Il percorso sintetico per diventare "Heroes"

ovvero "c'è la Old Wave, c'è la New Wave e c'è David Bowie"

Riassunto della puntata precedente: Bowie dopo il missaggio dell'introspettivo "Low" decide di rimanere a Berlino per lavorare al suo progetto elettronico e continuare il percorso di guarigione interiore.
La storia iniziata nella recensione dedicata a "Low" continua ora con il secondo capitolo della saga berlinese di David Bowie e Brian Eno. Siamo nel maggio del 1977, le strade di Berlino sono ancora un po' fredde, ma nell'esistenza dei musicisti comincia a soffiare un po' di primavera. "Lust For Life" dell'amico di Iggy Pop è completato, Bowie richiama agli studi Hansa By The Wall i vecchi compagni di delirio a cui si aggiunge Robert Fripp dei King Crimson, grande innovatore e scienziato del suo strumento.

Il confronto tra l'oscurità e la speranza di sopravvivere crea nell'autore una specie di sentimento di rabbia: è questa l'atmosfera che si respira nel primo lato di "Heroes". Le creazioni sono ancora lontanissime dalla forma-canzone, "Beauty And The Beast" e la seguente "Joe The Lion" vengono cosparse di coretti assurdi e la voce del leader è bassa, poi alta, l'effetto è isterico e delirante, così come sono deliranti le manipolazioni di Eno e Robert Fripp. Dal primo impatto ci sembra che la musica ritorni alla vita, e per farlo diventa arrabbiata, decisa, incomprensibile nella sua pazzia. I ritmi si fanno ancora più serrati e terreni nella seconda traccia, ma con con la title-track ci solleviamo in alto in lato nel cielo e raggiungiamo uno dei picchi più grandiosi di tutta la produzione bowiana e forse di tutta la musica di sempre. Il brano è epico, celebrativo, fastoso, ma allo stesso tempo freddo, cinico, essenziale. Brian e David riescono a coniugare speranza e nichilismo nelle liriche e sonorità di due innamorati, di due tossici, di due soldati. "Heroes" è il futuro di una coppia che si bacia sotto una torretta di guardia accanto al Muro, ma è anche il sentimento del Nulla di un tossicodipendente che sa di non poter giungere vivo al giorno dopo. Quando la voce di Bowie salta di qualche ottava più in alto si crea un effetto unico nella storia del rock, e i cori di Eno e Visconti sono veramente da brivido: ci baciammo come se niente potesse succedere e la vergogna era dall'altro lato. La consapevolezza che siamo nulla, e nulla ci aiuterà precipità nell'oscura "Sons of The Silent Age", in cui ci sembra di vedere tanti ragazzi brancolare alla fermata dello Giardino Zoologico di Berlino. È il tempo di un respiro, perché poi si ritorna sui toni impazziti delle prime due tracce con "Blackout"... ogni volta che ascolto quel get me to a doctor's I've been told someone's back in town the chips are down I just cut and blackout I'm under japanese influence and my honour's at stake rimango di stucco davanti alla naturalezza con cui l'artista inglese versa le sue angosce su nastro.

La terapia di Bowie continua con un secondo lato strumentale che può ricordare quello di "Low", anche se i toni sono più vari e meno "metallici": in "V-2 Schneider" abbiamo una linea di sassofono riconoscibilissima e "Sense Of Doubt" è tenebra sottovuoto nella notte suburbana di Berlino. In "Moss Garden" per la prima volta da tanti anni le sonorità escono all'aria aperta, diventano soffici grazie al raffinato arpeggio di koto... ma la liberazione è ancora lontanissima e ora Bowie sta passeggiando nella desolazione del quartiere "Neukoln", circondato da suoni claustrofobici come palazzi grigi. Il sassofono è un disegno tremolante nell'aria ambigua di questo maggio berlinese dove spirano i profumi etnici di "Secret Life Of Arabia".
Tutto in questo disco è leggenda, non solo la musica e la portata innovativa, ma anche la copertina del fotografo Sukita, che ci presenta un artista maturo che rinuncia ad ogni maschera e punta all'essenzialità bianca e nera della posa tratta dal quadro "Roquairol" di Heckel. Dalle foto del libretto deduciamo che il personaggio sta diventando persona e l'alieno uomo: in "Heroes" Bowie è stralunato e fasciato dalla sua giacca di pelle nera ed elettronica corre per le strade di Berlino, ogni tanto si ferma per prendere il respiro, abbassa il capo e si passa le mani tra i capelli. Poi riprende a correre su una salita disperata e rabbiosa...

da "Sons Of The Silent Age"
"Sons of the silent age
Make love only once
but dream and dream
They don't walk,
they just glide in and out of life
They never die,
they just go to sleep one day"

ps: come ho già scritto nella recensione di "Low", a chi è interessato ai retroscena del lavoro berlinese propongo la lettura di "Trans Europe Excess", articolo tratto dalla rivista "Uncut" e visitabile ai seguenti link da velvet goldmine :
uncut 1
uncut 2
uncut 3
uncut 4

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