Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su scaruffi.com

Non è mia consuetudine recensire album di questo genere ma quando il prode Floyd mi ha invitato ad ascoltare questo "Premonitions" (VR Productions, 1992) dei Vampires Rodents sono stato illuminato sulla Via di Damasco (a dimostrazione che non ho preconcetti di sorta ad ascoltare cose che escono dal mio normale orticello. Sono disposto ad ascoltare DAVVERO di tutto basta che ci siano IDEE NUOVE e CORAGGIO, poi il resto viene da sé).

Bene signori, qui lo dico e NON lo nego: questo disco è qualcosa di assolutamente unico e travolgente, qualcosa di raramente udito prima (almeno da me) dove una certa idea di "industrial" e di "dark" si fonde con qualcosa che si avvicina allo spirito Zappiano e alla sperimentazione più oltranzista senza scadere nella noia o nell'esercizio fine a se stesso.
All'organico di base del primo album (Anton Rathausen, antropologo - Victor Wulf , autore di colonne sonore per il cinema - Karl Geist e Jing Laoshu, antropologi anch'essi) si aggiunge Andrea Akastia al violino e al violoncello (Geist aveva abbandonato dopo il primo album).

Brani, come "Babelchop" e "Burial At Sea", sono campionamenti di ritmi industriali, usati come bizzarro sottofondo per l'ispirata e allucinata recitazione di Rathausen o per l'inquietante atmosfera del violino, come in "Waterhead". Altri, come "Babyface", sono assemblamenti disordinati e schizzofrenici di manipolazioni elettroniche senza soluzione di continuità, vicini ai confini di una certa avanguardia elettronica (Ovulation, Sitio).
"Annexation" sconfina verso una new age etnica e sinfonica mentre "Book Of Job" si orienta su altri territori, verso un'elettronica "cosmica", con rituali arcaici-industriali in una muraglia di "voci" a supporto davvero sconcertante. Ogni brano OSA sempre un po' di più e spinge l'ascoltatore a spostare i limiti di quello che ha appena digerito solo pochi minuti prima!

Il disco si assesta dopo oltre un'ora, nel sibilo impercettibile di "Colonies", in quel territorio indefinito in cui si incontrano musica ambientale (Eno) e musica cosmica (Schulze) quasi a riprendere fiato dopo la cavalcata noise di sperimentazione eccessiva (anzi… eccelsa in molti momenti) e quasi psicadelica.
Una delle cose più sorprendenti di questo capolavoro, sono gli intermezzi fra un brano e l'altro. Stacchi di assoluta avanguardia, manciate di secondi disseminate tra un brano e l'altro con intermezzi non-sense, sigle televisive, spezzoni di musica anni 30, in un frullatore davvero stralunato che tanto deve al compianto Frank Zappa.

Se alcuni conservano un'identità di fondo, con pezzi "abbastanza" delineati in un genere, in altri "l'arte del collage impazzito" si fa frenetica e assolutamente folle, e gli inserti scorrono rapidamente, come in una sorta di "radio valvolare impazzita" ricca di stramberie dadaiste fra serialismo, free jazz, collage elettronico, un tour de force di campionamento e di manipolazione di nastri provenienti dalle direzioni più disperate (nel brano "Demon Est Deus Inversus" trova persino spazio un brano di dissonanze per un'intera orchestra!!).
E' un esperienza esaltante quella che ho provato, un qualcosa di allucinante e "veramente tossico", un vero shock per le orecchie di chi ascolta, musica da Vero Sconvolgimento (specie se ascoltata a volumi alti). Una musica perfetta per vivere "l'incubo più oscuro"; musica dall'oltretomba mixata a qualcosa di completamente spiazzante che ti da una fortissima scarica di adrenalina quasi come gli elettrodi impiegati in un reparto di rianimazione, che ti fa desiderare di riascoltarlo un'altra volta, un'altra volta e un'altra ancora e via via, fino allo sfinimento.
Grazie ancora Floyd: ottimo trip!! :)

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