the headless horsemen - can't help but shake Vabbè beccatevelo tutto che tanto è tutto, ma tutto… buonissimo
Non sembrava destinato a durare.
Perché sembrava, e forse lo era, un divertissement.
Una cosetta da dopolavoro assemblata dai nuovi disoccupati della scena garage newyorkese: Peter Stuart dei Tryfles, Elan Portnoy dei Fuzztones, Chris Cush degli Amps e Celia Farber anche lei ex-Tryfles, presto rimpiazzata da Ira Elliot dei Fuzztones prima e quindi da David Ari per le ultime sessions del disco e che più tardi siederà dietro la batteria per i Devil Dogs e i Times Square.
E perché allora gli si preferivano spesso dischetti meno complessi e più “selvaggi”.
E invece, riascoltato oggi, Can‘t Help but Shake ha conservato intatto il suo fascino.
Anzi, è diventato anche più bello. Perché è si un disco che si nutre di certa tradizione sixties come molti dell’ epoca, ma lo fa in una maniera diversa.
Con un respiro tutto suo e i boccagli attaccati alle bombole di ossigeno del power pop dei Raspberries, dei Flamin’ Groovies, dei Last e dei Plimsouls.
È su questo tavolo da gioco che Elan e Peter si giocano la reputazione conquistata negli anni di militanza nelle rispettive band, spostando il tiro verso un suono aperto a influenze folk-rock, Merseybeat (la title track è un pezzo degno di Gerry and The Pacemakers), psichedelia west-coastiana (Her Only Friend è un dolcissimo richiamo all’epoca dei fiori), power-pop e inflessioni jungle-beat degne di Bo Diddley (Same Old Thing) così come a certo freakbeat figlio dei Pretty Things (Not Today, tutta giocata sul filo di un’armonica e arabeschi fuzz) e alla turbe psichiche degli Elevators (se non ci vedete le spirali di Rollercoaster dentro I See the Truth cominciate a preoccuparvi, NdLYS).
Pochi possono contare su un lavoro di chitarre e di voci così prezioso nel giro neo-garage in cui gioco-forza vengono infilati. Chris del resto è un fanatico e un intenditore di strumentazione vintage e riesce a trovare il suono adatto ad ogni esigenza. Finirà infatti di lì a poco a gestire il più rinomato negozio di strumenti di tutta New York, al n. 102 di St Mark‘s Place.
E se la versione frastornata e drogata di Cellar Dwellar non può competere con quella al testosterone dei Fuzztones, le riprese di Bitter Heart dal repertorio dei Tryfles e di I See the Truth da quello degli Optic Nerve fanno il vuoto tutt’intorno.
Can‘t Help but Shake è album dalla bellezza folgorante.
Una nugget per palati fini e per allucinate go-go dancers con le curve da vixen.