editoriale di pier_paolo_farina

Non so a voi, ma a me il Coronavirus ha portato via tre amici e mezzo, e rischiato di portarmene via un quarto.

Il primo ad andarsene è stato Raniero. Mio compagno di banco in quinta liceo. Non so quanti compiti in classe di matematica gli ho passato, e quanti suggerimenti quando veniva interrogato.

Un po’ bullo, più grande di me di un buon anno e mezzo, con quella faccia senza paura e lo sguardo diretto, senza timidezza. Puntava le donne con naturalezza e ne conquistava parecchie, attratte dalla solita alea da maschio alfa, tosto e coraggioso. Poi se ne stufava subito, o forse erano loro a mollarlo non gliel’ho mai chiesto. Fatto sta che niente mogli e niente figli, solo una lunga fila di conquiste.

Tu non capisci un cazzo di donne…” mi aveva apostrofato solo un paio d’anni fa ad una cena di classe. Avrei voluto rispondergli cosa cazzo ne capiva lui che non aveva avuto mogli, cresciuto figli insieme a qualcuna, e probabilmente neanche mai il cuore spezzato per una di esse. Ma ho lasciato perdere… certamente si stava riferendo soltanto ai miei gusti estetici, e poi sarebbe stata un uscita da rosicone.

Ne ammiravo/temevo/rosicavo il coraggio di vivere, di aver affrontato quegli anni difficili e formativi fra i quindici e i venti a testa alta e sguardo fiero e calmo, periodo che io avevo vissuto con ben maggiori dubbi e prudenze e difficoltà. Ma forse anche lui a suo modo era preda di qualche insicurezza: si mangiava le unghie a sangue, ricordo… non aveva che mozziconi d'unghia in cima alle dita. Solo che non dava proprio a vedere le sue incertezze, era uno smargiasso naturale.

Da giovanissimo aveva cominciato a fare musica, era cantante in un complessino che girava i locali. Io all'epoca ancora mi baloccavo a casa con la chitarrina, senza grossi progetti se non di imparare a suonarla sempre meglio.

E’ stato lui che un giorno d’inizio terza liceo mi disse di lasciar perdere quei 45 giri pop che mi vedeva ogni tanto in mezzo ai libri, e di ascoltare per bene i 33 giri dei Led Zeppelin (e chi cazzo erano?), “i migliori del mondo”, che avevano al tempo fatto uscire il loro terzo album.

Sono passati cinquant’anni e il mio gruppo preferito sono rimasti quei quattro là. Grazie Raniero.

Giorni dopo, un altro mio compagno Enzo mi disse “…ma che Led Zeppelin, domani ti porto io un disco che spacca!”. Il giorno dopo mi mise in mano “Deep Purple in Rock”. Conoscevo già “Black Night”, ma la botta di quei quaranta minuti al fulmicotone mi lasciò basito.

Un mese dopo un altro mio compagno di classe, Attilio, mi allungò “Paranoid” dei Black Sabbath dicendomi il solito “sentiti questo!”. Conoscevo già “Paranoid” ma quando partì il riffone di “War Pigs” con tanto di sirena antiaerea mi venne il più forte dei formicolii alla nuca. Che tempi.

Raniero era un po’ stronzo, ma generoso. A diciott’anni aveva preso subito la patente e mi portò colla sua Mini di seconda mano, insieme a suo fratello Roberto (futuro pianobarista sui transatlantici, ora è in quarantena al largo del Brasile) e al suo batterista Tiziano, al mio primo concerto: Deep Purple al palasport di Bologna (alle tre del pomeriggio! Usava così).

Va su il gruppo di apertura certa Premiata Forneria Marconi e fanno solo cover (si erano appena messi insieme). Aprono con “21th Century Schizoid Man”, poi mi ricordo “Bourée” e “Gypsy”. Bravi!.

Poi arrivano Blackmore e soci. Magnetico l’uomo in nero… si attaccava agli amplificatori e grattava la Stratocaster sui bordi delle spie, e chi ha mai vito una cosa simile? Ho sedici anni... Non capisco ancora un cazzo di chitarra e di musica, percepisco solo il magnetismo del chitarrista e, curiosamente, mi resta impresso il suo mento estremamente sfuggente.

Siccome ero bravino a scuola e lui no, Raniero mi chiedeva sempre di andare a studiare a casa sua, con grande riconoscenza di sua madre che vedeva in me il ragazzo giudizioso e affidabile che a lei non era toccato. Un’oretta sui libri e poi, invariabilmente, lunghi ascolti dei suoi già numerosi dischi (gli giravano i soldi grazie alle serate nei locali) dallo stereo vicino al letto. Senti questi! Chicago… Senti questi! Atomic Rooster… dopo di che si finiva in cucina a mangiare la nutella a cucchiaiate (quando non c’era la madre).

La musica ha salvato la mia vita e Raniero è stato la persona più decisiva per farmi avvicinare ad essa.

Ora aveva sessantasei anni e un polmone quasi del tutto compromesso da tre pacchetti al giorno di Marlboro per quarantacinque anni. Il virus ha maramaldeggiato su di lui, che ha resistito in terapia intensiva per una decina di giorni prima di arrendersi, il dieci di marzo.

Come si è infettato? Facile: era andato a vedere le finali di Coppa Italia di basket di metà febbraio tutte nel palasport della sua città. Otto squadre fra lombarde, venete, emiliane, sarde, pugliesi, col loro seguito di migliaia e migliaia di tifosi, molti già belli infettati e che hanno invaso hotel ristoranti bar e pizzerie, inconsapevolmente seminando la strage qui da noi.

Raniero ed altri, ancora a febbraio pochi giorni dopo le finali di basket, si ritrovano tutti in un localetto vicino al porto. Suona il gruppo di Eugenio, il cui cantante Giancarlo a sua volta non s’era perso una partita al palasport nei giorni scorsi. Eugenio e Giancarlo sono miei amici: montavamo insieme ad altri futuri ingegneri sul direttissimo Milano Lecce delle sette e zero nove ogni mattina, per raggiungere l’università distante sessanta chilometri. Giancarlo zompava sul predellino e poi nel vagone, quelli col corridoio laterale. Apriva la porta del primo scomparto, ne usciva invariabilmente un tanfo misto di piedi, flatulenze, bucce d’arancia e allora lui gridava “Grisù!!” e passava al successivo. Finché ne trovava uno decente e provvisto dei quattro cinque posti a sedere che servivano a tutti noi.

Eugenio era una persona splendida: ingegnere elettronico, titolare della cattedra di musica elettronica al Conservatorio, progettista di sintetizzatori, compositore di musica elettronica, diplomato in pianoforte a diciannove anni, fantastico pianista jazz, suonatore di organo Hammond amico personale di Brian Auger.

Da lui si andava a studiare i primi esami del biennio. Quand'eravamo cotti a forza di risolvere equazioni e sviluppare serie e introitare leggi fisiche, ci si trasferiva intorno a lui seduto al pianoforte in salotto. Emerson, Elton John, Beatles, Debussy nei giorni più di voglia. Era di un altro pianeta.

Un giorno c’erano i Traffic in giro per il centro della nostra città. La sera prima li avevamo visti suonare al palasport. Jim Capaldi ci spiegò che era saltato il concerto successivo a Udine e perciò avevano un giorno buco senza impegni. Li portammo da Eugenio (non tutti, solo lui, Winwood e il percussionista Reebop), nella cantinazza delle prove. Eugenio si mise al piano Rhodes, Winwood all’organo, Reebop alla batteria. Qualcuno di noi al basso. Giancarlo (fluent English) alle relazioni pubbliche. Ci diedero dentro per due ore, poi Winwood chiese una chitarra. Qualcuno si scapicollò a casa e recuperò una Gibson per l’allora ventiseienne rockstar inglese. Ho una foto in cui mi si vede abbarbicato sopra un tavolo mentre sotto di me Winwood si strimpella la Les Paul.

Eugenio diversamente da Raniero non aveva patologie pregresse serie, che mi risulti. Sessantasei anni appena compiuti, fresco di pensione ma mi aveva appena spiegato che lavorava poù di priam, tutti lo chiamavano il Comune gli industriali gli ex allievi. Ma la forza del virus in quei giorni e in quei luoghi era infinita, ha resistito intubato per un mese buono fino al cinque aprile, poi se n’è andato facendomi piangere come un vitello perché, se c’era una persona che non meritava questa sfiga, era lui. Quante belle chiacchiere, quanta disponibilità, quanto talento, quanti ricordi, quanta riconoscenza! Mi manchi, Eugenio.

Giancarlo invece ce l’ha fatta: è stato una decina di giorni in ventilazione forzata e poi in qualche modo ne è uscito. Appena saputo che l’avevano rimandato a casa a finire la convalescenza, immaginando la sua situazione, le sue paure e forse i suoi rimorsi (seppure ingiustificati), gli ho solo whatsappato un bentornato e un ti voglio bene. M’ha risposto “Anch’io, amico mio” e bona lè, come dicono i bolognesi. Basta e avanza.

In quel cazzo di localino, a veder suonare Eugenio e Giancarlo, insieme a Raniero e a tanti altri, c’era anche Sergio, sessantaquattro anni, altro musicista sebbene dilettante (insegnante d’inglese il suo lavoro). Lui assai più naif… chitarra per lo più acustica ed esibizioni per lo più per strada, senza paura anche a sessant’anni. Anche in Australia, dove era schizzato da giovane per evitare il servizio militare che aborriva, lasciandomi in custodia la sua Gibson diavoletto, debitamente restituitagli un paio d’anni dopo al suo ritorno.

Anche lui buono e caro, un pezzo di pane. Meno affascinante del talentuoso Eugenio, dell’estroverso Giancarlo e del cazzuto Raniero, ma un giusto.

Quando decisi di imparare a suonare la chitarra lui già si destreggiava più che decentemente sull’attrezzo ed io gli stavo davanti con gli occhi di fuori a carpire qualche accordo e qualche posizione. Con gli anni, grazie al mio carattere più organizzato e alla mia costanza, ero diventato uno strumentista assai più completo di lui, ma gli sono grato per gli inizi, e gli ho sempre invidiato la forza e la sicurezza dello strumming colla mano destra… un vero ritmico, un verso busker da strada.

Il povero Sergio l’hanno rimbalzato fra Senigallia, Fabriano e Jesi, dove poi se n’è andato, il venti di marzo. Aveva la polmonite, ma il primo tampone era stato negativo e hanno perso giorni preziosi (e pericolosi per chi gli stava vicino!) a tenerlo in reparto normale. Poi l’hanno sbattuto già bello che intubato a destra e a sinistra in reparti specializzati Covid ma era troppo tardi e ci ha rimesso la pelle, solo e tapino.

Il suo dottore gli aveva prescritto antibiotici e tachipirina, lui se ne è stato una buona settimana colla febbre a trentanove prima di decidersi a correre al pronto soccorso. Viveva da solo, e non voleva rompere i coglioni a nessuno. L’umiltà non paga, in questo paese dove se non alzi la voce vuol dire che non esisti.

Sergio non lo meritavi neanche te. So io chi lo meriterebbe.

E per soprammercato, un giorno di aprile ho saputo che se n’era andato anche il mio antico vicino di casa e d'infanzia Massimo. Abitava al primo piano della palazzina dove io stavo al terzo ed ultimo. Insomma, a cinque sei sette otto anni giocavamo insieme a nascondino, a pallone, colle biciclette, coi fucilini, coi pattini.

Poi ci siamo persi per sempre di vista, io in un'altra città, lui a fare l’assicuratore in questa, mi dicono. Come cavolo si sarà infettato non ho idea… forse anche a lui piaceva il basket ed era andato in quel palasport pieno di cremonesi, canturini, milanesi, veneziani infettati.

Sono in lutto, ragazzi. Per me non è solo questione di mascherine guanti e distanze. Io ho i miei morti, e i ricordi della mia gioventù con loro, che ogni tanto m’intristiscono la giornata.

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editoriale di withor

Nel mio esordio da editorialista voglio parlare, senza che nessuno me l'abbia chiesto, della mia esperienza debaseriana e di cosa io pensi del DeB, stimolato in ciò dal precedente editoriale di kosmogabri.

Io ho vissuto il citato DeB da "scroccatore" per una decina d'anni, come peraltro già confessato nella "lettera di presentazione" redatta al momento della mia iscrizione, nel senso che mi limitavo a leggere le recensioni che mi interessavano. Poi, circa un anno e mezzo fa, è accaduto l'imponderabile: ogni volta che entravo nel sito da povero e semplice scroccatore seriale quale ero, appariva inesorabile una scritta che invitava ad iscrivermi ogni tre-quattro secondi. Dopo aver stoicamente resistito per quasi un altro mesetto, alla fine ho ceduto alla trappola infernale escogitata da G che, per chi non lo sapesse, è il Grande Capo di Debaser: come una mosca, ero alfine rimasto impigliato e imprigionato nella grande ragnatela debaseriana tessuta con la citata trappola, ed ormai non c'era più niente da fare!

Agli inizi non ero molto convinto del mio nuovo status di debaseriano e mi limitavo a fare, per così dire, l'utente passivo. Ma è bastato pochissimo tempo per farmi cambiare totalmente idea: io che non avevo mai scritto nulla in vita mia, ho scritto la mia prima recensione e da allora mi si è aperto un mondo, in quanto mi sono reso conto che scrivere mi piace, e pure un sacco. E se non mi fossi iscritto non lo avrei mai saputo, quindi di questo sarò eternamente grato al DeB. Dopo aver continuato a perlustrare tutti gli anfratti debaseriani come un esploratore e dopo quindi aver sempre preso più confidenza con il sito, e soprattutto dopo aver iniziato ad interagire con gli altri utenti (cosa naturalmente non possibile "da fuori"), dopo circa un altro mese mi sono reso conto di non poterne più fare a meno: è diventato una specie di droga per me, a volte anche fungendo, non mi vergogno a dirlo, da vero e proprio antidepressivo.

Ora, io non ho certamente la presunzione di saperne di più di chi è iscritto da venti anni e oltre sul DeB, e quindi sono pronto a ricevere eventuali smentite su quello che sto per dire, magari sul fatto che, come si dice spesso da queste parti, Debaser stia morendo o che venti o dieci anni fa lo stesso Debaser fosse meglio di adesso. Ma mi è sembrato di notare una cosa in questo mio (circa) anno e mezzo di frequentazione: anche gli utenti che, per i motivi più disparati, affermano di voler abbandonare il sito, gli utenti bannati (anche più di una volta), gli utenti che parlano male del sito o lo denigrano o lo insultano, alla fine tornano sul "luogo del delitto". Ed allora invito questi utenti a fare outlet (cit.) come me: confessare che anche loro non possono farne a meno perché, parafrasando una famosa pubblicità di qualche decennio fa, "se lo conosci lo ami, e non lo abbandoni più". Perché Debaser, come detto, è una potentissima droga!

Bene, ora non mi resta che concludere questo mio scritto con un bel "Sapevatelo"!

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editoriale di JonatanCoe

Il tempo più che misurare la nostra esistenza ci cammina a fianco ricordandoci che le cose passano. Tante sono le cose che passano nella vita, alcune ritornano mentre altre vanno via definitivamente. Il tempo di mio padre qualche settimana fa è passato per sempre consegnandomi un nuovo tempo fatto di dolore e rassegnazione. Questo triste evento mi ha portato a riflettere sul rapporto individuale, il mio nella fattispecie, con lo scorrere inesorabile di questo imprevedibile fattore. Crediamo che il tempo sia una componente governabile, rilegando o rimandando al giorno dopo, al prossimo mese, all'anno che verrà, impegni cui non vogliamo far fronte oggi, ma non conosciamo assolutamente il tempo concesso alla nostra vita, cosicchè anche domani, facendo tutti gli scongiuri con doverose toccate nelle parti basse, potrebbe essere troppo tardi per tutto. Per questo motivo oggi mi sono concesso un pò di questo preziosissimo tempo per citare e ringraziare tutto quel che ha reso sinora la mia esistenza piacevole, guai e problemi permettendo. Non c'è ordine cronologico o maggiore importanza in questo flusso di parole ma solamente pensieri e ricordi verso quel che ha portato alla mia bocca un piccolo o grande sorriso, alla mia vita una concreta fisionomia spirituale. Allora grazie al fruscio del vinile, caldo nettare per le mie orecchie, all'odore dei libri, alla penna di Gianni Rodari che ha segnato la mia infanzia e la mia vita, ai pisolini pomeridiani nelle fresche stanze d'estate e la contemplazione del firmamento nelle sue notti, alle lenzuola profumate stese ad asciugare, alle pietre miliari che correvano oltre il finestrino della 127 del mio papà, agli occhi pietosi del mio Smith davanti alla ciotola vuota, all'orgoglio nella timidezza, alla poesia di Morrissey e il coraggio della fragilità ("Vorrei uscire stasera ma non ho nulla da mettere"), all'odore delle piogge estive, alle forti braccia che mi hanno adagiato sul lettino, alla tormentosa pace nei mari d'inverno e l'affascinante demone nelle fiamme dei camini. Grazie ai colori dell'autunno che incendiano la mia anima, al fresco ristorante degli alberi nei giorni di calura, alle prime luci dell'alba quando la città dorme ancora, ai gesti di cortesia inaspettati da uno sconosciuto, a Travis Bickle per avermi rivelato che non sono il solo, a Sarah e Elizabeth Webber stagliate speranzose verso un quiete tramonto. Grazie alle radio che trasmettono nella notte, alle luci nell'oscurità e all'oscurità negli anfratti di un giorno assolato, al profumo dell'erba appena tagliata, ai mandorli in fiore, ai campi di camomilla. Grazie al sole del pomeriggio che disegna sulle pareti della stanza il profilo delle persiane, al rumore dell'acqua che scorre nei rivi, all'odore di Palmolive nel bagno a casa di mia nonna, alle piante di basilico rigogliose nei secchi che una volta contenevano ducotone, ai muri imbiancati di paese, ai muretti a secco, alla neve che ovatta i paesaggi e la nebbia che confonde i contorni, ai pioppi brulli lungo i fiumi, alle lucciole, al verso dei grilli nella notte, alle spiagge desolate e al suono in lontananza dei jukebox. Escludo volutamente tutti i miei affetti poichè ci sarebbe un capitolo enciclopedico a parte.
Sicuro di aver dimenticato mille altre cose e altrettanto sicuro che mi verranno in mente appena terminerò questa mia scrittura, ritorno alla perdita del mio caro papà. Il suo cappello è ancora appeso all'attaccapanni, raffigurando un presente che ormai non c'è più, un passato persistente che fa male. Ma si sa, il tempo è crudele, inesorabile, inarrestabile. A onor del vero, in alcune circostanze, anche un pò clemente poichè ha concesso a mio padre di esternare tutto quel che non gli era riuscito in una vita. Un tempo tutto sommato infinitamente grande anche per me, per consegnargli un semplice profondo e sentito "Grazie papà".

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editoriale di cofras

Oggi il mio amato avatar mi ha lasciato.

Qualcuno penserà che era solo un gatto e pure di razza incerta, ma quello che mi resta di lui è l'amore che mi dato. Lo lascerò là in alto a sinistra a controllare, col suo fare sornione, cosa succede intorno a me, cosa ascolto, cosa leggo e cosa accade sul Deb.

Insieme abbiamo ascoltato tanta musica, lui nella sua postazione accanto a me, tanta musica che sembrava piacergli, salvo andarsene, a volte, sdegnosamente, per altre sopravvenute misteriose necessità.

Per undici anni è stato la mia ombra e credo che il mistero della complementarietà tra noi non sarà mai svelato.

Comunque sia, con queste poche righe volevo solo ringraziarlo per la compagnia e per l'affetto che ha avuto per me fino alla fine.

Grazie Micione

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editoriale di IlConte

“Ciao adorata sorellina, sono più di due anni che mi hai lasciato qui, senza di te. Da quel giorno tanto è cambiato nel mio modo di pormi vs situazioni o persone e di pensare o riflettere su questa merda... o forse, a pensarci bene, è tutto uguale, solo sempre più estremo.
Tante volte mi fermo a pensarti, tante volte avrei voluto scriverti qualcosa. Sono stato “felice” di aver passato gli anni di quella merda di malattia vicino a te, sempre con il cuore e, quando potevo, fisicamente e nelle situazioni quotidiane.


Ricordo a malapena quando me l’hai detto. Solo che... non potevo crederci. Ma come, dico?! Tu sconfiggi un tumore a trent’anni con sforzi e patemi indicibili e questa merda si ripresenta 15 anni dopo... no, dico, quindici anni dopo, zio porco!? E con un bambino piccolo... e senza un compagno?!
Non ho mai visto una donna combattere così, non mollarci mai, patire dolori disumani ogni giorno per tre anni e ... preoccuparsi degli altri! Ma tu sei unica c’è poco da fare.
E con quale dignità! Ti ricordi quando andavamo dai dottori a Milano?! In ospedale o in giro tutti ti guardavano; si vedeva che eri molto malata ma sorridevi a tutti! La gente, che credeva tu fossi mia moglie, mi diceva di te le cose più belle. E quanto mi piaceva sparare le mie cazzate che ti facevano ridere. Il più bel sorriso del mondo! Posso dirlo, lo sai, me ne intendo. E’ stato un onore incredibile poterti stare accanto e viverla con te.


Sei da sempre stata la mia migliore amica. Con Bruno e la Contessa, la persona adulta più importante di questi miei 50 anni in questa merda. Sicuramente l’unica a cui ho sempre raccontato tutto. E quante risate con tutti che credevano davvero fossimo fratello e sorella. Forse a due amici, donna e uomo, così scazzati e affiatati insieme, non avrebbero creduto.
Gli ultimi mesi sono stati terribili, avrei voluto fare di più ma capivo che volevi vivere quei momenti bui da sola, che spesso preferivi non farti vedere da me. Massimo rispetto, anche se soffrivo come un cane. Sono riuscito a strapparti una risata anche quando mi hai consegnato il testamento... eri bellissima anche malata... quel sorriso era la tua chiave per aprire qualunque porta.


Avevi detto, mai più chemio. Lo avevi giurato, dopo la prima volta. Ma per Davide ti sei sottoposta di nuovo a quella terapia. Volevi passare il più tempo possibile con lui... vederlo diventare almeno ragazzo. L’hai cresciuto da sola, senza un uomo vicino...eravate una sola persona, anzi lo siete ancora. A proposito Sister: quel pezzente, viscido, infame e vigliacco non si è più fatto sentire o vedere. Va da se che se si presenta ho già avvertito l’avvocato che avrà un penale: non riuscirebbero in dieci a tenermi fermo dallo spaccargli tutto ciò che riesco. Speriamo non si faccia vedere, evitiamo ulteriori guai.


Io e le tue amiche ci proviamo ad aiutare tua mamma e Davide. Per quanto mi riguarda vorrei fare molto di più, ma lo sai, faccio fatica. Tanto grande e grosso, forte e sicuro di se all’apparenza, tanto debole, fragile e insicuro dentro. lì dove c’è l’anima. Mi conosci a memoria, tu. E ogni volta che sto con Davide è una coltellata al cuore; perché dovevamo crescerli insieme quei due, portarli in giro, divertirci con loro. E penso al piccolo e a quanto deve soffrire. Non lo fa vedere, ma io lo vedo... nei suoi occhi. È solo, senza di te. E l’avvicinarsi della merda natalizia non fa altro che creare ulteriore disagio. Le feste per i bimbi possono essere bellissime o drammatiche. Sicuramente ti penserà ancora di più, sicuramente piangerà da solo e si chiederà perché proprio a lui, perché proprio la sua mamma, porca troia! Possiamo fare di tutto ma è impossibile anche solo pensare di riuscire a “sostituirti” anche in piccolissima parte. Pure tua mamma comincia ad essere vecchia e a sentire il peso enorme delle responsabilità. Va bene, basta. Forza e coraggio e tira fuori le palle coglione, inutile disperarsi. Scusami. Non ci sei e parlo da solo, vedi ahahahah.


Cerca di darmi un minimo della tua forza da lassù o da ovunque sia la tua anima.
Ho bisogno di te. Adesso ho ancora più bisogno.
Ciao Sorellina, un bacio grande.”

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editoriale di JOHNDOE

80 pari pari e sto
Che tanto che te frega
La vita tua l’hai fatta
E pure si sei morto
Già ce lo sai che tanto sei immortale
Te rivedremo su la televisione
Su un teke teke su na cassetta dentro ar tubo ndo te pare giggè
Che adesso stamo male ce sta er virus
E mica è vita questa
Giusto dar bagno alla cucina senza mascherina
Hai fatto bene a annattene giggè
E dopo cena un uischetto alla tua memoria che alla salute pare brutto, c’hai salutato te
Un whisky maschio senza raschio cor fischio come te pare
Bona la prima giggè artro che stop
Che cuer regista nce capiva gnente
Grazie de tutto giggè
Speramo de volette sempre bene come tu ce l'hai voluto a noi

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editoriale di algol

Mi sembrava bello, per stemperare l’insulsa allegria natalizia, condividere qualche lugubre riflessione di non secondaria importanza.
Non ditemi che non ci avete mai pensato.
La questione è, che musica mettereste il giorno del vostro imminente (apotropaica toccata) funerale ?
Quali note accompagneranno l’estremo saluto, parlando di voi ed al contempo creando quell’atmosfera solenne e mistica, in grado di assecondare la tristezza (ma non troppa) degli astanti.
Significativo brandello della vostra anima che si libra per un'ultima volta, perché la musica è per definizione (la mia) il vestito dell’anima.
E allora, con quale vestito vorrete salutare le persone alle quali avete voluto bene?
Beh, io oramai lo so da un pezzo.
Agevolato dalle mie inclinazioni estetico musicali nella dimensione terrena che hanno sempre esplorato scenari ultraterreni, sapevo che tutto ciò mi sarebbe tornato utile in qualche modo prima o poi.
Ma meglio poi.

E quindi ecco la Funeral Party Compilation – by Algol

Going To Your Funeral Part 1– Eeels
Vabeh, che ve lo dico a fare, mi raccomando a tutti quanti … non fatemi fare figure dimmerda che in vita sono state già abbastanza. Contriti ma senza sceneggiate, che non ho mai apprezzato le esibizioni intime, fuori i fazzoletti e tutti a dire quanto ero bello e bravo. E anche intelligente, dimenticavo.
Ricordatevi delle grevi cazzate generosamente elargite, o di quando danzavo garrulo e indisponente sui campi da badminton.

I Giardini Pensili Hanno Fatto Il Loro Tempo – Paolo Conte
Invito chi non lo conoscesse a cogliere il testo, scintillante metafora del trapasso di un Nero già Blu.

Advent – Dead Can Dance
I morti ballano eccome, se vi avvicinate alla mia bara a questo punto forse sentirete un ultimo sciamanico sussulto.
E che “the light of hope shines in your eyes”.

State Of Non Return – Om
Ma forse stato di eterno ritorno, chi può dirlo, sperando al prossimo giro di non tornare in vita nelle accattivanti sembianze di uno xifosuro o di solifugo.

Hope Leaves – Opeth
Questa fa una malinconia pazzesca, non può mancare. Struggente.

Third Eye – Tool
Sarò pure morto ma a questo punto potrebbe anche essersi dischiuso il mio terzo occhio, e allora sì che mi farò crasse risate da lassù (giù?), mentre voi ancora vi dimenerete in terrene valli di lacrime, senza capirci un cazzo. Uahhahah

Kyuss – Phototropic
Correndo ad abbracciare il Sole.

Screamin’ Eagle – The Desert Sessions
Niente più parole, rimane un’ascesa potente e leggera.
Come un’aquila.


Ci sarebbe molto altro, ma non è che posso sequestrarvi per un'intera settimana.
Otto canzoni bastano, 8 come il segno dell’infinito rovesciato.

Infine darò il non arduo compito a mio figlio di tramandare qualche mia perla e prodezza passata.
Magari raccontando di quella volta che per poco non gli cagai addosso al museo navale di Amsterdam, non potendo lasciarlo fuori dai cessi ad aspettare (era ancora troppo piccolo) non trovai di meglio che posizionarlo a lato della tazza sopra la quale mi prodigai in peristaltica sospensione, proiettando un cilindro che per qualche rettale mistero cadde a un mm dal suo innocente piedino.
Bah, a volte la posta pneumatica è inaffidabile.
O di quando sono stato sollevato dalle sbarre di un passaggio a livello, o forse ancora di quella volta che collassai in aeroporto, rischiando di fare saltare le vacanze a tutti per aver ingollato un intero pacchetto di caramelle con dolcificante, successivamente annaffiate con un litro di coca light.
Per poco l’aria che istantaneamente invase il mio ventre non mi fece raggiungere Rodi in anticipo e senza bisogno del check-in.
Si potrebbe declamare la recensione del verme solitario o l’EmorrOde, opere a me particolarmente care.
Le possibilità di accomiatarci con un sorriso dovrebbero esserci.

Perché una risata ci seppellirà.

E voi come sarete vestiti?

Buone feste ciurmaglia!

Moriremo tutti.

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editoriale di G

Acciaccati e non in splendida forma direi che a distanza di qualche decennio possiamo dire di essere sopravvissuti al web 2.0.

Forse, però, ora ci stiamo davvero avviando verso il 3.0. Quello che sta accadendo è estremamente interessante, e chissà come ne usciremo questa volta.

L'orizzonte è ricco di novità.

A quanto pare @Franceso uno storico utente di DeBaser e curatore della newsletter Indie Riviera si pone le stesse domande che mi pongo da un po' e poi le pone a me in un'intervista. A questo punto non non ho alternative se non prova a rispondere... quale splendida occasione migliore per capire se sono ancora in grado di pensare e capire che... No!

Poi si divaga.

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editoriale di lector

Tutte le cose possono ammantarsi di meraviglia se le guardi con gli occhi di un bambino, anche le edicole dei giornali.

Mio padre, all’edicola, mi ci portava tutte le domeniche mattina.

La sua manona stretta alla mia, per me era pure meglio del negozio di giocattoli. Noi facevamo le “cose da grandi”: lui si comprava il suo pacco di giornali ed io il mio giornalino, poi andavamo dal barbiere a leggerli e, qualche volta, ci scappava pure un passaggio dal bar. Lui era così: i giornali se li comprava tutti i giorni, almeno un paio, e la domenica tre o quattro riviste di approfondimento politico (qualche anno dopo sulle copertine di quelle stesse riviste – Espresso, Europeo, Panorama…- avrei anche scoperto il fremito dei primi nudi femminili, ma questa è altra storia).

La mamma si arrabbiava, i soldi erano pochi e lei non capiva perché dovessimo sprecarli così. Ma noi non ci avremmo mai rinunciato, per nulla al Mondo!

Lui era fatto così: era convinto che fosse questo il suo modo di stare al Mondo e di cercare di capirlo e di cambiarlo, avrebbe rinunciato persino a fumare per comprarsi i giornali (e, per lui, era davvero un gran sacrificio!) e, poi, si divertiva a portarmici ed io l’aspettavo per tutta la settimana quel momento in cui avremmo fatto le “cose da grandi”.

Scampoli di felicità che, come brace sotto la cenere, ti riscaldano per tutta una vita.

Sarà per questo che mi piacciono così tanto le edicole di giornali, ancora oggi, ancora adesso che sono ridotte a piccoli bazar. Sarà per questo che mi fanno orrore quelli che cianciano di “bruciarli tutti, i giornali” e che si vantano di non leggerli. Ecco, quelli che vogliono “bruciarli tutti, i giornali”, per me, sono della stessa pasta di quelli che bruciavano i libri: hanno lo stesso incedere beota, lo stesso argomentare caciarone e suino, lo stesso pecoronaggio vittimista ed arrabbiato che dà del pecorone agli altri (e niente appecorona meglio del sentirsi “perseguitati” e vittime), lo stesso furore fideistico di quelli là.

E lo so benissimo che ci sono libri e giornali di merda, non sono così ingenuo da non sapere quanto schifo giri intorno al mondo dell’editoria come intorno a quello dell’informazione e della carta stampata. Lo so che quello dell’Informazione è un mercato e, dove vigono le regole del mercato, spira sempre un’irrespirabile puzza di merda.

Ma i libri (e i giornali) non si bruciano! E non solo i libri di Čechov o di Kafka, non si debbono bruciare nemmeno quelli di Moccia o di Vespa. Così, allo stesso modo e per lo stesso motivo difendo pure roba come “Libero” o “Donna moderna”.

Certo ci sono i canali di informazione “alternativi”, fonti oscurate, testi “maledetti”, tutta roba che, a saperla cercare la trovi sul web.

Ma, vedi, io in un posto dove circola da chi di giura che, suo cugino, è guarito anche dalla carie cogli estratti di papaya a chi ti spiega la fisica quantistica con i pupazzetti di pongo – ecco – io, in un posto così, non mi ci raccapezzo.

E, poi, c’è che le notizie, sulla rete, te le danno gratis ed io non mi fido di chi ti regala certe cose; in qualche modo e per qualche motivo c’è sempre chi ci deve guadagnare. E, allora, preferisco darli al “mio” edicolante i miei soldini, illudendomi di sapere quanto e come (e forse a chi) li pago.

Se non altro sui giornali, chi scrive ci mette la firma col suo nome e la sua faccia e, generalmente, con quel nome e con quella faccia ne risponde di quello che scrive, e quindi almeno dovrebbe provare a basarlo su una qualche pezza d’appoggio, quello che scrive. E’ un po’ diverso dai social dove, metti che un tizio qualunque, su di un sito qualunque, protetto da un nickname qualunque, si faccia venire la voglia, per chissà quali motivi suoi, di scrivere una enorme porcata tipo: “i veri colpevoli delle alluvioni in Emilia Romagna sono i geoingegneri climatici che hanno voluto, in questo modo, colpire alcune popolazioni “disobbedienti””.

Così, senza neanche doversi preoccupare di fondare le sue affermazioni su di una fonte più o meno attendibile.

Ora, che rischia uno così? Al massimo qualche insulto o che un povero moderatore lo metta fuori dal sito (tanto torna con un altro nick e ricomincia come prima). Intanto la notizia gira e qualche pollo ci casca. Fallo centinaia di volte e nei modi giusti e vedi che si crea un gran bel polverone, e nel polverone qualcuno sempre ci sguazza. L’illazione si alimenta da sé, non ha bisogno di essere dimostrata, ad un certo punto la stessa insinuazione si trasforma nella fonte di sé stessa.

E’ molto più facile fare così che cercare di controllare tutto un mondo, quello dell’informazione scritta, nel quale – al netto di servi più o meno arricchiti, leccaculo a volte persino felici di poter leccare e poveracci precari e malpagati costretti a scrivere un tanto al chilo – ci finisci sempre per trovare un fesso che ci crede, un testone con la schiena dritta e pure un certo numero di tizi che le cose di cui scrivono le conoscono davvero; e a quelli così o si prova a pagarli, o si cerca di smerdarli o, se non ci si riesce, finisce che si è costretti a sparargli una pallottola in testa. Si trattasse pure di un ragazzotto ingenuo e sconosciuto come quel Siani, lì.

Non è che devi essere una Capacchione o un Berizzi (andatevi a cercare chi è e qual è la sua storia), ma neppure un Purgatori o una Mannocchi (che almeno in certi posti c’è stata veramente); ti basta essere un Santoro, un Mentana o pur anche un Gomez per sapere che il tuo nome – in questo lavoro – è tutto quello che hai. Persino un Vespa o un Sallusti lo sanno che non si può scendere sotto un certo livello, persino loro hanno ben chiaro in testa il limite oltre il quale sarebbe suicida scendere (per dire: un Sallusti una merdata come quella delle popolazioni punite con le alluvioni, col cazzo che la firma! Al massimo, se proprio deve, la fa scrivere a qualche poveraccio precario o free lance, salvo poi prendere le distanze se la cosa comincia a puzzare).

Giornali e giornalisti vivono (quelli che ci campano veramente) della loro credibilità (comunque la si sia ottenuta), blogger e siti web campano sui like, capisci che c’è una certa differenza…

Di giornali e di giornalisti non sempre mi fido ma, la maggior parte delle volte, li prendo sul serio. Perché è un mondo di merda dove si menano senza ritegno mazzate e colpi bassi e, per restare in piedi, ci devi avere le palle. E prendo sul serio soprattutto quelli che non mi piacciono, che mi stanno sugli zebedei, che non la pensano come me (la stragrande maggioranza, in effetti): è con loro che so che mi devo misurare.

Ancora mi ricordo l’incazzatura quando leggevo certe cose della Fallaci; ma lei, le cose che scriveva le conosceva, il mondo lo aveva girato più di me, in certi posti ci era entrata davvero e certa gente l’aveva guardata negli occhi e, poi, scriveva da dio! E, allora, era dura fare la fatica di continuare a pensarla diverso, bisognava faticare per rimanere delle proprie opinioni, per provare a smontare quei ragionamenti (ben consapevole che in uno scontro faccia a faccia mi avrebbe distrutto). Così ho imparato il dubbio, l’antidogmatismo e la fatica dell’argomentare.

E c’è ancora un’altra cosetta che si chiama concorrenza: perché quello dell’informazione – c’è bisogno di ripeterlo? - è un mercato e, sul mercato, ci stai stretto a fare a spallate cogli altri che conosci bene. Per cui, se c’è una notizia che proprio non vorresti dare, ma gli altri l’hanno già pubblicata, allora sei costretto a darla per forza pure tu. E, allora, la sminuisci, la deridi, la smonti o la sputtani, ma è proprio il modo in cui la sminuisci, la deridi, la smonti o la sputtani che – ai miei occhi – dice un sacco di cose in più su quella notizia.

E, insomma, ecco perché tutti i giorni sono qui, dal “mio” edicolante e la domenica ci porto pure i bimbi. Io sono fatto così: mi sono convinto che questo è il mio modo di stare al Mondo e di cercare di capirlo e (ormai non più) di cambiarlo, e rinuncerei persino a fumare (se fumassi) per comprarmi i giornali.

O, magari, sono solo un tizio fuori tempo massimo che cerca, in qualche modo, di raccapezzarsi, di aggrapparsi a qualche certezza, una qualunque. Il futuro ormai non mi appartiene più ed il presente, al massimo, mi sopporta. Semplice spettatore non pagante (…aspè! Pagante! Pagante eccome!)

Così me ne vado, bel bello, coi miei giornali e mi siedo al bar; gioco a mettere insieme i pezzi del puzzle, mi sforzo di farli combaciare; certo potrei fare il sudoku, ma il sudoku non mi diverte! Apro la prima pagina e subito m’incazzo: “CAZZ..! Ma come cazzarola si fa a scrivere una roba così!”; il caffè mi va di traverso, una signora mi guarda…

Va bene, ma io lo so chi è che ha scritto quella cosa lì, qual è il giornale su cui l’ha scritta quella cosa lì (l’ho comprato apposta!) , lo capisco perché l’ha scritta quella cosa lì. O, almeno, mi illudo di capirlo. Io ci vivo di illusioni: magari mi illudo pure quando mia moglie mi dice che mi ama, quando mio figlio mi giura che non l’ha fatta lui quella marachella, quando una collega mi ringrazia per come ho svolto quel dato lavoro. Magari così vivo meglio, chi può dirlo? Non so ma ho sempre l’impressione che certi mestatori siano persone umanamente un po’ tristi, ma è solo una mia impressione.

E, allora, finisco di leggermi i miei giornali, lasciando per ultime le pagine sportive, finisco di bermi il mio caffè (o quel che ne resta), mi accerto di non essermi sporcato la camicia e me ne vado. Non prima di aver lanciato un cenno di saluto alla signora che si era preoccupata ed al barista e, di certo, non dimenticandomi di passare di nuovo dal “mio” edicolante.

-“Ci vediamo domani!”

Perché domani ci torno di nuovo. Ci torno; ci torno tutte le volte che posso. Ed ogni volta, ogni volta, ogni volta, ogni volta…

C’è quella manona nodosa che stringe la mia manina di bimbo

-“Papà, mi compri il “corriere dei Piccoli?””

-“Ma certo!”

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editoriale di Taddi

Attenzione, non è una recensione né un editoriale, è una storia d’amore.

Per 29 anni è stato vivo, per 42 è stato innamorato, e per 9 è stato morto. Che lui sia stato uno dei migliori cantanti del ‘900 probabilmente lo sapete. Che quella con June Carter è la più bella storia d’amore degli ultimi 100 anni, forse no. (Sarah Vowell)

Lui è nato da una famiglia poverissima in Arkansas, da bambino aiutava i genitori a raccogliere il cotone nei campi. All’età di 12 anni il padre lo incolpò ingiustamente del terribile incidente mortale accaduto al fratello maggiore, scolpendo così il suo cuore per sempre. Dopo il servizio militare, nonostante i problemi di dipendenza dalle droghe ed una scarsa propensione alla monogamia, sposa Vivian.

Lui vestiva sempre con giacca, pantaloni, camicia, cravatta e cappotto regolarmente neri, tanto da essere soprannominato the man in black. Negli anni ’70 nessuno vestiva in nero, tutti avevano abiti sgargianti, cappelli da cowboy, lustrini e paillettes, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Ha scritto una grande canzone nel 1971 per spiegarci il perché:

“Beh, ti chiedi perché mi vesto sempre in nero
Perché non vedi mai colori luminosi sulla mia schiena
E perché il mio aspetto sembra avere un tono cupo
Beh, c’è una ragione per le cose che ho indosso

Indosso il nero per i poveri e gli emarginati
che vivono nella lato senza speranza e affamato della città
Lo indosso per il prigioniero che ha da tempo pagato per il suo crimine
Ma è lì perché è una vittima dei tempi

(…)

Lo indosso per i vecchi malati e soli,
Per quelli spericolati il ​​cui brutto viaggio li ha lasciati freddi,
Indosso il nero in lutto per le vite che avrebbero potuto essere
Ogni settimana perdiamo un centinaio di bei giovani.

(…)

Ma finché non iniziamo a fare una mossa per fare alcune cose giuste,
Non mi vedrai mai indossare un abito bianco.

Ah, mi piacerebbe indossare un arcobaleno ogni giorno,
E dire al mondo che va tutto bene,
Ma proverò a portare via un po'di oscurità sulla schiena,
Fino a quando le cose non saranno più luminose, sono l'uomo in nero
”.

Lei, June,di cognome famoso (Carter, della Carter Family), si trovò a lavorare con lui nel suo road show statunitense. Entrambi erano sposati ma i rispettivi coniugi non parteciparono a quella tournée. June, ragazza rispettabile, non avrebbe mai rubato il marito ad un’altra, soprattutto se lui a quei tempi era irrimediabilmente fanatico e drogato. Ma il destino aveva già scritto quella pagina, June dichiarò “mi sentivo come se fossi caduta in un pozzo infuocato, stavo letteralmente bruciando viva”. Non sapendo come uscire da questa situazione, affidò i suoi sentimenti ad una pagina bianca, poi aggiunse una splendida melodia, una chitarra ed il titolo “Love’s ring of fire” e la diede alla sorella, Anita per inciderla su disco. Si è fidata della musica.

“L' amore è una cosa che brucia e crea un anello di fuoco

Costretta da un selvaggio desiderio a cadere in un ardente anello di fuoco

Sono caduta nell’ardente anello di fuoco

E brucia, brucia, brucia l' anello di fuoco

Il gusto dell'amore è dolce quando cuori si incontrano

Ti credo come una bambina oh ma il fuoco si è scatenato

Sono caduta dentro dentro dentro l’anello di fuoco”

Sono andata sempre più giù giù giù nel fuoco più profondo

Una struggente dichiarazione d’amore fatta tramite la musica che lei ama. Come si potrebbe fare meglio? In quella canzone coesistono sentimenti contrastanti, gioia e dolore, disperazione ed illusione. Ovviamente lui ascoltato il brano, ne percepisce solo la parte gioiosa, capisce di esserne il destinatario e lo riscrive in una sera, imbottito di barbiturici per smaltire le anfetamine. Lo riscrive intuendo istintivamente il finale della storia, nasce così la splendida cover che tutti conosciamo. Aggiunge sonorità mariachi, fiati, cori e la promessa del suo amore eterno, rendendo il brano immortale. A conferma in seguito anche Jerry Lee Lewis, Tom Jones, Eric Burdon, Ray Charles, Wall of Voodoo, Blondie, Dwight Yoakam, Social Distortion, Frank Zappa, Bob Dylan, Elvis Costello, Blondie, Chris Isaak e tanti altri ne fecero una loro versione, omaggiando così l’amore (per ora) impossibile dei nostri protagonisti.

A nessuno è mai venuto in mente di essere predestinati? Di pensare “ecco doveva capitarmi per forza”. Immaginatevi la scena, la sera seguente sul palco the man in black cantava la canzone scritta per lui dalla sua amata con ai cori la stessa amante, la madre e la sorella di lei. Se questo non è un segno del destino…

Negli anni ’60 c’era un visione più casta dell’amore, un brano con quel testo quasi esplicito, addirittura cantato da una donna non sarebbe stato concepibile avrebbe creato scandali, censura ed ostracismo. Paragonare l’amore per un uomo sposato al fuoco a quei tempi era come tuffarsi nelle fiamme dell’inferno. Ci voleva coraggio, incoscienza ma anche tanto amore.

June Carter stava desiderando l’uomo di un’altra donna, violava il nono comandamento!

Il momento in cui June riconosce a sé stessa di amarlo, è molto simile a quello in cui Huckleberry Finn (M. T.) decide di aiutare lo schiavo nero Jim a scappare, anche se gli hanno insegnato che farlo è sbagliato. “E va bene” dice Huck, “andrò all’inferno”. Quel momento è esattamente quando June canta “oh”, c’è un’immensità di apprensione in quella piccola parola, “oh”. Come in oh, cosa ho fatto. Oh, la sua povera moglie. Oh, Signore, perdonami. Oh, per l’amor del Cielo, è meglio che gli butti tutte quelle pillole nel gabinetto. E … oh, continuerò ad amarlo ugualmente.

“Ring of Fire” divenne la hit numero uno nel 1963. Poi, finalmente, lui divorziò. E June divorziò. E lui smise con le droghe. E nel 1968 si sposarono.

Quando dico che questa è la più grande storia d’amore del ventesimo secolo, non penso alla situazione che ho appena descritto anche se, certo, le migliori storie d’amore necessitano di alcuni ostacoli da superare, e loro ne incontrarono diversi. No, penso in realtà al loro matrimonio 35 anni in cui vissero felici e contenti.

Una favola? No, nessuna favola, la realtà. Chi potrebbe scrivere una lettera così dopo 24 anni di matrimonio per il 65° compleanno della moglie?

Buon compleanno principessa, ormai siamo vecchi e ci siamo abituati l'uno all'altra. La pensiamo nello stesso modo. Leggiamo la mente dell'altro. Sappiamo quello che l'altro vuole anche senza dirlo. A volte ci irritiamo anche un po'. Forse a volte ci diamo anche per scontati. Ma ogni tanto, come oggi, medito su questo e mi rendo conto di quanto sono fortunato a condividere la vita con la più grande donna che abbia mai incontrato. Continui ad affascinarmi e ad ispirarmi. La tua influenza mi rende migliore. Sei l'oggetto del mio desiderio, la prima ragione della mia esistenza. Ti amo tantissimo. Buon compleanno principessa.”

“June mi ha salvato la vita, e poi le piacciono gli stessi film che piacciono a me.”

C’è una loro canzone, una ballata gospel, in cui duettano insieme, June canta

Se sarò davvero io la prima ad andar via,
e, chissà come, mi sento che sarà così,
quando sarà il tuo turno non sentirti perso

Perché sarò io la prima persona che vedrai

Così, senza aprire gli occhi, aspetterò su quella spiaggia

Finchè non arriverai tu, e allora vedremo il paradiso.

Come lei aveva previsto nella canzone, June morì per prima. Soltanto quattro mesi dopo lui la raggiunse. Prima di morire disse: “questa cosa, fra noi due va avanti dal 1961, e non voglio fare nessun viaggio se lei non può venire con me”.

Avete capito lui chi è? All’inizio dei concerti era solito presentarsi così:

Hello, i’m Johnny Cash

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editoriale di kosmogabri

The Punisher / Lesto BANG! / ptr / Stronko ... Tutti nickname Debaseriani dietro i quali si celava una sola persona, Pietro Vanessi, romano, noto per i suoi arguti e ironici fumetti firmati "PV".

Dopo lunga malattia Pietro non c'è più, come da comunicato famigliare si è spento ieri pomeriggio 4 aprile, dopo lunga malattia.

Non mi resta che dire ciao Pietro, ciao caro Punny, con te qui sopra quante risate, quante litigate, quanti commenti e contro-commenti, quante recensioni, quanti complimenti, quante stroncature, quanta umanità... Mancherai.

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editoriale di Dislocation

È bambagia, forse nuvola, no, più solida, ma morbidissima, diciamo panna, panna e assenza, indifferenza... e dormo, dormo bene, senza peso... Poi grida, mi chiamano, applausi... no, non applausi, qualcuno batte le mani, e chiama... no, MI chiama... Chiama il mio nome, ad alta voce, mi ingiunge di svegliarmi, in modo deciso, ma è più un invito che un comando... Mi girano le palle, nella panna si sta bene, se apro gli occhi cosa trovo, che ne so... Niente da fare, vogliono che mi svegli e mi sveglio, allora... Vedo chi mi sta chiamando e batte le mani per svegliarmi e di botto la capisco tutta, la faccenda. Mi ero addormentato in casa, di botto, il cuore a mille, non respiravo più, moglie e figlia che piangono a dirotto e mi risveglio in un reparto ospedaliero che conosco, per lavoro, ed ora sto dall'altra parte della barricata. È la Rianimazione, perdio, e allora me ne è successa una grossa, sta' a vedere, e difatti me lo spiega un medico. Mi dice che dormo da trentasei ore, che ho avuto tre arresti cardiaci dopo un'embolia polmonare, che devo la vita al medico del 118 che mi ha ripreso tre volte per i capelli e mi ha trombolizzato in casa, sul pavimento della sala, un bel fegataccio. Così vado avanti per ventitré giorni in una girandola di siringhe, pillole, flebo, visite e consulenze, e poi padelle e pappagalli, e poi le sigle per acronimi, tac, rmn, pic, ecd, abg, fr, ica, iot, fkt... Dormo poco e mangio meno, il sonno è continuamente costellato di ricordi l'infanzia, la scuola, mio padre e mia madre, la naja, l'amore, mia moglie e mia figlia, il lavoro... Poi, dopo due settimane filate di letto totale mi fanno alzare, ma non ho più polpacci né cosce, mi sento un ottantenne , ma ogni giorno miglioro, cammino come un invasato per i corridoi del reparto, poi mi dimettono e torno a casa, mi passa finalmente il mal di testa che mi durava dal primo giorno e riesco a leggere un po', riprendo il cellulare e rispondo piano piano a chi mi aveva contattato per avere notizie e, perdio, scopro preoccupazione e dispiacere in persone che non sentivo da tempo, alcune da anni, e mi vergogno un po' al pensiero di non sapere nulla dello stato di salute di colui che si documenta con me delle mie vicissitudini .

Poi c'è il Deb, caspita se c'è.

Ma non era morto?

Beh, insomma, mentre ancora non riesco ad ascoltare musica, mentre cammino come un invasato sul lungomare o mentre rinforzo i polpacci, mi trovo a sorridere dei commenti e della vita su Debaser, di chi si sfotte, di chi s'incazza, di chi mostra con piacere, o anche evidente orgoglio, la scimmia che regge sulla spalla, facendo sfoggio di sindromi maniacali che rimpinguerebbero le sostanze di fior di specialisti psichiatri e simili. E la scimmia, si sa, è dispettosa e spesso mostra il culo agli astanti.

E passo così ai ringraziamenti, anche qui non sapevo di poter contare sulla solidarietà di tanta, davvero tanta gente che, mi siete tutti testimoni, mai ho incontrato e forse mai incontrerò, visto che ho deciso di non fare più tanti progetti, dopo che ho provato la certezza dell'inutiliità dei suddetti... il mio grazie però va alle decine di debaseriani che, nella mia incredulità, hanno messo nero su bianco la loro solidarietà, scrivendomi nell'area messaggi, per me, un tale di cui si è saputo che stava male, ed in particolare ad alcuni che periodicamente mi scrivono informandosi sui progressi che faccio e si consumano in auguri. Ora sarebbe indelicato fare nomi, ma chi l'ha fatto lo sa, e di altri so per certo che la loro naturale ritrosia ha impedito loro di disturbarmi, si son passati le notizie l'un l'altro, e l'altro me l'ha detto.

Grazie davvero, a tutti, davvero.

Debaser non sta morendo, ve lo giuro sulle vostre teste.

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editoriale di Annette

Immaginate di svegliarvi una mattina e di sentirvi stranamente leggeri: nessun pensiero profondo su voi stessi o sul mondo.
Accendete la radio su una stazione a caso mentre vi preparate e, sorpresa, vi piace quello che stanno trasmettendo. La scaletta musicale incontra i vostri gusti al 100% e gli interventi degli speaker li trovate divertenti e perfettamente centrati.
Scendete per andare a lavoro, fermandovi al bar. Oggi anche il barista è simpatico e trovate i suoi commenti sui temi più caldi di attualità sensati e condivisibili.
In ufficio, l’apoteosi. Il vostro capo non è più quell’ottuso imbecille che vi è parso fino a ieri. Vi assegna dei compiti ragionevoli e utili, persino le sue osservazioni e i suoi consigli su come portare a termine il vostro lavoro vi appaiono pieni di buon senso. I vostri colleghi sono tutti interessanti e trovate la loro conversazione stimolante.

A fine giornata, tornate a casa e, quasi a fare un test per sapere se davvero oggi il mondo ha deciso di girare dalla parte giusta, accendete la televisione su un canale generalista a caso. Miracolo! La trasmissione in onda in quel momento è bella! Non potete crederci, state guardando la TV e vi piace e, sì, non state guardando RAI5 alle due del mattino!

Ecco, non sarebbe bellissimo vivere in un mondo così? Se si potesse avere tutto questo semplicemente diventando più stupidi? Se la soluzione fosse una "alleggerente" lobotomia?

La prima volta che sono stata sedotta da questa suggestione è stato quando, ormai non so più quanti anni fa, lessi il divertente (così lo ricordo) romanzo di Martin Page Come sono diventato stupido, in cui il giovane Antoine individua nella sua intelligenza, la causa della sua sofferenza e cerca quindi di guarirne. Lo stesso concetto, per fare un esempio più basso (quindi anche più adeguato sia alla tesi sia alla scrivente), è presente in un episodio dei Simpson, quello in cui Homer scopre d’avere, sin dall’infanzia, un pastello conficcato nel cervello che ne compromette le capacità intellettive e decide di rimuoverlo. Improvvisamente, Homer diventa intelligente e scopre che quasi tutte le cose che prima gli davano piacere ora sono sciocche e noiose: gli amici al bar, la televisione, i film al cinema. Alla fine, trovando la nuova realtà insostenibile, decide di farsi rimettere il pastello nel cervello.

Se fossero i vostri cervelli, la vostra sensibilità, la vostra cultura, il vostro gusto raffinato, la vostra capacità di analisi, i vostri nemici, la causa della vostra (in)sofferenza?

Si potrebbe obiettare che solo grazie ad essi riuscite a godere dell'arte, dei libri e dalla buona musica. Ma, diciamolo, sono tutti hobby dispendiosi non solo in termini di denaro, ma anche di tempo, mentre potreste essere completamente soddisfatti dall’intrattenimento pret-a porter, se solo foste un po’ più "di bocca buona". Non solo, se rinunciaste alla vostra capacità di analisi critica non dovreste continuamente litigare con il mondo. Non vi angosciereste con quesiti esistenziali, non vi chiedereste perché siete costretti a fare cose senza senso a causa della burocrazia e/o a lavoro, non vi fareste domande sulla politica, sulla società, sareste completamente acritici accettando la realtà così com’è.
Certo per la società, se tutti gli individui si comportassero così, sarebbe una tragedia ma, a livello individuale, non sarebbe una soluzione altamente desiderabile?

Insomma, alla fine, la domanda è: l’intelligenza, o se vogliamo la profondità di pensiero, la sensibilità, la necessità di comprendere le cose, ci rendono infelici? Pardon, VI rendono infelici?

Perché, per quanto mi riguarda, io sono molto contenta con il mio pastello conficcato nel cervello…

Disclaimer
ATTENZIONE: Le informazioni contenute nel testo hanno esclusivamente scopo (dis)informativo e ludico e comunque in nessun caso possono costituire la formulazione di una diagnosi o la prescrizione di un trattamento.
Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti (preferibilmente, di quelli bravi!) riguardo la possibilità di perdere "peso" a mezzo di lobotomia.
La lobotomia non va intesa quale sostituto di una dieta variata, equilibrata e di un sano stile di vita.

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editoriale di JonatanCoe

Ebbene si, il genere umano ama i cambiamenti, vive e si rigenera con essi. Ci cambiamo l'abito
per stimolare noi stessi e gli altri, l'intimo per non nauseare noi stessi e gli altri. Cambiamo auto,
bici, frigorifero, olio motore ogni diecimila chilometri.

Cambiamo tutto ma, come regola vuole, c'è sempre un'eccezione: quella vecchia, logora maglietta
della nostra rock band preferita. Un tempo nera, oggi ci restituisce un improbabile grigio steel,
martoriata da migliaia di cicli in lavatrice, dal sole e da copiosi bagni di sudore. Nonostante tutto è
sempre lì, stirata e piegata nel nostro armadio come un Santo Graal.

Ecco, in questa premessa possiamo leggere la bontà della nuova veste grafica voluta da
S.B. [Sommo Bolzanino N.d.R.]. Cambia solo il contorno mentre il fulcro delle nostre passioni
(musica, cinema e arti varie) continua ad avere una posizione di primo piano.

Per quel che mi riguarda questa mutazione mi piace e impreziosisce il sito.

Ritengo che la nuova grafica sia più schematica, ordinata e intuitiva, arricchita da nuovi indici che
la rendono perfetta. Fantastica, nella pagina personale, la sezione dedicata alle proprie tag e
imperativo la reintroduzione degli editoriali, inspiegabilmente spariti. Evidenzio inoltre un formato
decisamente più grande per le immagini nei commenti. Pian piano scoprirò tutte le altre novità,
salvo voglia elencarcele direttamente l'estroso autore G!

S'è persa la vecchia mappetta dei colori e sia lodato il cielo!
Qui si parla di Pink Floyd, Deep Purple e Metallica e le tonalità da camera dei bambini ci stavano
come le acciughe con le fragole! Benedetto venerato Bianco e benvenute Tenebre (se vi piace la
modalità scura), a mai più Rosa Barbie!

Molti di voi non hanno accolto bene questa ventata d'aria fresca, mi pare evidente. Credo che
gran parte del malcontento sia fondato sul fatto che abbiamo bisogno di tempo per accettare i
cambiamenti, specie quando non ne siamo direttamente gli artefici. Ci sarebbe inoltre un altro
motivo legato all'ego: quanto ci piaceva la nostra pagina personale con tutti quei gruppi, premi
e menzioni, messi in risalto come una patacca da Generale di Stato Maggiore?! A tal riguardo
sono politicamente e eticamente propenso al bene comune, quindi viva il cambiamento, viva la
madre patria, viva Debaser!

Hasta la mucca siempre!

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editoriale di joe strummer

«Si alza il vento, bisogna tentare di vivere».

Credevo di morire senza cinema, sei settimane fa.

Credevo di cavarmela con lo streaming, con i classici. «Tutti a casa mia».

Credevo che della pandemia avrei vissuto solo la noia, il tempo sospeso.

Poi le cose si sono fatte gravi, per tutti.

La morte l'ho letta, in infinite pagine del giornale di Bergamo per cui lavoro.

La morte l'ho pubblicata.

Ho assegnato e titolato articoli su lutti e lutti, su comunità lacerate dal dolore.

Prostrate.

Ho letto di chi ha perso il fratello e lo zio nello stesso, maledetto giorno.

Ho letto di paesi devastati, martirizzati. Ho letto di Nembro, dieci morti al giorno.

La signora dell'anagrafe, il bibliotecario, il tecnico del cineteatro.

Ho pianto per giorni, solo in casa o davanti a mia madre, a mio padre, mentre glielo raccontavo.

Ho pianto come mai in vita mia.

Ho visto la voragine sottostante.

Poi mio fratello ha iniziato ad avere la tosse, la febbre.

Mia sorella non si sentiva tanto bene.

I miei due zii hanno vacillato. Uno dei due l'ho visto sottile, a letto tutta la settimana.

Ho passato un mese che mi è sembrato un anno.

Lavorando dalle 7 di mattina a mezzanotte, all'una.

Ho fatto due lavori al giorno, per giorni che mi sono sembrati infiniti.

Ho letto la morte e accolto la vita di un vitellino, tra gli sforzi miei e di mio padre.

Ho mischiato la polvere del fieno e l'odore dell'alcol cosparso su ogni cosa.

Ho vacillato, al vacillare di mia madre per ogni colpo di tosse di mio fratello.

Ho ripensato a quando guardavo i film, come se fosse una vita precedente.

Ho lottato a testa bassa, stremato, senza che mi sfiorasse l'idea di mollare.

Ho sgridato mia madre per le sue fragilità. Perché dice di non riuscire a dormire.

L'ho coccolata con le bugie, perché lei la tv non la guarda più.

Ho visto i miei cari guarire, un po' alla volta.

Ho saputo la morte del padre di un collega, l'ho letta nelle sue parole stampate sulla carta.

Ho saputo la morte del nonno di un amico, l'ho sentita nelle sue parole al telefono.

Ho accettato il taglio dello stipendio. Mi sono incazzato per il taglio dello stipendio.

Ho visto infiniti programmi, letto analisi, teorie, statistiche, congetture, inchieste.

Ho visto qualche film senza riuscire a guardarlo, con il pensiero sempre altrove.

Ho pensato di aver perso qualcosa, di aver perso l'amore per l'inutile bellezza del cinema.

Cos'era la nostra vita prima di tutto questo? Una dolce luna di miele.

Credevo di essere cambiato, inaridito.

Coriaceo, ma senza spazio dentro.

Fino a oggi. Quando ho rivisto un pezzo del mio Miyazaki.

Ho capito che in qualche modo bisognerà tentare di vivere.

Anche dopo tutto questo.

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editoriale di Dislocation

L'Undici.


Un giornale sportivo argentino, alla notizia del suo gran rifiuto a passare alla Juventus per dieci centinaia di milioni (di allora...), lo definì, a tutta pagina, "Un Hombre Vertical".
Altro?


Sardo vero, nei fatti.
Diceva, lui, lombardo di Leggiuno: "Lo sport da solo non può essere in grado di cambiare una regione povera come la nostra..." Dove "La nostra" era la Sardegna, però.


Il Calciatore:

Un giorno si ritrovò in macchina Grazianeddu Mesina ed un po' si preoccupò, disse, ma Neddu voleva solo sincerarsi che lui non mollasse il Casteddu per la Juve o chi altro.

Di che parliamo? Delle famose rovesciate, delle giocate spavalde, di potenza infernale, del pallone lanciato a 120 all'ora che spezza in tre parti il braccio di un raccattapalle di nove anni, Danilo, appostato dietro la porta avversaria, le cui cure seguirà poi personalmente ed a cui dedicherà un pallone firmato da lui ed un goal contro la Lazio.
Della sua infanzia... Profondamente segnato da un'infanzia a dir poco precaria (il padre morì in fabbrica, trafitto da un profilato d'acciaio che gli squarciò l'addome e la schiena) non perdeva occasione, nelle pochissime interviste concesse, di denunciare il trattamento da bestie ricevuto al collegio cattolico dove la madre lo mise, non potendolo mantenere da vedova poverissima: "Noi poveri dovevamo guadagnarcelo, il pane dei preti, con preghiere e continue confessioni... solo così il don ci mollava da mangiare... brodaglia e schifezze, altroché... Tre volte, ne sono scappato..."
Era uno di quegli uomini cui bastava uno sguardo per giudicare l'altro ed uno per intendersi con chiunque.
Uno dei più bei ricordi d'infanzia mi vede allo stadio, sei o sette anni, io, a Genova, un Genoa-Cagliari, in cui lo chiamo a gran voce dal bordo campo, io genoano dalla nascita e, non so perché, lo salutai a grandi gesti. Lui, nel mezzo della partita, si voltò e mi sorrise, proprio a me, un bambino tra tanti adulti vocianti, con quel quarto di sorriso che gli era tipico, il suo, e accennò un saluto con la testa.
Nel 1968 il fulmine che gli incendiò e gli invase la vita, l'incontro con una donna, i due si innamorano, vanno a vivere insieme anche se, tecnicamente, lei è sposata. Scandalo, copertine di rotocalchi. Comunque vivono insieme quattro decenni, poi si separano e resstano amici, molto amici, insieme hanno fatto due figli, nati e cresciuti in Sardegna.

«Io un partito ce l'ho e mi sono sempre schierato da quella parte: il partito dei sardi. Io simpatizzo per chi sbaglia, per chi vive in un certo modo».
Ecco.

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editoriale di lector

Auguri di serene festività a tutti i DeBaseriani.

(Aziendale): DeBaser è lieta di augurare Buone Feste a tutti i suoi iscritti.

(Allitterazione): Auguri beneauguranti di festività festose. Sento che le debbo a voi DeBaserioti.

( @De...Marga...): Alegar bei fiol. Buon Natale da una nevosa Domodossola. Che poi, quel Natale lì, io l’ho visto due volte in concerto a Mezzago!

(Ossimoro): Che siano tranquillamente eccitanti le vostre laboriose festività, amorevoli DeBaseriani.

(Telegrafico): Pregiomi augurare Buone Feste-stop-DeBaseriani tutti-stop -

(Buzzin\ @Alfama): Nevosi alberelli luccicanti. Festanti DeBaseriani. Palle.

(Preterizione): Inutile dirvi per quali feste ed a chi sono dedicati questi auguri.

(Onomatopea): Dlìn Dlòn, gnam gnam, tpitiptip, lalala, sbùm, clap clap, bùrp.

(Ribaldo\ @Cialtronius): Annatevene a pijarvelo n’saccoccia voi e il Natale. Fighetti.

(Cameratesco): Impavidi affronteremo questi giorni che non temiamo. Cercheranno di piegarci, di abbuffarci, di blandirci, ma noi non cederemo. Mai!

( @Sotomayor): Cioè, io volevo dire che, tutto considerato e tenuto conto di quanto già detto in altre occasioni, senza per questo voler dimenticare il contesto e, sempre ricordando la lezione di certo cinema ed anche fatta salva la forza delle nuove leve della psychedelia californiana (ma considerando anche la sci-fi classica), ecco, credo di poter affermare e ribadire il mio concetto: Buone Feste.

(Ellissi): Auguri a tutti.

(Burocratico): Visto: l’avvicinarsi di un dato numero di giorni festivi. Visto: il riempirsi di dispense e frigoriferi ed affini. Tenuto conto: della quantità di sonno da recuperare. Considerato: l’assieparsi alle porte di nipoti, nonni, zie, parenti vari e correlati. Si decreta: di augurare ai debaseriani tutti Buone Feste.

( @Pinhead): qui

(Prosopopea): Le Feste si avvicinano a noi per donarci, lo auguro ai DeBaserioti tutti, pace e serenità.

(Depresso): Ok, divertitevi pure, voi, non pensate a me….

( @Sergio 60): auvguri…di sere nefestivta…a tuttti…i debwaseriani. Bella a Flanagan.

(Iperbato): Serene Feste, a voi DeBaseriani, auguro.

( @Flo): Vi ho voluto bene, bastardi. Auguri lo stesso.

(Pubblicitario): A partire dal 24 dicembre, allegato in omaggio per tutti gli iscritti a DeBaser, oltre ad un augurio di buone feste anche un esclusivo “Buon 2018”. Solo con DeBaser. Approfittatene!

(Apostrofe): Andate, miei sentiti auguri, nelle case dei DeBaseriani tutti.

( @Mikinicagi): Uno zaino protonico a Scrooge, un giro di basso decente ai Future of the Left. Woa, mica facile il mestiere di Babbo Natale! Che se non fosse Natale, allora tutti da Gino a farci un chinotto e giù gran manate sulle spalle. Invece tocca pensarci, tipo: una trama sensata per Scurati e per voi tutti cinque alto e una paccata di auguri.

(Allusivo): A chi so io, voi sapete cosa e sapete per quando….

( @Luludia & prole): Che gli alberelli illuminati sono malinconici come gli organetti del circo. Che, a Orsetto, è proprio quella melanconia che gli piace più di tutto del Natale. Ed anche alle ragazze furetto piace quella bruma spumosa. Che tutti gli auguri, poi, si dimenticano ma nell’aria rimane appiccicata la magia. Trallalla.

(Sineddoche): Nel giorno di festa, mille e mille auguri porgo al DeBaseriano.

(Metereologico): Previsto, per fine dicembre, l’arrivo di una estesa perturbazione che porterà sul DeB una pioggia di auguri. Più o meno graditi.

[ @NAB (m-l)]: Comunicato n°241 dal NAB: non ci può esser festa finché il proletariato continuerà ad essere sfruttato. Quando tutte le catene saranno spezzate, quando il DeB verrà liberato dai gioghi gerarchici che sbarrano la strada all'avvento di una nuova e futura umanità, allora festeggeremo. Guardatevi dal rammollimento borghese. Vigilate compagni!

(Giornalistico): Arrestato anziano lappone colto nel tentativo di introdurre illegalmente nel nostro paese giocattoli di provenienza sconosciuta.

(Zot): Auguri.

( @Odradek): Grassi indigesti e fritture pericolose. Dolci duri che attentano alla dentiera. Chiasso. Natale non è un paese per vecchi (cacacazzi).

(Cleuasmo): In fondo, chi sono io, per porgervi i miei auguri? Ma, sappiate, che sono sentiti.

( @Sfasciacarrozze): Deauguri ad iòsam a tutt_ i/le Debaserian_ dal vostro Sphascia(carrozam) di fiducia. Aiò.

(Finto giovanile): Bella lì, raga. Inutile sbalconare, ci aspetta uno sbattone. Giorni pesi, e allora scialla e tanti auguri al DeB. Evvai di like.

(Asindeto): Natale, vociare festante, scontata allegrezza, incontri. Auguri.

( @Imasoulman): “Come? ... pranzare in casa? | Pranzare in casa è male | Oggi ch'è la vigilia di Natale!” (La Bohème). Che Wittgenstein mi perdoni….

(Elettorale): Una proposta chiara: Auguri per tutti!

( @Heartshapedbox): qui

(Anacoluto): Si sa che a noialtri DeBaseriani, ci piace di farci gli auguri.

(Il Conte): Tanti nobili auguri a tutti. Vabbé, però adesso mi emoziono…. Sono grande e grosso e pure sensibile e posseduto dai demoni del blues.

(Preciso): augùrio s. m. [dal lat. augurium, der. di augur «augure»]. – 1. a. In senso proprio, la cerimonia con cui gli àuguri ricavavano presagi dall’osservazione del volo degli uccelli o da altri fenomeni; anche, il presagio stesso. b. non com. L’arte divinatoria degli àuguri. 2. Presagio in genere, indizio, previsione di eventi buoni o cattivi: essere di buono, lieto, felice, o di cattivo, tristo, sinistro a.; questo fatto mi pare di ottimo a.; le sue parole mi suonano di pessimo a. (v. anche malaugurio). Quindi anche presentimento: Or tristi auguri e sogni e penser negri Mi danno assalto (Petrarca). 3. Desiderio che accada qualcosa di bene, e l’espressione stessa di questo desiderio: formulare un a.; a. di felicità, di buona fortuna; ti faccio l’a. di guarir presto; gradisci i miei più sinceri augurî; cerca di riuscire: questo è il mio a. più cordiale. Inoltre: fare, porgere, mandare, inviare gli augurî; lettera, cartolina, biglietto di augurî, per le maggiori solennità o per qualche avvenimento particolare, come compleanno, onomastico, matrimonio, ecc. (e in questi casi si adopera sempre al plurale). [fonte: Dizionario Treccani online]

No, non ne faccio 99, in fondo queste sono esercitazioni, mica esercizi (di stile).

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editoriale di G

Questa mattina è andato online un importante aggiornamento di DeBaser.

Come molti di voi anziani ricorderanno, DeBaser è qui da un quarto di secolo. E siccome qui è e qui vuole restare, abbiamo deciso di aggiornarlo.

“Ma come? Non si vede niente di diverso!”

E lo sai? Ci sono cose che non si vedono. Mi piacerebbe entrare qui in dettagli tecnici e raccontarvi perché si imponeva un aggiornamento tecnologico, ma non credo che interesserebbe molti.

Comunque… I vantaggi della cosa ancora non sono chiari, ma diciamo che sviluppare nuove funzionalità dovrebbe essere più semplice e piacevole. Tutto è molto più ordinato... quanto ci piace l'ordine.

Diciamo anche che forse in alcune parti il sito potrebbe essere impercettibilmente più veloce.

Fine.

Gli svantaggi:

  • probabilmente molte delle cose che prima funzionavano adesso potrebbero aver smesso di funzionare.

  • alcune parti non saranno ottimizzate e forse andranno più lente.

  • peggio ancora, forse ci saranno delle cose che sembrano funzionare, ma sotto in realtà si comportano diversamente da come previsto.

  • noi abbiamo esaurito tutte le energie e prima che ci torni la voglia di rimettere mano al codice per aggiungere qualcosa di nuovo passerà probabilmente un altro quarto di secolo.

Così.

Se trovate qualcosa che non funziona per favore segnalatecelo senza se e senza ma, fra un quarto di secolo, la prima cosa che faremo, appena alzati, sarà aggiustarlo!

P.S.: Il plurale è majestatis. Se si esclude ChatGPT che mi ha aiutato per il titolo e per l'immagine.

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editoriale di kosmogabri

Vent'anni fa, nell'ottobre del 2003, entravo a far pare di Debaser, quel Debaser primigenio, il Debaser vintage. Cazzo sono vent'anni.

Il primo amore non si scorda mai. Ogni tanto lo spio, entro di soppiatto e spio le recensioni, guardo chi c'è, chi non c'è più. Oggi scopro una nuova homepage, l'ennesima. Un homepage per i cellulari, ma io sono old school. Preferisco quelle per i pc, colonna con i cazzi e mazzi a destra, lista recensioni a sinistra. Ma tant'è, the show must go on, e così anche lo show virtuale. Colpa mia che passo di qua raramente. Ma non ho il tempo per una petteggiata su FB, figurarsi su Deb.

Inutile stare qua a immalinconire gli astanti con le nostalgie di un Debaser che fu, ma diobono, che tempi intensi furono. Passione, condivisione e sangue. Penso alle radici di questo portale, e le vedo profondissime, arrivano al centro del mondo. Agli albori dell'interdett. Penso a tutti quegli utenti a cui si è voluto bene, e quelli che ci stavano sui maroni. I primi troll. Persone. Penso ai Nani, che una volta si facevano chiamare così. I webmaster insomma. Stanno bene i Nani? Neanche uno come Musk ha l'esperienza del virtualmente umano che hanno i Nani.

Il Debaser, che strano mi fa scriverci sopra. Mi fa strano, mi fa nostalgia. Ho quasi vergogna.

Il primo amore non si scorda mai.

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editoriale di Almotasim

Vi sarete senz'altro già chiesti: “Sono davvero indispensabili le cover/tribute band?”.
La risposta è una sola. Sì. Come si dissero Jon Anderson, Chris Squire, Peter Banks, Tony Kaye e Bill Bruford. Ma non è un verdetto arbitrario. Eccovi di seguito solo alcuni esempi, nemmeno tra i più eclatanti, a testimoniare quanto anche chi copia renda, in definitiva, un vitale servizio al rock e alla musica in genere.

Velve Underground
Cover all'acqua Velva dei Velvet. I bassifondi e Il dopobarba non sono un ossimoro.

Bobo Marley and the Rottwailers
Per ora suonano da cani.

Creedence Clearwardrobe Revival
Hanno molti scheletri nell'armadio.

The Door
Una porta scorrevole della percezione.

Pinko Pallino Floyd
Di loro si sa solo a chi si ispirino. Gli ultimi Floyds.

The Bitonts
Sono quattro favolosi baresi.

Mimo D'Angelo
Cantano Mino e ne ritraggono perfettamente la mimica.

Air (Conditioning)
Anche loro duo elettronico, ma si esibiscono solo d'estate.

Bitch Boys
Armonie vocali e consonanti.

The Resilients
Si stanno riprendendo.

Igols
Mettono a segno molte cover, prendendosela comoda.

Rossi Music
Sono ormai ai ferri corti.

Divo
Tali e quali i Devo, ma per libertà di scelta.

Manicure
Mettono mano esclusivamente al repertorio di Robert Smith.

Yo L'in Tendo
Indie rock, per intenderci.

Stalking Heads
A suon di telefonare a Byrne sono stati denunciati.

Abba Cadabra
Magici!

Max Gazebo
Eterni indecisi tra i repertori di Gazzè e Gazebo.

Suzanne Brionvega
L'iconica azienda italiana sostiene la pronipote di Giuseppe, grande appassionata della songwriter americana.

David Bovi
Di professione allevatori.

Coque to Twins
Cover band n-uova.

Frank Zuppa e le madri delle Insalatone
Iniziano sempre con 'Call Any Vegetables'.

Lisa Germani
Operazione intellettuale. Tutte le canzoni sono rifatte in lingue germaniche.

Maicol Gesto
Riproposizione a modo dei canti e dei balli di Michael Jackson, ma senza toccarsi mai il pacco.

Sunday Marton
Canta 'People from Ibiza' e 'Camel by Camel' solo di domenica.

Angel Bolsen
Brava come la Olsen, ma un po' più fiacca.

Lama Del Rey
Identica! Ma non si sputa sul piatto dove si mangia, e che diamine!

Kate Bus
Inutile dire che arrivano su un bus chiamato 'Kate'.

The Gertrude and Marvin Chain.
Amanti dei fratelli Reid che però hanno scelto di usare i loro veri nomi.

Ralf Japanese
Idioti.

Pop (Corn) Group
Meno salati, più zuccherosi.

Born Jovi
Nato anche lui Giovanni, detto Jovi. Il destino ha segnato chi dovesse coverizzare; uno sparo al cuore.

Public Endemy
Una presenza costante tra la popolazione.

Liz Phail
Spesso sbaglia le cover di 'Exile in Guyville'.

New Older
Hook li ha presi in simpatia e sovente si esibisce con loro.

Big Start
Chitarrismo riconoscibe fin dall’inizio.

PJ Harley
Quando si mette in moto, nessuno la ferma.

The Class
Imitano Strummer e Jones. La classe è quella operaia ovviamente.

The Stoojazz
Rifanno Iggy e soci in chiave free jazz.

Manual Cult
Rifanno gli Anal Cunt, un po' più alla mano.

Banal Cunt
In realtà, non sono mai banali.

Verbania
I Nirvana della provincia del Verbano-Cusio-Ossola.

Polk McCartney
Tutto il repertorio del Macca trasformato in polka.

Petomani Shop Boys
Si danno troppe arie.

Violet Femmes
Almeno si è capito di che colore diventano i Femmes dopo il secondo giorno.

Ricci Lee Jones
Parrucchiere che arrotondano.

Dinosaur Giugno
A luglio si estinguono.

Pere a Bubu
L'amore per David Thomas, Alfred Jarry, l'orso Yoghi e la frutta, tutto in una band.

Sfot Boys
Adorano Hitchcock ma lo sfottono durante il concerto.

Eri Clepto
Slowhand si smente nei supermercati, tant'è lesto secondo loro. Cleptomane insospettabile denunciato attraverso la sua stessa musica.

Sexys Midnight Runners
Sono tutte ragazze. Al limite del dirty, Eileen.

The Donald Duke of Stratosphear
Quello che imita Partridge/Sir John Johns canta mascherato da Paperino.

Giù di Silk Epil
Queste sono in gamba. Judee Sill è impegnativa.

John Lenton
Cover slowcore.

Prinz
Cover del genietto di Minneapolis da una piccola auto tedesca.

Little Richard Ginori
Oltre a servire il tè, canta 'Tutti Frutti'.

Poni Mitchell
Più spensieratamente di Joni, cantano e saltano la cavallina.

Maleodetta
Incerta imitatrice di Odetta.

Plastic Cono Band
Si esibiscono con un grande cono di plastica sul palco.

Picchio dal Pozzi-Ginori
Puliti.

The LOVablE
Queste epigone di Arthur Lee si prodigano in sole cover in solo intimo.

AC/WC
Onestamente fanno un po' cagare.

Stevie Wonderbra
Personaggio ambiguo.

Digesteve Winwood
Sfornano cover e biscotti.

Camel Trofie
Concertone progressive con proiezione di gare di fuoristrada. E alla fine pasta per tutti!

The Pollice
Suonano i Police col solo pollice. Bravi e basta.

Ten Years Afte
Incredibili! Dovevano scomparire dopo due settimane. E invece...

Esanthema
Più malati degli Anathema.

Vegetarian Corpse
Il death metal per i vegani.

Sam Diet Coke
Troppa leggerezza per un grande repertorio.

Farts Domino
Gruppo di scoreggioni che si influenzano a vicenda. D'effetto.

Hela Madonna
Esclamala anche tu!

Busti Boys
MC mezzi busti decorativi.

Alt Green
Si fermano al repertorio del pastore Green con un semaforo verde sul palco.

Tom Petting
Non fanno ancora sul serio.

Six Pistons
Musica punk dal quintetto base dei Detroit Pistons del 1977. Il sesto? È Hooper, la mascotte.

Black Samba
Finalmente gli Sabbath in salsa brasilera.

Aphax Twin
Un caso isolato. Il gemello Hapax è l'unico che fa cover di Hapex.

Laurie Andersen
Solo un po' più fiabesca quando suona il Tape-bow violin.

Bola Fame e Sete
Rifanno 'Ocean' aggiungendo ulteriori contaminazioni.

Butthole Surface
Una sommaria presa per i fondelli dei Surfers.

Cat Powerless
Meno energica della Marshall.

Julian Coppe
Pluripremiato coverman. Nota la sua emotività per la lacrima che esplode.

Country Joe and the Fish & Chips
Preziosa aggiunta a un menù pacifista.

Daft Pink
Per la par condicio, sono due ragazze a fare le cover.

Brian Ano
Fortunato non musicista.

Girmi Hendrix Experience
Al termine del concerto vi vende forni elettrici, sbattitori e tritaghiaccio.

Bolly Huddy
Indovinate chi coverizza?

Queen Crimson
La Toyah fa le cover del marito.

Park Lanegan
I concerti si svolgono solo in aree protette, garantendo il mantenimento del livello di biodiversità presente e le caratteristiche del paesaggio.

Pussy in Calore
Giustamente vietati ai minori.

R.E.M.I.G.I.
Incredibile, Stipe e Buck hanno fatto una cover band di Memo Remigi!

Ramone
Cinque ragazze di nome Ramona fanno le cover dei fratelli Ramones. Neanche loro sono sorelle.

Sottilette Kraftwerk
Sintetizzano, filano e fondono.

Giacinto Scelse
Inizialmente coverizzava vari compositori.

The The End End
Rifanno tutto 'Mind Bomb' fino alla fine.

Massive Art Attack
Giovanni Muciaccia alle prese col Bristol Sound.

Sonic Lute
Prestare il liuto al noise è formidabile.

Third Ball Band
Aggiungono qualcosa ai quattro elementi. La loro quintessenza. O una protesi?

Johnny Cash and Carry
Concerto dove il dettagliante acquista merce, paga in contanti e porta via con mezzi propri.

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