La prima volta che andai ad Amsterdam fu per il capodanno del 2005. Faceva un freddo polare ed ero con la comitiva assortita di spostati che frequentavo all'epoca. Non fu un gran viaggio: si trattò di tre giorni appena, ma nella compagnia c'era qualcosa che turbava la mia anima. Si chiamava Guendalina, e ci odiavamo cordialmente; o almeno, io la odiavo di rimando, visto che non mi degnava più di uno sguardo né di una parola. Guendalina. E pensare che appena due mesi prima, quando avevamo deciso di passare il capodanno là, eravamo teneramente innamorati. Poi qualcosa andò storto, ma il viaggio era ormai preparato..

Al ritorno a casa decisi che Amsterdam era indissolubilmente macchiata, e che ne avrei sempre parlato male. Sono un giramondo, ma difficilmente ritorno nello stesso posto due volte. Ed è strano davvero che la mia prima "seconda volta" in una città straniera dovesse essere proprio Amsterdam.

L'occasione l'ha fornita un festival, il Jam in the 'Dam, che annualmente si tiene al Melkweg, un bel locale adibito a concerti live. Colà si tiene annualmente questo raduno di Jam Band americane, ed essendo da poco un accanito fan di uno stratosferico sestetto prog chiamato Umphrey's McGee, e scoprendo che la loro (sorprendentemente) unica data europea sarebbe appunto stata all'interno del Jam in the 'Dam, ho superato le mie esitazioni. Così, zaino in spalla, son partito da Roma Ciampino.

Amsterdam è diversa da come me la ricordavo: forse la primavera che incombe, ma camminare per le sue stradine attraversate dai canali mi faceva sentire particolarmente leggero. E non erano le svampe di erba emanate nei pressi dei coffee shop, che ad ogni angolo si alternano o si mischiano al profumo delle spezie usate nei ristorantini orientali, o all'odore del fritto dei fast food. Era qualcos'altro. Mi son reso conto che è una bella città per passarci un fine settimana.

Un salto all'ostello, un giretto attorno piazza Dam, un pasto veloce ed eccoci al Melkweg. Appena entrato l'odore dell'erba in quantità massiccia mi ha dato il benvenuto. Per dare un'idea del locale, chi è di Roma pensi a una struttura tipo Stazione Birra, ma con due sale, o il Qube a Portonaccio. Un posto da mille-millecinquecento persone al massimo. E infatti la gente non era tantissima. Per lo più americani, e molti ubriachi, come quello voleva farmi scommettere tre birre per ogni canzone azzeccata in scaletta! "Yeah Man, five pints.. three pints.." Simpatico, ma dopo un po' che insisteva l'ho cordialmente mandato a quel paese in romanesco.

Alle nove, quando, in perfetto orario, sono cominciate le danze. Hanno aperto i giochi la Yonder Mountain String Band, un quartetto di musica country-bluegrass. Banjo, chitarra acustica, una specie di mandola elettrica e contrabbasso. Molto bravi, ma dopo tre canzoni ero nell'altra sala dove stava cominciando una altro set, quello di un certo Josh Phillips e i suoi Folk Festival. Qui già mi piaceva di più: ottima voce su ritmiche reggae e orecchiabili motivetti funk rock. Alla fine ci hanno pure regalato una cover di "Don't Let Me Down" dei Beatles.

Un'ora e mezzo di concerto e poi hanno lasciato il palco ai The Bridge, una jam band in puro stile Dave Matthews. Bravi ma li ho potuti seguire un quarto d'ora soltanto, che poi mi sono dovuto rispostare nella sala grande, dove gli UM si stavano preparando il palco. Puntuali anche loro (che differenza con i ritardi inspiegabili di chiunque invece capiti a suonare in Italia, ndr), hanno cominciato alle undici e mezzo. Dopo averli visti dal vivo, mi si è confermata l'impressione di essere davanti a dei maestri del rock improvvisato: canzoni eseguite alla perfezione che si interrompevano e si fondevano con altri pezzi del loro repertorio, inframmezzati da jam lunghe e variopinte: se durante l'esecuzione di "Miss Tinkle's Overture" (dal bellissimo album "Anchor Drops", ve lo consiglio) il Melkweg pareva essere diventato una discoteca, quando hanno attaccato "Wizard Burial Ground" il thrash metal ha devastato l'aria.

Il tutto con una leggerezza e una generale atmosfera easy da parte dei musicisti nell'approccio al live. Verso la fine c'è stato anche il tempo per una emozionante cover di "Comfortably Numb". Due ore di musica, e al termine sono riuscito a beccare nell'altra sala un pezzo del live set dei New Mastersounds, unici inglesi del lotto: fusion funk strumentale con qualcosa di Doorsiano nell'uso dell'organo. Da menzionare la straordinaria tecnica del batterista, una vera macchina da ritmi sincopati!

Gran finale, il concerto di Les Claypool. Unico a tardare il proprio ingresso sul palco, il buon Les si è presentato accompagnato da batteria, xilofono (e percussioni varie) e violoncello elettrico. I musicisti si somigliavano in modo inquietante per via di inquietanti maschere che li facevano sembrare vecchie scimmie beffarde. Comunque a questo set va la palma per la miglior scenografia della serata, con teli enormi rappresentanti volti animaleschi dai tratti semi-umani (o è il contrario?) e un uso davvero d'effetto delle luci.

Les Claypool! E' veramente il più grande bassista vivente. Con una sperimentazione che personalmente mi ricorda il buon vecchio Mike Patton, è riuscito a fare musica schiacciasassi. Prescindendo però dalle chitarre. Ogni tanto, al culmine delle furiose jam faceva fermare i suoi musicisti (tutti dotatissimi e altamente spettacolari) per intrattenerci con curiose storielle di cui non afferravo pienamente il senso ma ne ho intuito (Primus docet) la forte carica surreale.

All'uscita del Melkweg si erano fatte le tre e mezzo, e Amsterdam era pervasa da forme di vita notturna. La brezza serale mi carezzava, e le luci delle insegne dei coffee shop e dei locali che stavano chiudendo sembravano essere sorrisi di vecchi amici. Mi sono deciso a tirare fuori dal loro sottofondo gli insistenti ricordi ormai confusi di quel famoso, freddissimo capodanno. E i fantasmi, come per magia, non c'erano più. Ho guardato il cielo leggermente opaco della notte olandese. Chi l'avrebbe detto che mi sarei riappacificato così con quel posto? Per annegare tutto è bastata qualche ora di musica live, e un cambio di stagione. Alla facciaccia di ogni Guendalina!

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