Ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Venerdì 15 luglio 2011, h 17:15

J: Ciao P, sono J. Ascolta, sono in vacanza in un paesino sperduto in Südtirol: qui non parlano italiano manco a pagarli, la media è due gradi sopra lo zero, gli abitanti sono tredici, le mucche ottantasette e non c'è nemmeno un internet point. Puoi comprarmi il biglietto per gli Opeth su TicketOne?

P: Sicuro.

(I veri amici si riconoscono nel momento del bisogno, per tutto il resto c'è MasterCard)

Non potevo crederci, finalmente il sogno di una vita si stava avverando: avrei visto gli Opeth dal vivo! Seguirono quattro lunghi mesi di trepidante attesa, fino all'euforia dei giorni prossimi al concerto, durante i quali, tra colpi di scena e clamorosi bidoni, la nostra presenza, nonostante i biglietti sicuri, rimase in forse fino all'ultimo.

Fu così che, dopo un viaggio ferroviario relativamente tranquillo (ma turbato da mezzora di ritardo) alle 18:30 di giovedì 24 novembre io e G raggiungevamo il misterioso Alcatraz, già animato all'esterno da qualche centinaio di persone in coda, nonché da alcuni improbabili bagarini che si offrivano addirittura di comprare (?!) i biglietti. In capo a un quarto d'ora eravamo dentro e, dopo un prudenziale pit-stop al bagno, conquistavamo la nostra postazione, neanche male devo dire, a circa dieci metri dal palco.

Pain of Salvation

Puntualissimi, fanno il loro ingresso alle 20. Anche loro, come gli Opeth, hanno pubblicato da poco un nuovo album e, sempre come i suddetti, hanno mutato il loro stile. Bè, a giudicare dalla risposta del pubblico direi che il nuovo album è stato metabolizzato bene dai fans che, sin dalla potente opener Softly She Cries, partecipano entusiasticamente all'esibizione della band. Ammetto di non aver mai ascoltato questo gruppo, del quale peraltro s'è parlato assai bene; fortunatamente la mia ignoranza musicale non m'ha impedito di apprezzarli: questi ragazzi, oltre ad avere una perizia tecnica notevole, nessuno escluso, sono veramente energici e vederli suonare è un vero e proprio spettacolo. Daniel Gildenlöw fa prodezze con la voce, Johan Hallgren è letteralmente un animale da palco, il tastierista ed il bassista, seppur meno esplosivi, svolgono un lavoro egregio, lo stesso vale per il batterista Léo Margarit, discreto in quanto a presenza scenica ma eccezionale nel lavoro svolto.

Per la delusione dei fans i PoS ci salutano dopo nemmeno quaranta minuti, quaranta minuti durante i quali, coadiuvati da un'acustica pressoché perfetta, si sono mossi tra musiche celestiali e ritmi assassini, il tutto con la massima disinvoltura.

Opeth

Ormai il pubblico è tutto per loro, di quando in quando parte qualche coro e, come vengono preparati gli strumenti, l'eccitazione sale vertiginosamente: ci siamo quasi! Alle 21 la musica si spegne, si spengono anche le luci, anzi, no, le riaccendono, è tutto blu e parte l'inconfondibile Through Pain to Heaven: ci siamo! Nella penombra del palco fanno il loro ingresso:

 

  • Mikael Åkerfeldt, ovvero il Frank Sinatra del death metal o, se preferite, i baffi più famosi di Stoccolma.
  • Martin Mendez, ovvero il Jaco Pastorius dei poveri.
  • Martin Axenrot, ovvero il Legolas dei poveri.
  • Joakim Svalberg, ovvero il Jens Johansson dei poveri.
  • Fredrik Åkesson, ovvero il Napo Orso Capo di Svezia versione XL.

Quattro rapidi colpi di hi-hat e The Devil's Orchard ci travolge, letteralmente. Incredibile la risposta del pubblico, tutti cantano a squarciagola, noi compresi. Segue I Feel the Dark e, ancora una volta, il pubblico c'è. È incredibile la potenza che acquisiscono in sede live i brani di Heritage, un album tutto sommato "leggero" per gli standard cui i nostri ci hanno abituati. Dopo questa efficace doppietta quella faccia di bronzo di Åkerfeldt comincia ad offrire al pubblico deliranti discorsi, nei quali deride:

  1. L'Italia (Italy is a fantastic place to live in, especially considering its food, wine, beautiful women, pornography... o I've found out I have a renewed interest in Italian music: you guys have such amazing musicians, just like Eros Ramazzotti)
  2. I membri del gruppo (Martin Mendez looks like the lovechild of Ian Hill of Judas Priest e Axe is the lovechild of Tom Selleck and Sebastian Bach)
  3. Il pubblico stesso! (come quando ci tratta come degli ignoranti: This is an electric guitar. The lowest string is tuned to D instead of standard E... o These are acoustic guitars and sound like this...)

Dopo qualche minuto di cazzate in libertà l'arpeggiante Mikael da il via ad un classico, Face of Melinda, uno dei momenti più belli dell'intera serata, seguito a ruota dall'oscura Porcelain Heart, arricchita (o deteriorata, fate voi) da un discutibile assolo di Axe. Mike dice che vuole mettere alla prova la nostra fede ed ecco che i nostri ci trasportano nei territori della fusion con Nepenthe, a mio avviso la migliore di tutta la serata.

Via le chitarre elettriche, è il momento del breve set acustico: The Throat of Winter, Credence e Closure in rapida successione. Smessi i panni folk, i nostri ci regalano le ultime perle elettriche: dalla spaccona Slither passando per una toccante A Fair Judgement quasi doom nel finale sino alla maestosa Hex Omega, che conclude alla grande il concerto... che non può certo finire così! C'è ancora tempo per le ultime farneticazioni di Mike ed i giochi di prestigio del rookie Joakim, uno che deve essere cresciuto a pane e Jon Lord, a giudicare da come si muove dietro all'Hammond; ed ecco l'encore: Folklore. Ho già detto che lo considero il brano meno riuscito di Heritage, fortunatamente il coinvolgimento live è grande, e la canzone passa senza troppi problemi, se solo non fosse l'ultima! Mikael, Fredrik, Joakim e i due Martin salutano il pubblico e se ne vanno e, con loro, la magia che solo la loro musica riesce a trasmettere.

Considerazioni post-concerto

Per essere la prima volta che andavo ad un concerto "serio", devo dire che è stata positiva, anche se qualcosa m'ha lasciato un po' perplesso. Niente da dire sui PoS: molto bravi, energici e con un suono pressoché perfetto, cosa che, purtroppo, non si può dire degli Opeth, dato che, a volte, il basso di Mendez era troppo forte. Ok, ok, si tratta solo di dettagli di bilanciamento, ma influiscono a modo loro. La scaletta non m'ha tormentato più di tanto, a dire il vero, e poi parliamoci chiaro: epoca di internet + i soldi non sono mai abbastanza = mi sono informato preventivamente per assicurarmi che non fosse una fregatura. Certo che, pure amando tutta la produzione di Åkerfeldt, ho trovato talune scelte piuttosto discutibili, così come l'idea di silurare in toto il growl: dando per scontato che intendessero fare un growlless show, dei classiconi come Windowpane o Harvest ci sarebbero stati dentro benissimo e, se proprio volevano rispolverare canzoni meno inflazionate, Benighted ed Atonement erano lì ad aspettarli.

Il pubblico italiano è sempre il pubblico italiano (se poi consideriamo la cerchia dei metallari...): poco avvezzo ai cambiamenti, si è mostrato un po' freddino nei confronti di canzoni come l'oscura The Throat of Winter e l'atipica Nepenthe. Non di rado si potevano udire urla del tipo "deliverance!" o "master's apprentices!", il tutto condito da pronunce a dir poco fantasiose. Già, l'inglese è la bestia nera dell'italiano medio, e sovente alle battute di Åkerfeldt seguiva un imbarazzante silenzio (come quando disse "Red is a fucking ugly color!"). È altrettanto vero che il frontman, dal canto suo, di cazzate ne ha dette, e anche troppe: quella sera insisteva col termine "lovechild" (gliel'avrà insegnato Steven Wilson) e le battute su Ramazzotti, peccato per quella su Pasolini, a mio avviso evitabile e loffia. Ed è un peccato vedere il montatissimo Åkerfeldt declamare sul palco con fare da Marchese del Grillo: dov'è finito il ragazzone svedese bonaccione che conoscevamo?

In conclusione

Un bel concerto, niente da dire, non indimenticabile, ma comunque notevole.

Nota di merito per l'Alcatraz: semplice e abbastanza spazioso il locale, i miei applausi vanno alle signorine del guardaroba.

 

P.S.: ricordarsi di portare uova e pomodori da lanciare al Marchese la prossima volta.
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