editoriale di splinter

Da una manciata di anni impazza la moda dei pantaloni a vita alta. Li vediamo addosso alle giovani adolescenti così come a ventenni, trentenni e oltre, sono addosso alle influencer e alle fashion blogger. E fin qui tutto ok, una moda come le altre… no, aspe’, fermi un attimo… Andate con la mente indietro nel tempo… Vi ricordate cosa si diceva tempo addietro su questi pantaloni che arrivano al di sopra dell’ombelico??? Ma andiamo con ordine e riflettiamo un po’ su tutto ciò che vi ruota attorno…

Partiamo con una breve cronistoria. Io, un classe ’89, ho affrontato l’età adolescenziale e le scuole superiori con il culto dei pantaloni a vita bassissima (era il periodo 2003-2008), indossati dalle star e di conseguenza dalle giovani adolescenti; ricordo benissimo quei bellissimi perizomi colorati che si intravedevano senza aguzzare troppo la vista specialmente quando la ragazza era seduta, anzi li adoravo, ne ero uno dei maggiori estimatori e valorizzatori, erano pittoreschi quanto tremendamente sexy, era come se l’intimo volesse insorgere, non volesse più accettare il suo ruolo di prigioniero e allora eccolo fare prepotentemente capolino dai jeans quasi a dire “sono parte dell’abbigliamento e del fascino anch’io, sono arte del vestiario anch’io”; alcuni avevano poi colori e motivi che sembravano fatti apposta per attirare l’attenzione (una mia compagna di classe ne aveva uno verde con le paperelle), in pratica l’intimo nel suo intento di insorgere spesso sceglieva una veste che gli potesse dare ragione, che gli permettesse di dire “ve lo ripeto, anch’io merito di essere guardato”; era proprio questo spirito ribelle ed insolito, questo volersi rendere visibile sebbene non fosse originariamente creato per esserlo a renderlo così sexy, così artistico. Feci anch’io la mia parte, così come anche i maschi della mia età: noi però lo facevamo in modo ovviamente un po’ diverso, indossavamo il boxer e ciò che doveva essere visibile era l’elastico con il marchio (eh sì, a quell’età il marchio fa la differenza); poi c’erano i più tamarri (ma nemmeno così pochi) che addirittura li portavano diversi centimetri sotto il boxer (e non mi dispiaceva nemmeno come moda anche se sinceramente io non sono mai riuscito a portarli né a capire come facessero a non cadere). Un’arte però non riconosciuta come tale da tutti, soprattutto dalle personalità più anziane e mentalmente arretrate, quante volte i professori ci chiedevano di tirare su i pantaloni, qualche preside emanò addirittura una circolare per bandire questa moda nel proprio istituto, in due degli Stati Uniti si cercò inutilmente di renderla illegale.

Qualcuno però già allora avvisava che la vita dei pantaloni più avanti si sarebbe alzata. Nel 2004 giravo spesso sull’ormai defunta All Music ed ero solito guardare la trasmissione All Moda. Una volta accendo e vedo la conduttrice Lucilla Agosti annunciare con tono quasi minaccioso che i pantaloni a vita bassa sarebbero scomparsi in favore di quelli “ascellari stile Fantozzi anni’80” (sì, ricordo che usò all’incirca queste parole); vennero pure intervistate alcune persone in giro e queste si dimostrarono tutte palesemente contrarie al ritorno della vita alta. Ma ricordo anche un servizio visto da mia madre (forse qualche rubrica del TG2) in cui qualche stilista diceva che “com’è stato difficile abituare la gente alla vita bassa sarà altrettanto difficile abituarla alla vita alta”; ma ne parlavano anche le riviste del settore e quant’altro…

Ma se fate un salto con la mente in quegli anni… vi ricordate come venivano visti ai tempi i pantaloni a vita alta? Semplice, erano ridicolizzati, scherniti, specie in Italia, dove sono stati a più riprese collegati alla figura comica del ragionier Fantozzi; quante volte abbiamo usato l’espressione “pantaloni alla Fantozzi” oppure anche “pantaloni ascellari”; quante volte abbiamo visto uno portare i pantaloni un pochino più in su rispetto allo standard e abbiamo detto “Oh ma dove ce li ha i pantaloni quello? Sembra Fantozzi!”, il più delle volte si trattava di una persona non più giovanissima, quante volte abbiamo visto andare in giro un anziano con una maglietta infilata in dei pantaloni classici sopra l’ombelico (sì, perfino la maglietta o la camicia infilata dentro non era granché benvista in quegli anni), talvolta accompagnati da un paio di bretelle, tant’è che spesso abbiamo identificato questo look “ascellare” come il tipico look dell’anziano che se ne frega di come va in giro vestito (“sei vestito come un vecchio, guardati!”); oppure erano considerati un retaggio degli anni ’80-‘90 da non imitare (“ahahah ma guarda come ci vestivamo”); ricordo che in classe nostra guardavamo male la nostra prof. di matematica per i suoi jeans e pantaloni piuttosto alti molto anni ’80, figuriamoci se ad indossarli era un alunno…

Alla luce di tutto questo non avrei mai pensato che circa una decina di anni dopo (sì, effettivamente ci hanno messo molto tempo a tornare) li avrebbero indossati tutte come se niente fosse.

Chiariamo una cosa: a me piacciono (e detto da un vecchio sostenitore del perizoma in vista direi che vale doppio), non solo perché evidenziano curve e fondoschiena ma anche e soprattutto per quell’alone di mistero che creano; la ragazza che li indossa diventa più coperta ma anche più misteriosa; è il discorso del vedo-non vedo ma espresso in un’altra modalità, in tal caso è la camicetta o la maglietta che viene parzialmente nascosta dentro il pantalone, sporgendosi e “gonfiandosi” ma risultando visibile solo parzialmente e ciò risulta piuttosto intrigante. C’è anche un ché di stravagante, il pantalone che dovrebbe coprire soltanto le gambe arriva invece a fasciare gran parte della pancia arrivando talvolta a dominare più di metà della silhouette, mentre la maglietta o la camicia che dovrebbe essere in gran parte visibile qui viene parzialmente nascosta, è come se i ruoli si invertissero; in più le caviglie scoperte oltre ad avere un qualcosa di sexy spostano il baricentro del pantalone verso l’alto; e onestamente, un tocco di stravaganza nella moda non è mai da bocciare. Negli outfit eleganti poi la vita alta sembra essere maggiormente raccomandata, mi sono recentemente convinto che “l’eleganza è a vita alta”.

C’è però da dire una cosa: un sacco di ragazze non li sanno portare! Innanzitutto infilare qualcosa nei pantaloni è una cosa che va fatta con criterio e non si può fare proprio con tutto, altrimenti è soltanto una soluzione di comodità che può risultare sgradevole alla vista. Ad esempio li ho visti portare senza cintura (per me una cintura più o meno stilosa è d’obbligo con un outfit a vita alta, il fibbione assume così un importante valore estetico) infilandoci dentro cose che non sono certo fatte per essere infilate dentro, tipo un top, una maglia attillata o addirittura un maglione! Pensa un po’, un maglione infilato nei pantaloni, guarda dove siamo arrivati… Per non parlare di chi li accoppia con una camicetta annodata o peggio con una di quelle alquanto antiestetiche magliettine larghe e cortissime (diciamo “mozzate” che è più corretto) che lasciano scoperta la pancia… Ma davvero trovate fashion quelle robe lì? Sembra una roba del tipo “sì, scopriamo la pancia però mi raccomando il pantalone deve arrivare sopra l’ombelico perché la moda dice così”, un outfit che non sta né in cielo né in terra, se dovete scoprire la pancia o l’ombelico meglio farlo con un tradizionale pantalone a vita bassa e un top normale. Qualcuna poi infila nel pantalone solo metà maglietta o camicia, altra trovata piuttosto trash, in commercio poi vendono quei modelli con la fila di bottoni ma con i passanti per la cintura ad altezza anca, cerco ancora di capire che senso abbiano; in pratica tutte queste soluzioni sembrano fatte apposta per dire “guarda, sto indossando un pantalone all’ultima moda”, non importa che il risultato estetico sia orrendo, l’importante è essere trendy (“fossi figo indosserei vestiti trendy, certe volte son dei capi orrendi che a nessuno li rivendi” cantavano Elio e le Storie Tese mica per niente)…

Ma la domanda di fondo è semplice: perché state indossando tutte questi pantaloni? Vi piacciono davvero o “è la moda”? Siete consapevoli di quello che state facendo? O siete guidate dall’inconscio? Ma non li reputavate orrendi fino all’altro ieri? E perché quelli a vita bassa non li indossate più? Ah ok, ora non sono più cool, perché ve l’ha detto lo stilista di turno, no anzi, la vostra influencer di riferimento su Instagram o la vostra YouTuber, figure che ora vanno di moda e che voi seguite perché non avete una personalità e un vostro stile che venga dalla fantasia e pertanto come delle pecore vi affidate alla prima per numero di follower perché così facendo siete convinte di andare nella direzione giusta (sìììì, la direzione che seguono tutti è quella giusta, woooow)…

C’è poi da aggiungere una considerazione… per il loro ritorno in voga i pantaloni a vita alta hanno anche trovato un terreno favorevole: ci troviamo infatti non solo in un periodo decisamente revivalista in cui per mancanza di idee si vanno a rispolverare vecchie mode, vecchia musica, vecchie trasmissioni televisive… ma anche in un periodo in cui tutti stanno diventano tristemente più moralisti, bigotti, vegani, pseudoantisessisti, pseudofemministe, ecc… ed ecco che anche i pantaloni che mostrano giusto un pochino di intimo diventano improvvisamente indecorosi…

Tornando un attimo indietro… a volte non pensiamo a che cosa brutta che è la moda: una forma mascherata di dittatura, che ti dice cosa indossare e che se non lo indossi sei una persona brutta e sfigata, mentre brutta e sfigata sarai se indosserai la stessa roba domani. E chi sono i dittatori? Persone altrettanto brutte che sfruttano la debolezza altrui, dagli stilisti che con le loro modelle supermagre hanno rovinato la vita a migliaia di ragazzine all’influencer che non ha un lavoro serio e non sa nemmeno coniugare i verbi. Mi piacerebbe che un giorno si smettesse di parlare di “moda” e ci si mettesse definitivamente a parlare di “stile”, che ognuno fosse veramente libero di avere il proprio venendo accettato ed apprezzato così com’è e che nessuno si sentisse obbligato a cambiare secondo il momento. Ma sta a noi cominciare a dire “faccio come voglio”!

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“Raga, guardate che stasera si va a ballare”. E già il termine “ballare” è un parolone (ma ci arriviamo)… Il conteggio dei numeri per decidere quante macchine servono e l’orario di ritrovo; “Mi raccomando voi maschi indossate la camicia altrimenti ci rimbalzano”. Poi si arriva lì ed ecco l’interminabile fila per entrare… SE ti fanno entrare, perché superata la fila ti potranno fare scene perché non sei in lista, perché siete solo maschi (quasi come se negassero il fine delle discoteche, ovvero quello del rimorchio), perché avete la faccia da drogati o delinquenti (e magari non è colpa vostra ma semplicemente della vostra fisionomia naturale) o perché indossate collanine, orecchini e aggeggi vari o semplicemente non siete abbastanza fighi per il target del locale. Selezioni che probabilmente non sarebbero nemmeno legali in quanto la legge stabilisce esplicitamente che il titolare di un esercizio pubblico non può impedire l’accesso ad un servizio a chi ne corrisponde correttamente il prezzo (c’è ancora un dibattito fra giuristi per stabilire se la discoteca rientra in questa fattispecie). Quante serate andate a puttane per questo motivo, magari concluse in qualche fast food. La prima domanda che sorge è: di tutto questo sbatti iniziale… ne vale la pena? Vediamo…! Già diciamo che comunque si parte male; chi cazzo sarebbero loro per permettersi di non farti entrare e impedirti di divertirti? Gente pagata per far questo, ma siamo matti? Questi vogliono riservarsi il diritto di decidere chi deve divertirsi a proprio piacimento e chi no, senza accorgersene creano una sorta di razzismo mascherato, fanno passare per figo chi ha un determinato standard e per sfigato chi non ce l’ha; chi accetta di voler comunque entrare si rende in qualche modo inconsciamente complice, abbocca a quello standard arrivando a pensare che chi vada lì e si vesta in quel modo sia davvero figo, in qualche modo alimenta il fenomeno nonché contribuisce a rafforzare i luoghi comuni; si dovrebbe invece per principio boicottare il locale e levarsi tutti quanti dalla fila appena si comincia a rimbalzare qualcuno. Ma è solo l’inizio…

Qualsiasi sia la sala che frequenti la musica è sempre di merda e sempre uguale, tunz-tunz-tunz-tunz senza capo né coda, piatta e senza un senso logico, cosa ci trovino i giovani di artistico in un basso iperpompato che spacca l’impianto stereo e dove non c’è una sola melodia o un solo arrangiamento degno di nota mi è tuttora un mistero… forse proprio il fatto che spacca le casse (la famosa quanto odiosa canzone “Pompo nelle casse” non l’hanno mica fatta per caso) trasgredendo alla regola del rispettare i limiti di tollerabilità? In pratica già la “musica” da discoteca stessa (le virgolette sono d’obbligo, la musica è ben altra cosa) è la testimonianza di quanto i giovani siano attratti dalla nullità, dalla pochezza, una pochezza che li caratterizza anche a livello generale. Per una cassa che pompa tutto il tempo e qualche loop elettronico irrilevante credono di aver trovato l’oro, rimpiangono gli anni ’90 - che magari non hanno mai vissuto se non con il Tamagotchi o addirittura col pannolino - per la musica dance quando invece negli anni ’90 abbiamo avuto scene musicali ben più qualitative quali la rinascita progressiva e il progressive metal in tutte le sue forme, il post-rock, il rock alternativo, il funk-rock, il trip-hop, ecc. Poi però il metal per loro è “rumore”, sì certo, perché la loro è musica…

E come si passa la serata? Saltellando! Sì, non sarà mica “ballare” quello, non fatemi ridere vi prego, il ballo, la danza è una cosa seria ed organizzata, una disciplina, è saltellare quello che si fa per tutta la nottata, a volte individualmente a volte in gruppo, a volte con una delle ragazze con voi e ciò vi fa sembrare la notte più caliente anche se di fondo è decisamente anonima e fredda, anche d’estate; ma mi sa che nemmeno “saltellare” è il verbo giusto, dato che lo si fa soltanto per brevi tratti, solitamente soltanto durante i pomposi ritornelli, quello che forse si fa per gran parte della serata è essenzialmente “ondeggiare”, in maniera ripetitiva, spesso neanche con tanta voglia, con uno sguardo perso nel vuoto che senz’altro non mente, meglio non credere a chi a fine serata, magari nemmeno sobrio (e tranquilli che sto arrivando anche lì…), afferma “sì, mi sono divertito” o peggio scrive su Facebook “minchia che serata zioooo, devastoooo” (anche se questo si vedeva più diversi anni fa)! Al massimo ogni tanto si tenta di essere stilosi e fighi o di far credere che ci si sta divertendo facendo strani movimenti accentuati con le braccia o espressioni facciali a dir poco fastidiose alla vista; la domanda che mi sorge spontanea è: come cazzo si fa a non annoiarsi dopo 5 minuti passati a far finta di ballare? E come si fa a farlo per una notte intera, ahahah? Sarà che i giovani non avendo mai conosciuto realtà varie e ricche di sfaccettature si sono abituati fin da subito a cose tremendamente ripetitive e le considerano normali, persino divertenti! Personalmente io ho frequentato discoteche per anni e mi chiedo come facevo a resistere tutta la notte se mi annoiavo dopo 5 minuti; il bello è che io stesso credevo di divertirmi, l’inconscio mi suggeriva questo ma io in realtà sapevo che non mi stavo divertendo, quando ne parlo ora infatti affermo sempre che “non mi sono mai divertito”.

Ma neanche puoi tentare di ballare in maniera un po’ originale o coreografica perché ti guardano male. Eh sì cazzo, la gente là dentro è tutta uguale! L’originalità non è apprezzata in discoteca, anzi la discoteca (impersonata da chiunque vi ruota attorno) sembra proprio impegnarsi nel mantenersi stereotipata, deve essere il tempio degli stereotipi, senza di essi perderebbe utili, perché è un posto fatto apposta per essere un incontro fra stereotipi, accogliere gente stereotipata che vuole incontrare gente stereotipata per sentirsi a proprio agio, per andare sul sicuro, perché sa cosa aspettarsi e cosa può ottenere, dei non-stereotipi la gente ha paura, pensa che il diverso nasconda quasi qualcosa di maligno; altrimenti non rimbalzerebbero quelli che non sono vestiti secondo gli standard.

E per la serie “la noia ti porta a fare cazzate” ecco che la noia porta dritti al bancone del bar. Un drink, poi due, tre, pure quattro, per sentirsi inconsciamente più slanciati e convinti di divertirsi sul serio, o magari anche soltanto perché fa figo fotografarsi con il drink in mano, per non sembrare sfigati (ricordiamoci che siamo nel mondo dell’apparire più sfrenato e non puoi essere più di tanto te stesso), perché fa figo farsi vedere “spaccatiammerda” oppure per tentare approcci con ragazze che poi si riveleranno totalmente infruttuosi, quasi come se si ignorasse che una tipa potrebbe anche essere spaventata da un tizio in evidente stato di alterazione… Almeno non lamentatevi se poi nulla va a buon fine, vi siete dati la zappa sui piedi. E chissà quante volte avete dovuto letteralmente raccogliere col cucchiaino il vostro amico abituato a lasciarsi andare dovendolo trascinare fino a casa perché completamente incapace addirittura di premere il pulsante dell’ascensore… Il punto è uno: la verità è che senza accorgervene vi state annoiando, altrimenti non andreste ogni due per tre al bancone… e forse nemmeno avete dei veri interessi, altrimenti non andreste nemmeno in discoteca, preferireste il bowling, la sala giochi, la pista da pattinaggio o dei go-kart, il mazzo di carte… Cose che insomma stimolano l’impegno, la mente, la creatività e il cui esito si potrà poi ampiamente commentare e raccontare successivamente. Vuoi mettere commentare un partitone a scala 40 e il suo andamento o i tempi e le medie in una pista kart dove ognuno prova a far meglio e vuoi mettere raccontare agli amici che vi siete rotti il cazzo tutta la serata?!

E dato che è noto che ci andate per cuccare… ne vogliamo parlare dell’atteggiamento delle ragazze in discoteca? Semplice da descrivere, viaggiano in gruppetti, si mettono in cerchio e creano una barriera che mette fuori chiunque tenti di avvicinarsi a loro, se lo fai scappano impaurite manco fossi uno stupratore seriale, mai un dialogo (anche perché sinceramente la musicaccia a tutto volume non lo consente nemmeno), mai un sorriso né un’apertura verso il maschio… ah aspe’ forse una sì, quella delle gambe, del tutto illusoria; la domanda è: che cazzo vi vestite come delle zoccole per cercare di essere attraenti se poi fate di tutto per farli scappare? Non sareste più coerenti con il vostro scopo se vi vestiste come uno zampirone, eheheh? In pratica possiamo dire che quello che dovrebbe essere un luogo di conoscenza e incontro risulta essere invece un luogo di isolamento di gruppo, tutti ci vanno per ostentare la loro pseudo-voglia di divertirsi, per farla vedere agli altri ma gli altri devono stare lontani, devono osservare da lontano senza interferire, lì dentro si è in mezzo a tanta gente ma si è comunque soli.

Non entro nel merito invece delle risse che chissà quante volte vi sarà capitato di vedere, piuttosto passo direttamente a fine serata e dico: ma ci siamo divertiti davvero? Ne è valsa davvero la pena? Abbiamo speso quindici euro (se non di più in prevendita per eventi particolari) per ottenere cosa? Cosa ci porteremo dentro di questa serata? Nulla, rimane il vuoto più assoluto! Al massimo abbiamo guardato qualche culo e qualche tetta, roba che si può vedere gratuitamente d’estate nei centri commerciali.

Poi succede una cosa magica: una sera qualcuno ti porta ad una serata latina (o caraibica se vogliamo essere precisi). E scopri un mondo nuovo. Vedi la gente che balla con sentimento organizzata in innumerevoli coppie in maniera costruttiva e appassionatamente, intrecci di braccia, giri, passi ben studiati, figure tutte molto scenografiche, casquet, sguardi decisi e che dicono qualcosa, più il brivido sulla pelle provocato dallo stretto contatto fisico; sì perché lì le distanze si annullano e chi ci va sa che lì bisogna mettersi in gioco, confrontarsi con il partner, tutti si impegnano a creare un’armonia senza aver paura di sbagliare e di essere giudicati, tutti cercano di muoversi creando sequenze creative ed armoniose, ognuno vive la serata non come un semplice cristiano che si è andato a divertire a muzzo ma come vero e proprio protagonista di una piccola grande coreografia improvvisata ma mai banale, il divertimento consiste proprio nell’impegnarsi a creare qualcosa; coreografia che si compie e diventa poi globale e collettiva nella rueda cubana, dove ci si mette in cerchio e sulle note di una salsa si segue un “cantante” che annuncia delle figure (che ovviamente bisogna imparare e non tutti le conoscono tutte) che tutte le coppie devono eseguire, cosa che comporta anche il continuo scambio di coppie. Ma noti anche tante altre cose che ti fanno capire che hai buttato un sacco dei tuoi anni e dei tuoi sabati: niente selezione all’ingresso né coda, perché lì nessuno deve difendere il target e lo standard del locale o la moda del momento, i balli di coppia non passano mai di moda, entri vestito come cazzo vuoi (anche se c’è il rovescio della medaglia, ovvero che molti ragazzi non hanno l’abbigliamento elegante che un’arte come il ballo meriterebbe) e puoi essere sicuramente più te stesso; non si fanno le 5 o le 6 del mattino, perché chi ci va sa che anche quello del far mattino è uno stupido stereotipo frutto della becera ignoranza; non c’è tempo nemmeno per alcolizzarsi perché ognuno ha moooolto di meglio da fare; e non ci sono risse, pensa un po’ che cosa strana, mentre in discoteca si fa a botte per uno sguardo appena alla persona sbagliata qua invece si balla appiccicati perfino alle mogli e compagne altrui, magari venute lì proprio con il proprio compagno, ma non si creano mai gelosie! Poi quello che era irraggiungibile in discoteca diventa qui raggiungibile: lì guardavi la più figa del locale da lontano col cannocchiale, qui se tutto va bene ci balli addirittura una bachata sensualissima! Ma pure la musica è sicuramente migliore, vuoi mettere i tunz-tunz della disco con i chitarristi e i percussionisti della bachata o le orchestre di salsa? Mi portarono qualche anno fa al Milano Latin Festival di Assago per vedere la Maxima 79 e devo dire che mi sembrava più ovvio stare lì a vedere i musicisti che mettersi a ballare, cosa che invece non avrebbe senso con un volgare dj; c’è sempre una ripetitività ma è piuttosto ovvia, trattandosi di musica da ballo.

Sei appena stato folgorato sulla via di Damasco, sta di fatto che arriva settembre e decidi che vale la pena di spendere qualche centello per un corso di salsa e bachata. Una volta a settimana sei lì ad imparare passi, figure e combinazioni nuove, ti impegni sempre a diventare più bravo e creativo senza mai però metterti davvero in competizione con gli altri, niente rivalità, perché la gente che ci va è gente senz’altro superiore ai truzzetti di Corso Como e sa che si tratta di un qualcosa che serve a creare un’armonia, a legare, infatti nascono pure amicizie e soprattutto compagnie per serate, non vedi l’ora che arrivi il weekend per vivere quando sopra descritto, poi di parlarne con i tuoi stessi corsisti, magari speri pure che il fotografo ti abbia immortalato in una posa passionale ed artistica da dare in pasto ai social. Una passione, e la passione è un divertimento che non si esaurisce in un sabato sera, la porti dentro anche durante la settimana e la sviluppi, che cazzo vuoi invece sviluppare con la disco-mania? Ti sei così reso conto che la discoteca è semplicemente la danza degli ignoranti e per gli ignoranti, consiste essenzialmente nello scegliere la via più facile, è una scelta comoda, dà la possibilità anche al più impedito di sentirsi un ballerino, di sentirsi quello che non si è, perfino di potersi giustificare dicendo che non tutti hanno voglia di imparare a ballare, io sono tuttavia dell’idea che se si vuole fare una cosa bisogna farla seriamente o meglio lasciar stare, il rischio di risultare ridicoli è sempre dietro l’angolo e modestamente la gente della disco lo è, ridicola, proprio perché tenta di fare una cosa che non è capace di fare credendo di saperla fare. È come se io andassi su un triciclo e poi andassi in giro a dire di essere un motociclista.

Ora se qualche tuo vecchio amico non ancora interessato dalla conversione di San Paolo dice “andiamo a ballare” la tua espressione sarà all’incirca quella dell’Urlo di Munch e la tua risposta sarà senz’altro un bel dito medio. Questo è quello che ho vissuto io, ma credo chissà quanti altri, di sicuro è qualcosa che ti cambia la vita. L’unica supplica che faccio (potrebbe aggiungersi quella di iscrivervi tutti ad un corso di ballo di coppia), se proprio volete continuare con le disco, è quella di smetterla di dire che vi piace “ballare”, al massimo dite che vi piace “andare in disco”; è una questione di essere onesti e obiettivi, la gente che veramente è appassionata del mondo del ballo è stata fin da piccola su un parquet di una scuola, ha partecipato a corsi e stage, la vedi spesso nelle sale da ballo spesso in qualità di animatore e ha tenuto saggi, esibizioni e spesso perfino gare, magari girando l’Italia e talvolta pure l’estero, magari anche lavorando sodo per migliorarsi e probabilmente non ha mai visto di buon occhio la discoteca. Definirsi “amanti del ballo” potrebbe essere quasi una presa per il culo nei loro confronti, pensateci discotecari!

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Da diversi anni il tema della stabilità economica delle famiglie è al centro del dibattito televisivo e politico così come quello della sicurezza contro furti, rapine, stupri, violenze e più recentemente attentati. Tutto questo mi stimola riflessioni e paragoni con il mondo animale. Alcuni sembrano evidenziare quanto siamo fortunati noi rispetto a certi animali e altri al contrario sembrano farci imprecare per quanto invece sono fortunati altri tipi di animali rispetto a noi.

Prima casistica: ci lamentiamo del fatto che non abbiamo un lavoro fisso o abbiamo paura di perderlo, così come di vedere i nostri soldi in banca svalutati e il potere d’acquisto diminuito; pensiamo invece agli animali predatori nella savana: non hanno un lavoro fisso, non hanno uno stipendio né un conto in banca, non sanno mai se arriveranno a fine giornata, altro che a fine mese, ma mentre per noi è segno di povertà e riguarda una piccola fascia della popolazione per loro invece è assoluta normalità e riguarda tutti; mentre da noi c’è qualcuno che è costretto a rubare per mangiare invece loro sono tutti costretti addirittura ad ammazzare, e non è nemmeno detto che ci riescano dato che non hanno nemmeno le armi da caccia avanzate che abbiamo noi.

Andiamo invece dalla parte delle prede: ci lamentiamo sempre del rischio attentati, della sicurezza nelle strade, dei furti negli appartamenti e degli scippi nei mezzi pubblici, cose che capitano ogni tanto, perché ogni tanto può capitare quello con la rotella fuori posto; il mondo delle prede invece è sempre sotto attacco, è come se vivesse sotto le bombe, in un paese con una guerra in atto dove i guerrieri, i delinquenti e i terroristi sono i predatori, le povere prede non sanno come e dove rifugiarsi e se vivranno attimi di pace; tutto con la differenza che qui non c’è di mezzo nessuna motivazione economica, politica, religiosa o di odio razziale, solo una questione di sopravvivenza.

In poche parole siamo fortunati a nascere uomini ma non ce ne accorgiamo; forse anche perché è più facile notare un’altra categoria animale a noi molto più vicina e a cui noi molto spesso contribuiamo al meccanismo di comoda vita: gli animali da appartamento. Cani, gatti, conigli, criceti, canarini, senza fare un benemerito cazzo, senza lavorare, senza studiare, senza sbattersi hanno fissa dimora, cibo e acqua e non pagano né vitto né alloggio, né spese condominiali né rate del mutuo né tassa rifiuti, hanno tutto gratis; potremmo dire che campano in eterno con il reddito di cittadinanza, con la differenza che per loro questo reddito è assolutamente incondizionato, non sono costretti né a partecipare a corsi di formazione professionale né alla ricerca attiva del lavoro, nemmeno ad accettare offerte di lavoro perché questi il sussidio non lo perderanno mai.

Quindi il quesito di fondo è: siamo nati fortunati o sfortunati? Bella domanda, davvero!

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Una cosa che non ho mai sopportato nell’umanità è il cinismo con cui vengono miserabilmente trattate ed emarginate le persone insicure, abbattute, che tendono a fare le vittime. E ignorano tutto ciò che ci può essere dietro queste persone e le conseguenze del trattamento che loro riservano. Queste persone vengono derise manco fossero un cancro per la società ignorando ciò che invece potrebbero custodire ed offrire.

Innanzitutto viene ignorata una cosa: queste persone non stanno facendo le vittime o denunciando il loro disagio per niente, così tanto per mostrarlo, non si può fingere un disagio, se non a teatro, nessuno si sente davvero di inventarsi un problema solo per suscitare compassione; anzi, se non ci fosse un disagio di fondo non ci sarebbe nemmeno bisogno di attirare compassione. Queste sono solitamente persone che hanno davvero sofferto; può trattarsi di situazioni familiari complicate e magari poco amore all’interno della famiglia; può trattarsi di sogni non realizzati e magari proprio perché il mondo circostante non ha permesso loro di realizzarli; può trattarsi di personalità originali che nessuno ha saputo capire perché, diciamocelo fra i denti, la gente è stupida; può trattarsi di adolescenza difficile segnata da episodi di bullismo o di emarginazione; può trattarsi di qualsiasi cosa che rende questa vittima legittimamente insoddisfatta nonché desiderosa di un riscatto. Ed è assolutamente normale che lo cerchi nelle nuove persone che conosce nel suo percorso. Questa persona è inoltre molto fiduciosa, nonostante tutto, di ottenere qualcosa da queste persone, spesso ignara del fatto che esse si riveleranno poi come tutte le altre; e sente quindi il bisogno di sfogarsi, sperando in una reazione, reazione che arriva ma come al solito negativa. “Ma che palle ‘sto/a qua, sempre che si piange addosso, una flebo ogni volta…”, questa è la reazione tipo, molto triste da dirsi.

E in tutto ciò arriviamo a credere che questo atteggiamento così cattivo sia la soluzione migliore per liberarci delle loro lamentele, anzi, pensiamo perfino che sia perfettamente normale, magari giustificati da quello studio scientifico di turno che ci dice che “le persone negative influiscono negativamente su di noi e sul nostro stato d’animo” e noi vi crediamo ciecamente. In realtà quello che stiamo facendo è soltanto alimentare ancora di più il loro vittimismo ed il loro senso di sconforto e desolazione, ci stiamo solo aggiungendo alla lista dei numerosi carnefici che potrebbero portare fino allo spegnimento della persona; o addirittura può darsi che siamo noi stessi i principali artefici della sua tristezza, se magari siamo i primi ad avere a che fare con quella persona.

Nessuno mai però che cerca di andare in controtendenza provando ad essere la rinascita di quella persona anziché l’ennesimo macigno o peggio il tracollo definitivo. Penso che non sarebbe una cattiva idea passare con quella persona un pomeriggio al parco, la sera al bar, il sabato sera con gli amici, magari provare ad inserirla nella propria compagnia (sempre che vi siano le persone giuste con la stessa sensibilità e senza pregiudizi). Se la cosa funziona la persona potrebbe pian piano cominciare a sentirsi importante e a lasciarsi il passato alle spalle, riacquistare fiducia in se stessa, e noi potremmo orgogliosamente ed umanamente divenire responsabili di un’opera di bene, e direi che far sentire bene una persona e risollevarle lo stato d’animo lo è a tutti gli effetti. Tentar non nuoce, è che forse siamo noi stessi troppo deboli per dialogare e per dare aiuto a chi ha bisogno d’amore, dovremmo prendere in considerazione questa ipotesi.

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I recenti accadimenti in Champions League a Madrid che hanno portato la Juve fuori dall’Europa mi hanno risvegliato i sensi su cosa sia effettivamente un calcio di rigore e quale significato abbia realmente. Pur essendo milanista rientro fra quelli che sostengono che quello concesso al Real Madrid a tempo ormai scaduto sia un regalo vero e proprio.

Non entro nel merito dell’episodio in questione (mi limito a dire che Benatia mette appena una mano sulla spalla e poi salta toccando peraltro il pallone) ma espando il discorso ad un contesto molto più generale. Vediamo sempre gli arbitri dare un rigore alla minima spinta, la minima trattenuta, il minimo contatto, il minimo incrocio di gambe; e si sentono gli opinionisti in TV dare ragione all’arbitro dicendo “il contatto c’era”, “la trattenuta c’era”, “il mani c’era”, magari sostenendo l’esistenza di un “danno procurato” (espressione che nemmeno esiste nel regolamento calcistico); o se il rigore non viene concesso si sente tirar fuori le stesse motivazioni per sostenere che doveva essere concesso il rigore. Questo atteggiamento fa dimenticare il vero spirito del gioco del calcio e allo stesso modo il vero significato di “calcio di rigore”.

Riguardo allo spirito del gioco ci si dimentica una cosa: il calcio è un gioco fisico e di contatto e in quanto tale prevede trattenute, spinte, gambe che si toccano e quant’altro… Basta soltanto vedere le mischie in area di rigore su punizioni e soprattutto calci d’angolo, quante maglie che si estendono ogni volta, quante cinture, quante mani sulle spalle; dovremmo dare 30 rigori ogni partita? Sarebbe logico se le partite finissero 10-9 solo perché ci sono state dieci trattenute in area per parte? L’abilità di chi gioca il pallone consiste proprio nel saper vincere il contrasto superando proprio quella trattenuta, quella spintarella, quell’incrocio di gambe e di mani; fischiare al minimo contatto a favore dell’attaccante toglierebbe il bello del gioco del calcio, del riuscire a vincere il contrasto con le proprie forze; semplificherebbe troppo la vita a chi attacca e il calcio perderebbe quel senso di sfida che lo contraddistingue.

E poi ci dimentichiamo del significato della parola “rigore”; i dizionari accostano la parola rigore alla disciplina, alla severità, alla durezza, a qualcosa di serio e deciso; se l’hanno chiamato “calcio di rigore” vuol dire che si prefigge di punire qualcosa di grave, di palesemente scorretto, probabilmente anche di cattivo, una trattenuta plateale, uno sgambetto vero e proprio, un tocco col braccio chiaramente largo, una spallata di quelle fatte apposta per buttare giù; questo è quello che dovrebbero sempre avere in mente gli arbitri prima di fischiarne uno ma anche chi scrive il regolamento per evitare che gli arbitri si sentano ogni volta giustificati a concederne uno. E anche il fatto che l’area si chiami “area di rigore” può voler dire che se questi falli fuori area possono anche essere fischiati lì dentro invece bisogna prestare molta più cautela. Esiste l’istituto della punizione a due in area, un’idea potrebbe essere quella di estenderla ai falli che non mostrano particolare cattiveria, i cosiddetti “falletti”, oltre che alle fattispecie già previste dal regolamento.

Ma anche voi che commentate in TV, nei bar, in ufficio e ovunque, pensateci prima di inveire contro l’arbitro!

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editoriale di splinter

Premesso: questo non è il mio modo di considerare le persone, per me non esistono sfigati e non, io tratto tutti, per quanto possibile, allo stesso modo, qui si tratta solo di riportare la realtà dei fatti, forse con un’aria quasi da poeta maledetto, su come viene trattato lo “sfigato”, anzi, qui si cela anche una velata denuncia. Pure io ho sempre avuto la convinzione di avere la “faccia da sfigato” con tutto ciò che esso comporta e ho spesso notato su di me molti dei comportamenti di seguito descritti, quindi parlo anche da “vittima” del fenomeno.

Ma veniamo al dunque. Sono qui per evidenziare una triste verità: se la tua faccia, la tua fisionomia, il tuo portamento e la tua voce sono quelli tipici di uno sfigato devi metterti in testa che nella vita non avrai molta fortuna con gli amici, con le ragazze, nel lavoro e in generale nelle relazioni sociali. E non esiste un esempio pratico di “faccia da sfigato”, non è possibile delinearne le “caratteristiche tipiche”, semplicemente vedi uno e pensi “questo è uno sfigato”, un po’ come quando guardi una ragazza e pensi “questa ispira sesso” senza riuscire a spiegare cos’ha in faccia di così attraente, stesso meccanismo, una condizione congenita e praticamente irreversibile.

La difficoltà partirà sin dall’infanzia, negli anni della scuola, dove verrai preso in giro dai compagni e potrai subire scherzi bastardi, costringendo i tuoi genitori ad intervenire e parlare del fenomeno con gli insegnanti. E la cosa si verificherà con maggior ferocia negli anni delle medie e delle superiori, gli anni probabilmente più bastardi e stupidi del comportamento umano, gli anni del “o sei così o sei tagliato fuori”, e tu finirai tagliato fuori perché non sei “così”. Potrebbero essere tremendi gli intervalli in corridoio e non è da escludere che pure girando per le strade del tuo paesino o sui mezzi pubblici troverai gruppetti di ragazzi che notando il tuo aspetto ti daranno fastidio.

La cosa però proseguirà, anche se con meno ferocia, per il resto della tua vita. Vediamo come.

La tua natura poco interessante, se non per qualche sparlata da bar alle spalle ogni tanto, farà in modo che difficilmente le persone saranno invogliate a trascinarti in un gruppo di discussione, partecipazione o avventure; ci proverai tu inserendoti a forza ma quanto cercherai di parlare non ti ascolteranno fino in fondo e perfino ti interromperanno, mentre rare saranno le volte che verrai interpellato o in cui attaccheranno bottone con te, capiterà spesso che le uniche volte che lo faranno sarà per deriderti o raccontarti frottole pensando che tu sia così ingenuo da cascarci, mentre invece te ne accorgi benissimo e risponderai incazzandoti (fenomeno quest’ultimo più limitato all’età scolare); le tue idee non verranno mai ascoltate fino in fondo e i tuoi tentativi di sembrare simpatico ti faranno risultare addirittura ridicolo, le tue battute non faranno mai ridere, ma anche battute che fatte tali e quali dai migliori comici sulla piazza farebbero ridere. La tua presenza il venerdì e sabato sera poi sembrerà nelle loro menti perfino utopia, il tuo sabato pomeriggio sarà spesso un giro a vuoto di chiamate a destra e manca verso gente che per non rispondere “tu non vieni” cercherà scuse improbabili (sempre pensando che tu sia ingenuo), ne passerai di sabati a casa con qualche bottiglia di vodka in mano… Sarai poi il principale bersaglio su cui scaricare le colpe di determinati accadimenti e ogni errore o manchevolezza te la faranno pesare come un macigno.

Per non parlare poi del rapporto con le ragazze. Ogni tentativo di sembrare carino ed affettuoso con loro verrà visto come un comportamento invadente o persino buffo e faranno di tutto per evitare la tua presenza. Se provi ad abbracciarle loro reagiranno con freddezza o addirittura tenteranno di svincolarsene, come se per loro tu non potessi avere un cuore e un affetto da dimostrare o addirittura avessi il colera; perfino darti un bacio sulla guancia solo per salutare loro potrebbero trovarlo strano, come se tu non fossi da trattare come una persona normale. Scherzeranno con tutti al di fuori di te e non dar retta a Celentano, non è perché piaci ma semplicemente perché ti reputano sfigato. Se poi ci provi addio, sei perfino uno stalker o un maniaco sessuale. Emblematici saranno i tuoi pomeriggi nelle discoteche da ragazzino: vedrai i tuoi compagni d’avventura (i pochi che sarai riuscito a trovare, magari nemmeno amici, solo dei P.R. che ti sfruttano per avere qualcuno da far entrare a loro nome) slinguarsene a decine ogni pomeriggio e tu tornare costantemente a casa a mani vuote.

Vita dura anche sui social network, dove accetteranno per pietà la tua amicizia ma si cagheranno a malapena i tuoi post e non risponderanno ai tuoi messaggi e commenti.

A più riprese tu proverai, anche alzando la voce di parecchio, a lamentarti e a denunciare la tua situazione ma verrai liquidato sempre con robe del tipo “ma noooo, non è vero, non ti prendiamo in giro, noi scherziamo”, “ma noooo noi ti vogliamo bene”, mentre alle spalle te ne dicono di tutti i colori, “ma sempre la vittima fa quello lì, che paaaalle”. Ciò ti renderà sempre più ridicolo e sempre più solo, perché lo sappiamo che la gente è crudelmente indifferente alla mancanza di affetto, chiedere un po’ d’affetto è come chiedere l’elemosina, è inutile negarlo.

Da non trascurare il fatto che altra gente che magari a primo impatto non vede in te la persona da maltrattare e deridere lo farà poi vedendolo fare agli altri, sappiamo benissimo come la gente si lascia influenzare dal giudizio altrui su qualsiasi cosa; è un po’ lo stesso discorso di quando le ragazze vanno dietro ad uno che ha già un sacco di donne accanto proprio perché lo vedono con tante donne e si autoconvincono che sia attraente, in questo caso invece si autoconvincono che tu sia sfigato perché si fidano del giudizio altrui.

C’è però anche da dire che esiste anche un altro tipo di sfigato, ovvero quello che non lo è di natura ma che indossa una maschera che per la gente è da sfigato; questo fenomeno si verifica maggiormente nei confronti di chi si atteggia in modo diverso dalla collettività, specialmente negli anni trascorsi a scuola, come ad esempio rinunciando a look alla moda, ripudiando la musica del momento o in generale pensandola in modo anticonformista su diverse cose. Quante volte lo sfigato della classe è il metallaro che si isola quando mettono i rapper del momento a tutto volume…?! Forse può darsi che a rendere la persona sfigata sia proprio questo snobismo ma i tentativi di normalizzazione della persona non vanno poi così tanto a buon fine, anzi a volte rendono la persona ancora più ridicola, come se gli altri notassero che la persona lo sta facendo apposta per emergere e non vorrebbero darle la soddisfazione di sentirsi realizzata.

Tornando invece allo sfigato di natura… anche nel mondo del lavoro le cose potrebbero non andare meglio: chissà quanti selezionatori noteranno il tuo strano aspetto e se ne guarderanno bene dallo scegliere proprio te…

Riepilogando, in poche parole: se sei sfigato sei sfottuto! Sei come un personaggio del Ciclo dei Vinti di Giovanni Verga, che deve accettare la propria condizione e non conviene nemmeno provare ad emergere perché si rischia soltanto di fare l’effetto contrario. C’est la vie!

Tuttavia spero che questa sia solo una mia visione eccessivamente pessimistica della realtà, raccontata peraltro con un tono un tantino sopra le righe e come se ciascuna di queste delusioni fosse certa; nessuno dovrebbe mai vivere una situazione simile anche se il mondo, lo sappiamo, è di una cattiveria paurosa.

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editoriale di splinter

Ogni giorno navigo su Facebook, come tutti, ed ogni giorno mi ritrovo ad avere a che fare con le solite millemila cose fastidiose; ogni giorno vai su Facebook e ti fai un’idea malsana di quello che è il modo malato e “superficiale” della gente di rapportarsi con la realtà, sia sul social che nella vita reale e nasce perfino la convinzione che a rendere la gente così sia stato proprio il social network, più che mai specchio della società e del comportamento umano moderno!

Volevo qui focalizzarmi su alcuni aspetti, evidenziare alcune brutture, alcuni comportamenti anomali e fastidiosi che caratterizzano il social network e a cui il social network ha portato.

Ad esempio ho notato un aumento della tendenza a litigare per futili motivi o suscitare reazioni oltremodo esagerate. Mi è capitato di vedere gente o sentire di gente che litiga per cose assolutamente impensabili, magari anche persone che senza il social network non litigherebbero mai; sono capaci anche di creare un pandemonio per UNA cazzata che hai scritto o per una stupida foto che hai postato; magari una foto che ti ritrae mentre sei felice in un pub magari soltanto perché “non sei stato invitato”, magari hai messo un like alla foto di un individuo di sesso opposto scatenando gelosie. Cose che in pratica si sono sempre fatte anche se non in forma virtuale ma ora divengono criminose; può darsi che incida il fatto che ora tutte queste cose diventino pubbliche e alla luce del sole mentre prima erano più nascoste e non venivano sgamate…

Sempre restando legati alla tendenza ad ingigantire piccole cose di poco conto si nota poi come si sia creata una sorta di avversione all’opinione altrui; sembra quasi si voglia sopprimerla, non è raro leggere qualcuno che esprime un banale parere su un link in una pagina o sotto un video su YouTube in maniera pacifica e venire invece attaccato brutalmente con un tono non certo alla pari, con insulti gratuiti, quando invece sarebbe molto più umano ed umile rispondere con un semplice “non sono d’accordo, secondo me…” oppure mi è capitato di vedere gente esprimere un semplice parere magari in maniera decisa e diretta e ritrovarsi con diversi amici in meno; ho visto una scatenare un putiferio (e se non erro perdere un sacco di amici) per essersi espressa favorevolmente alla soppressione di un cane pericoloso che aveva azzannato mortalmente un bimbo, uno invece ha espresso delle semplici critiche sulla gestione rifiuti del suo paesino d’origine e si è trovato la guerra addosso e perfino sentirsi costretto a scusarsi… Tutto questo per una semplice opinione??? Da brividi! Quante volte avrei voluto esprimere opinioni forti ma ho rinunciato per non avere la guerra addosso (cosa che non mi piace). E poi ci sono addirittura gli amministratori di gruppi che pubblicano il post solo dopo averlo supervisionato, manco fossimo nel fascismo dove i giornali passavano all’esame degli organi di censura prima della pubblicazione! Ma dico io, dopo anni e secoli di battaglie per esprimere liberamente la propria opinione senza paura di conseguenze morali ora ci ritroviamo gente che la vorrebbe sopprimere?! Cos’è? Può darsi che la mancanza dell’aspetto paraverbale della comunicazione crei fraintendimenti. O forse fa paura il fatto che qualcuno stia dicendo la verità che scotta? O forse la paura che cadano le vostre illusioni? Questioni già toccate abbondantemente da filosofi e sociologi che qui trovano fondamento.

E sempre restando in tema, diffusa è anche la convinzione che un solo sgarro, una sola cosa sbagliata detta renda riprovevole la persona, da eliminare, da bannare. Una volta sono stato rimosso da una persona solo per aver risposto con una simpatica risata ad una bestemmia scritta nemmeno da me, una volta invece una mi ha rimosso per aver fatto dei commenti simpatici sui suoi continui cambi di colore di capelli, un’altra volta da un interista per avergli fatto del semplice sfottò calcistico, persino da una ex-collega che non aveva gradito il mio post di esaltazione per essere stato richiamato in azienda (peraltro dopo aver scritto un post che sembrava chiaramente riferito a me).

Ma parliamo anche di come viene gestito il rapporto con gli amici. Capita spesso di scrivere un commento con tanto di punto di domanda o un post sulla bacheca o anche in privato che richiede una risposta e non venire minimamente cagati… A parte il fatto che un minimo di tempo per leggere le notifiche andrebbe speso, comunque un tempo non rispondere era considerato maleducazione, com’è che ora è considerato normalità??? Poi notiamo invece che arriva l’amica più stretta o anche solo la persona un tantino più simpatica e come per magia a quella rispondono, per lei non è un problema avere una notifica in più…

E se abbiamo parlato dei motivi futili che portano alla rimozione di un amico non si può non citare il simpaticone che ogni tanto se ne viene fuori con aria talvolta dittatoriale annunciando una “pulizia contatti”… Rimozione coatta di contatti di punto in bianco, solo per impiccio, solo per liberare la bacheca, solo per pseudo-antipatia, o solo perché non piacciono le loro pubblicazioni… Ma non vi è mai passato per la testa che quella persona non potrà avere più un’interazione con il vostro profilo, taggarvi, partecipare alle vostre discussioni né vedere le vostre foto, i vostri link, i vostri post, ecc.? Vi sembra rispettoso privare così coattivamente gli amici di questa possibilità soltanto perché non vi piacciono i suoi link? Mai notato che è possibile semplicemente nascondere i suoi post dalla bacheca o mai pensato che sarebbe molto più semplice ed umano scorrere semplicemente in giù in cerca di post migliori?

E poi ci sono quegli atteggiamenti che magari non saranno irrispettosi ma comunque discutibili, che rivelano molto sulle persone. Non mi soffermo più di tanto su cose di cui già si parla in giro come migliaia di foto al cibo, cronaca minuto per minuto della propria vita, inutili aggiornamenti meteorologici, presunzione di conoscenza di ogni argomento, like al proprio post (a che cazzo serve e perché esiste il tasto like anche sul proprio post? Mistero della fede…), link depressi, piuttosto mi soffermo su un aspetto: la ripetitività delle persone. Quando andavo alle elementari mi odiavano perché parlavo sempre di PlayStation… ora invece vedo gente tremendamente monotematica, chi parla sempre di calcio, chi sempre dei propri figli, chi sempre di motori, chi sempre di politica, oppure pagine che riesumano continuamente link del 2012; solo che ora è tutto normale… Emerge anche una certa mancanza di senso dell’umorismo; a volte qualcuno pubblica simpatiche provocazioni o dell’umorismo nero e spunta sempre il moralista di turno magari depresso che grida alla vergogna quando invece farebbe bene a farsi una risata anch’egli; una volta ho suggerito ad una pagina di sfottò un link in cui si ironizzava sulle dubbie capacità artistiche di Valerio Scanu e Marco Carta dicendo che avrebbero fatto meglio a “tornarsene in Sardegna a pascolare le pecore”... la pagina lo pubblicò e non vi dico l’armata di sardi suscettibili ed indignati, tutto per una semplice battuta, nemmeno riferita al fatto di essere sardi…

Si è accentuata, a mio avviso, anche la falsità e la paraculaggine. Ditemi quanta verità c’è dentro un like ad una foto o ad un post, specie se si tratta di un post banalissimo e scontatissimo e di like ne riceve parecchi; a tutti piace davvero quel post? O si mette like solo per solidarietà o per convinzione che sia giusto metterlo? Per non parlare di chi utilizza il like solo per notificare l’avvenuta lettura, illudendo chi lo riceve di aver ottenuto un apprezzamento; a casa mia like vuol dire che ti piace/apprezzi/appoggi/sei d’accordo! E ancora quanta verità e sincerità c’è negli auguri di compleanno (anche se quelli in realtà li faccio sempre anch’io), nel “come sei bella” (magari a ragazze orrende), nel “che belli voi due insieme”? Siete sicuri di pensarlo davvero? Nutro i miei dubbi.

E l’impressione è che tutto questo elencato si rifletta anche nella vita quotidiana, fuori dal social, vedo la gente più scorbutica, più arrogante, più intollerante, più saccente, più moralista (sembra tornata a 60 anni fa), sempre più attratta dalla banalità e dal vacuo, dalle cose prive di contenuti; non credo che i livelli fossero già così bassi. Ma ci sarebbe da scrivere un libro…

Alla fine Facebook è un sito figo che offre migliaia di possibilità e i motivi per rimanerci sono migliaia contro qualche decina di pecche, ma davvero vedere tutte queste cose farebbe venire la voglia di cancellarsi…

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