ovvero la talpa e il porcospino.

Che poi il porcospino non so, ma la talpa, per Wyatt, è una vera ossessione...“Le talpe sono un’immagine deliziosamente naif di ogni attività sotterranea e sovversiva: sono capaci di spuntare nel bel mezzo di un prato di cemento, bucando ogni finta natura e saltando fuori nel bel mezzo della civiltà”

Insomma frequentano l’abisso, ma, a differenza dell’uomo, sono in grado di riemergere facilmente.

Anche Wyatt in questo disco finisce nell’abisso (o almeno dicono tutti così) e anche lui riemerge (sempre secondo quello che dicono tutti).

Lui in verità non l’ha mai detto, ma, insomma, qualcosa di vero dev’esserci.

8)

La talpa a me fa venire in mente Gianlucio, un tipo dimesso, con occhiali come fondi di bottiglia e favoloso look da sfigato formato da pantaloni grigio topo e maglione coi rombi.

Non usciva mai Gianlucio, ma a scuola sparava battute fulminanti. Tipo “dopo la prima scopata si è già morti” oppure “se a tutti voi non ve ne fregasse un cazzo forse alla fine ve ne fregherebbe di più”

Ci piaceva Gianlucio...e piaceva anche a Carlo.

E Carlo Gianlucio lo disegnava spesso, ma lo faceva regalandogli una specie di sorriso guizzante da bestiolina felice, la talpa, appunto, ma la la talpa di Wyatt.

O magari quella del vento nei salici...

9)

Poi tocca parlare dell’organo giocatolo, regalo dell’Alfreda.

Che hai visto mai che il Robert, classico caso di depresso iperattivo, si dovesse annoiare mentre lei era impegnata nelle riprese di un film a Venezia?

“Vacanza? Cos’è una vacanza?”

Ah, Robert allora si piazza davanti alle distese lagunari e suonicchia. Escono note tremolanti che si confondono con i giochi d’acqua.

Ascoltate l’inizio di “Alifib” e ditemi se una scena del genere non corrisponde.

“Alifib”

Note vibranti, intermittenti e sottilmente ipnotiche accompagnano un respiro affannato...sembra di stare nel grembo materno...l’unità zero della vita...lo stadio elementare…Si, si, lo stadio elementare…

(Che, dice Wyatt, il compito dell’artista “parrebbe quello di ritrovare l’animale all’interno del sofisticato essere umano”).

Lo stadio elementare e il brodo di coltura delle più infinitesime forme di vita…

(“Con la bassa marea vedi tutti quei granchietti che corrono a piccoli passi sul muschio in prossimità dell’acqua”),

E pure quei granchietti della laguna son forse “creature strane e bizzarre quanto quelle che immaginiamo su Marte.

Che Marte non è poi così lontana da Venezia.

Ma è un’altra la vera sorpresa di “Alifib”.

Quelle note (che vibranti, intermittenti e sottilmente ipnotiche accompagnano un respiro affannato), quelle note servono ad arrivare alla voce di Wyatt…

Su quella voce torneremo più avanti…

Per ora limitiamoci a dire che il testo (Julian Cope dixit) è “una babele di baby talk”, ovvero un’insieme di parole storpiate e senza senso oltre che il modo più strano per parlare d’amore.

In mezzo a quelle parole ovviamente c’è anche la talpa e e questa volta è una talpa d’acqua (water mole)…

Ve l’ho detto, trattasi di vera e propria ossessione,

10)

Un infantile disegno a matita, incongrui animaletti da fiaba, un organo giocattolo, Cappuccetto Rosso, Robin Hood, giochi dì parole.

Tutte cose che rimandano ad alcune costanti del pensiero e dell’agire Wyattiani, ovvero: il non prendersi troppo sul serio, l’amore per le avanguardie giocose, la passione per autori come Carroll e Lear, la fiducia nell’istinto più che nel raziocinio.

Elementi tutti presenti, e credo anche dominanti, all’epoca dei primissimi Soft Machine.

In “Rock Bottom” però dominanti non lo sono affatto (a parte l’istinto ovviamente) e se ne stanno li per assolvere un’altra funzione, ovvero quella di far da contrappeso, in una sorta di riequilibrio patafisico, a un lirismo quasi assoluto oltre che totalmente assente nelle opere precedenti.

O forse quel che è successo è che, mentre si stava incidendo uno dei dischi più belli di tutti i tempi, una talpa, bucando la finta natura di uno studio di registrazione, abbia fatto capolino in mezzo a tutti quei musicisti esoterici.

D’altronde sta facendo capolino anche dal mio pavimento…

Ahimé, credo di avere anch’io una leggera ossessione.

11)

Ma eravamo rimasti allo stadio embrionale di “Rock Bottom”, ovvero Venezia e l’organo giocattolo.

La seconda fase invece ha come protagonista un pianoforte a coda e un luogo piuttosto insolito, un ospedale.

Che, il primo giugno del 73, durante una festa, Wyatt, ubriaco fradicio, precipita, non si sa come da una finestra del terzo piano. Ricoverato, in condizioni gravissime, si salva ma perde l’uso della parte inferiore del corpo,

Passa quindi sei mesi in ospedale dove, una volta riuscito ad alzarsi da letto, si accorge di quel pianoforte…

12)

Una delle cose da sfatare immediatamente è che il disco si riferisca al trauma subito. Sia testi, che musiche son stati infatti composti prima. E, in nessun modo, si indulge al pietismo.

Le ricadute dell’incidente hanno però avuto una influenza decisiva: sia per l’impossibilità a suonare la batteria, sia per la grande energia profusa nella realizzazione.

E, se il non poter più suonare la batteria porta Wyatt a concentrarsi sulle tastiere e sul canto, l’energia, dovuta al fatto di poter ancora fare quello che si era creduto di non poter più fare, da al disco una urgenza espressiva talmente fuori dal comune da sfiorare il sacro.

Al punto che non serve saper l’inglese per capire che qui si parla dell’essenziale e si vaga (si vaga davvero) nel cuore del cuore delle cose.

L’uomo che si ritrova a incidere “Rock Bottom” è un uomo in stato di grazia, laddove la grazia altro non è che una espressione che sembra avere la naturalezza di chi parla delle sole cose che contano.

13)

Le tastiere e la voce, dicevamo…

Per le tastiere Wyatt si ispira a Richard Wright e a quel suo suono liquido, etereo, spaziale al quale aggiunge una speciale vibrazione che davvero non si da dove venga.

Per la voce invece si rifà, più che a questo o a quel cantante, al vagare del sax coltraniano e a certi suoi studi sul canto orientale.

I risultati hanno dello strabiliante: un canto esile e spezzacuore che naviga sulle più sottili intermittenze e sulle più incredibili melodie.

Con l’aggiunta, qua e là, di spizzichi di umanissima avanguardia, quasi che l’idea di musica totale non fosse solo utopica o, peggio, pretenziosa.

E’ musica che non assomiglia a nient’altro, al massimo vengono in mente altri vaganti, tipo il già menzionato Coltrane, o il Tim Buckley più esoterico. Solo per l’attitudine però.

Che gli esiti sono solo, ed esclusivamente, Wyattiani.

14)

Diviso tra momenti soffusi e lunari e una sorta di free jazz ultraterreno e romantico, tra magia femminile e disperato racconto del mondo, tra ironia patafisica e dolcissima emotività…

Tra l’inabissarsi in quel fondo roccioso a cui allude il titolo e il riemergere affannoso in cui l’essenza dell’uomo è rappresentata da una filastrocca senza senso…

Diviso? Ah no, non diviso…che il disco da l’idea di un flusso ininterrotto…

Sarà che la musica unisce ciò che l’uomo separa...e con quest’ultima frase storica, sperando che non siate morti dal ridere, chiudo…

15)

Ah no, non chiudo ancora…

Voglio almeno dirvi che a un certo punto si sente pure la voce dell’Alfreda.

Dell’Alfreda che risponde alla filastrocca di Wyatt,

In quella “babele di baby talk” una delle poche frasi intellegibili è “Alifib my larder”, ovvero “Alifib, mia dispensa”.

Che Alifib è Alfreda, ovviamente.

E “Alifib”, il brano intendo, a un certo punto si trasforma in “Alife”. Wyatt riprende lo stesso testo, non più accompagnato dal suo respiro, ma da uno stridentissimo clarinetto free.

E se volete saperlo per me quel clarinetto free é il famoso “different you”.

Wyatt, dicevamo, riprende lo stesso testo. Ma qui Alfreda risponde. E pure la sua voce ha un tono da “different you”

“Ero sbronza e ascoltavo tutti quegli “oh tu sei la mia di qui e la mia di la”. Così gli dissi: “no, non lo sono” E Robert replicò: “Va bene, allora rispondimi”. Così scrissi quelle cose. Poi Steve Cox registro la mia voce e la mixo con il resto”.

E quel che dice Alfreda è molto, molto “different you”. Perlomeno all’inizio...

“Non sono la tua dispensa, vasetti appiccicosi e senape. Non sono la tua cena, dico a te vecchia e sdolcinata crema inglese.”…

Poi il tono cambia completamente e Alifib (Alfreda) (Alfie) è di nuovo la creatura fantastica che usciva dall’acqua all’inizio di “Sea song”.

“I’m not your Larder, I’m Alfie your guarder”

“Non sono la tua dispensa sono Alfie la tua custode”

16)

E“Little red riding hood hit the road”?

Coltrane che incontra i Crimson (o una cosa del genere) e parole di incredibile sconforto per una musica che è impossibile non definire liberatoria. Con papa Ivo 1 a chiudere con talpa e porcospino.

E “A last straw”?

…………………………………...no, ok, adesso basta davvero….

Aloha...

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