Esce l'ultimo album di Chris Cornell e, come al solito, il pubblico è diviso tra chi è curioso di ascoltarlo ancora e chi invece se ne frega e vuole ricordarlo quando furoreggiava e sfavillava nei Soundgarden e, in misura minore, data la natura estemporanea e provvisoria del progetto, nei Temple Of The Dog. Siamo sinceri: se nel corso degli anni il buon Chris si è alienato una buona fetta di pubblico, non è che sia del tutto esente da colpe. A partire dal suo esordio in proprio, “Euphoria Morning” del 1999, per una buona decade non ha fatto che sbattere la testa continuamente in lavori solisti e progetti full-band (Audioslave) non esattamente esaltanti. Il fatto è che, ok, passino “Euphoria Morning” e “Carry On”, passi la parentesi con Tom Morello e soci, ma se a tanta perdonabile modestia fai seguire un assolutamente imperdonabile aborto mancato di disco come “Scream” un po' te la vai a cercare! Eppure, si è rimboccato le maniche e ha riesumato all'inizio del 2011 la sua prima creatura, i Soundgarden (da molti considerata una mossa prettamente commerciale, non a gran torto, ma tant'è...), e con essa ha realizzato un album, “King Animal”, il quale non è di certo un capolavoro, ma nondimeno contiene qualche sporadico segnale di ripresa da parte del Nostro. Ora è (momentaneamente) tornato in proprio e il 18 settembre ha pubblicato questo “Higher Truth”.

Non ero del tutto convinto dopo il primo ascolto: non ne ero particolarmente entusiasta e temevo che gli ascolti successivi non mi avrebbero fatto cambiare idea. Eppure, ho sentito quasi da subito l'esigenza di riascoltarlo ancora, poi ancora e ancora e alla fine mi sono detto: “vuoi vedere che a 50 anni passati Chris ha realizzato il suo miglior disco da solista?”. Già il singolo “Nearly Forgot My Broken Heart” è pregevole, anche se stilisticamente fuorviante, con quel suo alternative pop ammiccante e sbarazzino. Infatti, a tener banco nel disco è un country-folk assorto, suggestivo ed elegante, caratterizzato da arpeggi cristallini di chitarra acustica e da una scrittura certamente fluida ma mai convenzionale, impreziosita da influssi r'n'b e soul, specialmente in certi cambi tonali e nella voce, qui più dimessa e discreta rispetto a un tempo. La scelta di affidare la ritmica a dei loop a cura dello stesso Chris e a un piccolo set di batteria suonato dal produttore, l'immancabile Brendan O'Brien, sconcerta di primo acchito, per poi rivelarsi anch'essa una scelta azzeccata e al passo con i tempi, minimale eppure efficace (“Dead Wishes” è un ottimo esempio). Canzoni belle, introspettive e commoventi, intrise di una malinconia molto “middle-age” che per una volta non suscita imbarazzo, ma bensì empatia per la volontà di affrontare i fantasmi del passato e l'inesorabilità del tempo che avanza. La migliore in assoluto è “Through The Window”, degna del miglior Stephen Stills, e le lacrime si trattengono a gran fatica, ma anche la tenera ed amabile lallera country-pop à la Graham Nash “Only These Words”, dedicata alla figlie, sa emozionare. Il Nostro fa cose comunque gradite anche quando esce dal seminato, come, ad esempio, nella title-track, con il suo gustoso feeling brit-pop anni Novanta. Quello che forse non giova del tutto a "Higher Truth" è proprio la sua lentezza, che non lo rende di certo il classico disco da ascoltare tutto d'un fiato. Meglio forse a piccole dosi, dacché comunque le canzoni prese singolarmente valgono molto. Forse si poteva fare a meno di “Our Time In The Universe”, mediocre e prescindibile raga-pop, che, sarà per il suo “orientaleggiare” o per il titolo, ha suscitato improbabili paragoni con i Beatles da parte di certa stampa. Se proprio i Fab Four si vogliono ricercare, meglio allora in una “Circling” dai deliziosi tocchi lennoniani.

La versione deluxe contiene quattro pezzi in più, tra cui almeno la dolente e bluesy “Wrong Side” avrebbe meritato degna collocazione nella scaletta ufficiale, mentre è giusto che rimanga una seconda scelta “Bend In The Road”, dove Chris fa riaffiorare quel suo sporadico complesso-di-inferiotità-per-essere-bianco e si butta a capofitto in un gospel che vorrebbe essere solenne e sincero, ma finisce per essere retorico e poco convincente (un po' come accadeva in “When I'm Down” in “Euphoria Morning”).

Comunque, considerando pregi e (pochi) difetti, in fin dei conti sì, Chris ha davvero realizzato il suo miglior album in proprio. Sarà che i suoi termini di paragone non sono né “Pink Moon” né “Highway 61 Revisited”, ma tant'è...

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