editoriale di Hank Monk

È proprio vero che si nasce incendiari e si muore pompieri.

Ma magari anche no; cazzo.

Ultimamente sono molto confuso e non capisco se sto diventando uno sbirro o se, au contraire, gli autoproclamatisi "intellettuali progressisti de' sinistra" degli ultimi anni siano una massa di deficienti:

- Ho provato un fastidio vero, un misto di latte alle ginocchia\cascamento di palle\Fremdschämen l'altro giorno entrando in edicola e vedendo questa copertina

A mio discapito, mi dico:

- dai suvvia, è Rolling Stone Italia...ha sempre fatto schifo

Più in generale però mi viene da riflettere sul vuoto ideologico e, probabilmente anche, culturale di questa "intellighenzia" progressista che pur di sentirsi in qualche modo "antifascio" non si accorge di stare difendendo da anni gli organi più classisti di tutti, del suo disprezzo verso laggente, di come questa presunta superiorità intellettuale che manifesta sia un qualcosa di così fastidiosamente fasullo da fare venire rabbia.

Qualche esempio:

- la genialità della classe dirigente di un partito nell'usare "sovranista" come sinonimo di "fascio".

- l'avere come paladini dei Bocconiani di ferro che militano per il liberismo finanziario più spinto

- il predicare lo sterminio delle piccole e medie imprese e delle piccole medio banche

- Fazio, Littizzetto, Gruber e Volo

Insomma ragazzi, la vedo grigia.

Torno ad appendere le croci al contrario e mettere a palla Reign In Blood.

Pregate per la mia anima

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Il mondo di oggi gira davvero in fretta.
Fai appena in tempo ad arginare un problema che l’argine ti crolla addosso.
Fai in tempo a partire che sei già tornato.
Ad innamorarti che sei annoiato.


Prendi, per esempio, il nostro amato ex presidente del consiglio.


Le sue amicizie con Putin e Gheddafi sembrano oggi capolavori di politica estera.
Le sue posizioni anti-Euro un inno laburista alla sovranità monetaria.
L’odio che suscitava motivo di lustro per la sinistra italiana.
Era morto ed è risorto.

L'attacco mediatico a Kevin Spacey ha un che di manicheo e l'ipocrisia debordante che lo pervade mi fa addirittura rimpiangere certe tendenze sessiste passate.


E poi fanculo, mi scopo le marocchine minorenni a pagamento e se mi scoprono do la colpa al capo di stato di un paese del cazzo del terzo mondo!

La natura umana è strana; rovina tutto. Ha nostalgia di tutto.

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editoriale di Hank Monk

“Credo di avere terminato l'età della post adolescenza lunga, sai? È un po' che affronto la vita con così tanta gioia che ho quasi il terrore del tempo che scorre”.
Si aggiusta il ciuffo spettinato, e con fare solenne riabbottona la camicetta.

La ragazza continua ad abbracciarsi le ginocchia, accarezzata dalla brezza tiepida. Assorta nello scrutare l'orizzonte bagnato dal mare chiede:

“Che bisogno c'era di tuffarsi? È l'una del mattino!”
“Senti, non so cosa mi è preso... mi sento una frenesia nelle vene! Sono felice di essere al mondo, ecco.”

Ancora mezzo bagnato Holden si siede di fianco alla ragazza. Le scocca un bacio sulla guancia, e la abbraccia. Appoggia la testa sulla sua spalla:

“Non condividi il mio entusiasmo? Mi sembra di avere bevuto; di essere ubriaco!”
“Dai, non starmi addosso... sei ancora bagnato. E se poi prendo un raffreddore?”
“Ci saranno almeno 30 gradi, amore! Non cominciare a fissarti!” le dice mentre le aggiusta una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

La ragazza accenna un sorriso. Si volta un attimo e continua a fissare quel lieve movimento di luce che riflette tra cielo e mare.

“Non mi è piaciuto tanto lo spettacolo. Un po' macabro, non trovi?”

Sul lungo mare avevano improvvisato una commedia drammatica. Terminava con un monologo in cui il protagonista tenendo in mano il suo cuore, tentava di essere divertente.

“Persy... era patetico. Non macabro! Ma sai una cosa? Mentre lo guardavo pensavo... quell'idiota non ha in mano un cuore! Ha in mano un pezzo di gomma che sembra un cuore.”
“Hai detto sembra, in corsivo?” ride Persy.
“Sì ho detto sembra! In corsivo” e le si avvicina al viso fino a sfiorarle il naso. Con aria trionfale e leggermente ebete continua, calcando ancora di più il corsivo:

“Sembrava! Ma dimmi un po': ti pare che abbiamo bisogno di qualcosa che sembra un cuore? O forse che un cuore, uno vero dico, non ce lo abbiamo già in petto? Batte come un martello!”
Persy ghigna nella penombra: “Siediti, dai. Che poi ti agiti troppo!”
“Ma che agito! Sono felice! Inebriato! Ti amo!”
“Davvero?” Lo guarda tra divertita e stupita.
“Ma sì lo sai...per una volta che non mi lamento!”
“Ti lamenti sempre!”
“Non oggi! Non adesso! Sono qui ed ora. Cavolo Persy...baciami dai!”

La sabbia sembrava un tappeto: soffice, compatta, calda. Pareva un abbraccio. Un rifugio. Ancora mezzo intorpidito Holden si stiracchia lasciando l'impronta sulla sabbia. Lo sciabordio del mare ritmava il tempo del risveglio. Ancora con gli occhi chiusi cerca il fianco di Persy; lo abbraccia e le si fa vicino.

Una corsa veloce, leggera, gli fa aprire gli occhi di colpo. Alla prima corsetta si uniscono altri passettini: leggeri leggeri. Una moltitudine ormai. Un coro cristallino, un mormorio, un singhiozzo flebile e acuto si pronuncia: “In piedi forza!” Un profilo esile, non più alto di un metro si oscura in controluce: “Cosa fate qui?” Persy con un sussulto si rizza a sedere e stropicciandosi ancora gli occhi: “Bambini, per favore...”

“No, hanno ragione. Forza! Siamo già invecchiati abbastanza su questa spiaggia avanti!”

Persy si alza e prende per mano Holden.



Immagine di copertina: "Night swimming" by Jesse Glenn


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editoriale di Hank Monk

Lungi dal credere che, in qualche modo, si possa estrarre un significato dal tuo sguardo.
Non promette gioie, non alimenta il mio ego, non mi fa fremere la carne; un nero opalino che schiarisce il sangue con la sua intensità. Bello in sé. Significato e significante.
Non sorridere, non ti sto adulando.
Solo, per un momento, ho smesso di amare me in te. Di cercare in te il mio compimento. Solo, per un brevissimo istante, finalmente, mi sono sganciato da questa angoscia che mi insapidiva le membra.

Affretto il passo, mi allontano con la curiosità di osservare il resto del mondo con i tuoi occhi. Dietro ai tuoi bruni riflessi sembra tutto più gentile. No, non sto cercando nemmeno una guida: non mi prendere per mano. Scomponi i miei riflessi; dirigili altrove. Circondami col tuo tenero brumore. L'allegria, è tutto uno scherzo. Mi sento ora veramente in pace, e non ho bisogno di schiamazzarlo. Senti come pulsa, come pulsa la vita.

Ritrovo poco alla volta la gioia della semplicità.
E ricordo.
Ricordo con quanta energia mi si riversava dallo stomaco alle gambe, dagli occhi al cuore, l'entusiasmo. Era così genuino; come è potuto mai trasformarsi così tanto.
Come è potuto diventare lo spauracchio che fino a poco fa mi si muoveva sotto la pelle. Come un prurito, una smania. Una fretta di esaltare, e informare tutti. Tutti informati. Tutti attenti; e a loro volta così prodighi di dettagli.

Grazie; è stata una risata liberatoria.
Ricordi?
Il vento di Novembre sul sudore della fronte. Gli odori erano così forti. E d'estate, sudati e rossi di vita. Era sempre una festa; un piccolo oscuro giardino che ogni volta si illuminava a giorno: bastava accendere una piccola candela.
Scusami se mi abbandono a questi ricordi; non voglio escluderti.
È che li contieni, e me li riversi addosso.

Bene, direi che ora possa bastare.
Sciogliti i capelli: un mosaico nero sulle tue spalle bianche.
Sì, sotto questa luce hanno riflessi quasi violacei.
Sì, sono così spessi.
Sì, sto andando a parare proprio lì: ma ora è diverso.
Ora siamo solo io e te.

Anzi; ci sei solo tu.

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editoriale di Hank Monk

Pochi al mondo cercano di afferrare il problema, altri se ne infischiano completamente.
C'è chi, per puro scrupolo a volte dà una breve occhiata; chi passa con un sorrisino imbarazzato, come per dire: "ma che vuoi che sia". Altri ne percepiscono magari il dramma ma hanno altre priorità, una pacca sulla spalla e via. Oppure c'è chi ci prova ma desiste a fronte delle difficoltà, o chi irrompe prepotentemente (e sono i peggiori) convinti che il cambiamento possa avvenire dall'oggi al domani.

Forse non ce ne rendiamo nemmeno conto, e forse potremmo addirittura essere noi stessi. Potrebbe essere quella signora, in coda dietro alla ragazza carina, o il piccoletto con gli occhiali che si affretta a riempire la sportina. E quel nostro conoscente, che in compagnia ride sempre forte, ma ha quel non so che di triste nello sguardo, siamo proprio sicuri che ne sia fuori?

Cosa ne è di queste persone quando voltiamo lo sguardo?
Cosa ne sarà di noi quando saranno loro a voltarlo?

Cambiando discorso per un attimo, non pensate anche voi che il Macca sia sempre stato un gran paraculo?
Io ne sono fermamente convinto, non lo nego: un canzonettaro, un piacione.

Eppure a volte mi ritrovo a canticchiare "Eleanor Rigby" e mi sento di volergli bene.

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Biologicamente parlando intendo: che senso ha vivere? Non mi sono risposto. Mi sono tuffato nella carne; convulsioni. Un fiotto caldo, un sussurro: non ho risolto nulla. Ho un problema con il sesso: troppo poco per essere ruggito sotto le stelle. Troppo per avere la dignità di raggomitolarsi in un angolo. Violento o nolente uno ha pur bisogno delle sue radici: che senso ha vivere? Biologicamente parlando intendo.

E allora di nuovo a capofitto in un vortice di membra, che non ti danno il diritto di parlarne, che non ti presentano mai il conto. Che non fanno certo di te un uomo migliore. Che uno poi si chiede il perché. Ma il perché lo conosciamo, o perlomeno io lo conosco. O perlomeno così mi han sempre fatto credere.

Che poi uno se ne esce con gli amici. Magari se la ride anche eh. Magari uno si sente anche a posto con la coscienza. Ma magari è sempre il solito sacco di merda. Che se uno fosse veramente a posto, io penso che non ne avrebbe neanche il bisogno. Che non vorrebbe nemmeno sentirne parlare.

E poi: io me ne vado! Questo paese non mi merita! Che sarà anche vero, per la miseria. Ma nemmeno tu meriti un posto migliore. Che una volta la dignità era spaccarsi la schiena; farsi tutta una guerra mondiale in prima linea; riuscire nonostante tutto a crescere dei figli normali. Che almeno uno aveva la possibilità di dimostrare quello che valeva, vero? Di prendere una posizione. Ora non ci resta nemmeno più quello?

La plastica è finita; ora son cazzi.

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Un vasto oceano di luce rifletteva dall’ancora più vasto oceano fluttuante. Le increspature e gli sfavillii si mescolavano generando un caos cristallino, dinamico e plasmabile, meraviglioso nella sua placidità. Tutta questa luce infastidiva l’uomo disteso sulla riva lambito dalle onde.
Erano anni ormai che ogni notte si distendeva sulla spiaggia lasciandosi bagnare dall’oceano ed erano anni che ogni mattina malediceva tutta quella luce.
Si rizzò in piedi di soprassalto e si diresse verso la sua abitazione; se è vero che i suoi risvegli erano sempre bruschi era però altrettanto vero che i suoi sonni erano deliziosamente tranquilli. Almeno fino a quel giorno: per tutta la notte era stato perseguitato da visioni e sensazioni di malessere.

Un peschereccio affondava lentamente in una lamina d’acqua grigia come l’acciaio, un totem volante incombeva sull’equipaggio congelato in posizioni innaturali e che sembrava non avere la minima intenzione di abbandonare la nave. Improvvisamente un lembo di terra colpiva l’imbarcazione mescolando cielo e terra: il totem assumeva proporzioni ciclopiche e si tingeva di cremisi. Un calore infernale evaporava l’oceano riscoprendo un fondale di velluti screziati e tardivamente rassicuranti.

Imboccando il sentiero di casa, rimuginando su quanto lo aveva turbato durante la notte, l’uomo venne colpito dallo strano frutto che pendeva dai rami della quercia ombreggiante la sua dimora. Il peso del frutto piegava il ramo che, inchinato, pareva invitare a coglierlo.

L’uomo corse in casa, ne uscì con un lungo coltello e recise di netto la corda che abbracciava l’esile collo e lo assicurava all’imponente pianta. La pelle d’avorio del corpo illuminato dall’impetuosa luce mattutina pareva avere una consistenza fluorescente; i capelli corvini disegnavano sulle sue spalle un labirinto di segni incomprensibili.
L’uomo trasportò il corpo con devozione e lo stese delicatamente sul tavolo di acciaio del giardino sul retro. In preda a un fervore quasi religioso colse calle, fiordalisi, gelsomini e biancospini e ricoprì il corpo di quella santa visione lasciandone trasparire solo gli occhi, ancora aperti e così profondi.

Pianse; e pianse tutte le lacrime che fino a quel giorno non aveva mai versato.

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editoriale di Hank Monk

Si era tutti in fila, pronti per essere giudicati. Remissivi e docili non si pensava ad altro che al proprio turno; certo, si sapeva che non tutti saremmo stati idonei. Io, per conto mio, pensavo ad un mare limpido. Colori saturi e morbidi: l’azzurro di un flutto, una spiaggia dorata, bagnanti con cappelli di pagliuzze e costumi rossi. Mi ritrovavo invece immerso nel grigiore, e non era facile accettare di non essere uno dei protagonisti della mia fantasticheria. La realtà era costituita da colori sgualciti, l’autorità era una cultura austera e auto compiacente; anche un poco boriosa, per dirla tutta.

Io lo stavo accettando, ma non riuscivo più a viverlo con serenità. Tutto quello che desideravo era un bel luogo in cui passare la mia vita, una donna da amare e delle persone di cui prendermi cura. E invece ero lì in fila, sperando in un successo che mi proiettasse in un futuro in cui dovermi mettere costantemente alla prova, spendere le mie energie per un qualche tipo di gloria. Sembra che sia necessario dovere dimostrare di essere qualcuno, come se la nostra abilità in una qualche disciplina ci potesse fornire l’attestato del nostro valore.

Perché bisogna sempre agire? Perché non basta essere?

Stavo rimuginando sulla mia triste condizione quando venni urtato; una voce gentile mi chiese scusa e mi sorrise. Fui molto grato a quella voce sorridente, mi infuse una certa tranquillità.
Sarebbe bello poter godere dei momenti felici anche senza esserne coinvolti in prima persona; il punto è che una cosa non è bella se non ci riguarda, e quel sorriso non mi avrebbe dato nessuna serenità se fosse stato rivolto a qualcun altro. Venni scartato, con infamia tra l’altro; ma quell’occasione mi permise di conoscere la ragazza che si celava dietro a quella voce sorridente e riscoprii il gusto di essere amato.


Il bello di essere amati è che si è amati per quello che si è, non per quello che si fa. Questo comporta una notevole serenità a riguardo della propria persona e della sua funzione all’interno di questo universo. Ed è questa serenità che ci permette di guardare il mondo con sguardo più compiaciuto; di non additare impietosamente alla pochezza della nostra vita, ma di vederla piena anche se vissuta nella nebbia.
Abbandonata l’angoscia di dovere dimostrare, si trova la piena gioia dell’essere: in questo stato riusciamo a godere anche di una brumosa periferia, della compagnia di persone che prima ritenevamo insoddisfacenti e si smette di arrovellarsi nel cercare un senso.

Il senso tuttavia è semplice: è essere felici. Ma per esserlo abbiamo bisogno di qualcuno che ce ne dia il permesso, qualcuno che ci accetti in quanto esseri statici e che non sia interessato ai nostri successi più di quanto non lo sia a ciò che potrebbe accadere durante un ipotetico scontro tra buchi neri.

che fiko quest'editoriale, allora scrivilo anche tu!

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