“Molti sono da tempo abituati a reputare la musica italiana come un fenomeno derivato, come un’imitazione sterile ed improduttiva di schemi sonori nati e sviluppatisi all’estero. I Litfiba sono qui per dimostrare come anche in Italia esistano realtà moderne, in grado di sposare l’innato gusto mediterraneo per la melodia con la potenza espressiva di certo rock elegante e raffinato. Cosmopoliti e affascinanti, i Litfiba affermano prepotentemente la propria unicità, spazzando via ingiusti pregiudizi; se un giorno prenderà piede una “nuova musica italiana per il mondo”, questo album dovrà inevitabilmente esserne considerato l’imprescindibile punto d’avvio”.
(dalle note di copertina di Federico Guglielmi a “Desaparecido”, 1985)

Questo è l’entusiasta biglietto da visita con cui viene presentata a metà degli anni’80 una delle band più innovative del decennio, in realtà già attiva nei circuiti tosco-fiorentini dal 1980 e segnalatasi con suggestivi EP come “Guerra“(1981), “Litfiba“(1982) o la soundtrack “Eneide di Kripton”(1983).
Il nome della band dovrebbe rappresentare in maniera fantasiosa la carta d’identità dell’origine del gruppo (Località ITalia FIrenze via de' Bardi, cioè dove si ritrovavano per suonare). Il progetto, coordinato felicemente e a quattro mani, vede alla voce uno dei più carismatici e intensi (anche se scusate, non ci voleva poi molto) front-man italiani, Piero Pelù, un incrocio nostrano tra l’indocilità di Iggy Pop, la poeticità di Jim Morrison, il tormento celebrale di Ian Curtis e l’atleticità istrionica di un David Lee Roth. Al suo fianco il virtuoso tastierista Antonio Aiazzi, principale responsabile delle sonorità evocative e arcane tipiche del gruppo. Mentre le chitarre di Ghigo Renzulli si “limitano” economicamente a graffi, ruggiti, favolose striature nel tessuto tastieristico, altrettanto fondamentale risulta l’apporto al basso di Gianni Maroccolo, che dona importanza capitale al suo strumento, realizzando un suono ingrigito e agile, in delizioso accordo con le tendenze imperanti nella new wave del periodo. Punta di diamante della formazione è Ringo De Palma, giovane e sensibile batterista dotato di grandi capacità ma soprattutto teso da sempre verso la ricerca dell’originale e dell’innovativo.

Questo notevole complesso è responsabile di due tra i grandi capolavori del rock-wave mediterraneo, prima col minuto ma determinante esordio “Desaparecido”, già alla ricerca di influenze europee shakerate con testi di marca socio-politica o grazia poetica tutta italiana; in secondo luogo con “17 Re”, doppio album e pietra miliare per tutto il nostrano movimento dark/post-punk. L’opera viene anticipata e seguita da un trionfale tour mondiale che parte da Melbourne per concludersi col gran ritorno a casa, cioè la tappa finale a Firenze, durante la quale viene registrato questo live. Non solo un album dal vivo, ma un imperdibile greatest hits dei due LP precedenti, “12/5/87 (aprite i vostri occhi)” mostra senza se e senza ma l’apice qualitativo e creativo del gruppo toscano. L’appuntamento con i fan diventa per i quattro un irresistibile pretesto per cimentarsi con rinnovato interesse con la propria storia e con il proprio elaborato, di cui percepiamo l’orgoglio e l’amore che suscita nei componenti. Le tracce vengono quasi spiegate, allungate e condivise col pubblico, cercando di contestualizzare ogni parola, di trovare un senso al proprio mestiere e al proprio pensiero insieme a centinaia di ammiratori. Pelù è fragile e sincero, vero protagonista autobiografico dei pezzi, canta quello che ha scritto, e noi lo percepiamo nella sua autenticità sofferta. Non cerca ironia o facili demagogie, perché non ne ha (ancora) bisogno, sente solo di essere un capo branco che da buon sciamano deve confessare le sue visioni, che sente comunque proprie di tutti: Il prossimo brano è dedicato a tutti i cani che sono qui con noi… perché abbiamo tutti bisogno…di ca(re ca)rezze!.
Così ad esempio parte l’inno di “Cane”, puntellato dal basso spigoloso di un Maroccolo protagonista di serata (a cui spesso è affidata l’apertura dei brani e l’input nelle tessiture sonore) e calpestato dalla schizzata chitarra di Renzulli, geniale nel dosare a effetto i propri interventi, risultando più che benvenuto a ogni entrata. Aiazzi si rende dominatore incontrastato di un brano che viene completamente sublimato in questa nuova versione: la stupenda “Tziganata”, gipso-inno selvaggio di cui è facile innamorarsi perdutamente. In pochi minuti la traccia ci spiega quel che i Litfiba erano e non saranno mai più; Pelù incita la folla a seguirlo nelle sue peripezie vocali, si sente urlare “bravi-vai ringo” da un pubblico semplice, mal registrato, poco folto ma pieno di coinvolgimento. Le tastiere intrecciano una melodia senza tempo, che sembra sfuggire di mano,a ogni previsione: Eva balla sul fuoco, la notte in cui naque l‘odio ci sussurra il leader mentre il pezzo parte, aumenta di ritmo, comincia a essere urlato, fermato, ripreso, con un crescendo maestoso che fa rimanere ascoltatore e spettatore a bocca aperta. I Litfiba di quella sera sembravano in grado di poter far tutto, di poter dire tutto, anche dure sparate politiche (l’emblematica “Ferito” si apre così “il prossimo brano lo dedichiamo… al vostro caro amico… ex-ministro della difesa… Giovanni Spadolini!” -boato del pubblico-“che si è tolto dalle palle”- folla in delirio-“grazie Giovanni!!”). Tra i solchi si alternano sublimi invettive pacifiste, anti-militariste e anti-qualunquiste (“rispetta le mie idee”intona “Apapaia”) a ululate celebrazioni di solitudine (“Re del silenzio”) o gloriose love-song esaltate e impazzite (“Resta”). Tra l’ipnotica “La preda”, tra ferite di stiletti e “nebbie dal corpo leggero“, e l’inaspettata ripresa della vecchia e apparentemente più pacata “Luna”, viene racchiuso in più di un quarto d’ora il saluto degli artisti agli ammiratori con la caleidoscopica suite di “Vendetta”. Questa è la teatralità italiana, è il manifesto di quel che sentiamo, il nostro esser rabbiosi ma spesso passivi, individualisti ma pronti a scatti di solidarietà, di gioia e violenta energia.

Si rimane stupiti quando la magica “Ballata” ci porta via un sogno, quello di un grandissimo gruppo, che dopo pochi mesi e la sbrigativa conclusione con “Litfiba 3” di quella che è ricordata come “la trilogia del potere” pone fine a un periodo d’oro mai più riavvicinato. Rimane rimpianto per quelle che erano speranze giovani e belle, come gli eroi di Guccini. Un altro live importante (“Litfiba Pirata”) sarà infatti lo spartiacque tra questa originalissima era di sperimentalismi, emancipazione europea dallo strapotere anglo-americano, incredibile ricerca di raffinate emozioni e deliranti difese della personalità.

Conobbi Pelù che stavamo uscendo da un concerto di Patti Smith, aspettammo sotto un bar la fine della pioggia per tornare a casa. Parlammo di quella sera, e gli ricordai di questo live. E lui mi rispose: “Eh, certo che anch’io sono invecchiato”…

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