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Celentano a capo di un manipolo di irriducibili pensionati delle Poste.
 
BRUNO PIZZUL - intervista in Friulano sulla Ribolla Gialla

Salût, Bruno, e viôt di insegnai el furlàn, a chi lavíe.
 
Un Sogno Chiamato Florida | I Bambini Sono Tua Responsabilità Clip | Piano Sequenza

"Un sogno chiamato Florida"
di Sean Baker (2017)

con Brooklynn Kimberly Prince
Bria Vinaite
e Willem Dafoe

#35mm
 
The Thing - Better Living (Action Jazz, 2006)

The Thing
"Better Living ..." from: Action Jazz
2006 (Smalltown Superjazzz)

#jazzlegends
 
Season of the Witch (2006 Remaster)
Le più belle cover lisergiche mai fatte.
 
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Nobody Knows - John Lee Hooker
triste. traducetela e ascoltate.
buona e santa
 
Noumen …tempo fa scrissi “mai sottovalutare il jazz polacco”…e porca troia quanto avevo ragione! Stasera si pesca bene… #cazzochepezzo
 
Bad News Is Coming

#ilbluesnell'anima
 
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Ripropongo questo articolo di Giorgio Agamben - filosofo che spazia dall'estetica alla linguistica - sulle "preposizioni, e magari sugli avverbi", pubblicato su Quodlibet.it)

«Per liberare il nostro pensiero dalle panie che gli impediscono di spiccare il volo è bene innanzitutto abituarlo a non pensare più in sostantivi (che, come il nome stesso inequivocabilmente tradisce, lo imprigionano in quella «sostanza», con la quale una tradizione millenaria ha creduto di poter afferrare l’essere), ma piuttosto (come William James ha suggerito una volta di fare) in preposizioni e magari in avverbi. Che il pensiero, che la mente stessa abbia per così dire carattere non sostanziale, ma avverbiale, è quanto ci ricorda il fatto singolare che nella nostra lingua per formare un avverbio basta unire a un aggettivo il termine «mente»: amorosamente, crudelmente, meravigliosamente.

Il nome – il sostanziale – è quantitativo e imponente, l’avverbio qualitativo e leggero; e, se ti trovi in difficoltà, a trarti d’impaccio non sarà certo un «che cosa», ma un «come», un avverbio e non un sostantivo. «Che fare?» paralizza e t’inchioda, solo «come fare?» ti apre una via d’uscita.

Così per pensare il tempo, che da sempre ha messo a dura prova la mente dei filosofi, nulla è più utile che affidarsi – come fanno i poeti – a degli avverbi: «sempre», «mai», «già», «subito», «ancora» - e, forse – di tutti più misterioso – «mentre». «Mentre» (dal latino: dum, interim) non designa un tempo, ma un «frattempo», cioè una curiosa simultaneità fra due azioni o due tempi.

Il suo equivalente nei modi verbali è il gerundio, che non è propriamente né un verbo né un nome, ma suppone un verbo o un nome a cui accompagnarsi: «però pur va e in andando ascolta» dice Virgilio a Dante e tutti ricordano la Romagna di Pascoli, «il paese ove, andando, ci accompagna / l’azzurra vision di S. Marino». Si rifletta a questo tempo speciale, che possiamo pensare solo attraverso un avverbio e un gerundio: non si tratta di un intervallo misurabile fra due tempi, anzi nemmeno di un tempo propriamente si tratta, ma quasi di un luogo immateriale in cui in qualche modo dimoriamo, in una sorta di perennità dimessa e interlocutoria.

Il vero pensiero non è quello che deduce e inferisce secondo un prima e un poi: «penso, dunque sono», ma, più sobriamente: «mentre penso, sono». E il tempo che viviamo non è la fuga astratta e affannosa degli inafferrabili istanti:
è questo semplice, immobile «mentre», in cui sempre già senza accorgercene siamo – la nostra spicciola eternità, che nessun affranto orologio potrà mai misurare.»

Giorgio Agamben
Mentre
Quodlibet.it
14 marzo 2024

Ps. Io sto zitto e imparo, voi fate come volete.
 
主動 altro #boppone made in taiwan!