Come l'essere umano passa attraverso diverse fasi nella sua vita, anche i Verdena nel loro cammino, hanno sperimentato diverse fasi.

Siamo passati da un album psichedelico con influenze prog ("Solo un grande sasso"), alla fase stoner (il successivo a questo "Requiem") e persino al pop del sublime e ultimo "Wow".

"Il suicidio dei Samurai" (per cui potremmo usare la parola grunge, per quanto non voglia dire troppo! ) nella linea del tempo di crescita dei tre bergamaschi, rappresenta il terzo lavoro, nonché l'ultimo che chiude la prima fase cominciata qualche anno or sono con l'omonimo "Verdena".

A volerne dare una definizione lapidaria e secca si potrebbbe definire "Il Suicidio Del Samurai" come il riassunto e una versione più scorrevole del precedente disco.

Le canzoni del qui presente lavoro suonano più compatte ed omogenee, vengono ridotte drasticamente le enormi distese strumentali del predecessore e si cerca di renderle meno dispersive.

Ma attenzione a bollare il precedente come lavoro di transizione poco valido, per qualcuno potrebbe anche essere la loro miglior prestazione, questioni di punti di vista.

Tornando al disco abbiamo di fronte almeno una mezza dozzina di canzoni che senza dubbio possono rientrare nel novero dei classici della band, richieste ai concerti e cantante a squarciagola dai fan (per quanto nell'ultimo tour ne vengano ripropostre non più di due, tre massimo se va bene).

Le chitarre minacciose di Alberto, preannuciano un ciclone che si abbatte sull'ascoltatore con "Logorrea (esperti all'opera)", ma il meglio arriva dopo con il riuscitissimo singolo "Luna" la poesia distorta del maggiore dei Ferrari ("Dipingimi distorto come un angelo anormale che cade...") si stende su tappetto sognante e malinconico, prima che le chitarre si impradroniscono della scena e diano vita ad un fugace (sic!) assolo.

Con "Balanite" (dal titolo stravagante) la tensione accumulata durante la traccia, si scatena di colpo in un finale urlato e liberatorio, quasi a voler scacciare e esorcizzare tutti i demoni che hai dentro. 

Mentre "Mina", uno dei centri focali dell'opera, carica e pregna di disillusione, non so perchè ma mi evoca sempre uno scenario marittimo invernale, in un incerto pomeriggio invernale ove il sole esce timidamente e poi torna a nascondersi.

Ma pure "Phantastica" riesce a essere suggestiva in cui risalta un immagine "...c'è un Cristo che sanguina e che ci guarda con rabbia...". A stretto giro si abbatte un altro piccolo ciclone "Elefante" con il basso di Roberta qui molto minaccioso e in evidenza. L'apice però sarà a tre quarti di canzone con quel delirio strumentale che ci fa godere e che provoca sfracelli in sede live (e io se ne qualcosa).

La seconda parte del disco si mantiene su ottimi livelli, l'unica che a me ha sempre convinto un po' meno è "Glamodrama" più che altro per i ritornelli.

"Far fisa" e "17 tir nel cortile" per esempio mettono in mostra un notevole retrogusto melodico e melanconico (in qualcosa possono ricordare i Muse alla lontana) che conditi con i soliti loro testi un po' allucinogeni, riescono nell'insieme a strappare altri applausi.

Più classiche "40 secondi di niente" e la quasi title-track "Il suicidio del samurai" che chiude con lo stesso registro dell'opener più coda strumentale, riescendo pure a superare la prima in scaletta.

In questo lavoro, registrato nella Henhouse (il loro studio personale, l'ex pollaio per intenderci) compare tra i credits pure il tastierita Fidel Figaroli, sebbene sia stato membro ufficiale solo per lo spazio di un disco.

Difficile stilare una classifica dei loro lavori, ma personalmente nella mia personale graduatoria questo disco è di un soffio inferiore a "Wow", ma parliamo sempre di lavori per quanto ognuno nasca da una storia diversa e siano legati a processi diversi, di un livello altissimo per il barcollante e tracotante spread musicale italiano.

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