Voto:
Dopo le illusioni del '68 con "Storia di un impiegato", a distanza di 17 anni De André mette sul piatto (Per la prima parte dell'album) le disillusioni di fine secolo, ideologie crollate su se stesse e rimpiazzate da una libertà di massa fittizia e convenzionale, figlia del capitalismo. Faber ha la percezione di qualcosa di crudo e anomalo che sta oscurando il sistema e infatti anticipa involontariamente di un paio d'anni, con il suo libero pensiero, le stagioni di tangentopoli e degli attentati mafiosi. Nella seconda parte l'ennesimo omaggio alle sue terre. Genova e la Gallura. Musiche eccelse, quasi ai livelli di "Creuza de ma".
Voto:
Non lo reputo un album di transizione. Credo lo sia "VOL.8". "Rimini" è un egregio ed energico prodotto, è l'inizio del ciclo Bubola e del cambio di rotta della musicalità del "marchio Faber". L'album è figlio del coraggio di cambiare e stare al passo con i tempi. Ci penserà la PFM a completare l'opera di "rispolvero." Testi ed argomenti sempre raffinati ed eleganti, come da copione. Sarebbe un 4,5, ma non me la sento di dare un 5, che riservo per altri capolavori.
Voto:
Monumentale!!! Un disco che suscita emozioni uniche ogni volta che lo si ascolta, anche per un ateaccio come me. De André tratta con una sensibilità unica un tema così delicato come la religione.
Riesce a portare al centro della diatriba tra bene e male l'uomo, la carne, la sofferenza e l'umiltà, anziché infilarci gratuitamente il divino o la devozione. "Ave alle donne come te Maria, femmine un giorno, poi madri per sempre." Commovente e straordinario!!! Musicalmente, qualche gradino decisamente superiore rispetto a tutto ciò fatto fin lì. Sprazzi di etnico e di progressive.
Voto:
E' l'ideale seguito di VOL.3. Ma di farina De Andréiana c'è n'è gran poca in questo sacco. Una raccolta di brani usciti su 45 giri negli anni '60 con aggiunta di cover e musiche tratte da altri maestri classici anche di secoli prima. De André lo venero, ma dò questo voto per la mancanza di idee nuove del Faber in quel periodo. L'unica cosa che gli riconosco è stata di omaggiare interessanti prodotti non suoi e di divulgarli al grande pubblico.
Voto:
Ho definito "VOL.8" di De Anrdé un spartiacque. Questo lo è senza dubbio per Lucio Dalla. Il voto al disco è più un 3,5. Il 4 però sarebbe stato troppo! Dopo le ammiraglie da hit parade dei quattro anni precedenti ecco che arriva la berlina di media cilindrata "1983", che nonostante non raggiunga il successo dei lavori precedenti, staziona per circa due mesi al numero 1 in classifica, segno che qualcosa Dalla ha ancora da dare. Io ho il vinile. L'ho riscoperto poco tempo fa e devo dire sinceramente che non mi è dispiaciuto riascoltarlo. Perla è la title track e qualche ragione per non snobbarlo la si può trovare anche ascoltando "Camion" e la grottesca "Stronzo". La maggior parte dei testi sono ancora all'altezza della situazione. Certo, non è ai livelli di "Lucio Dalla" del '79, "Com'è profondo il mare" o di "Automobili", ma resta un lavoro di tutto rispetto. E' l'inizio della svolta un pò elettronica e alternativa di Dalla che si sveste di certi canoni cantautorali e si consacra mostro da palcoscenico. Gli anni '90 lo trascineranno poi a una lenta eclissi.
Voto:
Nulla da aggiungere all'ottima recensione. L'apice di Conte in assoluto. Ho il doppio vinile e ogni volta è unico. N.12: sotterrati fino al nucleo della terra!
Voto:
Eeh, che dire? Saper fare ancora cose egregie a quest'età non è da tutti. Conte pare sia entrato in una fase tranquilla della sua vita. La verve jazzistica sicuramente non declina mai. Ma si nota chiaramente da Elegia in poi del 2004 che i brani sono molto meno elaborati rispetto ai periodi di Aguaplano o 900. Una rilassatezza sublime. Una specie di equilibrio interiore. Negli anni 80 e 90 me lo vedo sarcastico in smoking su di un grande palco con il suo pianoforte. Ora in vestaglia su una poltrona, con una tastierina portatile e un calice di Barolo. Il karma di Conte.
Voto:
Dieci anni di Bennato pensiero si riversano tutti in questo capolavoro che ha la straordinaria capacità di proporre otto tracce e otto diversi generi musicali. L'irriverenza e il sarcasmo dei testi sono eccezionali. "Io vi do il tempo, anzi il tempo sono io..." Stupendo!!! La doppia presa per i fondelli è l'uscita dell'album a poche settimane di distanza da Uffa Uffa, altro dissacrante lavoro fatto ad hoc! Da qui si capisce la grandezza e la genialità di un artista. Genialità che andrà via via sfumando nei decenni successivi. Il colpo di coda arriverà nell'89 con Abbi Dubbi, poi solo a mio avviso tentativi di riciclo.
Voto:
La struttura musicale di VOL.8 è lo spartiaque ideale che separa il primo De André più menestrelliano e scarno, (Escludendo Non al denaro... del '71) dal De André più "Pop-Rock" dei fine'70 primi anni '80. Anche qui come in altri lavori, si avvale di un altro creatore di emozioni qual'è De Gregori. Si nota però tutto l'intimismo del Faber in brani come Giugno73 e Amico fragile, forse mai emerso nei lavori precedenti atti a espandere altri tipi di messaggi ai suoi interlocutori. Non è ai livelli di altri album, resta un buon, onesto prodotto artigianale, confezionato a dovere.
Voto:
De André era reduce dal 45 giri Una storia sbagliata/Titti dell'80 e dal fortunato tour 78-79 con la PFM che contribuirono a dare ai suoi vecchi successi nuova linfa sonora. L'indiano chiude il ciclo iniziato nel '78 con Rimini. Il ciclo (tra molte virgolette) più "Pop-Rock" di De André. Non oso dire commerciale perché è un marchio al quale il Faber non si addice. Ma rispetto ai precedenti lavori e sopratutto a quelli successivi dove la complessità di ricerca dei suoni si farà più pignola e certosina, è sicuramente un periodo più "leggerino" per il maestro genovese, senza ombra di dubbio, denso però di brani straordinari.