editoriale di CosmicJocker

Perché siamo utenti di Debaser?

Io una pseudo-risposta ce l'avrei: arricchimento e cazzeggio... E vanità, certo. Va considerata, ma solo come come il coriandolo o il cumino o la paprika nel cuscus.

La cosa interessante di questo posto è che le due cose - facciamo tre, considerando le spezie - si contaminano a vicenda e si possono trasformare non dico in leccornie, ma in piatti che titillano le papille gustative beh... Questo sì.

Semplici grani di semola macinati grossolanamente diventano non di rado interessanti intrugli ad alto grado di sapidità.

È un gioco, un bel gioco e giocare è una delle poche cose dell'umano vivere degne di non finire in bocca ad uno dei tre grugni di Lucifero.

Platone diceva che "si può scoprire di più su una persona in un'ora di gioco che in un anno di conversazione", ma - al di là del fatto che noi tutti giochiamo coversando tramite la parola scritta - non vi pare che il limite di un gioco, qualunque gioco, risieda nelle sue "regole d'ingaggio"?

Nelle recensioni di un'opera - almeno come lo si fà qui, ringraziando dio! - non solo il recensore scrive di quest'opera filtrandola attraverso la sua sensibilità, ma il recensore attraverso l'opera scrive di sé stesso.

Qual'è il limite del gioco Debaser? La parola scritta.

Forse il mio corto circuito di questo periodo è che vorrei conoscervi e farmi conoscere meglio, ma concordo con Ungaretti quando dice che "la parola è impotente. Non riuscirà mai a dare il segreto che è in ognuno noi".

Non è altresì da escludere che la giustificazione che mi ha portato a scrivere tutto ciò che ho scritto sia una menzogna più o meno cosciente e che l'abbia scritta solo per favorire lo smaltimento di una sbornia che ho - più o meno consciamente - deciso di concedermi.

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editoriale di CosmicJocker

Non saprei dire con esattezza perché accadde.

Forse a causa della mia immaginazione un po' troppo fervida?

Forse in ragione dei miei occasionali incontri con la nostra vicina di casa? (Cara donna per carità, ma decisamente sciroccata per tre quarti e per di più afflitta da un fervore cattolico degno di un Torquemada al massimo della forma).

Forse allora per il mio maestro di religione? (Brav'uomo chi lo nega, ma con sfumature di malcelato sadismo verso dei bimbi un tantino vivaci e dai quali, alle volte, veniva travolto).

Forse per nessuna di queste cause in realtà, o forse per la somma delle tre, oppure per qualche altro motivo che ora come ora mi sfugge.

In ogni caso, mi sembra di poter individuare chiaramente la classica goccia che fece traboccare l'altrettanto tradizionale vaso: la trafugazione dallo scaffale dei miei dell' "Inferno" dantesco.

Naturalmente non ero affatto interessato a ciò che vi poteva esser scritto, ma piuttosto subivo il fascino del titolo, di quella parola misteriosa che indicava un luogo lontano e sfuggente e di cui sentivo parlare gli adulti con intenzioni che mi parevano, di volta in volta, sempre diverse.

Aprì il libro a caso e...SBAM!

Come una capocciata sul muro! Come una pallonata nel basso ventre!

Con tutta la sua nettezza tempestata di dettagli, con tutta la sua potenza nobilitata dai resti delle vittime, lei era là, era là e mi fissava: l'immagine di Belzebù mi scosse nell'intimo e mi risucchiò nel suo cono d'ombra.

Per qualche tempo faticai a prender sonno la sera: immaginavo il Demonio, immaginavo che mi stesse ancora fissando e immaginavo di potermelo ritrovare nei miei sogni (lo sceneggiatore di Nightmare deve aver avuto uno schock simile al mio).

Nella mia mente, in pieno loop, creavo e ricreavo i particolari di quella creatura: lunghi artigli arcuati e giallognoli, volto in putrefazione sormontato da guizzanti vermiciattoli, piede caprino, grosse ali di pipistrello, corna di montone, e poi dei giganteschi, fiammeggianti occhi rossastri senza pupille.

Ma il tempo passò e, a poco a poco, non pensai più al buon Belzebù.

Ora sono grande ormai, ma questo non vuol dire che io non abbia più degli spauracchi: sono solo di una qualità diversa, più materiali (il più delle volte), più, diciamo, empirici.

E lo spauracchio tipico dell'inverno rimane, per me, la mostruosa bolletta del gas.

So che voi sapete che non esagero affatto (sulla sua mostruosità intendo), ma, visto che ho indugiato sui dettagli di una creatura immaginaria, mi soffermerò, visto che è arrivata proprio oggi, anche su quelli di una creatura reale:

Spesa per la materia gas naturale (ergo consumo effettivo): 40% del totale.

Spesa per il trasporto del gas naturale e la gestione del contatore: 13% del totale.

Spesa per oneri di sistema: 3% del totale.

Ricalcoli: 4% del totale.

Imposte: 22% del totale.

IVA: 18% del totale.

Il caro buon Belzebù ha sempre avuto di meglio da fare che infastidire un povero moccioso piscia-sotto, mentre questo nuovo spauracchio viene a trovarmi con pervicace regolarità.

Esisteranno esorcisti in questo campo?

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editoriale di assurdino

"C'hai fatto Assurdì? Me pari moscio". C'ho fatto Menelao, so tutto sderenato e pure con la fantasia sto al lumicino, quando scoperchio la bara, e metto lo naso fuori, tempo dieci minuti e mi son rotto li cojoni a meno che non becchi la giornata che tutto è cinema e, come dice il saggio, un colpo di coltello manda a puttane le "false scenografie del sensibile", che poi anche la saggezza, merda, non la sopporto più, perchè dai, possibile che sia tutto così complicato? Se Dio ci avesse voluto intelligenti non ci avrebbe fatto così scemi. "Scusa Assurdì, non ti offendere, ma secondo me ti ci vuole un po' di figa". Ma quale figa, Menelao! L'ultima erezione è roba del 72. "Fa niente, fa niente, quando sei li qualcosa fai comunque, fosse solo una strufagnata oppure un morsetto a quelle chiappette sode, del resto senza un po' di ciccia sotto i denti l'omo non è omo". Dici? "Dico, dico, pensa che l'altro giorno mi son portato appresso quel rimbambito di mi nonno, uno che se gli parli gli occhi gli diventan quelli del pio bove e che pare talmente morto che pure la morte gli scoccia venirselo a prendere, beh insomma, per farla breve, eravamo li, al parco, zitti zitti, quando non ti passa l'Antonova, quel figone russo d'infermiera? Era con altre due che anche quelle te le regalo, tutto un biondume, tutta un'onda di luce, ridevano, scherzavano, una roba abbastanza da ribollire il sangue, anzi l'abbastanza toglilo pure. Che fa allora quell'anticipo di cadavere? Non si mette a sorridere? E che sorriso poi, la coglionaggine del tutto sparita dagli occhi, quello che avevo accanto era un ginn, un folletto, un satiro, dai retta a me Assurdì la figa ti rimette al mondo". Ma si, ma si, che poi ci avrei a mano una stanga di due metri, una bionda faccia d'angelo, che io, minchia, parlo stellato e le donne, ste sceme, si innamoran con le orecchie. "Ah lo so, tu ne conosci di fregnacce, in questo chi ti batte? Perciò Assurdì, daje, mordi, azzanna, che poi chi è che diceva che l'omo dovrebbe essere senza denti e così niente guerra e solo pace? Canetti, forse, ma al momento i denti ce li abbiamo e allora si, daje e daje bene e una volta che hai dato il morsetto santo vai pure in collina a trenta all'ora ascoltando la tua musica del cazzo”. Ma no Menelao lassa perde, me tengo solo la musica che è meglio, poi ok, una pugnetta ogni tanto me la faccio ancora che il riequilibrio psicofisico ci vuole, ma di più no, non mi pare il caso, meglio mettersi al bar mezzo intontito, aprire ogni tanto un libro a caso e per il resto star nel prorio brodo, poi si la musica quella sempre, mo vado per dire e mi ascolto la piggei e se niente niente voglio un pizzico d’eterno vado di luna rosa. E ora Menelao vattene a fare in culo che se continuo così finisce che divento elegiaco, il che tradotto significa minchione.


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editoriale di De...Marga...

"Siamo fatti di emozioni. Cerchiamo sempre delle emozioni. E' solo questione di trovare il modo per provarle. Ci sono molti modi per provare un'emozione e c'è solo una cosa particolare che la Formula 1 può fornire. Siamo sempre esposti al pericolo. Pericolo di farsi del male. Pericolo di morire." (Cit. Ayrton Senna)

"Dov'eri quando è morto Ayrton Senna? Prova a fare questa domanda a chiunque. Ciascuno ti risponderà descrivendoti un luogo, il momento preciso." (Lucio Dalla, Bologna 1996).

Hai ragione Lucio; hai perfettamente ragione. Ricordo benissimo quel 1 Maggio del 1994...però devo tornare ancora più indietro. Devo ritornare al Gran Premio di Montecarlo del 1984 sotto un diluvio universale. Ayrton era al suo primo anno in Formula 1; gareggiava con una Toleman, vettura di categoria inferiore rispetto alla concorrenza. Strabiliò il mondo con la sua guida, galleggiando su di una pista resa ancora più insidiosa da una pioggia che non dava tregua. Recuperava 6 (sei avete letto bene) secondi al giro ad Alain Prost che conduceva la gara. Lo avrebbe ripreso, lo avrebbe superato; ma d'improvviso si decise di sospendere la gara e non ci fu vittoria per Ayrton; "soltanto" un secondo posto. Ma si fece notare, tutto il mondo sportivo dell'automobilismo capiì che il ragazzo di San Paolo aveva la stoffa da campione.

Da quel giorno mi innamorai di Ayrton come raramente mi è capitato nei confronti di un uomo dello sport; soltanto Michael Jordan e Roger Federer possono competere. Da quel giorno credo di non essermi perso nemmeno un Gran Premio di Formula 1; con le mitiche telecronache sulle reti RAI di Mario Poltronieri. Duelli sanguigni prima con Piquet, poi con Prost e Mansell; ho gioito per le sue vittorie; ho goduto per i suoi tre titoli di campione del mondo. Emozioni che conservo ancora dentro di me.

Ricordo benissimo...

Poi arrivò il 1 Maggio del 1994; mio suocero era ricoverato in un centro di cura per dimagrire sulle alture di Verbania. Dovevo accompagnare Marina e sua madre a trovarlo; non senza una certa dose di dispiacere perchè, per la prima volta, non potevo vedere il mio Ayrton in diretta. Quindi non seppi dell'incidente, non c'erano telefonini, non c'era internet. Rimasi all'oscuro della tragedia fino a quando rientrai a casa, in quella casa di un mio precedente editoriale a Pieve Vergonte.

Mio padre mi raccontò; da pochissimi minuti era giunta la notizia ufficiale della morte di Ayrton; si spense la luce per me. Ho dei nebulosi ricordi su come ho reagito; fu comunque devastante. Avevo la camera tappezzata di poster; prima di Gilles Villeneuve, poi di Ayrton.

Per me la Formula 1 è finita quel giorno; certo ho continuato a seguirla...ma non è mai più stata la stessa cosa.

Ayrton o lo amavi alla follia o lo odiavi.

Era una bestia in pista, non aveva pietà per nessuno; un vincente, che voleva soltanto tagliare il traguardo per primo.

Maniacale nella preparazione fisica, abilissimo nel trovare le soluzioni ideali per l'assetto sulle varie piste. Arrivava dal kart e dalle formule minori; si era formato battagliando con chiunque. Sempre cercando di essere al comando, da subito, dalla prima curva. "Se sei davanti non hai problemi con i sorpassi, a parte i doppiati. Non hai davanti nessuno ed i cartelli che espongono dai box puoi leggerli meglio". Così diceva.

"Non esiste curva dove non si possa sorpassare".

"Arrivare secondo significa soltanto essere il primo degli sconfitti"

"Non saprete mai come si sente un pilota quando vince. Quel casco nasconde sentimenti incomprensibili".

Queste alcune delle sue citazioni più famose. Ma ce ne sono a decine.

Aveva anche una fede incrollabile; molto spesso parlava del suo rapporto con Dio, con la religone. Ma lo faceva senza essere tedioso; lo faceva perchè era onesto e sincero.

Raramente sorrideva; mi ha sempre dato l'impressione di una persona triste, almeno quando gareggiava. Ma non era così; ci sono tantissimi filmati dove lo si vede amare la vita, sorridere, divertirsi nel suo Brasile.

Con la sorella Viviane iniziò a pensare di creare una fondazione a suo nome per aiutare la sua gente, la sua povera gente ed in particolare i bambini. Tutto ciò divenne cosa concreta pochi mesi dopo la sua morte; una fondazione che ancora opera tutt'oggi in Brasile e non solo.

Qualche anno fa sono stato ad Imola alla curva Tamburello dove è avvenuto l'incidente. C'è un monumento, una statua di Ayrton che lo ricorda; commozione tanta. Ho incontrato delle persone che arrivavano dalla Russia; come me hanno lasciato uno scritto sulla rete che separa il parco dalla pista.

Volevo andarci anche quest'anno ad Imola; per i venticinque anni...non ne ho avuto il coraggio. Sono troppo emotivo.

Ho quasi concluso; vi lascio consigliando la visione in rete dei suoi tre CAPOLAVORI in Formula 1 che certificano indissolubilmente la sua infinita grandezza.

1) Gran Premio del Brasile 1991, la sua prima vittoria nel circuito di casa. E' in testa nettamente, una gara dominata. Ad undici giri dal termine il cambio si rompe, ed è costretto a finire la gara in sesta marcia!! Tenendo una mano sulla manopola del cambio per evitare la fuoriuscita della marcia ed il ritiro: uno sforzo gigantesco. Patrese alle sue spalle guadagna secondi su secondi; ma riesce a concludere in testa. Godetevi l'urlo impressionante sia del telecronista brasiliano, sia di Ayrton tagliato il traguardo. Sul podio è distrutto dalla fatica ma riesce ad alzare la bandiera del suo paese; un paese in delirio per il proprio eroe.

2) Prove del Gran Premio di Montecarlo 1988. Il suo è il giro perfetto nelle stradine contorte del principato. Una danza millimetrica, una precisione di guida che impressiona. Non c'erano tante diavolerie tecnologiche nella Formula 1 di allora. Rifila quasi un secondo e mezzo a Prost e più di due secondi a Berger. A detta di molti il giro di qualifica migliore di tutti i tempi!! Sono totalmente d'accordo.

3) Gran Premio di Donigton 1993. Ancora sotto il diluvio. Un primo giro leggendario; Ayrton è indietro nello schieramento di partenza e parte anche male. Alla prima curva è quinto con la sua McLaren; ma ci mette pochissimo a prendere confidenza con un asfaldo insidioso, viscido ed infido. Quattro sorpassi, uno dei quali all'esterno di una curva dove nessuno si sarebbe sognato anche soltanto di provarci. Al termine del primo giro è già in testa, lasciando dietro di se piloti del calibro di Prost, Hill e Schumacher. Trionferà con distacchi mai più visti in Formula 1.

Grazie Ayrton; oggi come allora.

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editoriale di Fratellone

Si, c'ero anch'io a Ferrara. Ho comprato il biglietto poco più di un anno fa, e il 18 sono partito con la mia adorabile per assistere al concerto. L'ultima volta che l'ho visto ero a Firenze nel 2012 sotto un diluvio d'acqua.

Da Bologna, dove vivo, a Ferrara la strada è breve, circa 50 km... d'acqua. Molti campi sono allagati e guardando in lontananza dall'autostrada si vedono case circondate dall'acqua, con sacchi di sabbia intorno. Bruce ha dormito a Bologna, per arrivare a Ferrara sta facendo la mia stessa strada, è impossibile che non si sia accorto di nulla. All'arrivo al parco Bassani non potevano più esserci dubbi, il fango arrivava oltre le caviglie, pozze d'acqua qua e là, un po' di paglia sistemata alla rinfusa per cercare di assorbire qualcosa dal terreno. Ci vuole molto tempo per entrare, il fango rallenta tutti. Troviamo un posto un po' laterale, ma decente, ovviamente il palco non si vede, ma ci sono i mega schermi a farmi vedere lo spettacolo. La gente sta ancora entrando quamdo i componenti della E street band salgono sul palco uno alla volta, lui per ultimo alle19,40 e Ciao Ferrara... one two three

We busted out of class
had to get away from those fools
we learned more from a three-minute record
than we ever learned in school
tonight I heart the neighborhood drummer sound
I can feel my heart begin to pound
you say you’re tired and you just want
to close your eyes and follow your dreams down...

Non una parola sul disastro a pochi chilometri da qui, non parlo dei token (2 euro l'uno, non rimborsabili) da comprare se volevi bere e mangiare agli stand, salvo poi trovare chi non li accettava ai bordi del concerto, non parlo delle t- shirt a 50 euro l'una, del disastro perpetrato dal pubblico al fu manto erboso del parco, del freddo ai piedi immersi nella melma, degli oltre 1000 addetti della protezione civile che si sono adoperati per diversi giorni per rendere possibile quest'evento.

No, non parlerò di questo, ma del concerto pochi accenni. Bruce ha 73 anni, non salta più sul pianoforte, la voce gli regge per tre ore, con solo un piccolo calo durante born to run, però gli manca qualcosa rispetto alle altre volte. Lo spettacolo è questo ed il pubblico assiste, ma non partecipa, non interagisce con lui. Però cantando Thunder road insieme ad altre 50.000 persone, una lacrimuccia mi è scesa

... It's a town full of losers
And I'm pulling out of here to win...

Concerto si o no?

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editoriale di HOPELESS

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Se pur vago riconoscimento di un ambiente e questo ambiente invece non esiste.
È un gesto che non interessa compiere solo nella frequentazione del nulla,
il profondo è meno sincero, lo so.

Risolte in termini strutturali, solo la rima è casuale, anche se sembra il contrario,
anche se sembra il contrario portare la canzone all'estenuazione
dare alle parole e al loro susseguirsi una strana configurazione,
giovani poeti di ottant'anni e questo fanno. Liceo.

Ad un certo punto ripugnanza per i contemporanei: non mi avranno che in musica.
L'arte non è seria è serio chi la legge, chi la guarda, chi l'ascolta,
ci mette un ottanta per cento di cialtroneria, un po' di tecnica,
un manifesto contro la spazzatura.

È governativa è serva, potere politico, culturale, intellettuale:
rispetta la legge è scritta nei codici Hegel è questa confusione-equivalenza
la concezione borghese del senso gli manca la cosa più importante in realtà:
il disinteresse. Sono io che non capisco loro e non devono avere speranza.

Il disco è intimo come è intima di sfratto
mediocrità nel medio, nel medium, nei media.
Cade la domanda, un tonfo, una ranocchia salta.
Un haiku regalo.

Chi ascolta le canzoni ha una sua astuzia,
risolve i quesiti e le complicazioni del mondo in pochi minuti e
addirittura nelle due direzioni del nulla angoscioso e del nulla ballabile.
È la musica leggera: due palle e due palloncini in cielo.

Le canzoni sono lavoro e pensare al lavoro stanca il pensiero
sono troppo lunghe per la soglia di attenzione.
La promozione, l'intervista è un meccanismo commerciale.
Far piangere di desiderio: questa la funzione della scrittura.

Canzoni che chiudevano un secolo che davano un senso
a tutte le sperimentazioni linguistiche e artistiche di quel periodo
cambiarono il ruolo dell'ascoltatore verso prodotti inutili e di basso livello
essere attivo a reagire alla sopportazione obbligatoria.

Non accade nulla di ciò che viene raccontato
moto parla per modi - non siamo circondati che da contemporanei
io solo sul palco con una luce fissa
quindi il rapporto tra linguaggio e musica termina qui.

Romanzo va alla conquista e alla giustificazione del proprio titolo
l'amore che si conosce solo quando si è soli
difendo che un difetto
un'aria di spionaggio industriale.

Facciamo che il romanzo divide il mondo in due
da una parte il mondo dall'altra il romanzo
che sia finalmente cosa dell'altro mondo
oltremondana.

Senso di colpa e della frustrazione
antierotici antieroici prudenti modici comodi
senti che sinusoidale
Rimbaud commercio ma scelto sulla parola.

Non esiste l'arte così come non esiste la libertà
la mano sui tasti della macchina da scrivere
come si fa su quelli di un pianoforte, e fai uscire quattro parole
parvenu firmato Roland Barthes.

Non è chiesto di dire, solo di apparire
perché l'apparenza
dell'amicizia non importa nulla la detesto non la capisco
il teatro della noia il teatro del ronzio silenzio si dorme.

Critico ha mangiato male la sera prima se ha avuto una notte insonne
la recensione è un prolungamento dell'ufficio stampa e della casa editrice
disco per l'estate
Duchesca è il nome di un mercato di Napoli.

Fraintesi il rogo col godimento. O non fraintesi.
Oggi si ascolta il suono della merce, la merce si legge, la merce si guarda.
I cinque dischi sono forse gli unici che nessuno potrà mai ascoltare come merce.
Artistico è il supporto. Artista è un complice della merce.

Quelle erano vicende discografiche
non è agevole muoversi nella libertà cerco anzi limiti
la libertà sembra solo una voce messa incautamente in giro
oggi è ridicolo dire qualcosa con capo fine e coda.

R˙ascov che butta giù rumori dell'esistenza che sono come uno sbadiglio,
uno starnuto, scrittori minori che non hanno incontrato il loro personaggio
regolare i conti col consorzio umano imprevisto dal mercato
chiamò al telefono:

"Chi è?" - "La voce della coscienza." - "coscienza ~ coscienza..."
"Gli anni sessanta, i miei quadri erano come extraterrestri."
"Vengo tra mezz'ora." - "Va bene... E che mi porti?" - "Eh?"
"Che libro mi porti?" - "Quale frittata?" - "La voce della coscienza."

È un programma al nuovo che poi non esiste molto passato presuntuoso futuro
pochissimo presente molta stanchezza in una scrittura così attenta
non sia importante una loro comprensione - quei testi sono stati delle apparizioni
io facevo i comodi miei - la discografia non aspettava altro - d'avanguardia.

Mi arriva un testo e io faccio così:
se non ci capisco nulla vuol dire che è perfetto.
Poi ci metto una musica fredda, anche quella che non dia nessuna emozione.
Poi vado in sala d'incisione e la canto da seduto, fermo, lo sguardo nel vuoto.

Volontà assoluta di mettere dentro la materia, le cose,
la metropolitana, il ferro, una metafisica al contrario.
Musica una cosa agonistica per cui ad un certo punto esistono le classifiche
la discografia non aspettava altro d'avanguardia.

Duramente rinchiuso nella propria identità consortile
col popolo di internet o col popolo globale
regolare i conti col consorzio umano imprevisto dal mercato
un mondo in cui è tempo di sentirci tutti clandestini.

Librettisti italiani dell'Ottocento: la libertà è un segreto
la libertà di andarsene di non esserci, parecchie generazioni di deficienti
convinti che la libertà fosse partecipazione, le tv sono diventate di partecipazione
e la libertà con partecipazione è cosa industriale.

L'ora esatta. Cos'è unico? L'uovo sodo ne mangio solo uno all'anno
quel giorno quell'uovo, e lo so: non esiste che l'uovo sodo... quel giorno.
Religione è nostalgia di sé di noi quando eravamo Dei ci andammo vicini...
Un dio fuori di noi è ridicolo guardiano.

Resta vita mortale ossia servilismo e opportunismo
dal nulla del poi la vita non può essere vista che come una improvvisazione
nel nostro quartetto non c'è nulla di provato perché nulla è ripetibile
ciò che mettiamo in scena questa sera è una cosa unica che non si ripeterà.

Anche deludente quando lo guardi da vicino
a scuola ho capito che non dipendeva da me ma da loro
l'ora è adesso stasera non ci sono qui c'è il canto umano
è storia nostra, mortale.

Chi ama è una offesa agli affari, all'amministrazione locale:
sfugge alla statistica e al sondaggio all'analisi di mercato
l'amore tanto grande in quanto non dura quell'amore senza prodotto
ma soprattutto finalmente senza futuro.

L'abbiamo conosciuto Romeo ma lo sanno tutti
è il suo amore costruttivo ossia non è l'amore è dicibile ossia è futuro
è arredamento è casa famiglia figli e un buon lavoro non è amore è adeguatezza
diventano anche loro subito merce alimenti del sogno.

L'amore breve che preferisce morire piuttosto che continuare ad essere o diventare
mondo, volavo con la mia auto avrei voluto che non esistessero tragedie sulla terra
non perché fossi buono ma perché non mi disturbassero
il mondo non poteva che darmi fastidio.

La vita è un intralcio un ostacolo dura più della lavatrice
oltre non c'è altro che il posto per farlo l'amore
spezzata la giovinezza resta quel dubbio...
Quale?

Il ragazzino che ero mi intimorisce
è l'autore che ammiro di più
fede e ateismo non sarebbero che due perplessità
un complice della merce, qui c'è il canto umano.

Non accade nulla di ciò che viene raccontato
disco per l'estate entrandoci dentro c'è un'aria di spionaggio
io facevo i comodi miei - la discografia non aspettava altro - d'avanguardia.
Quindi il rapporto tra linguaggio e musica termina qui.

Apocalypse Now e Blade Runner sono il plagio spettacolare.
Sono entrati nelle tenebre del cuore e hanno visto cose.
Dura più della lavatrice.

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Testi e interviste di Pasquale Panella con un intervento di Lucio Battisti.
Sample: "In-Audito Archivio" (Schifano/Oliva) "Il Disco Volante di Mario Schifano", dall'album: Luther Blissett - The Open Pop Star, WOT4 1999.
Detected/sequenced: A.P.R. - Associazione Psicogeografica Romana/Aliens In Roma.
Tagli, suture e remiscelazione: HOPELESS. Napoli 2013 - CYBERFUNK.

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editoriale di Tucidide

Il mio appello è prima di tutto un outing. Perché sì, sono anch’io un addicted Radio Sportiva, nell’intimità della mia macchinetta durante gli spostamenti per lavoro. E non sembro essere il solo da queste parti.

Radio Sportiva è stata citata pochi giorni fa, in un commento ad una rece di Algol, da parte del mitico Bartleboom che copioincollo a seguire, perché meglio non si può descrivere la sua essenza:

Meravigliosa: 24 ore al giorno, 365 giorni l'anno, a parlare del nulla cosmico... Per di più dandosi un tono che raramente ho incontrato in un'aula di Tribunale. Credo che riuscirei ad ascoltarli tutto il giorno. A fine giornata sono un balsamo, un bagno caldo, un massaggio, un buon bicchiere di vino: hanno su di me un effetto taumaturgico. E poi la gente che chiama: gente che avrebbe evidente difficoltà ad utilizzare un ascensore, che chiama per dare dritte di finanza calcistica a Marotta, alla famiglia Agnelli e al Fondo Elliott. Adoro la compostezza di Daniele Tirinnanzi e la comicità provocatoria di Marco Bisacchi, Enzo Bucchioni è il nonno che vorrei ancora avere al mio fianco, con Maurizio Biscardi ci uscirei a cena. La totale e perentoria assenza di figa, poi, conferisce al tutto una dimensione accogliente e confortevole che mi riporta proustianamente alla fase prepuberale. Grazie, Radio Sportiva.”

Potrei anche finirla qui, non avendo molto da aggiungere a quanto scritto da Bartle, se non puntualizzare che la perentoria assenza di cui sopra trova una felice eccezione nel caso della corrispondente per il Toro, sulla quale tra poco spendo due parole.

Vorrei però condividere con tutti Voi la mia lacerante sofferenza per la progressiva normalizzazione di RS, per questo loro devastante cedimento al bon ton radiofonico, lampante spia della decadenza dei nostri tempi.

Per esempio: vogliamo dire che ci manca tanto Aldo Agroppi?

Qualcuno ricorderà che prima di Ronaldo, qualche anno fa alla Juve era già approdato un altro giocatore con il finale in aldo. Ebbene, interrogato sul nuovo acquisto dei gobbi, il mitico Aldo si era prontamente lanciato con la rima: “Osvaldo pisello caldo!”, riferendosi al vorticoso giro di gnocca che pareva ruotare intorno al giocatore.

In questo commento c’era forse tutta l’essenza della Radio Sportiva delle origini.

Oggi sembra non ci sia più spazio per questo sanguigno quanto competente commentatore, grande giocatore del Toro dei tempi di Gigi Meroni e del tutto fuori dal conformismo calcistico nazionale. Per chi non lo avesse presente, giusto una chicca. Una volta lo chiama un giornalista e gli chiede: “Ancelotti ha detto che domani gioca con l’Albero di Natale, lei cosa ne pensa?”. Risposta: “Non so che dirle perché io sono di tutt’altra scuola, io giocavo con l’Uovo di Pasqua.” Cos’è il genio?....

La sua assenza è una delle spie del malessere che sta corrodendo il più limpido successo radiofonico italiano degli ultimi decenni. Latitanti i commentatori scomodi, e sempre più rari gli interventi senza peli sulla lingua. Ma ci sono molti altri segni di degrado che minano ormai Radio Sportiva, poichè nei gloriosi tempi andati la nostra era marchiata a fuoco con alcuni tratti che oggidì paiono scolorire, tra cui citerei:

1. L’utilizzo sfrenato dei calembour più terrificanti, titoli costruiti su giochi di parole di cui ci saremmo vergognati già in prima elementare. Qualunque assonanza diventava buona per descrivere la notizia del momento, con esiti agghiaccianti per dirla alla Antonio Conte, la cui mancanza (delle battute, non di Conte) si fa davvero sentire. Censura dei calembour no grazie.

2. Le pubblicità truzze e zozzone. Qua al nord negli spot ha imperato Giggidagostino e Le-ro-ton-de-di-Gar-la-sco (con le ragazze che entrano ggratiss!), un tempio della tamarro dance che probabilmente non riuscirò mai a visitare. La reclame del CA-PO-DAN-NO D’I-TA-LIA AL-LE RO-TON-DE-DI-GAR-LA-SCO!!!, compreso brindisi con similspumante ed alloggiamento in baracche espiantate dai Gulag mi ha più volte fatto vacillare nelle mie certezze sul San Silvestro. Degni di nota anche i jingles per officine, gommisti e autodemolizioniricambi, cantati da fanciulle con voce roca cha vaiasaperperchè mi fanno scopa con l'indimenticato spot teleVISIVO di Brava Giovanna Brava.

Ma il top era la pubblicità dei locali zozzoni. Da queste parti era ricorrente su RS lo spot del Samara’s, noto locale sabaudo per appassionati di ginecologia, con tanto di riepilogo delle Star in cartellone. Dico, quale altra radio nazionale, avrebbe avuto il coraggio di decantare la serata con Giada De Sade? Oggi invece, forse a causa del troppo successo, senti solo più le solite pubblicità generaliste di grandi marchi, che passano su qualunque altra radio nazionale.

3. Gli opinionisti che litigano con gli ascoltatori che chiamano in diretta. Un tempo alcuni parevano davvero imbufalirsi per le domande degli ascoltatori, che certo non brillavano in competenza calcistica. Per non parlare di quel tal giornalista da sempre accusato di essere antijuventino e di conseguenza martellato in diretta da provocatori gobbi ai quali incredibilmente dava pure corda, con clamorose scazzottate radiofoniche.

Fortunatamente resistono ancora alcuni pilastri della vecchia Radio Sportiva, come i collegamenti con le squadre di serie A, ognuno gestito da un giornalista locale che parla solo di quella piazza, dando notizie sulla qualunque, pure della prima comunione del figlio del massaggiatore. E qui mi collego alla felice eccezione della perentoria assenza di cui sopra.

Ivana Crocifisso, l’unica corrispondente femmina, la quale guarda caso parla del Toro, la squadra che da sempre ha nel suo dna la connotazione di attributi. Comunque la nostra Ivana dimostra una competenza ed una fermezza che mancano a tanti suoi colleghi maschietti, raccontandoci le vicende granata con una grinta imperturbabile, come quella di una barista in un locale di Hell’s Angels. Pare che tempo fa fosse stata trattata male, in conferenza stampa, dall’allenatore Sinisa Mihajlovic. Mal ne incolse al povero serbo, già traballante di suo sulla panchina dei granata, contro cui si schierò il silenzioso livore dell’intera struttura di RS, e difatti dopo poco arrivò puntuale l’esonero. Potenza di Radio Sportiva!

Degno di menzione è anche il corrispondente da Bergamo, per l’Atalanta, che si dichiara da anni vivente in una bolla di sogno per i successi galattici degli onesti pedalatori Orobici, roba da far impallidire qualunque altra manovalanza calcistica provinciale. E al termine dei suoi interventi saluta sempre con uno stentoreo A VOI! (sarà mica che sotto la camicia porti una maglietta con su scritto Boia chi molla?).

Con i collegamenti dalle varie squadre della serie A è come fare ogni volta un piccolo giro d’Italia, e questi corrispondenti mi sembrano la versione radiofonica degli storici giornalisti locali di Novantesimo Minuto, original version. Come non ricordare Tonino Carino da Ascoli con i cuffioni in testa, Luigi Necco da Napoli sempre circondato da tifosi urlanti, Cesare Castellotti da Torino con il nodo della cravatta largo quanto il collo e Ferruccio Gard da Verona che ogni domenica gli era morto il gatto?

La finisco qui, che altrimenti scivoliamo su Radio Nostalgia, permettendomi ancora di chiedere la Vostra solidarietà, in questo mio accorato appello per fermare il pericoloso virus della bontonizzazione di Radio Sportiva. Rivendico il diritto che l’interno della mia macchinetta sia ancora riscaldato da un truzzo focolare radiofonico e non dalla sua versione rieducata.

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editoriale di ALFAMA

Solito sguardo sul soffitto, solita ora,solite mosse,bacio rigorosamente sulla guancia.

Lo scodinzolio del mio cane.

Un caffè.

Penso.

La doccia è fredda, Ecco il rumore della panetteria,i grappini sotto al bar, la macchina che non parte e vorrei non pensare.

Ma penso.

La solita cena.

Mi fanno pensare quanto vorrei essere altra persona,giusto per capire se sbaglio.

Per capire se tutte le vite sono uguali. Per capire se sono io diverso.

L'orologio, è la solita ora.

Sempre la solita ora.

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editoriale di ALFAMA

"Wendy è arrivato il lupo cattivo".

Sentirsi solo uno dei tanti Peter, li vedi dalla finestra con le loro vite,le lo loro giornate,salutarsi mentre si siedono,si guardano,muovono le labbra.

".Wendy inventa una scusa e rimani sotto le coperte.Ti racconterò una storia bella e paurosa, una storia vera."

Perdere la propria ombra, ultimo gancio d'umanità . Un gancio d'umanità che ancora ti fà sognare, non è poco.

Una sega a uno sconosciuto in un portone per mille lire,credo che la mia ombra volò via sopra quelle parole. Parole nate da un'altra ombra che ormai aveva perso il suo ultimo gancio.

Avevo forse 6 anni,la mia prima lezione di vita.Vivere senza ombra .Prima lezione per me ,forse ultima per un'altro.

Primo , ultimo. In mezzo l'infinito vuoto.

Vivere senza ombra è difficile,sei il nulla

Chiuderla in una scatoletta,nasconderla nell'angolo più oscuro del cuore sarebbe la più facile soluzione.

Uno spiraglio ti aiuta a capire la verità,angolo di ombra illuminato da un raggio di luce.Un raggio di sole da sbirciare da sotto le coperte.

Sentirsi un semplice Peter è molto difficile, trovare il coraggio sbirciando da sotto le coperte alla ricerca del tuo Pan ti aiuta a capire che luna è molto più grande di un dito

Ma quanto è difficile capire se vuoi essere un Peter o un Pan

Difficile.

Poveri illusi convinti di poter fermare il pendolo.

Illusi di poter scegliere,invece per fortuna sempre all'ombra convinti di chiamarsi Peter.

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editoriale di sfascia carrozze

Ora.
Sarà anche vero che l'Italia, anzi gli Italiani, non hanno (ancora) fatto fino in fondo i conti con il fascismo e con la sua fine burrascosa.

Negli ultimi tempi, qualsiasi sia il media che prendiamo quale fonte del nostro sapere quotidiano è tutto un fiorire di dibattiti e di più o meno dotte disquisizioni sull'imminente ritorno del fascismo e sul pericolo della "nuova" ondata di estrema destra che attanaglia il continente europeo.

Sembriamo ripibiompati non tanto nel fosco periodo del ventennio, quanto nei tumultuosi anni settanta.
Io tutto sommato ne sarei anche felice: tornare piccini per poter ripassare quegli infiniti pomeriggi a tirare calci al Super Tele con gli amici in polverose pietraie di periferia - tutto erano tranne che campi di calcio - sarebbe una di quelle cose che ti riconciliano con il mondo circostante.

Ora non vorrei sbagliarmi ma mi sembra che in Italia sia (ancora) in vigore la cosiddetta Legge Scelba – Legge 20 giugno 1952, n. 645, ovvero il "Divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista" e quando vedo tutto sto fiero sventaglio di bandiere più o meno nere e più o meno tricolorizzate (come se il fascismo abbia mai incaranato la difesa dei valori patriottici: basterebbe conoscere un minimo di storia per scoprire che è stato esattamente il contrario, ma vabbè), mi chiedo sinceramente di cosa stiamo (ancora) a parlare.

Senza farla troppo lunga, basta leggere quel che c'è scritto in due articolini della suddetta Legge:

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Art. 1 - Riorganizzazione del disciolto partito fascista.
Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.


Art. 4 - Apologia del fascismo.
Chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità ideate nell’art. 1 è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni.
La pena è della reclusione da due a cinque anni se alcuno dei fatti previsti nei commi precedenti è commesso con il mezzo della stampa. La condanna comporta la privazione dei diritti previsti nell’art. 28, comma secondo, numeri 1 e 2, del codice penale, per usi periodo di cinque anni.

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Bene.
Io adesso esco di qua e con la macchina decido di sfrecciare nella via centrale della mia (ridente) cittàdina [curiosamente fondata dal Benito] a centottantallora.
Posso farlo.
Dovrebbe essere proibito e perciò sanzionato dalla legge, eppure ne ho facoltà.

Supponiamo che investo un cane, anzi un bimbo, o magari faccio l'en-plein e stiro una donna con bimbo: l'unica cosa è che sarò chiamato ad assumermi le responsabilità derivanti dal mio modo di guidare.
Devo essere disposto a pagare, secondo quanto dispone la legge, la violazione derivante dal mio comportamento.

E se non sono disposto ci deve essere qualcuno che mi "convinca" a farlo.
Con le buone o con le meno buone.
Sono dalla parte del torto: ho violato la legge e non posso avere la pretesa di vincere io.

Personalmente non mi sognerei mai di impedire a nessuno di propagandare quello che gli pare: penso solo che se oggi in Italia c'è (ancora) una legge che prevede la sanzione e la condanna per la commissione di un reato (perchè di questo si tratta) questa persona venga (banalmente) punita per la trasgressione che ha posto in essere.

Quindi o si decide di cancellare quella norma dalla Costituzione oppure la si applica.
Fino in fondo.
Altrimenti lo Stato diventa, di fatto, correo per non dire di peggio.
E, almeno, ridateci il Super Tele.

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editoriale di Bubi

Mi chiamo Giorgio e non sono del lago maggiore, abito in un casolare di campagna, vicino ai Castelli Romani. Vi racconterò del mio amore per i gatti, di Faustina e un cappuccino. La casa dovrebbe essere un'oasi di benessere, anche se, a volte, nei romanzi gialli può essere teatro di atroci delitti o, nelle fiabe, è spesso la casa degli orrori. Nella mia, niente di tutto questo, ci sono solo animali docili, galline, caprette, piccioni, ma soprattutto gatti. Tanti trovatelli inselvatichiti, che sarebbero finiti male, se non li avessi adottati. Amo i gatti e le donnine grasse. Concedetemelo, sono le uniche ricompense che mi sono regalato da quando sono in pensione. Faustina soddisfa pienamente le mie esigenze di bellezza, è alta un metro e mezzo e pesa centodue chili. Per qualche motivo, odia i gatti ed ho sempre pensato che non me se filasse pe' niente, per giunta, ama oltremodo il cappuccino. A me il cappuccino non piace, in quanto ai gatti, lo sapete. L'ultimo che ho accolto, era in uno stato pietoso, era triste e le zecche lo divoravano, l'ho curato e adesso sta bene. Ovviamente l'ho chiamato Zac.

Dovevo capire che sentimenti provava il mio riccioluto amore, e se non erano quelli che desideravo, volevo conquistarla. Quindi, la invitai a bere un cappuccino nel mio rustico. Non badai a spese e comprai la miscela migliore, si chiamava "Aroma del mattino di suor crocifissa". Era fatto in maniera artigianale e costava, ammazza se costava. Ma erano soldi ben spesi se servivano per convincerla ad accettare il mio invito. Quel mucchietto di carne soffice, mi piaceva così tanto, che le dissi che quel coacervo di pensierini zuccherosi che lei chiamava "poesie" erano versi bellissimi. Gliel'avevo detto mentre mi eccitavo a sbirciarle tra le coscie. Ero così perso in lei, che l'idea di baciarle i piccoli piedini con le unghie dipinte, mi faceva stare bene tutto il giorno. Mi veniva bene idealizzarla e spasimare per lei, non era faticoso e durava a lungo. Ma, tutto sommato non bastava, mi mancava tanto il BACIO. Allora mi decisi a farle la dichiarazione. Mentre procedeva sulla stradina che portava a casa mia, la guardavo da dietro i vetri. Camminava a disagio sul ciottolato, lottando a ogni passo per rimanere in piedi. Non mi sembrava un difetto, anzi, aumentava il desiderio che provavo per lei. Quando suonò il campanello sentìi un tuffo al cuore. Faustina era lì con tutte le rotondità al posto giusto, quel suo bel culone e quel musotto che era tutto da mangiare. Ma lentamente, a bocconcini. Era bellissima.

La bevanda era già pronta, gliela porsi. Si sedette. A fatica accavallò le sue belle coscétte ed iniziò a mescolare il cappuccio. Intanto io, mi sentivo come sui carboni ardenti. Avevo ingoiato almeno sei o sette tranquillanti e lei stava seduta imperturbabile e girava il cappuccio. Le dissi: «Quanto sei bella Faustina... io ti piaccio? Almeno un po'?». Non so se fece finta di non capire, o se non sentí davvero. Era presa completamente dall'arnese che faceva roteare nel liquido. Mentre girava, la schiuma arrivava fino all’orlo, sollevato dall’azione dell’utensile. Il bicchiere era ordinario, il cucchiaino opaco e consumato dall’uso. Si udiva il rumore del metallo contro il vetro. Tin, tin, tin, tin. Mentre carezzavo Zac, la tirai lievemente a me. Con lo sguardo perso nei suoi occhi, le dissi ancora che la desideravo, che un solo bacio sarebbe bastato. E lei girava e rigirava il caffelatte, tanto che si era formato un gorgo nel mezzo. Un Maelstrom. «Bravo, non devo neanche assaggiarlo per sapere che è buonissimo. Capisco subito che è una perfetta combinazione di colori, sapori e aromi», replicò senza considerare la mia avance. Seduti l'uno di fronte all'altro, io aspettavo una risposta adeguata, lei continuava a sorridere e girare il caffellatte. Disse: «Lo zucchero non si è ancora sciolto». Per dimostrarmelo dette dei colpetti sul fondo del bicchiere. Subito riprese con rinnovata energia a mescolare metodicamente il cappuccino. Gira e rigira, senza fermarsi mai, e il rumore del cucchiaino sul bordo del vetro. Tan, tan, tan. Di seguito, di seguito, senza posa, eternamente. Gira, e gira, e gira, e rigira. Guardava me, guardava il cappuccino e sorrideva. Era dolce come quello zucchero che sembrava non volersi sciogliere.

Appoggiai teneramente la mano sulla sua spalla e feci un altro approccio, giocherellando coi suoi riccioli. Si rigirò come una tigre. Non sorrideva più. «La vuoi smettere!? Voglio bere il cappuccino!!» urlò. «Ma come puoi dare tutta sta importanza ad un cappuccino?» pensai. «Meglio morire che essere sfiorata da te!» aggiunse inviperita. Non avrebbe dovuto dirla quella frase, era come se m'avesse passato il trapano sul nervo. Ogni espressione, anche la più insignificante, sparì dal mio volto. M'apparve per quel che era. Brutta, un insulto al creato. Mi sembrò di vederle uscire delle mosche dalla bocca. «Meglio morta che essere sfiorata da te» si era permessa di dire. A me. A me che sono bello, intelligente e nei cassetti ho sempre i coltelli molto affilati. Dovevo farlo quell'atto di carità. Presi un Bowie con il manico in corno di bufalo e glielo infilai sotto l'ombelico. La aprii come fanno coi maiali al macello. Le budella uscirono dal buzzo e si sparsero sul pavimento. Dovrei sentirmi colpevole del fatto che avesse la pancia così molle? Che si fosse messa così a portata di mano? Dovrei anche sentirmi colpevole che era un pezzo di merda?

Zac balzò sul pavimento e iniziò a rosicchiare il fegato. Feci un fischio e gli altri venti gatti che avevo adottato arrivarono uno dopo l'altro. Billi, Joe, Piccina, Aisha, Coccolina e tutti gli altri si disposero attorno al corpo. La sgranocchiavano senza fretta, tenendo la coda ritta. Faustina piaceva anche a loro. Un po' di rimorso lo sentivo, ma l'idea di passare il resto dei miei giorni in prigione, era più angosciante del senso di colpa. In poche ore, del corpo sano, rimasero solo le ossa. Raccolsi le povere resta in tre o quattro sacchetti della spazzatura. Non era un gran fardello perché era tutta ciccia e lo scheletro pesava poco. Camminando per il Viale Manzoni, buttai i sacchetti in alcuni bidoni dell'immondizia. Tornai il giorno dopo e li controllai. Erano vuoti. (vuoti a Roma!! Credo di poter dire che quel giorno, Dio era ben disposto al miracolo). Ripensai a Faustina e scoprii che non sentivo poi tutta sta sofferenza. Quasi cento chili erano nella pancia di una ventina di gatti, ed ero più contento per loro che dispiaciuto per la brutta fine del mio perduto amore. In fin dei conti cos'è l'amore? Una dedizione appassionata fra due persone, volta ad assicurare la reciproca felicità? No. È più semplicemente una forma di egoismo. Temperato, regolato in modo da permetterci di vivere in armonia con la persona amata. Con Faustina questo non era possibile, per lei, il cappuccino era più importante di ogni altra cosa, anche dei nobilissimi sentimenti che avevo nutrito per lei. Prima di squartarla.

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editoriale di Bearry

A proposito dei King Crimson, forte di tanti anni spesi bene nei loro ascolti, Vi intratterò con una strana storia nata per le strade della cittadina di Brunico in Val Pusteria (BZ), mio grande amore del passato.

Siamo nel '75, più di 40 anni fa, quando Rupert, nomignolo d’arte con cui il mio amico Gunther K. era chiamato simpaticamente dai suoi compari, prendendo spunto dall’omonimo brano dei King Crimson, si appresta quotidianamente a suonare dal vivo le sue canzoni preferite di quel Gruppo meraviglioso.

Condiviso anche dal sottoscritto era il suo amore per quella Band, tanto che ogni mattina, appena smontato dal turno di notte presso l’Hotel Blitzburg, si reca velocemente nella centrale Via dei Bastioni, e inizia a suonare a modo suo la loro magnifica Musica, mentre è seduto a margine della storica fontana in marmo sita nei pressi della quieta ed elegante Birreria Forsterbräu.

Quella strada a quell’ora è ancora deserta, ed unico aperto è l'antico Cafè Restaurant dell’Hotel Post, sito nei pressi ma sul lato opposto della strada, unanimemente apprezzato per la sua pasticceria artigianale, e per il suo arredamento un po’ retrò fatto di divani damascati, tappezzerie in tinta e lumi soffusi.

A dispetto delle gelide temperature tipiche di questi posti, specie sui monti, dove scendono nei periodi invernali sino a meno 15-20 sottozero, il sole mattutino iniziava a scaldare l’antico ed ordinato selciato, mentre il Quartiere si riavviava gradualmente come ogni giorno, dando vita anche ai Mercatini di Natale ivi presenti, approntati per l’occorrenza davanti a quella Birreria come di consueto.

Il tempo passa veloce, ed ora Rupert si trova con le sue vicende a metà anni '80, e non lavora più di notte al Blitzburg, ma lavora come intrattenitore musicale al Forsterbräu, grazie ai suoi apprezzati "assoli" di chitarra acustica, impreziositi dalla sua bella voce, alternando dei suoi amati King Crimson brani del calibro di Cadence and Cascade, Sailor's Tale, Exiles e Book of Saturday

E’ finalmente soddisfatto dei suoi successi musicali, poichè, sempre più bravo e stimato, il suo palcoscenico ora non è più l’antistante fontana, a volte battuta dalla pioggia, o peggio ancora ghiacciata dalla neve o dal troppo freddo, ma si è spostato in un'accogliente saletta al primo piano di quel locale.

Dopo tanti sacrifici, i tempi per Lui sono cambiati in meglio, grazie a Forsterbräu che lo paga mensilmente, permettendogli di metter su famiglia, grazie anche alle sue partecipazioni musicali a Feste popolari che di tanto in tanto si tengono in Val Pusteria a Campo Tures, San Candido, Dobbiaco, San Lorenzo, etc.

Chi scrive, nel mentre è tornato a vivere nel Nord Ovest, pur mantenendo saldi contatti con quel mondo, tanto che ogni tanto fa un passo a Brunico, specie in occasione dei Mercatini di Natale, quando dorme nel vicino Blitzburg, e la sera ascolta le canzoni suonate da Rupert in quella saletta.

Tutto corre veloce, compresa la sua notorietà musicale, tanto che una sera, mentre sta intrattenendo come di consueto i suoi ascoltatori, riceve da un importante producer una buona proposta discografica in grado finalmente di assicurargli un futuro migliore.

Rupert ci pensa un po’ e poi si convince, perchè questa è l'occasione della sua vita, trasferendosi rapidamente prima a Bolzano e poi a Milano, quando le sue prospettive di lavoro diventano ancora più importanti.

Pare tutto perfetto, poiché lo stesso compone anche la musica che poi suona, mentre al Forsterbräu è calato il silenzio in quanto l’intrattenimento musicale a cui prima dava vita ora non c’è più; analogamente Rupert a Milano ha perso il suo slancio iniziale, e progetta da un po’ di tornare alla sua Musica, in quella saletta al cospetto dei suoi frequentatori.

Spesso i ricordi però ti scavano l’anima, tanto che un giorno il nostro Amico, anzichè rinnovare il suo contratto, chiude ogni eventuale prospettiva musicale e torna deciso al Forsterbräu, anche se, dispiaciuto, non trova più tra il suo pubblico chi sta scrivendo in questo momento.

Passa ancora qualche anno, tanto che ora siamo ai giorni nostri, ed il sottoscritto, libero dagli impegni che lo tenevano distante da Brunico, un giorno decide che la stessa per un po’ sarà nuovamente la sua casa, ed appena giunto in Città corre in Birreria, e poi rapidamente verso quella saletta al primo piano dedicata ai King Crimson, da cui sente suonare la loro Musica come una volta.

Il loro suono, magistralmente condotto dalle evoluzioni acustiche di Robert Fripp, appare perfetto, anche se suona stranamente lontano; anziché esserci Rupert con le note di Epitaph, scopro con mio grande stupore al suo posto due diffusori musicali, fatto che viene spiegato dai presenti con un chiarimento da me purtroppo tristemente atteso:

Ormai è tardi caro Amico mio per cercare Rupert, perché qualche giorno fa è salito in Paradiso, unendosi a Greg Lake nel suo ultimo viaggio, con cui ora suona felicemente insieme a tanti altri ugualmente Grandi come Jimi Hendrix, Frank Zappa, Janis Joplin, Nick Drake, Jim Morrison, Lowell George, John Martyn, e tanti altri di cotanto peso.

Forse però tutto ciò non ha avuto ancora un fine, e mentre esco dal Forsterbräu, anziché non credere ai miracoli impossibili, mi accingo a comprare presso lo stesso i biglietti per i suoi prossimi concerti che si terranno in Paradiso; poi, passando davanti all'antica fontana in pietra, suo primo palcoscenico, gli mando sottovoce un amorevole saluto, Ciao Rupert a presto !!!

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editoriale di HOPELESS

“Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto... Il sorriso del barista si allargò ancora di più. La sua bruttezza era leggendaria. In un'epoca in cui la bellezza era alla portata di tutte le tasche, c'era qualcosa di nobiliare nel fatto che a lui mancasse." (William Gibson, NEUROMANTE 1984)

Non ricordo o non riesco a ricordare come sono finito qui. Sono ancora assonnato dal viaggio. Tutto di giorno, sole filtrato da una cappa @fosca. Entro in ascensori che portano in alto. Con me c'è qualcuno nella cabina, ma non so chi sia. Non ci parlo, non ci incrocio lo sguardo.
Gli ascensori sono scatole di metallo parallelepipedali che salgono, poi scendono. Sono male illuminati, sporchi e pieni di grasso. Inquieti e scuri. Nel passaggio da un ascensore ad un altro riesco a vedere la struttura immensa in cui si muovono. Una specie di aeroporto africano, sudicio, metallico e non organizzato. Caos primordiale e gente distratta in viaggio. In qualche modo questi ascensori portano su, ma non so dove. Verso il tetto, altissimo.

Prima di scendere, in modalità a me sconosciute, percepisco la voce ed il consiglio di @Flo, l'editor. Mi avverte che c'è stato un guasto precedente all'ascensore, per cui all'arrivo esso non sarà stabile, traballerà e non combacerà col bordo del tetto, dovrò fare attenzione a saltare bene e a non cadere di sotto.

Superato il tetto mi ritrovo tra gente che va e che viene su una piattaforma gigantesca in mezzo ad un mare. Di fianco a me c'è un mio amico melomane, comparso da poco. Come sempre si guarda intorno circospetto. Gli spiego come se sapessi dove mi trovo che una volta questa piattaforma, tanto immensa, ha ospitato sulla sua superficie una nave gigante, intera. Un Fitzcarraldo o una Costa Concordia differenti. Siamo in mezzo al mare e tutto intorno vedo solo acqua e mastodontiche navi merce in orizzonti lontanissimi. Sono disperso, ammutinato? Ad un tratto mi rigiro sulla mia destra. Appare, ora e qui, un paesaggio arido e desertico e nel frattempo mi si affiancano altri conoscenti che prima non so dove fossero. Mi restano dietro. Mi addentro sulla terra ferma e faccio qualche passo. Scopro una specie di cratere smisurato, in erba. Sul suo fondo giace, immacolato e perfetto, un campo di calcio vuoto in manto sintetico. Le gradinate, anch'esse di prato, salgono su fino al livello zero del suolo su cui ho i piedi. Rimango sorpreso e meravigliato. Torno indietro e chiamo i miei accompagnatori. Gli dico di venire a vedere questa strana meraviglia. Titubano, ma poi mi seguono. Restano a bocca aperta anche loro. Li invito a scendere giù con me per guardare il campo da vicino. Mi seguono ed ad un certo punto escono dei calciatori dagli spogliatoi. Sono disponibili e gentili. Gli chiedo chi gioca in quello stadio, mi rispondono che anche la squadra della mia città calca quei terreni. Mi volto dall'amico melomane anche pallonaro, gli chiedo se è vero, che lui sappia. Mi dice di non averne avuta mai notizia. Risalgo in superficie.

Sono di nuovo solo. Mi rigiro il posto che adesso è fornito di un entroterra che prima non c'era. Entro nei suoi vicoli fumosi, vaporosi e lerci. Ci sono diversi supermercati, sweat shop e bar. Niente musica nell'aria colma di veleno. Solo rumori di fondo sfocati in lontananza che la mia distanza rende ovattati. Scorgo ragazzi stesi in vestaglia che prendono il sole. Mi siedo di fianco a loro per carpire qualche informazione, ma sembrano tutti molto restii a farmi partecipe di certi segreti. L'unico nome che riconosco è @nes, in vestaglia verde, steso sulla sdraio. Taglio anni 90 castano chiaro, occhialini tondi, barba rasa. Non parla, qualcuno mi sussura che è lui. Si alza senza guardare nessuno e si dirige verso il supermarket. Riesco ad intravedere un grosso tatuaggio sulla sua schiena. Nes è indubbiamente bello e penso che da poco ha compiuto gli anni, come me, sullo stesso asse. Qui, in questo luogo e in questo tempo sembra molto più bello di me.

Gli astanti rimasti con me sul Solarium mi chiedono chi sia io. Diffidente gli do un altro nick e cominciano a guardarmi con sospetto, gli confesso allora di essere @HOPELESS, ma non hanno intenzione di credermi o fidarsi. Allora gli mostro i miei dati di accesso sul sito dal telefono cellulare e loro con sorrisi enigmatici mi fanno segno di aver accertato. Facce che mi sembra di riconoscere, gente con capelli rasati in camicie hawaiane e occhiali da sole coi lacci che li assicurano ai loro colli. Gli chiedo dove siamo e come si fa a raggiungere quel luogo... Sono vaghi ma mi dicono che da Caserta si può prendere un traghetto che giunge a Roma e da lì entro sei ore potrei essere sul posto. Riprendo il cammino.

Passando tra i vicoli stretti della città espansa concentrata ad un certo punto mi arrampico su una rampa di scale di una palazzina in degrado e mi trovo in uno stanzone adibito, mi sembra, a museo, non so di cosa. Oggetti sparsi su un unico bancone, il resto è uno spazio vuoto malmesso e malodoroso. Una specie di teatrino bombardato come quello della prigione di Manhattan di Snake Plissken. Gli oggetti non so cosa siano. Adagiati su piccole basi di legno improvvisate munite di calamite che li trattengono in maniera incerta a sé. Senza forme precise, sembrano più schegge frammentate di vecchia robaglia che cose finite. Guardo queste reliquie e cerco di scegliere per tinta e forma quale dovrò prelevare, forse rubandola, per portarla con me come testimonianza di questo passaggio nel mondo reale, perchè questo inusuale è così surreale. Ma sarà questo poi uno dei possibili mondi? Il mondo reale? Ad un certo punto sull'estremità destra del bancone vedo un cellulare, uno di quei vecchi modelli che servivano solo a telefonare e mai e poi mai per farsi barba o caffè. Lo impugno e lo scruto un po', ma ci passerò dopo, adesso ritorno sulla scelta del testimone che vorrò portare con me. Ma appena mi giro un cigolio di una porta mi fredda il sangue. La porta è sulla stessa estremità del bancone di cui parlavo, non l'avevo notata. Una luce rotta si accende ad intermittenza, avvisto una scimmia grigia che preleva il cellulare, lo custodisce e se ne va lasciando che quella porta si richiuda in se stessa. Tutto molto rapido, ma tempo sufficiente per ricordarsi bene. Adesso sono spaventato e guadagno più velocemente che posso l'uscita, la testimonianza del passaggio la lascio li dov'è senza scegliere.

Sono di nuovo in strada, tra i vicoli color pastello-catrame-sbiadito che batte su gialli sgranati e rossi usurati dal tempo e strade quasi sterrate con rimasugli di asfalto. Ho la sensazione di stare percorrendo la Tangeri del "Pasto Nudo", affascinante, esotica, stonata, malata, sensuale e decadente.
"Cucina Trascendentale, Città di Interzona: Sulla città aleggiano odori di cucina di tutti i paesi, Yage, odore di giungla e d'acque salmastre, di fiumi putrescenti, di escrementi secchi, di sudore e genitali". (W.S. Burroughs, PASTO NUDO 1959).
Ma la paura dell'episodio di poco prima ce l'ho ancora addosso e sottopelle. Qualcuno in lontananza, da un portoncino, sembra aizzare due scimmie adolescenti grigie e malefiche anch'esse contro di me. Queste cominciano a correre in mia direzione ed io, sorpreso da un qualche orrore, mi sollecito a fuggire intimorito. Alla svolta del vicolo mi raggiungono, sono più veloci. Mi affiancano. Terrorizzato.. Mi superano. Vanno per la loro strada non curandosi minimamente di me. Provo sollievo e rallento.

Ora risalgo a piedi sul tetto della piattaforma. Guadagno un interno giorno.
Dentro, bar per niente sporchi, ma anzi moderni e ben sistemati ed arredati. Un po' kitsch. Scopro un mio amico che mangia tranquillo in un locale. Lo avvicino e per un momento i nervi mi si acquietano. Mangia sereno, evidentemente alterato dolcemente dall'area. Pacifico come un Oceano in certi giorni dell'anno, nel frattempo segue qualche evento sulla tv a muro del locale. Lo lascio lì, continuo il movimento e passo avanti. Adesso sono fuori sul piano più alto della piattaforma. Vedo una specie di bacheca improvvisata su un muro imbastito male. Il muro è bianco. Tutti leggono ma non c'è nulla da leggere. Il muro è bianco e cemento. Mi avvicino e sento qualcuno bisbigliare che quello è il modo di @G per tenere tutto sotto controllo. Erro e stamattina era il 1894. Io non capisco e cerco di proseguire, ma una ragazza mi ferma e si presenta. Ha un berretto estivo, bikini, jeans tagliati a gamba, infradito, Ray Ban Aviator a specchio. Mi sorride, ha poco seno e sembra felice, mi dice di essere @Pin Pin (deadlink_neverborn) ed ha le sembianze di @LauraCamp (con la quale non ho scambiato la minima parola sul sito). Le dico che non sapevo che Pin Pin fosse una ragazza. Lei mi pare infastidita e se ne va.

Allora io noto una specie di banco centrale con sopra un sacco di opuscoli, buste, riviste e cose varie. Mi avvicino. Quello che c'è sul piano stracolmo è materiale informativo del sito, adesivi promozionali e gadget vari. I ragazzi che gironzolano mi porgono diverse riviste da sfogliare e mi spiegano come vanno le cose da quelle parti, come debbo utilizzare tale materiale informativo. Tra le varie cose sul piano noto confezioni rettangolari di plastica trasparente con fondo nero, divise in due sezioni. All'interno grossi chicchi gialli all'esterno e bianchi all'interno. Non so cosa siano. Una ragazza mi spiega che è zenzero (zero:zen) e che va usato con cautela, soprattutto quando ci si fa il bagno in vasca, perchè le bolle che rilasciano sono miliardi e spumeggianti. Accetto il consiglio e vedo i ragazzi intorno a me cordiali e amichevoli, adesso. Riappare un amico melomane circospetto al mio fianco, gli dico che è un bel posto e che ci dobbiamo ritornare, ma come si fa a ritornarci? Mi riprometto di farlo... Ma ritornare dove? Mi allontano. Adesso inspiegabilmente sono sulla riva ingiallita e verdognola di una spiaggia visibilmente deturpata e probabilmente radioattiva. Le onde che arrivano a riva sono basse pochi centimetri, meno di otto-dieci. Il terreno che sottostà mi ricorda quello desertico che mi si era parato davanti prima all'improvviso. Sono scalzo. Comincio a rendermi conto che dev'essere un sogno lucido bianco, ma non cerco di guidarlo, cerco soltanto di restarci dentro. Voglio restare ma non ci riesco.

Ore 00:15 di un Martedì, 31 Maggio 2016. Mi risveglio dal sonno e mi ridesto dal sogno.
Nel dormiveglia cerco di ritornare su quella specie d'isola, ma evidentemente adesso l'ingresso mi è interdetto. Svanisce e sfuma chiudendosi in una nuvola che si risacca inversa contro l'interno delle palpebre. Di fianco a me dorme la mia ragazza e quasi provo alleggerimento e felicità per essere tornato nel mondo reale. Ma quale realtà? Ma quale reale?
Chissà se quella città proibita, micromondo potenzialmente ciclopico e mostruoso, spiegherà mai più le sue porte. Chissà se potrò mai ritornarci e ritradurmici.
Onironautica. Argonauti del Pacifico Occidentale. Le sequenze e le frequenze. La lingua Quechua. Ghost Writers e il romanticismo disperato e neuromantico di Blade Runner. A Scanner Darkly è un oscuro scrutare. Zoroastro e zero astri. Nessuna umana pietà. Bronislaw. Sud-Ovest. Arizona. Circumnavigazione.
Temo che non avrò mai più i permessi e la possibilità di accesso. Ho visto questo. Poi non ho visto più niente. Sveglio adesso. Transumanza. Penso ad una Hollywood in Memoriam.

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[Zsuta: La notte che bruciammo (google) Chrome aka l'editoriale che fece crashare gli editoriali]

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editoriale di Bubi

JFK è generalmente considerato un politico illuminato e lungimirante. Ma fu presidente per due soli anni, dal 61 al 63, un periodo troppo breve per esprimere un giudizio netto. Il fallito assalto alla baia dei porci (volto a rovesciare il regime di Fidel Castro) è da ascrivere alla sua indeterminatezza, la conseguenza fu la crisi missilistica coi russi che portò il mondo sull'orlo della guerra nucleare. Vediamo di provare a capire cosa c'è dietro la sua elezione e anche la sua morte. Sono due le figure che hanno determinato il suo destino. Anzitutto il padre...

Joseph Patrick Kennedy Sr. era una figura di spicco del partito democratico, ed anche uomo d’affari di successo. Fece fortuna acquistando e fondendo insieme diversi studi cinematografici e contrabbandando alcool durante il proibizionismo. Dal 1938 al 1940 fu ambasciatore degli Stati Uniti, nel Regno Unito. Aveva la ricchezza, l’influenza e le connessioni giuste per raggiungere la Casa Bianca. Tuttavia la simpatia che nutriva verso Hitler, indussero Roosevelt a richiamarlo in patria. Così, l'ambizioso patriarca della famiglia più famosa degli Stati Uniti, spostò sui suoi figli, il desiderio di diventare presidente degli Stati Uniti. Dopo la morte del primogenito in un incidente aereo, si concentrò sulla carriera politica del suo secondo figlio, John Fitzgerald Kennedy.

Sam Giancana, fu uno dei più potenti boss mafiosi americani. Iniziò la sua carriera criminale negli anni venti. Ex guardiaspalle di Al Capone, divenne uno dei boss mafiosi più ricchi e potenti negli USA degli anni sessanta e capo indiscusso della temutissima “Chicago Outfit”. Personalmente ritengo verosimile che sia stato Joseph P. Kennedy, (tramite Frank Sinatra) a mettersi in contatto con Sam Giancana, per ottenere i voti che gli poteva procurare il boss di Chicago. Molti giornalisti che si sono occupati del caso, affermano che sia stato il principale artefice della vittoria John Fitzgerald Kennedy alle elezioni del 1960. Gli storici, che hanno rivisitato le liste elettorali, calcolano che 15 mila morti abbiano votato, così Kennedy vinse con 9 mila voti di maggioranza. Il Boss di Chicago sperava di poterne trarre vantaggio, ma...

... dopo l'elezione, JFK nominò suo fratello Robert ministro della giustizia. Come prima iniziativa, Robert Kennedy accelerò la campagna contro il crimine organizzato. Durante il suo mandato, le condanne contro i mafiosi aumentarono in modo esponenziale. Questo non fece piacere a Sam Giancana. Il boss di Chicago aveva l'audacia e i mezzi per compiere l'attentato a JFK. il vero assassino del presidente è presumibilmente John Roselli, "Handsome Johnny". Fonti ben accreditate rivelano che fu lui a sparare con un fucile di precisione, su ordine del suo capo. Giancana sarebbe stato anche reclutato dalla CIA per assassinare il nuovo leader cubano Fidel Castro che aveva preso il potere nel 1959. Il piano tuttavia non fu mai messo in atto. Con riferimento a quell'episodio, Giancana ebbe modo di affermare spavaldamente che la mafia e la CIA erano due facce della stessa moneta.

Secondo lo: United States House Select Committee on Assassinations, (un organo istituito nel 1976 per investigare sulle circostanze della morte di John Fitzgerald Kennedy e di Martin Luther King). Giancana è ritenuto il mandante dell'assassinio del presidente Kennedy.

C'è anche la versione di Judith Exner, moglie dell'attore William Campbell. La riporto anche se non la ritengo molto attendibile. Nel 1975 dichiarò che era stata l'amante di John Kennedy. "La notte prima delle primarie in New Hampshire ci incontrammo all' hotel Plaza di New York", ricorda. "Facemmo l'amore tutta la notte. John non mi parlò una sola volta di politica. Era un amante molto attivo". La Exner dice che Kennedy era avido di pettegolezzi su Hollywood e in particolare su Sinatra. Quando seppe che Sinatra conosceva Sam Giancana, Kennedy chiese all'amante di procurargli un incontro con il boss mafioso. Il meeting avvenne all' hotel Fontainebleau di Miami, in piena campagna elettorale: secondo la Exner, il candidato chiese l'appoggio e i soldi della mafia per la sua campagna. John Kennedy non sarebbe mai diventato presidente senza il nostro aiuto, le dirà in seguito Sam Giancana.

Ho letto alcuni alcuni articoli sui rapporti tra I Kennedy e Giancana, mi sembra interessante riassumerli in un editoriale, perché non ho mai creduto che Lee Oswald fosse stato l'unico esecutore dell'omicidio. Però queste furono le conclusioni a cui giunse la commissione Warren istituita nel 1963 dal Presidente Lyndon B. Johnson.

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editoriale di Bubi

La pioggia cadde molte volte prima che calasse l'oscurità. Io giacevo a terra, Isa si adagiò accanto a me. Silenzio dentro noi, silenzio fuori, per ascoltare la voce della natura. Le gocce cadevano leggere, picchiettando ovunque posandosi sulla sabbia dorata, su pacchetti di sigarette gettati via, su flaconi di crema solare dimenticati, sulle carcasse di creature decomposte, su bottiglie di plastica. Cadevano su tutto ciò che era diventato inutile, su me su Isa, sulla nostra esistenza. S'era formato un rivolo d'acqua, scivolava tra i viottoli silenziosi, sprizzando, ribollendo, borbottando, bagnando ogni cosa. Portava con sé gocce di veleno che infradiciavano e contaminavano i fiori, obbligati a piegare il capo e ad appassire. Che grande tristezza, ma non c'è mestizia che possa offuscare la poesia che abbiamo in noi, la troveremo sempre, oltre che nel canto della pioggia, pure in una pineta dove non ci sono più gli odori, i colori, le luci di sempre, solo sozzume. Dove sono quei bei rovesci che dissetavano i boschi e dopo aver bagnato rami e foglie, tutto gocciolava e tutto era in festa?

Parlo di un tempo lontano. Guardavamo la pioggia, leggera e multicolore, danzare su tutto ciò che non serviva più. Sul immondizia. Il suo puzzo si mischiava con quello del temporale estivo e vi si perdeva. In quella natura trasformata, ciò che era scarto aveva invaso il pianeta riducendo in agonia ogni vivente. A causa di quello che l'umanità aveva rigettato, nei sobborghi delle città espandeva la melma e cresceva l'irrespirabile. Sotto il peso del consumo sfrenato il mondo era mutato e il lerciume era divenuto il nostro accompagnamento. I fanciulli nascondevano gli occhi dietro una barriera di dita, cercando di evitare lo sguardo su quel cielo malato, ma i loro occhi erano tristi e lacrime li inumidivano. Già i contaminanti avvolgevano il globo come un amante appassionato e in questo mortale abbraccio, le acque e i cieli avrebbero presto esalato l'ultimo respiro. Ma volteremo le spalle anche a questa evidenza, infine, saremo costretti a vagare senza meta, senza scopo, colpevoli di autoinganno.

Immersi in queste malinconiche riflessioni, volti protesi al cielo, godevamo a lasciarci penetrare dalla pioggia e dal profumo del mare. Ascoltavamo in silenzio il ticchettio costante delle gocce. La pioggia scendeva leggera dando vita ad una sinfonia visiva, pareva d'ascoltare: One of These Days dei Pink Floyd. Le piccole perle d'acqua cadevano senza sosta, pennellando colore su tutto. S'era formato un nuovo paesaggio, ci sembrava d'essere dentro una opera d'arte di Banksy. La spiaggia bruciava sotto il sole rovente e il fetore avvolgeva la terra in un manto umido di tristezza. Pensavamo che la natura, offesa dalla sporcizia, prendesse le distanze da ciò che dissonava dalla bellezza che aveva sempre creato. Ma, ora lo so, la natura non segue né le leggi degli uomini né dettami poetici, non concepisce il bello e non partecipa in alcun modo alle cose cui diamo importanza. E noi, Isa ed io, abbagliati dal sole e dalla colorata apparenza di quel mondo, continuavamo a godere, inzuppati d'acqua e coi nasi all'insù.

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editoriale di iside

E così dopo quarant'anni ci siamo reincontrati.
Tu a sedici anni avevi preso il tuo cane e te ne andasti definitivamente da casa, dimostrando d'avere più palle tu tra le tue gambe da "Olivia", che noi.
Noi che a sedici anni correvamo ancora dietro al pallone oppure ci masturbavamo fra un "Lando" o un "LeOre" sottratti dal comodino di tuo padre.
E dopo quarant'anni eccoci di nuovo tutti qua a parlare di quanto erano frequentati i sette bar in cinquecento metri del nostro quartiere, di come io non abbia mai visto mio padre ubriaco ed invece il tuo, parole tue, lo era due volte al giorno.
L'incontro l'hai voluto tu come se alla fine qualcosa ti mancasse, forse non la stamberga in cui sei cresciuta, sicuramente non il ricordo di un'infanzia infelice dove, a parte la mia famiglia, non avevi amici, forse è che ti eri dimenticata di salutare chi ti tirava le trecce.
PS "i miei genitori hanno avuto una figlia io non ho mai avuto genitori." cit. S.B.

una canzone https://youtu.be/oGCsOOm3tDs

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editoriale di luludia

Ieri parlavo con un vecchio gentiluomo di campagna...ed ecco, in estrema sintesi, quello che mi ha detto.................

"Se Gromyko amava i polacchi, se John Wayne amava i bambini, io, io amo il rumore.

Trattasi di vizio contratto in gioventù e oramai coltivato di nascosto.

Voi giovanotti però smettetela. Si, smettetela di ascoltare il rock. Davvero non avete niente di più originale da fare? Tipo, che so, riordinare la vostra stanza o fare i compiti?

Ma andrebbe bene qualsiasi idea del cazzo a patto che sia davvero vostra. Non ce l'avete? Me lo immaginavo...ed è precisamente questo il motivo per cui vi conviene fare i compiti...

Se poi siete di quelli che addirittura formano una band, apriti cielo. Che quando mettete mano al chitarrone non siete che l'equivalente di un pittore della domenica

Vi ricordo, inoltre, che “chi tollera i rumori è già un cadavere”. Sempre, beninteso, che il rumore non sia prodotto da menti sopraffine, oppure da vandali, vandali veri. Ma dubito che voi apparteniate a una di queste categorie.

Imparate piuttosto il senso del tempo. Fare rumore oggi equivale al non averlo fatto quando andava fatto.

Ah, non c'è niente di peggio che far baccano fuori luogo"..........................

Avrei voluto, ovviamente , replicare...ma mentre stavo per farlo, mi sono ricordato che, effettivamente il rock è morto quarant'anni fa...

Non per la prima volta, certo...ma, come tutti sanno, se si insiste a morire, si muore davvero...

Quindi non ho detto niente...

E comunque il gentiluomo mi ha dato anche un altro consiglio, ascoltate...

"Se proprio volete cascare nel sociale, scegliete un'idea senza tempo, un'idea inattaccabile.

L'unica cosa possibile è essere contro le catene, visibili e invisibili.

Per quelle invisibili, non so,magari cercate qualcuno che somigli a uno sciamano oppure una personale forma di misticismo.

Io ad esempio faccio l'uncinetto.

Ma consigliabili sono anche la cura di un giardino, la costruzione di un erbario, l'estremo libertinaggio...

E, se siete tradizionalisti, Dio....

Per quelle visibili invece, beh, c'è solo l'anarchia. Filosofi e economisti continueranno a spalar merda, ma l'anarchia è semplice, essenziale e pura come un giglio...

Come dite? Il comunismo anarchico? Beh, per quello bisogna attendere ancora qualche millennio.

In ogni caso: né comandare, né essere comandato".................................................

Come dargli torto?

Di mio aggiungo solo: siate gentili con le ragazze...

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editoriale di Relator

Cambiamento:

"sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l'aspetto di qualcosa o di qualcuno"

Ieri si parlava di eroina nell'Editoriale di Iside. Per fortuna l'ho schivata ma solo quella.

Qual'è stato il momento che vi ha radicalmente cambiato la vita?

"1991 esco dall'Ethos Mama Club con Alessandro di Pescara... è inverno ma è troppo bello baciarlo.

Non prendo la giacca e vestita di niente mi ammalo.

Un mese e mezzo in ospedale con la broncopolmonite.

La prima volta che mi fermo dagli stravizi e prendo coscienza della vacuità e sregolatezza della vita che conduco.

Mi fanno compagnia i miei David: Gilmour, Bowie, Byrne e Sylvian in cassetta"

Esco, so quello che voglio e quello che non voglio più.

Voglio solo un uomo che mi ami veramente per quella che sono, e lo trovo per la vita

Voglio smettere con tutti gli stravizi e lo faccio (per un lungo periodo)

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editoriale di Bubi

Sono un fantasma. Sono il fantasma di un uomo assassinato. Volo qua e là nel cielo. Sono in grado d'andare ovunque. Nei deserti o sulle cime innevate, rincorrere un delfino che nuota in mezzo al mare, carezzarlo, osservarlo ben bene per cercare di capire perché è sempre contento. Posso seguire a volo d'angelo la donna che ho sempre amato. Sta seduta su una panchina di un parco, guarda una mia foto e sorride. Sorrido anch'io. Mi avvicino e l'abbraccio. La bacio. Ma lei non se ne accorge e, se non avverte la mia presenza, le tenerezze non hanno senso. Sopravvivo solo nella sua memoria e nell'immagine sulla foto. Allora, di cosa può nutrirsi una creatura come me, che pensa, ha sentimenti, ma non ha luoghi dove stare e qualcuno da amare? Se non c'è l'amore non esisto. Chi è morto dovrebbe morire completamente senza cercare momenti di felicità. Dovremmo limitarci a essere presenze e lasciare le gioie ai vivi, noi fantasmi.

Sotto di me vedo un brulicare di gente e di vita, ma sono solo in questo grande cielo. Volo a rivedere casa mia, vedo la strada, i pini, alcune persone. Entro da una finestra. Steso al suolo, c'è un ragazzo con una ferita al petto, sta morendo. Sono io. Seduto su una poltrona c'è il mio assassino. Scivolo sulla sua spalla, tiene in mano la mia pistola e sorride. Sembra felice ma non lo è, non è mai stato felice. Nemmeno quando mi ha tolto la vita. Credo che non si sia nemmeno reso conto che mi stava uccidendo. Ma io sono morto e lui è seduto e sorride. Lo guardo di nuovo, lo guardo ben bene, non c'è dubbio è... morto. Ha gli occhi sbarrati ed ha la bava ai bordi della bocca, è morto anche lui! Non gioisco. Non c'è motivo. Lo farei soltanto se potessi tornare in vita e riprendere con nuova consapevolezza, ma questo non è assolutamente possibile. E poi, dov'è tutta questa differenza tra essere vivi, vivere senza vita ed essere spirito e volare dietro al nulla? Non c'è. Già allora ero un fantasma. Morto di fatto. Respiravo o poco più. Mi avvolgevo nella mia coperta di insensibilità e tutto sembrava filare liscio. Ma la vita, dov'era? Non la rimpiango e, neanche lui, credo. In fondo ci somigliavamo. Che strano tipo. Era un assassino che non commetteva reati, un assassino che desiderava essere amato, anzi lo pretendeva. Qui sta l'equivoco. L'amore non si può comprare o pretendere, se non te lo regalano, ci devi rinunciare. Ma lui non lo sapeva e negli altri non suscitava nulla, né affezione né odio. «Prova qualcosa per me! Ti scongiuro!» Deve aver pensato infinite volte. Invece niente. L'infelicità l'aveva piegato a odiare l'umanità ed a maledire il mondo nella convinzione d'essere il migliore. Aveva ucciso anche mio fratello e mia madre si era salvata perché pur di scamparla, se la intese con lui.

Appollaiato sulla sua spalla, vicino a quel sorriso bugiardo, lo osservo e rifletto. Lo conosco bene. Si illudeva d'essere dotato d'una grandezza ben maggiore di quanto la natura gli aveva donato. Pover'uomo, non sapeva entrare in intimità con nessuno, non capiva se stesso e non capiva gli altri. Soprattutto quelli cui piace vivere senza attirare l'attenzione, chi non vuole essere speciale e fa coesistere in sé il bello, il brutto, la luce e l'ombra. In definitiva, coloro che somigliano ai fiori, che sono belli e profumati senza averne coscienza. Era uguale a quel attore il cui solo scopo era ottenere l'applauso del pubblico. Mediocre attore. Una misera comparsa impegnata in una recita continua. Quando si guardava allo specchio, vedeva un cagnolino che scodinzolava, un cagnolino al guinzaglio delle opinioni degli altri. Vuoto, senza orrore di se stesso, avrebbe detto Petrolini. Che pena. Quanto dolore mi provoca, tanto tanto. E io, che dopo la mia dipartita ho avuto molto tempo per riflettere e sono diventato buono, quasi buono, provo compassione, sono vicino ad amarlo.

Quanto devi aver sofferto anche te, caro BABBO. In quei grandi occhi vedo luccicare lacrime, il sorriso bugiardo è in realtà un'espressione di profonda tristezza. Ti guardo ancora. Già cala l'indulgenza. Sentirmi vicino alle tue sofferenze, non basta a colmare la rabbia per avermi messo al mondo. Meglio affidarsi al vento, volare tra gli aquiloni, andare a caccia di delfini da carezzare, cercare l'amata da baciare. Ma, ahimè, dovrò immaginare il nostro bacio. Perché noi fantasmi, abbiamo in sorte di vivere le passioni solo per la nostra parte. E tu, amata mia, pur con tutte le tue tribolazioni, anomalie, imperfezioni, sei viva. Come puoi essere amata da me, se non puoi partecipare ai miei baci e ai miei abbracci? Non abito nel tuo mondo, solo nei tuoi ricordi. Povero fantasma. Sono nient'altro che rimpianti sogni e desideri che fluttuano nell'aria. Condannato a nutrirli eternamente. Quando si esauriranno, quando avrò consumato anche l'ultima fantasia, di me non resterà nulla.

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editoriale di lector

Non era mia intenzione distruggere l’equilibrio del giorno, in un luogo – oltretutto – dove non ero mai stato felice. E quelli battuti alla porta della sventura, sono stati ben più di quattro colpi secchi.

E’ che stamani mi sono svegliato dopo un sonno agitato ed ero trasformato.

Un enorme insetto splendente senza mele nel fianco, un immondo angelo della vendetta.

E poi è arrivata la nausea.

Perché, vedi, se nulla ha senso allora tutto è gratuito. Quando ti capita di rendertene conto, ti si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare.

Così ho cercato un posto che mi sembrasse adatto.

Una scuola, un supermercato, una sala da concerto, una piazza affollata.

Uno vale l’altro, poiché lo Spirito è a sé stesso dimora e può farsi del Cielo un Inferno e dell’Inferno un Cielo.

Così questo è il luogo, questa l’ora e questo il giorno!

Accarezzo la mia Uzi calibro 9 parabellum, fredda e fedele amica, ora sei libera di cantare il tuo canto d'odio. Il tuo canto di liberazione.

I primi se ne sono andati senza nemmeno accorgersene.

Poi l’incredulità, lo smarrimento, il caos, il terrore.

Chiamate il vostro Dio? Io potrei credere solo a un dio che sapesse danzare.

Volevate essere salvati? Io crederei all’esistenza del Salvatore se voi aveste una faccia da salvati.

E poi una di quelle facce mi insinua due occhi bistrati sulla punta delle mani. L’abitino della festa, le unghie dipinte coi colori della bandiera, i leziosi fermagli luccicanti fra i capelli.

Oggi ti aspettavi, forse, di rubare un bacio? O di riderne con le amiche?

E mi biascica insinuante, con rabbia lamentosa, la sua domanda: “perché?”

Interessante….

Cosa dovrei risponderle? Che bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante?

Ma davvero crede che ci sia un perché, un senso, una motivazione?

Questo non è mica un film dell’orrore, un banale b movie per adolescenti dove il Male appare sempre per un motivo ed agisce sempre secondo una sua logica, anche se assurda.

Questa è la realtà e il Male trova la sua ragion d’essere solo in sé stesso.

Il Male non è banale: è ottuso. E’ libero dalla prigione della logica.

Pape Satan, pape Satan aleppe.

L’Agnello ha infranto il Settimo Sigillo, le porte si sono aperte, presto si udranno le trombe dei Sette Messaggeri.

“Et vidi aliud signum in caelo magnum et mirabile angelos septem habentes plagas septem novissimas quoniam in illis consummata est ira Dei.”

Le porte, ormai, sono spalancate: psicopatici, terroristi, depressi, invasati religiosi, rivoluzionari, vittime, carnefici. Stanno arrivando, sono già qui, altri ne arriveranno.

Noi siamo la malattia, noi siamo la cura.

Saranno, poi, psicologi e sociologi, giornalisti, preti, politici ed esperti vari a doversi guadagnare il loro guiderdone. A doversi inventare un significato. Politico, religioso, psichiatrico, sociologico. A doversi sforzare di vederci un senso quale che sia, pur di non dover sopportare il peso della Verità.

In quanto a me, io indosso una corona.

“una corona degna è d'alti pensieri, ancor che splenda

su questo abisso di dolori. Oh, meglio

Re nell'inferno che vassallo in cielo!”

Ma come glielo spiego? Così le rispondo in fretta: “perché no?”

Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione.

Così la libero dal peso di un futuro fatto di rimpianti e di un matrimonio da poco. E poi faccio lo stesso dono ad un futuro avvocato. E poi pensionati, casalinghe, studenti, fiscalisti, disoccupati, stagnini, gelatai….

Intanto canticchio “Cease to Exist”.

Madri, e padri, figli, fratelli, amici, amanti. Di qualcuno.

Giudice, finalmente, arbitro in terra del bene e del male.

Ed Eric disse a Dylan: “cerchiamo di divertirci mentre lo facciamo”.

Laggiù a Columbine.

Poi, liberatorie, ho sentito le sirene.

Temevo che non mi bastassero le pallottole.

Stanno arrivando. Arrivano per me.

Peccato che non siano ancora le tre. Le tre è sempre troppo tardi o troppo presto per quello che si vuol fare. È la più stramba ora del pomeriggio.

Devo trovare il tempo di scrivere – da qualche parte – “Healter Skelter” (si, io lo so che è scritto male, non sono mica “Tex” Watson!).

Arrivano.

Finalmente.

Ora, perché tutto sia consumato, perché io mi senta meno solo, non mi resta che augurarmi che ci siano molti spettatori alla mia esecuzione.

E che mi accolgano con delle grida di odio.

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Campionamenti: “Lo straniero”; “La metamorfosi”; “Il processo”; “La nausea”; “Così parlò Zarathustra”; “Umano, troppo umano”; “La Divina Commedia”; “Apocalisse di S. Giovanni”; “The Paradise Lost”; “Cease To Exist” (Lie: The Love and Terror Cult); “Bowling a Columbine”; “Un Giudice” (Non al denaro, non all’amore né al cielo).

Solo un piccolo raccontino natalizio in questi giorni già pregni della futura atmosfera di festa.

Dedicato a Charles Manson e Leslie Van Houten (che non è la mamma di Milhouse).

Che brucino all’Inferno.

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