Nessuna musa ha mai fatto visita a Piero, carezzandolo con versi sublimi.

Non è un poeta, Piero, ma un uomo soltanto.

Eppure, la sua voce ti entra dentro. Scacciarla, col tempo, diviene impossibile.

Non adorna con immagini le proprie parole, Piero Ciampi.

Il suo è un parlare scarno e colloquiale. Forse proprio per questo ti entra dentro, scavando il proprio posto, senza chiedere niente. Senza chiedere permesso.

Eppure, un’immagine —una soltanto— si fa simbolo delle sue canzoni:

“Io e te abbiamo perso la bussola”. Un vortice, un nero gorgo.

Un imminente naufragio. Una Cariddi dei sentimenti.

È pur sempre nato a Livorno, Piero l’italiano.

E Livorno, anche quando vivi una vita da bohémien d’oltralpe, è lì dentro che soffia e sciaborda, come il libeccio sulla Terrazza Mascagni.

È pur sempre un poeta, Piero Ciampi, lo ammetto.

Se per poeta s’intende un artigiano della parola.

Ma Piero non lima le sue parole, bensì le soppesa, lasciandole però così come sono.

Le soppesa col proprio ruvido cuore, in un precario equilibrio.

Le carica su di sé, come un pescatore tira in barca le reti.

Che sia un poeta, lo prova il gorgo marino della sua voce, che inghiotte ogni fallimento.

Lo prova il suo dar voce ai quotidiani naufragi dell’amore.

Lo prova l’amarezza del suo rimpianto.

Lo prova, più di tutto, l’acredine della sua morte.

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