Per molti è rimasto una specie di oggetto misterioso, alcuni l'hanno addirittura additato come simbolo della decadenza artistica dei Muse, eppure "Black Holes And Revelations" è un disco straordinario. Perchè?

Semplice, perché è l'ennesima conferma che i Muse sono in grado di mutare costantemente stile e approccio alla loro musica mantenendo intatta la loro purezza espressiva come solo i più grandi sanno fare. Ci sono un sacco di cose da dire su questo album, a cominciare dalla copertina: è la seconda, dopo quella di "Absolution", a non presentare né il titolo né il monicker della band, segno di grande fiducia in se stessi da parte dei Nostri, ormai certi che basti la loro musica per renderli inconfondibili, e dopotutto solo un cieco potrebbe non essere affascinato da questa copertina, superba nel contrasto tra il blu del cielo e il rosso acceso della valle marziana di Cydonia, con i quattro cavalieri dell'apocalisse e i loro cavallini giocattolo. Altro punto d'onore per i Muse sono i videoclip, e anche stavolta non hanno deluso le aspettative, regalandoci autentiche perle della difficile arte di associare la musica alle immagini: allucinato il video di "Supermassive Black Hole", meravigliosamente pacchiano quello di "Knights Of Cydonia", poetico quello di "Invincible", stupendo e di grandissimo impatto, pur nella sua semplicità, quello di "Starlight".

La parola d'ordine di "Black Holes And Revelations" è sperimentazione, intesa come ricerca sonora e apertura a nuovi suoni e influenze musicali. È un disco che nasconde chiavi di lettura e significati profondi, dove niente è come sembra, un percorso tortuoso e inquieto, familiare eppure tutto da scoprire, sospeso tra la Terra e Marte, tra protesta, ottimismo e disillusione, è sontuoso come di norma deve essere un disco dei Muse e in ultima analisi è il disco delle contraddizioni, un disco multietnico e multisonoro in cui convivono armonicamente il neoclassico e l'ipermoderno.

Sono le tastiere di "Take A Bow" a introdurci in questo mondo di buchi neri e rivelazioni, tastiere cupe e incalzanti per una canzone che cresce sempre di più, che scaglia un anatema contro i cosiddetti potenti della Terra e che ipnotizza dal profondo. Momenti di altissimo valore musicale sono anche "Supermassive Black Hole", il cui groove soffocante nasconde un testo che parla della distruzione di una relazione attraverso metafore raffinate e ambigue, oppure la stralunata "Exo-Politics", dal ritmo a cui resistere è impossibile, in cui si ipotizza un'invasione aliena. Invasione che porterà a conseguenze positive o negative? Sta a voi interpretare...

Il fascino dei contrasti, a cui sono sempre stato molto sensibile, è incarnato da "Map Of The Problematique", dal un groove danzereccio catchy e travolgente, ma che parla di solitudine, paura e depressione. Atmosfere spaziali per descrivere dolori e sensazioni assolutamente terrestri. In "Black Holes And Revelations" può anche succedere che il sound dei Muse si contamini con influenze squisitamente mediterranee; nasce così "City Of  Delusion",  con un testo che ci trasporta tra i tormenti dell'anima umana celati sotto archi saraceni e ottoni spagnoleggianti, di una bellezza disarmante, grazie al sentimiento e alla pasiòn che come al solito Matt Bellamy instilla in ogni singola nota. Chitarre di gusto gitano ci introducono alla più tormentata e sommessa "Hoodoo", che ci parla di sogni, rimorsi, incubi e rimpianti su un sottofondo delicato eppure teatrale.

L'unica erede di "New Born", "Plug In Baby", "Stockholm Syndrome" e "Hysteria" è invece "Assassin" epica e quasi metallara, nell'incipit soprattutto, con un Dominic Howard molto Portnoyiano; ritornello killer e testo quasi anarchico. Come non emozionarsi poi davanti ai due minuti e tre secondi della dolcissima "Soldier's Poem", poesia pura traslata in musica da una voce angelica accompagnata da una semplice chitarra acustica e da cori con effetto riverbero stile Queen anni '70, seguita da "Invincible", che sempre restando in tema queeniano potrebbe essere la loro "Who Wants To Live Forever" per intensità espressiva e pathos, una ballata che è anche un inno alla libertà, una marcia sommessa che sfiora le corde dell'emozione, con un Matthew Bellamy superlativo che ci regala una delle prestazioni più straordinarie non solo della sua fulgida carriera ma anche nella storia di questo tipo di canzoni, in cui l'elemento centrale è l'emozione trasmessa con il canto..

Avete voglia di un sound un po' più solare e pop? Bene, siete accontentati con "Starlight", pop rock eccelso, un po' "Bliss", da cui riprende l'uso delle tastiere e un po' "Time Is Running Out" per i sintetizzatori, piacevolissima oasi di orecchiabilità pop nei meandri dell'album. A chiudere la nostra escursione tra cielo e terra è "Knights Of Cydonia", ovvero i Rhapsody Of Fire trasportati dalla verdi valli delle Terre Incantate alle lande desolate e popolate di banditi di un far west marziano, linea melodica trascinante e straordinaria e assoli cavalcanti che rompono la tradizione Museiana di mettere a chiusa di un album un lento.

Beh, io vi ho raccontato questo disco attraverso le mie sensazioni e le mie interpretazioni, ora sta a voi decidere: lo catalogherete come flop artistico oppure vi farete trasportare tra gli scenari che questi tre marziani hanno deciso di donare a noi poveri terrestri?

"Come ride with me, through the veins of history, I'll show you a god who falls on the job, how can we win when fools can be kings, don't waste your time or time waste you"          
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