editoriale di sotomayor

Dopo aver letto una recensione su questo sito relativamente l'ultima pubblicazione de gli Stone Temple Pilots, incuriosito dai suoi contenuti e sulla discussione che è seguita, mi sono documentato brevemente sul conto di questo gruppo che conosco ma che non ha mai storicamente fatto parte dei miei ascolti. In particolare ovviamente più che sui contenuti della loro musica, mi sono interessato alle vicende che hanno riguardato i diversi cambi di line-up dal 2015 ad oggi e che hanno scatenato una specie di dibattito in merito alle scelte operate dal nucleo storico de gli STP composto dai fratelli DeLeo e il batterista Eric Kretz. Fatti che proverò a commentare dalla posizione privilegiata di non essere uno storico ascoltatore della band e quindi pertanto privo di qualsiasi tipo di coinvolgimento emotivo relativamente i fatti.

I fatti sono che nel 2015 Scott Weiland, che morirà alla fine di quell'anno mentre è un tour con la sua nuova band, veniva praticamente 'licenziato' dagli altri componenti della band, che peraltro vincevano anche una causa nei suoi confronti relativa alcuni diritti come l'utilizzo del nome. Contemporaneamente lo sostituiscono, in via provvisoria, con il frontman dei Linkin Park, Chester Bennington e poi, recentemente, con Jeff Gutt.

Nel commentare la vicenda trascurerei, se possibile, tutta la parte relativa la question dei diritti. I cosiddetti aspetti legali. Non che questi abbiano un carattere secondario ma non incidono in ogni caso (se non in maniera negativa) su possibili riflessioni relative le scelte del gruppo in merito alla posizione di Scott Weiland e l'opportunità di continuare il progetto STP senza la sua presenza.

Non considererei altresì ogni possibile giudizio su Jeff Gutt che mi sembra di capire sia emerso come concorrente di un programma televisivo, qualche cosa che come tale sicuramente lo marchia in maniera negativa e indelebile presso i fan storici e più duri e puri della band.

Mi concentrerei invero solo su se e come valutare la scelta di portare avanti il progetto STP senza un elemento fondamentale come Scott Weiland e dopo la sua morte, consdierando che questi abbia contribuito in maniera pesante alla storia della band (più o meno di altri non lo so, ma non è rilevante) e che comunque di questa egli costituiva in qualche maniera il simbolo, perché era sempre e comunque il frontman di una band sicuramente popolare (penso di non sbaglaire se dico che gli STP siano una band che abbia un rapporto forte, praticamente viscerale con il proprio pubblico) e in cui il seguito in qualche maniera si identifica perché immediatamente riconoscibile in maniera simbolica e anche se vogliamo 'iconografica'.

Adesso la storia della musica è piena di esempi di situazioni che possono essere comparate a questa che menzionarle tutte è impossibile. Faccio tre esempi.

1. Brian Jones. Il suo contributo alla nascita e al suono dei Rolling Stones fu determinante. Eppure egli fu di fatto licenziato da Mick Jagger e Keith Richards. Poco dopo morì in circostanze mai del tutto chiarite. Con un certo cinismo gli Stones ritornano praticamente mai su questa questione che pure costituisce uno dei tanti motivi di critica (inevitabile) alla band più grande della storia del rock and roll.

2. Ian Curtis. Dopo il suo decesso Bernie e gli altri decidono di continuare comunque a suonare assieme e con Gillian Gilbert danno vita ai New Order, che via via si distaccheranno dal sound tipico dei Joy Division, facendo la storia della musica britannica negli anni ottanta. Anche loro hanno ricevuto comunque delle critiche negli anni: per avere continuato; per avere cambiato sound. Non hanno suonato le canzoni dei Joy Division per molti anni prima di ricominciare a farlo. Poi dopo che Bernie ha rotto con Peter Hook abbiamo adesso una ulteriore situazione di contrasto e che richiama le critiche dei fan storici del gruppo (oppure dei gruppi...) e in cui i New Order senza Peter Hook e questi da solo continuano a suonare sia le canzoni del repertorio Joy Division che quelle dei New Order.

3. Andrew Wood. Al suo decesso Stone Gossard e Jeff Ament sciolgono i Mother Love Bone e ricominciano da zero con i Pearl Jam.

A questo punto secondo me, senza andare ulteriormente avanti nella rappresentazione dei fatti, ci dobbiamo fare due domande fondamentali.

La prima domanda è: perché gli Stone Temple Pilots abbiano deciso di continuare a suonare e ritenuto di farlo continuando a adoperare lo stesso nome e senza fondare da zero un nuovo progetto.

Da una parte, è evidente, si potrebbero menzionare quelle che sono ragioni di opportunità a livello di visibilità e sul piano commerciale; dall'altra però, perché no, si potrebbe richiamare anche il forte legame emotivo a una storia o a una pagina di storia che evidentemetne non considerano chiusa nonostante la morte di Weiland. Quest'ultimo è un punto di vista che si può condividere oppure no. Considerare più o meno discutibile. Però, chi lo sa, immagino che come ci siano dei fan contrari al prosieguo di questa storia, ce ne siano anche altri che invece siano contenti di poter ancora vedere dal vivoo suonare gli STP.

La seconda domanda è tuttavia più importante e non riguarda tanto chi possa dire che cosa sia giusto o sbagliato fare in questi casi, ma fino a che punto le decisioni di questo tipo riguardino solo direttamente i membri del gruppo e non una 'comunità' più ampia e che comprenda anche i fan storici della band. Certo, sul piano della autodeterminazione e rivendicazione alla propria libertà personale (sacrosanta) e in termini puramente legali è ovvio che i fratelli DeLeo e Eric Kretz possano e debbano (tanto più dopo aver vinto una disputa giudiziaria) fare delle scelte in piena autonomia e secondo quello che è il loro sentire. Ma sul piano invece diciamo etico e morale, sul piano puramente emozionale, gli ascoltatori e i fan della band dovrebbero avere anche loro un ruolo in questa cosa oppure no? E se la risposta è 'Sì': in che misura?

Penso che rispondere in maniera netta a questa domanda sia difficile. Non riesco personalmente a quantificare quanto questa cosa possa essere rilevante, ma questo non c'entra niente con il caso specifico. Penso che quando fai della musica tu lo faccia per entrare in comunione con i tuoi ascoltatori e che quindi questi abbiano un ruolo fondamentale in quello che fai. D'altro canto questo può succedere se e solo se tu fai quello che senti di voler fare. Voglio dire che se uno suona tanto perché sia costretto a farlo alla fine te ne accorgi e in questo senso sarebbe forse o tendenzioso oppure fallace sostenere che ci siano esclusivamente ragioni di convenienza nel portare avanti questo progetto. Giudicare da fuori se sia moralmente giusto o sbagliato continuare dopo la morte di Weiland del resto non è possibile. Giudicare se invece questa cosa abbia 'storicamente' un senso può essere possibile, ma qui il giudizio di ciascuno è individuale tanto quanto quello dei diretti interessati.

Quanto ci appartengono veramente i presonaggi pubblici del mondo della musica e dello spettacolo. Persino della politica. Ma soprattutto, mi domando, se questi non facessero comunque delle scelte, come potrebbero essere definiti e considerati come tali. In qualche modo sono proprio le loro scelte e le loro decisioni e le reazioni del pubblico a tenere in piedi questo legame tra la band e i suoi ascoltatori in quello che si traduce in un vero e proprio show. Questo nel caso di una band conta tanto quanto i contenuti delle loro canzoni e un ascoltatore penso possa giudicare se le loro scelte siano più o meno giuste tanto quanto possa considerare se le sue canzoni siano più o meno buone. Perché funziona così: queste sono le regole del gioco.

Ma questo penso che gli STP lo sappiano benissimo. Lo sapeva anche Scott Weiland. La domanda è se noi che assistiamo a questo 'spettacolo' facendone comunque parte, siamo più o meno consapevoli di questa cosa. Forse, per quanto una scelta come questa ci possa in qualche modo toccare profondamente (perché no), la cosa più giusta è comunque relativizzare i fatti e considerarli nella loro giusta dimensione. Avere sostituito Scott Weiland con un nuovo cantante non è esattamente come profanare una tomba. Nessuno infatti in ogni caso ti potrà togliere quello che è il tuo vissuto e quelle che sono le emozioni che una certa musica ti ha dato e che potrà continuare a darti ieri come oggi ogni volta che la ascolterai.

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editoriale di sotomayor

Avevo molte cose da dire sull'ultimo editoriale di Hank Monk, così ho pensato di scriverne un altro in risposta al suo. Fermo restando che questo qui non è un editoriale in polemica con i contenuti del suo, che in poche parole (bravo) esprimeva una pluralità di concetti e quelli che sono dei dati di fatto inconfutabili. Al contrario gli riconosco di avere rilanciato, sotto una prospettiva diversa, un argomento, quello relativo il caso-Weinstein, che io per primo posso dire di avere portato su queste pagine.

Comincio con una premessa fondamentale per specificare una cosa sulla quale non ritornerò più nel corso di questo editoriale e che mi pare inutile di continuare anche a commentare nello specifico: non ho assolutamente cambiato il mio punto di vista. Allora mi sono espresso dichiarando il mio sostegno ad Asia Argento. Ribadisco la mia posizione nel merito, che so non essere condivisa da molti, ma il mio pensiero resta lo stesso. Penso che abbia avuto e stia avendo molto coraggio. E che certe critiche che riceve in maniera esagerata (al di là dei commenti più tipicamente maschilisti) non tengono conto della sua umanità e della sensibilità ferita di una persona che in questo momento ha messo in gioco tutto se stessa su una questione così grave. Così come ritengo che la presenza di un certo maschilismo imperante nella nostra società sia un dato di fatto.

Ma questa volta volevo affrontare l'argomento secondo una prospettiva diversa e che è stata introdotta in qualche modo dall'editoriale già richiamato di Hank e che riguarda un aspetto più relativo una prospettiva riguardante il rapporto tra l'informazione e chi vi accede. È chiaro del resto che il comportamento dei media e conseguentemente delle masse, in reazione a questa vicenda e al suo prolungarsi nel tempo andando a chiamare in causa anche soggetti diversi da Weinstein, sia diventato oltre che la ostentazione persino volgare e deprecabile di atteggiamenti e posizioni maschiliste inaccettabili, anche quello di scatenare e fomentare una certa caccia all'uomo nel mondo dello spettacolo.

Hank Monk nel suo editoriale si riferisce in maniera chiara a Kevin Spacey, facendo un parallelo tra l'attore di Hollywood e le sue vicende e quelle che in qualche maniera (assieme a molte e molte e molte altre) portarono poi a un processo mediatico e che si concluse con la fine (chi lo sa...) del 'berlusconismo'.

Il parallelo tra l'altro, ma questa è una osservazione di 'costume', è in qualche maniera caratteristicamente peculiare perché molti hanno sempre sostenuto che nel caso l'attore americano sarebbe stato perfetto per recitare la parte di Berlusconi in un film. Una osservazione che condivido, anche se personalmente ho sempre ritenuto molto più adatto al ruolo un attore più 'classico' come Leonardo Di Caprio. Ma questa è solo una osservazione diciamo di costume.

La verità è che il parallelo proposto in questi termini è interessante: quanti in Italia, se si dovesse presentare alle prossime elezioni, voterebbero ancora Berlusconi? E quanti ritengono che ieri (cioè pochi anni fa) si stesse molto meglio che oggi? La risposta alla prima domanda è facile: molti. La risposta alla seconda anche: tutti.

Questo succede chiaramente perché la gente tende sempre a ricordare in maniera nostalgica il tempo passato, qualunque esso sia: senza fare nessun plauso particolare alla attuale amministrazione, non mi pare del resto il caso di stare qui a rimarcare la situazione in cui era arrivato il nostro paese prima che si concludesse l'ultima esperienza governativa di Berlusconi e senza considerare il fatto che Berlusconi abbia di fatto governato o comunque inciso sulla politica del nostro maniera per un periodo lungo vent'anni. Sotto questo aspetto dissento molto probabilmente da quello che è il pensiero di Hank. Ma non penso sia questo il punto centrale della questione. Ad ogni modo per quanto riguarda Berlusconi tutto questo va considerato a prescindere poi della sua vita personale diciamo sopra le righe (senza considerare poi la consultazione diretta del parlamento che si inventò di sana pianta una nipote di Mubarak...) e molto spesso anche al di là di ogni regola e che si converrà quantomeno inadatta a un ruolo così importante come quello di guida di un paese civilizzato o presunto tale e che invece, guarda caso, si considera sia perfettamente adatta a una stella del cinema americano oppure a una star della musica rock o in ogni caso a una eminente e popolare figura dello spettacolo. Di conseguenza, perché no, anche ad un attore come Kevin Spacey.

Come partecipanti 'passivi' (questa definizione apparirà a tutti come una forzatura e forse effettivamente lo è) a quelle che sono le esistenze di queste celebrità, per cui si adopera non a caso una espressione, 'divi' e che in quanto tale rimandi a un immaginario appunto divino e ultraterreno, che non possiamo toccare, siamo portati da quella che si può ritenere propaganda oppure una consolidata forma mentis, a considerare che loro tutto sia concesso. Ogni forma possibile e estrema di manifestazione e in qualsiasi settore possibile.

Quando parliamo di queste 'star' e guardate, proprio allo scopo di chiamare me stesso in causa per primo, nomino come esempio quella che io personalmente considero come la rock'n'roll band più grande di tutti i tempi, cioè i Rolling Stones, non solo lo facciamo in una maniera che esprime la certezza di parlare di qualcuno cui tutto sia concesso, ma dove ci aspettiamo addirittura sempre qualche cosa di più. Tanto che alcuni soggetti poi non riescono a uscire da quella interpretrazione di quello che poi dovrebbe essere solo un 'personaggio' (ma come facciamo a tracciare una linea di separazione netta tra le due cose) e finiscono con il distruggere la loro stessa esistenza.

Perdoniamo in maniera inconsapevole e automatica tutto, persino comportamenti inaccettabili e fuorilegge e che sono lontanissimi dalla nostra cultura e formazione ideologica: perché alla fine si è radicata non a caso la convinzione che la loro stessa esistenza costituisca uno show. La accettazione di questa cosa porta a conseguenze che possono essere il già citato bersagliamento nei confronti di Asia Argento (fosse successo a vostra figlia, vostra sorella, vostra moglie, vostra madre, che avreste fatto, come vi sareste comportati, che giudizi avreste espresso) oppure alla caccia all'untore come nel caso di Kevin Spacey, che scopriamo all'improvviso avere una personalità fortemente traumatizzata da sue vicende personali, ma che nondimeno a quanto pare lo abbiano portato a compiere atti di molestie. È chiaro che la prima cosa secondo me vada comunque tenuta in conto nel giudizio all'uomo Kevin Spacey (come peraltro in qualsiasi altro caso), del resto come si dice, 'chi è senza peccato...', ma se ha commesso atti di molestie allo stesso tempo mi sembra giusto che come resta valido per tutti e in qualsiasi caso, questi vengano denunciati e nel caso discussi in tribunale e che lui sia processato. E penso che su questa cosa pochi abbiano da ridire.

Il fatto che sia già stato condannato dai media ancora prima di un processo vero e proprio, purtroppo, fa parte di quello stesso meccanismo che però allo stesso tempo può scatenare anche reazioni opposte. Come non considerare ad esempio la celebrazione e la unanime difesa del mondo dello spettacolo e dei media di Roman Polanski. Un attegiamento da parte di amici e colleghi che nel caso può essere anche comprensibile ove questi siano convinti della sua colpevolezza ma che se espresso pubblicamente diventa - secondo me - discutibile. Vedasi nel caso quello che sta succedendo adesso riguardo Tornatore e le pubbliche accuse di Miriana Trevisan. Chiamata a parlare sulla questione, Monica Bellucci ha giustamente (secondo il suo punto di vista) espresso sostegno al regista. Che magari con lei e che lei sappia ha sempre avuto comportamenti irreprensibili. Eppure magari in quel contesto... Non lo sappiamo. Possiamo solo attenerci alle dichiarazioni dei soggetti chiamati in causa e vedere se ci saranno sviluppi sul piano processuale e giudiziario.

Di nuovo richiamo a proposito le mie stesse prefereze, perché anche io come tutti, ho delle preferenze in campo musicale, cinematografico, letterario e sono evidentemente vittima di alcuni meccanismi. Uno dei miei attori preferiti di sempre infatti è Klaus Kinski. Io adoro Klaus Kinski: lo dichiaro apertamente. Rivendico personalmente di amare questo attore in una maniera significativa, importante e di anche essere affascinato dalla sua figura sotto e lontano dai riflettori. Eppure Klaus Kinski era, è stato da tutti i punti di vista possibili probabilmente quello che potremmo definire un mostro e questo è purtroppo innegabile: alcune vicende ci sono state raccontate direttamente dalle figlie. Ma in generale era risaputo che avesse un carattere quantomeno difficile e pare sussistano anche perizie psichiatriche che lo determinino come un soggetto socialmente pericoloso. Ma sapete in automatico quale processo compie il mio cervello pensando a lui: penso che era un mostro, ma che va bene così, perché voglio dire, in fondo era un genio... Ma questo è un pensiero chiaramente sbagliato. Klaus Kinski è stato un attore fantastico, persino sublime, ma è stato allo stesso tempo un uomo orribile e la prima cosa non giustifica la seconda né è giusto compiere una connessione e un collegamento tra le due cose!

Quello che sta accadendo a Kevin Spacey è sbagliato ed è qualche cosa di deviato perché è deviato il sistema dello star system e guardate che la denuncia fatta da Asia Argento e altri e altre rappresentanti del mondo dello spettacolo va anche in questa direzione: cioè quella di sradicare una determinata mentalità anche allo stesso tempo provando a intaccare questo 'privilegio' che noi abbiamo accordato a attori e registi, musicisti e cantanti, calciatori e alla fine persino personaggi del mondo della politica.

Tutte queste persone hanno un potere specifico all'interno della società e che è dato dalla loro posizione così come in primo luogo dalla propria situazione finanziaria e questa cosa difficilmente cambierà per quello che sta succedendo in questi giorni perché la deriva che si è voluta far prendere alla cosa sposta chiaramente il bersaglio di nuovo su noi stessi e che quindi di nuovo siamo soggetti passivi di tutto quello cui assistiamo, ma allo stesso tempo vi partecipiamo PER FORZA contribuendo ad alimentare determinati meccanismi.

Ci sto: non ha nessun senso fare un processo mediatico a Kevin Spacey come a Berlusconi oppure al primo assassino vero o presunto dei tanti casi di cronaca nera reclamizzati fino allo spasimo da televisione e giornali. Di queste cose per la verità, riguardando aspetti privati e come la maggioranza dei casi di cronaca nera, ci dovrebbe interessare zero: la colpevolezza di queste nefandezze dovrebbe nel caso riguardare solo la giustizia. Ma ci sta una mentalità che riguarda la intoccabilità di determinati soggetti e che sono guarda caso, soggetti 'pubblici', cui ci è stato 'insegnato' che tutto è concesso (ma non ci è stato insegnato del resto anche che tutto ci è concesso sulle nostre donne in generale...) oltre che su determinati temi (e qui si ritornerebbe sulla questione di partenza del mio precedente editoriale, cioè il supporto a una cerca causa contro una mentalità maschilista evidentemente dominante) che va messa in discussione.

Il problema come sempre sta nelle capacità critiche delle persone, ma cominciare a considerare che questi soggetti possono essere colpevoli di cose che voi per primi considerereste sbagliate, può essere un primo piccolo passo per diventare non giudici inflessibili censori ma parte attiva e protagonisti della nostra vita invece che solo spettatori (paganti) inconsapevoli.

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editoriale di sotomayor

Ho girato due volte la Sicilia in motocicletta. La prima volta, anzi, per la verità l'ho girata su una vecchia vespa arcobaleno di colore grigio (sembra quasi un gioco di parole) che praticamente, una volta ritornato a Napoli, ho dovuto solo buttare. L'avevo fatta camminare troppo. Troppi chilometri e troppi incidenti. Quella estate tra l'altro il mio (ex) meccanico di fiducia, diciamo così, attentò praticamente alla mia vita. Prima di partire, infatti, gli lasciai la vespa per un check-up totale, una buona prassi che si rispetti prima di intraprendere un viaggio. Questi me la riconsegnò secondo lui perfettamente integra. Fatto sta che in verità egli non svolse nessun controllo particolare e dopo due-tre giorni di viaggio, sulla strada provinciale che in direzione nord/nord-est da Agrigento porta a Racalmuto, il paese dove è nato e vissuto Leonardo Sciascia, la ruota posteriore si staccò letteralmente dalla matrice (il cosiddetto 'mozzo') lasciandomi praticamente fermo. Rimasi completamente immobile e fermo in mezzo alla strada seduto a bordo della vespa cui era rimasta solo la ruota anteriore.

Allora credo di essere stato fortunato: non c'erano macchine che sopraggiungevano alle mie spalle; per una pura combinazione di natura fisica inoltre la vespa si fermò completamente immobile e ben piantata a terra, nonostante io stessi peraltro compiendo il tracciato di una curva. Quindi non sono neppure caduto.

Tutto il resto fu altrettanto fortunato. Perché ero su una strada provinciale completamente deserta e era domenica e batteva forte il sole perché era estate, era fine giugno e fine giugno significa comunque praticamente estate, ma davanti a me vi erano due volontari della protezione civile che per qualche ragione (una deviazione di una delle varie diramazioni della strada provinciale) erano posizionati strategicamente sul posto e che dopo avermi soccorso, chiamarono un loro conoscente, mi pare di Favara, un certo signor Bruno Spatola, che venne sul posto e riparò la vespa montando la ruota sul mozzo con del fil di ferro tagliato con le cesoie da una recintazione del maneggio adiacente la strada.

Una soluzione che definirei artigianale, ma altrettanto brillante e che mi permise di portare a termine il mio viaggio.

Quella giornata guidai su fine a Enna e Caltanissetta e poi giù giù fino a Gela e quindi rientrai all'interno e terminai la mia giornata in quella città bellissima e unica al mondo che poi sarebbe Ragusa con il tramonto che mi sbatteva sulla faccia mentre percorrevo gli ultimi chilometri.

Quando sono tornato a Napoli ho cambiato meccanico.

Mentre relativamente il signor Spatola, va detto che questi non era un meccanico, ma semplicemente un grande cultore della vespa come mezzo di locomozione. Cosa che chiaramente fece sorgere in lui un affetto e una simpatia particolare nei miei confronti, rafforzata dal racconto del viaggio di nozze dei miei genitori nella ex Jugoslavia nel 1980 a bordo di una vespa Sprint blu che orgogliosamente possediamo ancora e custodiamo giustamente come un bene di famiglia: come se fosse qualche cosa di importante. Semplicemente perché lo è. Dopo aver sistemato la vespa il signor Bruno Spatola non volle nulla per il disturbo: era venuto fin lì da Favara (quel giorno casualmente da quelle parti c'era anche un moto-raduno) una domenica mattina di estate, ma non volle nulla per il disturbo. Anzi embrava felice di avermi aiutato e in effetti lo era. E anche io sono stato felice di averlo incontrato. Non perché mi abbia riparato la vespa. Questo è importante, ma alla fine è secondario. Sono stato felice di averlo incontrato perché era una brava persona.

Questo credo sia successo sei oppure sette anni fa.

Era l'estate del 2011.

Il giorno prima, mentre guidavo da Marsala ad Agrigento, allargandomi volutamente per i percorsi 'paesaggistici' costieri, passai per Mazara del Vallo, uno dei porti commerciali principali della regione e da dove partono i traghetti per la Tunisia. Più precisamente per quella città che si chiama Hammamet e che costituisce ancora oggi meta di pellegrinaggio, giuro, delle figure più eminenti, diciamo così, che gravitavano e grativano attorno l'orbita di quello che una volta si chiamava PSI.

Era il 2011 comunque. Me lo ricordo bene anche perché in quel periodo secondo quello che ci raccontavano i mass media, tutto stava cambiando in Nord Africa. Io invece avevo cominciato a stare male e da allora questo processo non si è mai arrestato aggravandosi di anno in anno e volevo andare via, scappare, cambiare nazione, sparire e non tornare mai più a casa.

Qualche mese dopo ci provai a scappare. In Germania. Berlino. Riparai lì un gelido inverno prima di ritornare a casa dopo avere visto l'Hertha pareggiare 1-1 in casa con il Wolfsburg sotto una tempesta di neve. Sulla panchina dell'Hertha sedeva Otto Rehhagel, l'allenatore che nel 2004 aveva fatto vincere i Campionati Europei di Calcio alla Grecia. Un tedesco che fa vincere la Grecia. Ma questo succedeva nel 2004 e nel 2004 secondo quello che ci raccontavano i mass media, tutto stava cambiando in Grecia e così ...

Comunque la notte dopo la passai con Chiara: fu la nostra ultima notte. Vomitai ininterrottamente il sushi che aveva cucinato. Non l'ho mai più rivista. Non ho mai più mangiato giapponese. Senza di lei la cosa non avrebbe avuto più senso. Non ha nessun senso. A volte le donne pensano che tu faccia qualche cosa che di solito non fai, solo per loro oppure con loro e per farle un piacere oppure una concessione e questa cosa a loro non piace perché sembra quasi che tu faccia qualche cosa perché dopo ti aspetti qualche cosa in cambia. Per quanto mi riguarda non è così: tutto quello che faccio, seppure non rientri nella mia quotidianità abituale, lo faccio proprio perché ritengo abbia un senso farle assieme e in quel determinato momento specifico. Oppure come una specie di rituale. Perché no.

Del resto se dovessi fare comunque sempre le stesse cose che faccio da solo, che ci sto a fare con una ragazza.

A fine campionato l'Hertha Berlino retrocesse meritatamente in Serie B.

Mazara del Vallo invece credo sia una realtà difficile: voglio dire che è apparentemente un posto difficile dove vivere. È unitamente a Gela, forse Porto Empedocle, Augusta e sicuramente dei posto sperduti là tra le montagne nel cuore della regione, il posto che più tra tutti nella regione mi ha trasmesso una certa 'durezza'. Ma posso sbagliare e comunque questa non vuole certo essere una critica ai suoi abitanti. Va detto infatti che ovunque in Sicilia (ci sono stato più volte e praticamente dappertutto) ho sempre e solo trovato gente cordiale e accogliente. Ma come dicevo prima: forse sono stato fortunato.

Comunque quando mi sono trovato davanti al porto e al punto di imbarco delle navi, ho fermato la vespa, sono sceso, l'ho messa sul cavalletto e mi sono tolto il casco.

Eravamo io e il mare. Tutto quello che mi divideva da un altro continente e da un'altra vita: dalla fine di tutto quello che aveva riguardato la mia vita di merda fino a quel momento. Solo una nave che avrebbe percorso in poche ore il Mare Mediterraneo da una parte all'altra e mi avrebbe praticamente traghettato da una esistenza a un'altra.

Non avrei mai informato nessuno della mia scelta e una volta dall'altra parte, chi lo sa, mi sarei subito messo in moto per far perdere le mie tracce. Sarei andato avanti per un po'. Avrei continuato a guidare finché avrei potuto. Poi non lo so. Magari mi sarei fermato da qualche parte. A un certo punto avrei sicuramente finito i soldi. Ma pensai che a quello mi sarei preoccupato solo dopo. Del resto che importava. Per quanto mi riguarda una volta lì avrei pure potuto decidere di farla finita del tutto. Materializzai l'idea che a quel punto, quando sarei stato dall'altra parte, avrei potuto farlo veramente: perché sarei stato solo e quando sarei stato solo, veramente solo, sarei stato libero di vivere la mia vita ma anche libero di morire se lo avessi deciso. Se fosse succeso. Come se restare significasse in qualche maniera che tanto vivere quanto morire fosse impossibile.

Voglio dire, alla fine non dovevo per forza ricominciare da zero se non me la sentivo. Però quando sarei stato dall'altra parte, sarei stato finalmente veramente solo e in questo modo libero.

Non lo so quanto tempo sono rimasto lì fermo. Forse sono stati solo cinque minuti: cinque minuti, dieci, quindici. Ho fumato una sigaretta e ho pensato e ho visto tutte queste cose. Ma ho anche visto mia madre che piangeva per la mia scomparsa e ho visto mio padre, che avrebbe pensato che fosse stata colpa sua e che non avrebbe mai potuto curarla dalla sofferenza che le avrei arrecato; ho pensato che i miei fratelli avrebbero praticamente perso anche loro una famiglia a questo punto e sarebbe stato tutto per colpa mia. Ho pensato anche che per tutte queste ragioni da questa vita non potevo e non sarei mai potuto scappare allora come in futuro se non in una maniera così estrema, radicale. Senza compromessi. O bianco o nero. Come dice mia madre. Non conosco le gradazioni di colore infinite che passano da un estremo all'altro.

Sono testardo oppure forse mi piace semplicemente essere così.

Così non ho scelto oppure, meglio, ho fatto quello che dovevo fare e che però non so se fosse quello che volevo veramente fare: mi sono infilato nuovamente il casco, ho rimesso in moto la vespa e mi sono lasciato l'Africa alle spalle oppure - meglio - sulla destra, mentre continuavo la mia strada senza nessuna meta particolare. La sera arrivai ad Agrigento, ma la Valle dei Templi aveva già chiuso. Mangiai ottimamente a un piccolo ristorante all'aperto in una piazzetta nascosta alle spalle della strada principale della città vecchia.

Il giorno dopo mi rimisi in viaggio e quella giornata incontrai Bruno Spatola, una persona che non dimenticherò mai.

Foto: la mappa del mondo ricostruita secondo Eratostene di Cirene, terzo bibliotecario di Alessandria, 200 a.c.

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editoriale di sotomayor

Quando ero bambino, mio padre lavorava in fabbrica a una macchina a controllo numerico. Ricordo che qualche volta succedeva, in occasione dei periodi natalizi, che i genitori potevano portare la propria famiglia e i propri figli in fabbrica: questa organizzava degli eventi attraverso il cral aziendale in cui era data la possibilità di accedere a degli sconti per chi volesse comprare determinati regali per i figli in occasione delle festività. Organizzavano allora una specie di festa e un allestimento. Ricordo questi grandi capannoni addobbati per l'occasione: nel complesso, ripensandoci, mi sembra tutto molto 'povero'. Era sicuramente tutto molto grigio e ricordo sempre che faceva freddo, però allora bastava la magia dei giocattoli a dare quel colore che significava qualche cosa di speciale.

Devo dire che mio padre non amava particolarmente quelle iniziative. Ricordo che organizzavano, sempre secondo le stesse modalità, ad esempio anche la colonia estiva e mio padre non volle mai mandare me e mio fratello più piccolo, il terzo invece non era ancora nato in quegli anni, perché diceva che non avrebbe mai e poi mai lasciato i suoi figli in ostaggio nelle mani del padrone.

Comunque io queste visite me le ricordo bene ancora oggi, ma ricordo che quello che mi interessava veramente era vedere dove lavorava papà.

Io volevo essere come mio padre, il mio unico grande sogno, l'unica cosa che ho sempre voluto essere è stata diventare un operaio come mio padre prima di me. Magari potere un giorno lavorare alla macchina accanto alla sua.

Era la fine degli anni ottanta. Vedevo poco mio padre durante gli anni dell'infanzia. Un po' perché faceva i turni in fabbrica; un po' perché il sindacato, era nel comitato centrale, la politica... tutte queste cose lo tenevano spesso lontano da casa.

Praticamente posso dire che io e mio fratello siamo stati cresciuti solo da mia madre e per questa ragione, come io volevo essere come lui, ricordo che dormivo con martello, pinze, cacciavite... sotto il cuscino, allo stesso modo mio fratello (due anni più piccolo di me) aveva per lui una specie di venerazione. Tanto che mia madre a lungo si domandava se per caso sbagliasse qualcosa nel comportamento nei suoi confronti. Ma la verità era semplicemente che, poiché lui non c'era mai, quando c'era, la cosa acquistava un significato speciale per noi e per mio fratello, più piccolo di me, la cosa lo era ancora di più. Del resto sul piano affettivo (come sotto ogni altro aspetto) non ci ha mai fatto mancare nulla.

Poi a un certo punto tutte le cose sono cambiate.

Mio padre ha chiuso con la fabbrica. Mio padre ha chiuso per sua decisione con il sindacato e con la politica, del resto non era più un operaio metalmeccanico e democrazia proletaria (cui era stato tra i fondatori, dopo l'esperienza in avanguardia operaia) concludeva la sua esperienza politica confluendo in buona parte in rifondazione comunista. Cui non volle mai aderire. Del resto aveva già avuto Bertinotti come 'capo' al sindacato e averci a che fare in quel contesto gli era bastato. Nonostante il 'compagno' Fausto fosse per lo più assente e poco interessato a adempiere ai suoi impegni di rappresentante capo del sindacato dei metalmeccanici e impegnato a diffondere il verbo da qualche altra parte non meglio precisata, il fatto che mio padre non fosse allineato al pensiero massimalista del pci gli comportò nel tempo un certo ostracismo, se non - molto peggio - degenerazioni e minacce degne di una certa altra parte politica della direzione opposta e che, va detto, senza denigrare un pezzo importante della storia di questo paese, non mancarono tuttavia nel corso degli anni della storia del partito comunista italiano.

Questo succedeva più o meno in coincidenza con la caduta del muro di Berlino: come se quel determinato momento storico avesse segnato il crollo di tutte le mie certezze in una maniera che ancora oggi a distanza di tanti anni, mi appare irreversibile.

È come se quel muro in un certo senso mi sia crollato addosso.

Appena mi sono diplomato, oltre dieci anni dopo, ho fatto subito domanda per entrare in Alenia Aeronautica, ma non mi hanno mai risposto.

Lo sapevo che sarebbe andata così, figuriamoci, ma provare non mi costava nulla.

Nel frattempo comunque mio padre aveva avviato una sua attività e - come naturale - avevo cominciato a lavorare con lui già prima del conseguimento della maggiore età. Del resto aveva comunque bisogno di una mano e sembrava naturale che fossi io ad aiutarlo. Ma la cosa non mi è mai dispiaciuta: mi sono sempre offerto volontario.

Sono passati quindici-venti anni e non ho mai smesso di fare quel lavoro, una attività che padroneggio con l'esperienza di un veterano e molto meglio di colleghi più attempati e con anni e anni di esperienza alle spalle (che poi a questo punto non sono più tanti dei miei), e l'unica ragione per cui credo di avere cominciato e di avere continuato a farlo sia stata in parte la realizzazione della stessa che quando ero bambino mi faceva sognare di lavorare a una di quelle gigantesche macchine.

Infatti sono riuscito, se vogliamo, a lavorare con mio padre (ma vi posso garantire che nonostante l'ottimo rapporto, un rapporto molto intenso e speciale, questo non sia stato facile a causa del suo carattere diciamo particolare). Ma mi manca qualcosa.

La fabbrica.

Qualche anno fa cercai curiosamente di riempire questo grande vuoto proprio a Berlino, dove cercai l'amore disperatamente rincorrendo fin lì la donna della mia vita. Ma io non ero l'uomo della sua vita e così, ironia della sorte, mi ricordai d'un tratto, proprio lì, davanti ai resti del muro, che io stavo ancora lì: sotto quel cumulo di macerie.

In un certo senso sento di non essere riuscito a combinare niente nella mia vita. Tutto quello che ho fatto è stato seguire la scia di mio padre. Ma mi manca qualche cosa e negli anni ho cominciato a avere dei problemi di salute e quando anche la sua è peggiorata, per motivi diciamo fisiologici dato il raggiungimento di una certa età, penso di avere definitivamente realizzato che quel sogno così tanto lontano sia rimasto incompiuto e che forse dentro c'era qualche cosa di più che potere fare lo stesso lavoro di mio padre e essere come lui.

Dentro quel sogno c'era quella voglia e quel bisogno di fare parte di qualche cosa di grande e che se da una parte mi avesse avvicinato a mio padre, come pure volevo del resto, dall'altra mi avrebbe anche dato una definizione e un ruolo riconoscibile all'interno di un gruppo e di una comunità di persone. Avrei fatto parte di qualche cosa.

Volevo lavorare in fabbrica perché così non sarei mai stato solo.

Ogni giorno che passa, adesso, invece, sento che sono sempre più solo e che questo grande buco che ho dentro non riesco a riempirlo e nonostante io ci abbia provato con metodi che definirei 'sani', come cercare di coltivare amicizie o una relazione sentimentale, ve ne ho parlato prima in poche righe, senza esito; che insani. Facendomi del male.

Forse il grande sogno di lavorare in fabbrica, penso qualche volta a Gaber quando diceva che 'Qualcuno era comunista perché si sentiva solo,' ecco, forse anche quello era solo una grande illusione. Ma, sapete, ci sono bambini che sognano di fare qualche cosa di avventuroso come il pilota oppure il pompiere oppure qualche cosa di ancora più difficile come l'astronauta o lo scienziato; altri invece hanno ben chiaro sin dalla più tenera età di voler fare il medico oppure l'avvocato oppure l'architetto...

Io volevo solo fare l'operaio e costruire gli aeroplani: questo era l'unico modo con il quale mi sarei potuto staccare dalla terra e avrei potuto spiccare il volo. Solo che invece sono rimasto con i piedi attaccati al suolo e ogni volta, alzo gli occhi al cielo e vedo gli aeroplani volare e mi sento vuoto e come se la mia vita non avesse alcun senso.

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editoriale di sotomayor

Credo che ogni tipo di relazione dovrebbe necessariamente configurarsi, per essere definita come tale, come un vero e proprio interscambio tra due o nel caso più soggetti.

Non esiste del resto 'relazione' che possa avere carattere unilaterale, perché questo negherebbe il significato stesso della parola.

È richiesto conseguentemente che affinché una relazione sia definita come tale, che tutte le parti coinvolte svolgano un ruolo attivo, confrontandosi e persino scontrandosi tra di loro, ma comunque in una maniera che sia proficua e volta a consolidare, anzi rinnovare e innovare di volta in volta questo legame secondo un principio che potremmo considerare finalizzato ad 'accrescere' quello che ne è il contenuto.

Vanno tuttavia fatte determinate precisazioni.

Intanto viene immediato pensare alla relazione, così come descritta, come se fosse una specie di 'do ut des'.

Chiaramente non è esattamente così che funziona oppure che dovrebbe funzionare. Anzi non è affatto così: non stiamo chiaramente parlando di operazioni di tipo commerciale.

Senza considerare una componente fondamentale: che amare significa tanto saper dare quanto saper ricevere. Se tu sai fare o comunque fai solo una delle due cose, sei in qualche maniera incompleto. Sei irrisolto come il più difficile dei Bartezzaghi.

Non a caso invece che scambio ho parlato di 'relazione', un termine che come tale è rivolto più a principi come collaborazione e condivisione, che significa che avere una relazione con qualcuno significhi condividere, ma questo non sul piano materiale in un senso che potrebbe fare pensare a teorie collettiviste oppure a una visione dei rapporti umani di carattere francescano.

Ci distacchiamo infatti comunque da qualsiasi piano ideale e puramente teorico.

Penso infatti a sì, qualche cosa di materiale, ma che riguardi condividere il proprio pensiero e i propri sentimenti ma anche le azioni: fare assieme le cose. Prendere assieme determinate decisioni. Qualche volta, anzi sempre, basta o meglio basterebbe semplicemente esserci.

Di che cosa parliamo del resto, quando parliamo di amore, se non di quello che ho appena rappresentato.

Forse piacerà poco ai poeti, forse non è il massimo del romanticismo, forse così tutto appare svuotato di principi di natura morale, etica, ideologica, ma l'amore è così: o ci sei, oppure no.

Non c'è amore in una relazione dove un soggetto è innamorato e quell'altro non lo è: questa situazione, che si verifica credo in maniera ricorrente, purtroppo, per quanto il mio pensiero possa ferire la parte 'innamorata', è in verità priva di amore da tutte le parti in causa e caratterizzata solo da uno scatenarsi di energie di carattere negativo e una successiva insoddisfazione e autolesionismo di cui - attenzione - molto spesso abbiamo comunque evidentemente bisogno.

Perché questo sentimento per quanto negativo, è qualche cosa di forte e che funziona in maniera adrenalinica esattamente come l'amore.

Probabilmente è rabbia, molto più probabilmente è vero e proprio odio verso se stessi e che mascheriamo sotto forma di amore.

Tutto questo potrà invero apparire spaventoso, ripensando a casi in cui ci siamo trovati in questa situazione potremmo sentirci delle persone terribili, ma tutto questo è invero molto umano e molte volte abbiamo evidentemente bisogno nella nostra solitudine di trovare una spinta emozionale e il nostro stato di alterazione ci impedisce evidentemente di percepire come stiano realmente le cose.

Per quanto la cosa vi apparirà disperata, nichilista e tragica, non c'è amore quando vi dichiarate disposti a scalare o anzi magari scalate persino le pareti de l'Everest per dimostrare qualche cosa alla donna che credete di amare. Non c'è amore in nessun atto eroico che possiate compiere e ogni sacrificio sarà assolutamente inutile. Tutte queste cose, al limite, potranno servire per provare qualche cosa a voi stessi e in molti casi forse potreste comunque trarne gratificazione. Ma tutto questo oltre che essere autoreferenziale a un certo punto diventa pericoloso perché questo accumulo di 'energie' a un certo punto ha bisogno di una soluzione, altrimenti rischierete di implodere oppure di esplodere e nessuna delle due prospettive è in nessun modo allettante.

Dove basterebbe una passeggiata, come diceva Benigni? 'Facciamo due passi? No! Perché...', è chiaro che non serva immergersi fino a toccare il fondo della fossa delle Maryanne; dove basta una carezza, non serve affrontare propria sponte un processo a Norimberga... e compiere questo atti 'eroici', che poi hanno tutti una qualche componente ascetica, è un gioco al massacro dove l'unico partecipante sei tu e solo tu e non ci sono spettatori interessati.

Nelle relazioni tra le persone, quando parliamo di 'amore' e con questo voglio dire ogni tipo di amore, puoi fare quello che ti pare, superare le barriere dell'impossibile, ma se lo fai da solo non significa niente: al limite puoi essere Superman, ma sarai in questo caso sempre e solo l'ultimo sopravvissuto di un pianeta distante anni luce dalla Terra e come tale, destinato alla solitudine nel tuo palazzo di ghiaccio.

Non c'è amore per gli 'eroi': al massimo una stelletta di cartone da attaccare sul vestito buono da sfoggiare alla domenica quando da soli girerete per le strade della vostra città, sperando che tutti si ricordino di 'quella volta che', ma in fondo non gliene frega niente a nessuno.

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editoriale di sotomayor

Vi capita mai di ascoltare per caso dei vecchi dischi che quando eravate ragazzi per voi significavano tutto e di trovarli adesso invece sgradevoli, privi di contenuti. Praticamente inutili.

A me succede.

Non mi succede spesso perché be' seleziono sempre personalmente quello che ascolto: non mi capita molto spesso di stare in giro ultimamente e se sono in ufficio oppure a casa, decido io che cosa voglio ascoltare.

Per lo più cambio spesso: mi piace ascoltare continuamente cose nuove.

Ma chiaramente come tutti ho le mie preferenze, dischi che ascolto periodicamente e dischi nuovi che magari mi prendono in modo particolare e ascolto per giorni e giorni. Ma in generale mi piace cambiare, anche perché penso che ci sono così tante cose che mi piace provare ad ascoltarle tutte.

Ho avuto una discussione nel merito con mio fratello, anche lui un discreto appassionato di musica (passione che gli ho trasmesso io me medesimo) e tecnico del suono: secondo lui ogni disco (oddio proprio tutti no) meriterebbe di essere ascoltato molte volte per poterne cogliere ogni aspetto.

Va detto che lui è un perfezionista: a differenza di me, che sono evidentemente una testa di cazzo, i miei due fratelli, sono tutti e due più piccoli di me, sono due ragazzi veramente molto precisi e devo dire anche molto in gamba. Secondo alcuni dovrei essere geloso, ma non è così, sono contento: se posso avere contribuito in questo anche in minima parte, vuol dire che forse ho fatto qualche cosa di buono.

Però io penso che ascoltare molti dischi oppure ascoltare molte volte lo stesso disco in fondo sia la stessa cosa: c'è comunque un percorso di ricerca di qualche cosa e questo in fondo pure a livello tecnico e di sfumature nei suoni. Formi comunque una tua cultura musicale e un tuo 'orecchio' anche se passi da un disco all'altro senza soffermarti troppo a lungo su un lavoro in una maniera quasi enciclopedica.

Comunque la domanda è: come vi relazionate con il vostro passato di ascoltatori?

Chiariamoci: io non sto parlando neppure di cose che potrebbero essere deplorevoli come avere ascoltato Ambra Angiolini oppure non lo so Jovanotti. Sto parlando di ascolti degli anni delle superiori come possono essere stati (nel mio caso): i Radiohead, i Cure, i Pearl Jam...

I Radiohead in particolare sono stati a lungo la mia band preferita. Per me significavano veramente molto e ricordo che la prima trasferta on the road importante per vedere un concerto fuori Napoli l'ho fatta proprio per loro: ho considerato quella giornata per molto tempo come la giornata più bella della mia vita.

Com'è possibile che oggi, ascoltandoli, io non provi proprio nulla? Praticamente niente. Se non addirittura noia. Indifferenza totale.

Ho pensato che sia una questione anagrafica e per questo ho variamente definito i Radiohead come una band 'adolescenziale': effettivamente - ma questo è solo un mio pensiero e come tale discutibile - sono una band secondo me diciamo 'colta', ma i cui contenuti sono per lo più malinconici e adatti a un certo mood che può essere tipico diciamo di un ragazzo contro e molto solo e io ero esattamente così.

Forse sono ancora oggi così in qualche modo, solo che non sono più un ragazzo, ma sono invecchiato e oggi sono un uomo solo e invece che essere contro tutto e tutti, quando sei solo, finisci con essere contro te stesso e penso che comunque essere così non sia qualche cosa di positivo. Vedo quindi forse qualche contenuto negativo all'interno delle canzoni dei Radiohead? Non credo. Mi sembrerebbe quasi di entrare nel merito di una di quelle polemiche di qualche anno fa sulla musica di Marylin Manson oppure di Eminem e che dicevano che portava i ragazzi sulla cattiva strada. Cazzate.

Semplicemente quelle canzoni non mi dicono più niente: non riesco proprio a trovarci dentro nessun significato e non mi commuovono facendomi pensare a quando ero ragazzo, forse perché se mi guardo indietro, non trovo nessuna ragione valida per commuovermi ripensando a quegli anni. Sono stati anni del cazzo e basta. Mi va bene che sono passati. Non provo nessuna nostalgia.

Così considero questo mio cambiamento come una mia crescita personale e che non è solo una crescita come ascoltatore, ma proprio come individuo. Significa tuttavia che questi gruppi allora siano effettivamente adolescenziali come sostenevo poc'anzi? Significa forse che sono stati per me adolescenziali? La risposta è difficile da dare in assoluto. Perché per quanto mi riguarda sono tentato da dire che sì, che si tratta di musica da ragazzini, ma ci sono un sacco di persone che hanno la mia età o che sono anche più grandi di me che li ascoltano e voglio dire, allora questa mia dichiarazione mi sembrerebbe in qualche maniera presuntuosa.

Soprattutto mi domando anche: ho forse rinnegato me stesso? Sto forse rinnegando me stesso in una maniera strumentale per qualche ragione alla mia attuale situazione mentale in questa precisa fase della mia esistenza?

Forse semplicemente ciascuno ha una sua strada da percorrere e lungo questo cammino ogni cosa assume un significato diverso, come quando guardiamo un quadro oppure leggiamo una poesia e ognuno dà una interpretrazione diversa. Io ho interpretrato l'ascolto di determinati dischi e la mia vita in un determinato modo e ho scelto di non restare sepolto sotto un cumulo di quelli che evidentemente considero solo come dei vecchi dischi del passato. Cammino su dei cd fatti a pezzi come l'uomo sui pezzi di vetro di Francesco De Gregori. Voi fate come vi pare.

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editoriale di sotomayor

Penso che oggi, anno 2017 (quasi 2018) sia arrivato il momento di compiere un atto di coraggio grammaticale e di aggiornare in maniera decisa e senza giri di parole il significato della parola 'violenza' sulle pagine dei nostri dizionari.

Voglio dire, sembra assurdo, eppure è praticamente doveroso secondo me esprimere in maniera decisa il proprio pensiero relativamente le vicende di cronaca e la discussione che segue in particolare, quelle che sono state le dichiarazioni di denuncia espresse negli ultimi giorni dalla attrice e regista Asia Argento.

Una delle critiche generali che si fa all'utilizzo dei social, perché non possiamo non parlare dei social al giorno d'oggi relativamente una questione così discussa, è che su questi ciascuno si senta in diritto di dire la sua su qualsiasi argomento più o meno rilevante e anche dove manchino quelle che si pretende dovrebbero essere referenze e/o requisiti di natura tecnica. Come dire (faccio l'esempio più banale) che puoi parlare di calcio solo se sei un allenatore. Una osservazione cui rispondo sempre con quello che diceva il compianto giornalista sportivo Franco Rossi, cioè che nella storia del calcio solo un commissario tecnico ha vinto due volte il campionato del mondo e questi, cioè l'italiano Vittorio Pozzo, di mestiere non era proprio un allenatore ma faceva effettivamente il giornalista.

È evidente di conseguenza che, perché no, tutti siamo in qualche maniera chiamati sempre, a prescindere dai social network, a farci ed esprimere una nostra opinione. Questo perché siamo delle persone che vivono all'interno di una società e operiamo all'interno di questa come soggetti attivi: non siamo semplicemente una specie di platea.

Del resto è altresì indubbio che poi sul web vi si possano trovare centinaia, migliaia, milioni, miliardi di puttanate, così come gran parte dei commenti possano essere l'espressione di una cultura bassa e volgare.

In questi casi, relativamente questo tipo di comportamento e di espressione 'volgare', il dibattito è in qualche maniera attuale dopo le denunce e le prese di posizione secondo me giustificate del presidente della camera dei deputati Laura Boldrini negli ultimi mesi.

Solo che se continuiamo a parlare di 'maschilismo' e continuiamo a utilizzare queste virgolette invisibili, continuiamo e continueremo ad essere fuori strada.

Commenti come quelli che abbiamo letto e che stiamo leggendo in questi giorni (espressi peraltro in alcuni casi in prima pagina su delle testate giornalistiche nazionali) relativamente la denuncia coraggiosa di Asia Argento, oggetto di molestie sessuali (come altre sue colleghe) quando era ancora giovanissima (21 anni) da parte di uno dei pezzi grossi di Hollywood, Mr Harvey Weinstein, devono essere secondo me definiti per quello che sono veramente: atti di violenza.

Non esiste maschilismo senza commettere violenza: questo deve diventare un punto chiaro e comune, qualche cosa di condiviso in maniera universale.

Perché molte persone vogliono intendere maschilismo e femminismo come qualche cosa che abbia a che fare con la 'lotta dei sessi': quelle discussioni del cazzo secondo le quali non esisterebbero più gli uomini e le donne di una volta. Che si sarebbero invertiti i ruoli. Bla bla bla...

Tutta roba di cui definitivamente non ci importa un cazzo.

Nella specie qui invece stiamo parlando di comportamenti che hanno a che fare con la violenza materiale oppure verbale nei confronti di un soggetto storicamente (specifico storicamente perché questa sua debolezza è storicamente stata voluta e forzata e non perché costituisca qualche cosa di intriseco sul piano naturale) più debole.

Nella specie: la donna.

Asia Argento è stata accusata di avere acconsentito ad andare a letto con quest'uomo per fare carriera.

A parte il fatto che non possiamo conoscere tutte le circostanze del caso: possiamo al limite dall'alto di una presunta superiorità morale, chi è senza peccato scagli la prima pietra, dire forse che lei abbia sbagliato e non sia stata abbastanza forte. Ma è questa forse una giustifica a un atto di violenza sessuale?

Ricordo la specifica che parliamo di una ragazza di 21 anni. Che significa sicuramente che all'epoca Asia Argento fosse maggiorenne, ma che non toglie quello che abbia potuto costituire un complesso di inferiorità sul piano psicologico nei confronti di un uomo grande e grosso e soprattutto molto potente.

A parte questo: quante donne tutti i giorni e a tutti i livelli della nostra società sono costrette a rapporti sessuali oppure molestie.

Mi riferisco a violenze di tipo quotidiano: quelle che succedono in famiglia tra marito e moglie oppure tra padre e figlia.

L'orco non è necessariamente uno Jack lo squartatore che violenta e poi fa a pezzi le proprie vittime.

Così sarebbe troppo facile: ci semplificherebbe di molto tutte le cose, riconducendo ogni caso a un ideale mondo delle favole.

Al contrario c'è una violenza silenziosa che costituisce parte del tessuto culturale della società occidentale e di quella italiana e che evidentemente non si vuole affrontare perché significherebbe metterci tutti quanti, uomini e donne, veramente in discussione. E noi questo passo in avanti non lo vogliamo proprio fare. Salvo poi lamentarci che la nostra società è una merda e magari perché siamo o ci sentiamo soli e incompresi.

Badate bene: ho parlato di società occidentale perché questa costituisce quel contesto in cui di sono svolti e si svolgono i fatti e in cui noi viviamo. Molto probabilmente, ci sono testimonianze in questo senso ma non è il caso di ampliare la vicenda e di distaccarci da quello che ci riguarda direttamente, ci sono altre realtà dove le cose funzionano in una maniera ancora peggiore e in questo caso come altri, la religione è solo un pretesto.

Asia Argento è stata ed è una donna coraggiosa.

Chi la accusa di essere ipocrita oppure di stare esagerando è per quanto mi riguarda responsabile diretto di un atto di violenza nei suoi confronti come nei confronti di tante altre donne vittime di abusi e di violenze.

Dite che questa questione non va discussa, non va dibattuta sui social? E dove altrimenti?

Voglio lodare la giovane, bella e brava giornalista Giulia Blasi (ricordo di avere avuto un confronto diretto con lei via Facebook nel caso delle due ragazze americane abusate dai due carabinieri a Firenze) per l'iniziativa con cui ha voluto coinvolgere proprio sui social tante altre donne, invitandole a uscire allo scoperto e raccontare senza vergogna le loro piccole oppure grandi storie.

Quello che è successo ad Asia Argento dite che non è il massimo degli orrori possibili? Sapete cosa vi dico? Può darsi. Può darsi che abbiate ragione.

Ma davanti a una società così barbara e primitiva, il suo coraggio - bisogna avere le spalle larghe a essere nel mirino dei media e dell'opinione pubblica così come è lei in questo momento - e questa storia diventano qualche cosa che va oltre l'evento in sé e con tutto il rispetto possibile per Asia, lo rende allo stesso tempo un manifesto e una occasione per tutti quanti noi di imparare qualche cosa e comunque per non stare zitti anche se non siamo stati noi le vittime e dire chiaramente che questo è sbagliato. Che chi la sta insultando è un criminale tanto quanto Harvey Weinstein, è complice, oppure forse è anche peggio di lui.

E poiché io sono convinto, voglio credere che chi la pensi così, che chi ritenga che il maschilismo sia definitivamente, come si vuole da quando è stato cominciato a essere utilizzato il termine in senso specifico con le prime rivendicazioni del sesso femminile, una forma di violenza, vi dico che come Asia Argento e tutte a queste donne coraggiose come e più di lei che denunciano, che hanno denunciato quello che hanno dovuto sopportare, anche noi non dobbiamo restare zitti. Viviamo nella stessa società e questa è costituita da tutte le nostre individualità messe assieme.

Il 'collante' che ci tiene tutti uniti è la parola: quando questa viene meno allora regna il silenzio e proliferano inciviltà e barbarie.

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editoriale di sotomayor

Secondo me su questo sito adesso ci sono troppe 'etichette'.

Mi sono già espresso con un editoriale su questo aspetto diversi anni fa: mi riferisco a questo fatto di catalogare e dare un voto a tutte le cose.

Non mi ricordo che nickname io abbia adoperato in quel determinato frangente, ma questo non è importante, anche perché comunque si tratta di qualche cosa che è successo molto tempo fa: io ero una persona diversa, DeBaser era diverso, il mondo era diverso.

Mi rivolgevo in quel caso specifico a questa 'urgenza' sempre più diffusa di dare un voto a tutte le cose.

Se questa cosa costituiva un tema di discussione tre o quattro anni fa del resto, quando sarà stato pubblicato questo famoso editoriale cui faccio riferimento (parliamo della gestione-Kosmogabri), è evidente che la questione sia oggi ancora più attuale.

Non mi riferisco nella specie solo a DeBaser.

Su Facebook, per esempio, oggi 'devi' dare un voto e nel caso esprimere un giudizio persino su delle strade oppure delle piazze.

Che so, tu ti trovi per esempio a Piazza Matteoti? Facebook ti dice di dare un voto e esprimere un giudizio su Piazza Matteotti.

Ma che cosa deve dire uno su Piazza Matteotti? Come si fa a dare un voto a una strada oppure una piazza? Scrivere persino una breve recensione manco fossimo tutti una specie di novelli Giulio Carlo Argan: 'Piazza Matteotti: una piazza nel centro storico di Napoli caratterizzata dalla presenza degli uffici della posta centrale in una struttura costruita in epoca fascista e secondo i dettami dell'architettura del periodo. La denominazione attuale venne di fatto attribuita alla piazza proprio dopo la seconda guerra mondiale come risposta proprio al significato rappresentativo che la piazza aveva assunto, durante il ventennio, per i fascisti e per darle così un nuovo significato opposto e in chiave anti-fascista...'

Voto? 5 stelle.

Che ne so.

Ci sta un cinema porno anche all'angolo tra Piazza Matteotti e Via Cervantes: non ci sono mai andato perché nonostante le apparenze non sono mai entrato in un cinema porno.

Si chiama 'Agorà'.

Quando ero piccolo passavo fuori e guardavo le locandine e mi eccitavo solo a leggere i titoli dei film in programmazione.

Forse dovrei votare 5 stelle 'Piazza Matteotti' solo per questa ragione.

Ma parliamo adesso più specificamente di DeBaser.

Chiaramente questo qui è un sito di recensioni e come tale nasce allo scopo di dare a tutti la possibilità di recensire principalmente e inizialmente dischi e/o eventi musicali (successivamente il ventaglio di possibilità si è ampliato, come sappiamo) e di attribuire questi un voto e allo stesso tempo di dare a tutti la possibilità di votare anche le recensioni stesse.

Che significa che in un certo qual senso grazie a questo sito tu stesso puoi diventare protagonista di quello che scrivi anche senza essere un musicista invece che un attore oppure uno scrittore.

Questo va bene: voglio dire, secondo me tutto questo è molto divertente ma soprattutto io personalmente ho sempre trovato questa cosa molto importante per chiunque volesse in qualche maniera esprimere se stesso al di là che parlare di musica, cinema, arte, letteratura.

Ma pure perché, del resto, diciamocelo chiaramente: ma che cosa ci dobbiamo dire quando parliamo di musica? Che cosa vogliamo veramente? Parlare di tecnicismi e strutture melodiche, tecniche di registrazione, fenomeni culturali, bla bla bla...

Va bene, tutto questo è molto interessante, ma tutte queste cose le potete benissimo leggere su qualsiasi rivista più o meno specializzata oppure persino su qualche sito tipo Wikipedia.

Invece gli utenti venivano, decidevano di venire e di scrivere su questo sito principalmente per esprimere se stessi e questo a cominciare dalla scelta di nickname caratteristici e determinanti nella determinazione delle linee guide del sito come 'Pietro Minchiadura' oppure 'Metallaro Bionico' (come dimenticare la sua mitica immagine personale...).

Come siamo arrivati da dei momenti mitologici come l'epopea-Poletti a considerare il 'caso letterario' come qualche cosa di negativo?

Addirittura oggi è stata proposta l'etichetta 'Abuso'.

Io ci sto. Dico: la definizione di determinate regole mi sembra sacrosanta.

Capisco perfettamente che il fenomeno dell'automazione nella pubblicazione delle recensioni - come adesso degli editoriali - imponga determinate regole e meccanismi di salvaguardia del sito.

Tra l'altro - detto tra di noi - parliamoci chiaramente: in particolare garantire il rispetto reciproco e la tutela di ciascuno a esprimere la propria opinione mi sembra un elemento fondamentale per qualsiasi tipo di comunità.

Non ho mai svolto nessuna funzione determinante su questo sito, anche se credo di avere scritto tra recensioni e editoriali almeno 250-300 pagine, ma amministro anche io direttamente un piccolo blog di una comunità di tifosi di una squadra di calcio e non ho mai posto nessuna limitazione se non quella proprio relativa la possibilità di dare a tutti la libertà di esprimere se stessi e nel rispetto degli altri.

Però non lo so: Debaser è sempre stata fondamentalmente una comunità basata sul libero scambio.

Un porto franco dove ti potevi sempre venire a rifugiare e parlare e leggere di musica in una maniera diversa invece che le solite quattro cazzate che puoi trovare su OndaRock oppure su SentireAscoltare.

Dare i voti su questo sito è stato all'inizio un modo per divertirsi e giocare a fare la guerra tra banda tipo 'I ragazzi della Via Pal': per fortuna a differenza che il romanzo per ragazzi di Ferenc Molnar non ci è scappato mai il morto, ma immagino anche che qualcuno a suo tempo possa avere avuto qualche problemino al fegato.

Questa cosa è stata allora forse mitica, persino divertente e magari anche in maniera infantile, ma anche poco bella e diciamo che se questo periodo oggi è finito va bene così.

Oggi del resto una cosa di questo tipo non potrebbe mai succedere: non avrebbe nessun senso.

Le persone che oggi usano il web sono più 'mature' in un certo senso rispetto al passato: il venire meno dell'anonimato (comunque garantito su questo sito dalla possibilità di scegliere un nickname, ma oggettivamente decaduto sul piano concettuale per gli utenti del web dopo la diffusione dei social) ha chiuso definitivamente un'epoca.

Non ritroveremo né leggeremo mai più schermaglie come quelle di un tempo, né ci saranno mai più dei 'fake' così brillanti come potevano essere De_Lorenzo oppure mohammed perché abbiamo perso allo stesso tempo la voglia di stupirci e di sapere stupire.

Però siamo ancora tutti quanti qui.

E allora, che cosa dobbiamo fare? Ci dobbiamo allineare a un pensiero unico? Dobbiamo avere paura di esprimere liberamente noi stessi con delle recensioni come quelle che potevano scrivere utenti così brillanti come Sanjuro, Kyrielison, quelle che scrive sfascia carrozze.

Siamo qui anche e soprattutto per questo.

Ho visto rinnegare con dei 'brut' degli editoriali, oppure chiamateli come vi pare, che sono carichi di contenuti interessanti: utenti che parlano del rapporto tra padri e figli; una intervista a un artista emergente; storie inventate e racconti di vita vissuta.

Adesso ce n'è uno appena pubblicato che racconta in una maniera interessante e intelligente una propria storia di vita vissuta proponendo un argomento di attualità.

Io ho visto la notifica, è stato pubblicato, ma in homepage adesso in questo momento esatto non si vede (mentre scrivo peraltro ne è stato pubblicato ancora un altro ennesimo).

Intanto nella stessa giornata vedo una recensione-fiume dai contenuti altamente emotivi e sensibili catalogata come caso letterario 'GIALLO'. Che praticamente starebbe a significare che si tratti di una puttanata.

Non ci sto.

Lo sapete che cosa vi dico?

Mi riferisco principalmente agli autori, a chi abbia ancora voglia di scrivere questo tipo di recensioni, a chi ha voglia di raccontare queste storie, di scrivere qualsiasi cosa che abbia voglia di comunicare.

Continuate a scrivere: non smettete.

Io vi leggerò in ogni caso e in qualsiasi remota località del de-sito verrete riposti e sono certo che non sarò l'unico.

La mia proposta: ritirare la definizione di 'Abuso' e spazio alla libera pubblicazione e visibilità di ogni editoriale sulla homepage così come avviene per le recensioni.

È chiaro tra l'altro che se qualcuno scrive una porcata, questa possa venire subitaneamente cancellata così come la stessa cosa può succedere e succede regolarmente con le recensioni.

Intanto tra le altre cose è stata felicemente ripristinata la sezione nella colonna dx della homepage e deciso che questa ospiterà di volta in volta l'editoriale scelto dagli editor.

Per quanto riguarda tutti gli altri: diamo la possibilità a chi vuole scrivere di farlo liberamente e senza pensare di commettere un abuso oppure una violazione di qualche particolare regolamento.

Nel momento in cui si è deciso che la pubblicazione degli editoriali sarà automatizzata, si è chiaramente tolta ogni limitazione.

I tempi in cui gli 'editorialisti' venivano scelti su chiamata da parte degli 'editor' (ho avuto questo privilegio, grazie Bartleboom) è lontano nel tempo e qualche cosa di obsoleto.

Apriamo la strada a questo rinnovamento allora, ma facciamolo in una maniera decisa e veramente rivoluzionaria.

Secondo quello spirito illuminato che ritengo abbia sempre ispirato il fondatore di questo sito e la sua utenza storica.

Viva DeBaser! Lunga vita alla Madre Vacca!

Namaste.

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editoriale di sotomayor

Quanti di voi guardano un film porno dall'inizio alla fine?

Va bene. Facciamo che guardare un film di un'ora oppure un'ora e mezza di questo tipo e data la finalità, si suppone che per ragioni fisiologiche l'interesse primario vada scemando dopo quello che possiamo definire l'happening. Il momento decisivo.

Cioè magari a 13-14 anni te lo guardi pure cinque volte di fila. Ma quello è normale.

Io sto parlando di altro.

Effettivamente mi rendo conto ora che questa mia introduzione potrebbe essere o comunque apparire nei contenuti rivolta a un pubblico esclusivamente maschile. Ma chiaramente non è così.

Diciamo che per ragioni facciamo 'strutturali' mi viene più facili rivolgermi alle mie determinate e specifiche procedure operative. Ma va detto che pure al riguardo e senza distinzione di sesso, ciascuno ha le sue preferenze.

Mi sono tuttavia reso conto che da questo punto di vista le cose hanno subito un cambiamento.

Una prima obiezione a questa osservazione potrebbe essere: 'Chiaro che ci sia stato un cambiamento. Sei invecchiato.'

Che significa che non mi tira più come una volta probabilmente.

Ma non vorrei parlare di questo. A parte che questa argomentazione potrebbe anche essere discussa, ma non è questo il punto.

Sapete come funzionano i siti di pornografia in streaming?

La risposta è sì.

Adesso cambio la domanda che ho fatto all'inizio: quanti di voi si masturbano in maniera diciamo 'regolare' scegliendo senza perdere tempo un determina filmato e guardando sempre questo senza 'cambiare canale' dall'inizio alla fine?

Per 'fine' in questo caso possiamo anche benissimo intendere il raggiungimento dell'orgasmo. Del resto i film porno non hanno bisogno di nessuna fase emozionale e dopo essersi soddisfatti ci si può benissimo dedicare ad altro senza nessun coinvolgimento emotivo.

Voglio dire che quando di parla di porno-dipendenza secondo me si pensa quasi sempre a fenomeni estremi. O si pensa che questo sia necessariamente lo stesso della dipendenza dal sesso (a proposito, se non lo avete fatto, guardatevi 'Shame' e convincetevi che Michael Fassbender sia effettivamente il più bravo attore in circolazione).

Una questione di libidine.

Ma non è solo così.

Poiché non ho nessun pudore spiego io come uso questi siti di pornografia online quando le mie esigenze lo richiedono.

Accedo al sito in questione e comincio ad aprire dieci, venti pagine e ciascuna con un filmato diverso. Quello che voglio dire è che mi trovo davanti a una offerta così vasta che la mia testa dimentica quale sia la ragione principale per cui io voglia adoperare quel servizio (cioè semplice godimento) e viene bombardata da una serie di immagini che hanno chiaramente e in quella situazione mia emotiva specifica una presa particolare.

Naturalmente mentre fai tutto questo ti masturbi, si suppone, dato che non sei un semplice documentarista ma un normalissimo soggetto con la necessità di soddisfare un suo bisogno.

Ma è una masturbazione convulsiva e che ti comporta uno stato di stress e di alterazione emotiva che non ha nulla a che fare con il sesso.

Potrei persino definirla ansia.

Chiaramente mentre ti masturbi non smetti mai di passare da un filmato all'altro, sei bombardato da sempre nuove immagini, continui a cambiare e aprire nuove schede compulsivamente e ci continuamente finché alla fine inevitabile raggiungi comunque l'orgasmo.

Sensazioni post-coito: secondo me soddisfazione poca. Molto stress. Ti manca quella sensazione di leggerezza e di scarico di tensione che contraddistingue o dovrebbe contraddistinguere questa fase specifica del nostro ritmo biologico.

I siti di pornografia in streaming, ben vengano, sono stati una vera rivoluzione e il loro successo inevitabile, ma funzionano esattamente come l'assunzione di sostanze che alterano il tuo organismo come del resto tutto quello che può e viene usato in maniera sregolata e compulsiva. Ma questi siti sono specificamente nati a questo scopo.

Non voglio certo parlare di teorie del complotto oppure essere un moralista e dire 'Basta pornografia!' oppure ancora ergermi dall'alto di una formazione storica e critica come in vecchio 'barbuto' e dire che la pornografia è 'oppio dei popoli'. Ma sapete a volte quando accedo a uno di questi siti come mi sento? Come se mi 'schizzassero' in faccia decine e decine di messaggi spam e io fossi vittima di una gang bang a cui sono stato invitato a partecipare come 'ospite d'onore' attratto con l'inganno.

Penso che si sia parlato molto negli anni, a partire dagli anni sessanta, di sesso e autonomia, autodeterminazione e consapevolezza. In particolare una volta lo facevano le donne (oggi non lo so, ho avuto poche donne, ma ne ho conosciute tante e non ci capisco molto) perché chiaramente tutto questo aveva a che fare con il processo di emancipazione.

Ma davanti a una cosa di questo tipo, a parte la componente legata allo stress e alle dipendenze (comprovata da studi diversi e qualche volta attendibili, qualche volta no), possiamo parlare veramente di consapevolezza?

Io dico che ci vuole una nuova rivoluzione sessuale con dei metodi e delle finalità proposte diverse per forza da quelle che abbiamo considerato fino ad oggi.

La parità dei sessi, il rispetto per la donna sono temi che dovrebbero essere trascendentali: sono regole di rispetto e di civiltà. Qualche cosa di basico come il rispetto della dignità dell'essere umano.

Non sto dicendo che non se ne debba parlare: la società in cui viviamo è chiaramente ancora arretrata da questo punto di vista.

Ma quarte argomentazioni quanto hanno poi sul piano concreto veramente presa nei rapporti tra le persone di sesso opposto oppure dello stesso sesso.

Quando parli di sesso sembra sempre che stai parlando di sport. Parli di prestazioni, competizioni. È una gara. Ma non c'è un premio a chi arriva primo. Mentre gli ultimi oppure le ultime restano perplessi o in determinati casi frustrati da una sensazione di incapacità di fondo.

Allora forse non è solo la pornografia in streaming che è stressante. Quella è una conseguenza e come quando ti fai perché la tua vita è una merda. Io dico che l'equazione seghe=solitudine oppure per esempio 'sfiga' non regge. Badate bene: non lo dico per 'difendermi'. Se mi dite che sono solo e/oppure uno sfigato dico 'Va bene.'

Chi se ne frega.

Quello che mi interessa è capire in che razza di mondo viviamo, creare una collettività sana e basata sul libero confronto, voglio capire se aprire una sola scheda per volta del proprio browser sia un passaggio che tutti insieme come società possiamo riuscire a fare oppure no.

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editoriale di sotomayor

Parliamo di cose serie. Di cose concrete.

Cioè, mi potrei chiaramente ora mettere qui a inventare e raccontare una bella storia, magari una storia d'amore (ma tutte le storie in fondo sono storie d'amore), e sicuramente trovereste la cosa più interessante.

Però no.

Questa volta voglio parlare di una cosa che ho 'scoperto' negli ultimi tempi e cui non sono ancora riuscito a dare una sua dimensione.

Conseguentemente scriverne e poi magari avere un feedback nel merito (che significa anche acquisire ulteriori informazioni) ritengo possa essere una cosa utile per me e per tutti quanti.

Nell'ultimo periodo per diverse ragioni ho passato molto tempo a casa. Non ho la televisione e comunque per diverse ragioni non mi sentivo attratto dai miei interessi soliti come la musica oppure il cinema oppure la letteratura.

Facciamo che non mi andava veramente di fare nulla, va bene?

Adesso succede che per la prima volta in vita mia comincio letteralmente a 'navigare' in uno dei posti sicuramente più affollati del web e in un mare che però per quanto vasto mi sono reso conto fosse a me assolutamente sconosciuto.

Ma che cazzo succede su quel social? Se c'è un posto in particolare sul web dove mi sono reso conto di essere completamente fuori tempo e davanti a qualche cosa che non riesco ancora a inquadrare nella sua giusta dimensione, a parte i soliti siti porno ovviamente (ma ne parleremo), questo è YouTube.

Insomma io l'ho sempre usato per ricercarmi video musicali, magari spezzoni di film, trailer... Un utilizzo da semplice consumatore: del resto lo avevo sempre inteso in questo modo. Tu ci carichi dei video che condividi con gli altri alla stessa maniera dei software tipo quelli per la condivisione della musica.

E invece no.

Invece ho scoperto che la vera natura di YouTube è qualche cosa di completamente diverso.

Ci sono persone che usano YouTube alla stessa maniera che dieci anni fa avremmo inteso un blog (venti anni fa il giornalino della scuola, quaranta anni fa le radio libere) e questo fenomeno ha creato una vera e propria community italiana che ovviamente si aggiunge, costituisce una costola di una più vasta community internazionale.

Adesso, questi 'youtuber' hanno praticamente le età più disparate e si occupano in generale veramente di tutti gli argomenti possibili. Questa mi viene subito da pensare che è una cosa buona: un utilizzo intelligente di un social come mezzo più che di informazione, concetto sempre molto più relativo oramai, invece di vero e proprio confronto.

Solo che poi ho capito subito che insomma chi lo usa lo fa principalmente per garantirsi una qualche forma di guadagno.

Ora non so come funzioni esattamente. Probabilmente hai la possibilità di creare un tuo canale 'ufficiale' e di sottoscrivere contratti di sponsoring che facciano variare i tuoi introiti a seconda delle visualizzazioni oppure degli iscritti al tuo canale.

Del resto puoi dedicarti tu stesso alla promozione di qualche prodotto all'interno dei tuoi video: adoperare il tuo canale per far pubblicità a abbigliamento e/o cosmetici (come fanno le fashion blogger) oppure - quella che mi sembra essere la realtà più diffusa - videogiochi.

La maggior parte degli youtuber appartenenti alle ultime categorie, i cui canali sono quelli che ho chiaramente dal mio punto di vista trovato per niente interessanti, sono giovanissimi e hanno una età variabile tra i 12-13 anni e i 25 massimo 30.

Traccio un profilo generale diciamo.

Sono chiaramente i canali che ho trovato e che trovo meno interessanti anche per questioni anagrafiche.

Va detto che ci sono comunque in ogni caso anche youtuber che propongono argomenti di discussione interessanti e in una maniera diversa dalla solita informazione e dove la comunicazione visiva è più efficace, più umana, che quella che è la comunicazione scritta e per questo anche più performante.

Ci sono persone che non parlano solo e sempre di calcio ma propongono temi di attualità oppure culturali e di interesse comune. E ci sono anche persone che lo usano per pubblicizzare i propri lavori: penso ad artisti nel campo della grafica visuale e del disegno e che si affiancano ovviamente a chi fa musica oppure è un videomaker più o meno amatoriale.

Il fatto che ci guadagnino per le visualizzazioni al loro canale diciamo che è qualche cosa che mi rende perplesso ma che è comprensibile se consideriamo le stesse logiche che valgono per gli ascolti musicali ad esempio su Spotify.

Naturalmente per quanto mi riguarda, se devo esprimere un mio parere ideale, questa cosa non coincide esattamente con la mia idea di comunità. Ma va bene. Ci può stare.

Dove non riesco a farmi un'idea precisa nel merito è quando gli youtuber sono dei giovani oppure giovanissimi e/o quando i loro contenuti siano rivolti a giovani e/o giovanissimi.

Non voglio fare il bacchettone e il moralista, ma mi pare evidente che ci troviamo a qualche cosa che ci costringe a misurarci con una nuova realtà che riguarda i nostri ragazzi e che ci pone davanti a quesiti di natura etica.

Questi youtuber trattano per la maggior parte tematiche che interessano i ragazzini, come videogiochi oppure abbigliamento e/o prodotti di bellezza, ma a un certo punto acquisita una certa popolarità (posso dire che ci sono youtuber che hanno migliaia e migliaia di iscritti ai loro canali) possono praticamente postare di tutto perché hanno creato un vero e proprio personaggio. Quello che diventa allo stesso tempo sia una guida che un vero e proprio modello di comportamento per tutti gli altri ragazzini.

Del resto, guardate, funziona esattamente come le seghe: diventi uno youtuber perché c'è qualcun altro che fa lo youtuber e allora tu capisci che puoi farlo.

Naturalmente su migliaia, milioni di youtuber, chi raggiunge la 'celebrità' è solo uno: pochi riescono a fare di questa attività un vero e proprio business. Creare indotti commerciali creati alla propria figura, diventare così popolari da essere invitati o organizzare essi stessi eventi.

La domanda finale è: questo è un modello sano di comunità?

È una domanda che ci dobbiamo fare per forza.

Ci hanno raccontato per anni la cazzata che la vera libertà di espressione era su internet.

Balle.

Su internet, se sei solo e se sei una minoranza continui a essere dopo comunque solo e parte di una minoranza, e poiché semplicemente i tempi sono cambiati, la maniera di veicolare determinati messaggi che non sono neppure subliminali, dato che avviene tutto alla luce del sole, è diventata più rapida ed efficace. Molto più illusoria che la televisione dove sapevi che non potevi accedere perché quel mondo era riservato solo a chi aveva veramente troppo talento oppure era 'raccomandato' e queste due cose, per quanto limitanti sul piano psicologico, costringevano a stare con i piedi per terra. A parte che ovviamente per fortuna c'è sempre stato anche chi di finire in televisione se ne sbatteva e se ne sbatte ancora oggi le palle.

Ma con questi social, e YouTube mi ha dato da questo punto di vista delle manifestazioni così evidenti come poco altro, non ci vuole niente a fotterti la testa e generare nell'ordine malesseri come frustrazione e/oppure ansia. Senza considerare quello che può riguardare quelli che ce l'hanno fatta.

Qui sarebbe più interessante avere un parere diretto da parte di chi ha un figlio. Cosa pensereste di vostro figlio sedicenne se questi guadagnasse soldi postando su YouTube dei video in cui gioca a un videogame (incassando immagino royalties da YouTube e pagato come sponsoring dalla stessa casa che ha prodotto il videogioco) per sponsorizzarlo a un pubblico di ragazzini che magari non hanno neppure dieci anni.

Posso pensare che c'è qualche cosa in tutto questo che è sbagliato o solo veramente a soli trentatré anni già così vecchio da non capire?

Sa non riuscire a comprendere qualche cosa che evidentemente costituisce la normalità.

Quello che penso tuttavia, voglio concludere con un messaggio e un pensiero positivo, è che se io non posso capire, al contrario chi abbia dieci-quindici anni meno di me, sappia molto meglio di me e esattamente di che cosa sto parlando. E nascono, sono nati bambini che subito hanno avuto a che fare con questa realtà come un dato di fatto.

Questo mi lascia pensare che in qualche maniera siano e/o saranno a tempo debito (senza il bisogno di dovere aspettare la maggiore età) vaccinati contro questo tipo di cose. Le considereranno semplicemente per quello che sono: pubblicità o comunque spazzatura.

Esattamente allo stesso modo con cui io posso avere considerato ad esempio 'Non è la Rai' quando ero bambino.

Naturalmente tutto sta nel seguirli. Il punto infatti non è internet, la televisione, la radio, i fumetti, il grammofono... ma sempre la formazione della individualità a possedere un senso critico che lo sappia porre in una posizione di vantaggio davanti a tutte le situazioni della vita.

C'è però un dato di fatto: l'esistenza concreta (per quanto virtuale) di nuove tipologie di comunità. Oggi come ieri è fondamentale che i nostri ragazzi riescano a prenderne parte in maniera attiva e magari proprio adoperando quel senso critico a cui mi riferivo poc'anzi. Questo in definitiva non può essere esclusivo ma costruire un mezzo, uno strumento, una specie di 'grimaldello' per entrare in queste comunità e riuscire a autodeterminarsi come individuo ma anche a stare in maniera proficua assieme agli altri. Se no è tutto inutile.

A quanto pare i tempi sono cambiati e cambieranno ancora ma non è mai tempo per i genitori di abdicare dalle loro responsabilità e dal loro ruolo di guida.

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