editoriale di Danny The Kid

Salve a tutti, qui Daniele, o Danny The Kid, come preferite. Forse vi sarete chiesti (o magari anche no) il perchè della mia quasi inesistente presenza su questo sito nell'ultimo periodo. Una delle ragioni è che mi sto dedicando anima e corpo al mio nuovo hobby... la scrittura, come avrete probabilmente già intuito. Veniamo al dunque. Ho scritto un libro, l'ho inviato a una casa editrice e tale casa editrice l'ha ritenuto degno di pubblicazione. Centro al primo colpo; bravura o semplice culo, non sta a me dirlo. Dal primo aprile del 2021 tale libro sarà ufficialmente acquistabile, e io ho deciso di usufruire di questo spazio per mettervene al corrente.

Questo libro nasce, principalmente, da un altra delle mie grandi passioni: l'Opera lirica. Cominciai ad ascoltare opere in un momento in cui faticavo a trovare qualcosa che mi piacesse veramente tra le svariate branchie della cosiddetta musica leggera, tra cui mi ero mosso fino ad allora. Ero ancora agli albori di questo nuovo percorso quando mi imbattei nalla pagina di Wikipedia dedicata al Guglielmo Ratcliff di Pietro Mascagni e, nel leggerla, una frase mi colpì immediatamente: "l'opera non entrò mai in repertorio, in parte a causa del ruolo del tenore, tra i più difficili mai scritti." Ovviamente mi misi subito alla ricerca, e quello che trovai rappresentò per me un'epifania.

"Come veduto volentieri t'avrei, di quelle pugna nerborute a far croce in atto pio di supplicante, a stemperar que' fieri, fulminei sguardi in un molle languor sentimentale" Questo specifico passaggio mi colpì particolarmente e, a poco a poco, decisi di costruirci intorno qualcosa di mio, qualcosa che mi rappresentasse. Era il 2019, e appena prima della fine di quell'anno riuscii a portare a termine Benjamin. Non il mio primo tentativo di creazione letteraria, ma il primo andato a buon fine. Benjamin è un'opera letteraria in quattro atti, ogni atto diviso in scene, con una trama costruita su tre personaggi principali. In termini più convenzionali, si tratta di una breve novella leggibile in un paio d'ore. Tra le sue pagine troverete montagne di riferimenti a Verdi, Wagner, R. Strauss, Britten, Massenet e, naturalmente, Mascagni. E pure Kate Bush, Kirsty MacColl e Marc Almond. Ma troverete anche molto di mio, le mie idee, la mia visione del mondo, la mia eccentricità, cosa ancora più importante.

Oltre al Maestro Mascagni, mi è doveroso ringraziare anche Emily Bronte e Francis Lee, regista e sceneggiatore di God's Own Country, per l'ispirazione che hanno rappresentato e senza i quali Benjamin così com'è non sarebbe stato possibile. E devo ringraziare anche DeBaser, che in tutti questi anni è stato per me una preziosissima palestra che ha affinato le mie capacità di scrittura. Nel caso voleste darmi una possibilità, il libro è acquistabile su Amazon, o su IBS, se preferite, oppure potreste prenotarlo nella vostra libreria di fiducia. Mi pare di aver detto tutto, arrivederci e, ancora una volta, grazie.

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editoriale di TataOgg

E' una cosa che sognavo da tempo, parlare del Debasio, essendo lui il mio supereroe preferito del web. Fin da quando ero soltanto una De-Bambina col moccio al naso e le treccine in disordine mentre facevo casino fuori da casa sua.

Il divertimento consisteva nel lanciargli un pallone, nascondermi e stare ad aspettare che rilanciasse... qualche volta me lo rimandava bucato perché ovviamente gli distruggevo i fiori del giardinetto. Ma era divertente osservare che se lo faceva, dopo avere rosicchiato un po' la gomma, emetteva alcuni buffi e divertenti versacci (a conferma che non era ancora proprio morto-morto, come si vociferava) e mi sono convinta sarebbe valsa la pena farci amicizia.

E così, un bel giorno, diventai una Debaseriota doc.

Benché la placida mucca e la rilassante colorazione pastello abbiano lo scopo di tranquillizzare gli estranei frequentatori, il Debasio è in verità un malefico mostro. Possiede numerose teste, parlano tutte insieme e spesso litigano, altre volte fanno cose che non voglio scrivere.

Al tempo della De-Infantilità, quindi, il Debasio lo osservavo a debita distanza e in verità non ci capivo granché di come funzionasse realmente. Le recensioni di norma interessanti certe volte riportavano delle colossali minchiate, altre mi incantavano con oniriche riflessioni o illuminanti conoscenze (anche in virtù di fiumi di interventi più o meno surreali) lasciandomi perplessa. Comunque quelle che consultavo erano per lo più vecchie come il cucco, scrivevo dei commenti che nessuno si filava e più spesso c'era chi sembrava appostato lì con l'unico scopo di insultarmi... In pratica mi faceva ridere oltre a propormi nuova musica, tanto bastava per continuare a frequentarlo. Col tempo scoprii che faceva anche delle fusa straordinarie e, come tutti i gattari sanno, un prrprrprr ben fatto è una di quelle cose al quale è difficile resistere. Mi ha conquistata.

Perciò, a un certo punto, ho scritto anche io la mia prima derecenzia e credo di essere entrata nella famiglia. Delle teste. Dico.

Ma cosa fosse per davvero Debaser qualcuno, prima o poi, me l'avrebbe dovuto dire, Ajò!

La risposta è arrivata.

ILLIBRO dipana la matassina dei più misterici dilemmi che mi hanno accompagnato durante la permanenza qua. Cosa si fa veramente nel Debasio? Chi sono i padri fondatori? Gli editors sono realmente esistiti? Chi sono i più interessanti recensori storici? Quando una recensione può dirsi “riuscita”? Che differenza intercorre tra il Debaseriota e il Debaseriano? Riuscirò mai a sposarmi con Korn? Cose così.

Un compendio per nuov_ deutent_ e un album dei ricordi per vecchi de-bacucchi. Un lettura molto debasica a disposizione dell'universo, finalmente anche fuori dal web.

Ma Debaser nasce, cresce, pasce e si riproduce nell'impalpabilità del mezzo internet. Quindi, che diavolo è successo 'sta volta?

Potremmo intendere questo sperimentale ILLIBRO quale nostalgico ma gioioso ritorno a quello strumento di celluloide quasi perduto, quasi un vezzo in previsione del futuro post-apocalittico senza enel e senza internet che ci attende, quando finalmente gli alieni si decideranno ad invadere la Terra e una nuova generazione di esseri a sei zampe studierà i nostri oggetti di uso quotidiano come preziosi reperti archeologici decantando la grandezza della nostra civiltà... oppure è semplicemente nell'ordine naturale delle cose, a un certo punto della vita, dare una forma palpabile a ciò che amiamo e che abbiamo pazientemente coltivato nel nostro orticello.

… E se ILLIBRO fosse un ortaggio, quale sarebbe? Mi è sembrato un quesito tanto scalcinato quanto intrigante, quindi givstoh. Che fosse anche la strada da percorrere affinché mi si mandasse perdavveramente accagare ottenendo l'agognato de-ban e poi vantarmene con gli amici?! L'ipotesi mi ha solleticato, lo ammetto.

Speranzosa, ostentando falsa timidezza, ho quindi domandato agli “agricoltori” che hanno creduto nel progetto ILLIBRO, proprio quelli che hanno pezzato le proprie ascelle “zappando”, mentre noi stravaccavamo ignari sul de-divano del catzeggio.

Le cose sono andate più o meno così:

C'è il possibilista, quello che tergiversa rigirandomi psychedelicamente la domanda: « Direi che di ortaggi possiamo anche inventarne uno, tipo che succede se un ravanello si innamora di una melanzana? ». Si, che succede?

C'è lo sfuggente parafrasista:

Io: « Credi [suggerisco] che ILLIBRO sia una cipolla per il suo animo sensibile e stratificato naturalmente commovente? »

ESSO: « Chiaramente sono d'accordo con te: [è](...) la stratificata e complessa cipolla! ». Lo dicevo io, eh.

C'è a chi non l'ho chiesto. Avrebbe mangiato la foglia. [((♥?))]. Oppure gliel'ho chiesto ma non mi ha risposto, non sono sicura.

C'è chi inizialmente fa finta di nulla, aprendomi la mente a miglioni di migliardi di differenti possibilità, compresa quella della risposta subliminale indiretta... Che uomo affascinante! Pensavo ♥... ma intendeva il Foeniculum vulgare. Ah! Interessante. Certo... è una pianta dolce di sapore e allegra e profumata d'aspetto (??????).

C'è soprattutto chi divinamente de-capisce tutto-tuttissimo (ma di un'altra domanda) e dà la superba risposta che manderebbe in brodo di giuggiole qualunque DeUtentessa dal palato fino:

« Per me DeBaser è senz'altro un cavolfiore.
1° per l'espressione che ne deriva (e che cavolo)
2° per la sua doppia natura di rude cavolo e di + raffinato fiore
3° per la natura frattale della sua costruzione
4° perchè sembra un cervello ma non lo è
5° è sano nutriente economico ma a volte difficile da digerire.
»

Voglio dire, lui [!♥!]. Punto.

[#gnegnegne agli altri]

Quindi sembra palese che nell'imminente Vol.3 verrà introdotta la fantastica sezione De-Ricette d'Itaglia (che qua nel Vol.2, unica pecca, manca) nella quale ci verrà rivelato come gustare Debaser, melanzelli o ravanzane e produrre in casa un'ottima forma di illegale, brulicante e scoppiettante casumarzu... ma... a questo punto siamo a un nodo cruciale e non potevo che interpellare un aquto amante&sostenitore della prelibata pietanza:

Io : « XXXXXy, secondo te il Debasio è come una forma di casumarzu? »

Esso.: « UH!
Non è "come", è PROPRIO una forma di CasuMarzu!
Grazie per avermelo svelato dopo solo 15 anni di frequentazione!
Le sarò riconoscente à vita.
»

Mò me lo segno. Voi testimoni.

ILLIBRO avrà avuto un qualche effetto su chi è stato pubblicato ma io non ne so niente, non avendoglielo domandato. Avrei potuto, sia chiaro, ma volevo lasciare spazio alla (mia) fantasia e immaginarlo più un sentimento pieno di ardente passione come “ la poesia cose??la poesia e il sesso , l'odio, fusi insieme. ” (cit.)

Insomma, la mia impressione è che ILLIBRO sia una leggendaria carezza papale per tutti i debaserini a casa. E' per questo che ho intercesso per un'esclusiva de-benedizione Nasalizia per tutti, una urbi et orbi che potrete portare nei vostri palpitanti cuoricini per sempre:

« Che si penta tutta la peccaminosa e recidiva deutenza. La prossima piaga microbiologica lanciata dall'Onnipotente colpirà in maniera irreversibile i mediocri scrittori e farà cadere il pene a tutti gli altri. Buona estinzione a tutti.» Padre Amorth

Cin-Cin, attrus annus mellus.

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editoriale di De...Marga...

Tutti o quasi sul Deb sanno che vivo in Ossola, la parte più a nord del Piemonte. Sulla cartina geografica è quella punta che si incunea tra il Canton Vallese a sinistra ed il Canton Ticino sulla destra in territorio elvetico. Da Domodossola dove vivo si irradiano sette vallate più piccole, una più bella dell'altra; le mie preferite e quelle che frequento maggiormente in tutti i mesi dell'anno sono la Valle Anzasca, che termina a Macugnaga con la mastodontica Parete Est del Monte Rosa, e la Valle Formazza la più isolata e confinante con entrambi i cantoni svizzeri appena citati.

Durante la scorsa estate le mie belle valli sono state letteralmente invase da orde di turisti, in numero ancora maggiore rispetto agli scorsi anni. In massima parte proveniente dalla province di Varese e Milano. Persone poco abituate alle escursioni, impreparate e con delle attrezzatture (vedi scarpe indossate) in molti casi totalmente inadeguate. Sono accompagnatore escursionistico della sezione del Club Alpino della mia città ed ho una conoscenza del mio territorio elevatissima, frequentando le mie montagne ed i miei sentieri fin da bambino.

Purtroppo quest'anno più volte ho incontrato sul mio percorso questi escursionisti "della domenica" che si improvvano camminatori esperti (ma dove!!) e decidono di punto in bianco di compiere attraversate senza conoscere minimamente il territorio. Fidandosi della traccia GPS scaricata sul telefonino, ma dimenticando che basta salire di quota sopra i 2000 metri per perdere la connessione internet, soprattutto quando si sconfina in Svizzera; ne consegue che mi è capitato di incontrare gruppi di persone che vagano senza sapere in effetti dove stanno andando; vi racconto a questo punto un episodio a tal proposito.

Allora era il 9 agosto e decido di effettuare il classicissimo giro dei Tre Passi che da Riale di Formazza con un lungo tragitto ad anello di circa 20 chilometri ti porta fino ai 2500 metri del passo del Corno per poi ritornare a Riale. Una bella escursione sempre su sentieri di facile percorrenza, ma vista la lunghezza del percorso e gli oltre mille metri di dislivello a salire, occorre avere una buona preparazione fisica. La montagna va SEMPRE rispettata mi preme ricordarlo ogni volta. Avendo una buona gamba ed un ottimo allenamento parto da più in basso, da Canza, località famosa perchè Marco Pantani durante il giro del 2003 effettuò il suo ultimo scatto in salita...ed io ero li presente!!!, e ne consegue che i chilometri che dovrò effettuare salgono a 31; ma non ci sono problemi per me. Adoro queste escursioni così lunghe...ma proseguiamo perchè voglio arrivare al nocciolo della questione.

Sono più o meno le 2 del pomeriggio e sono già a buon punto visto che ho superato il Passo del Corno, massima elevazione di giornata; devo percorrere ancora una decina di chilometri, tutti in discesa. Appena sotto di me vedo un gruppo composto da una dozzina di escursionisti salire con passo molto rallentato verso il Passo; li raggiungo in pochi minuti e chiedo dove si stanno dirigendo. Il capofila, teoricamente la guida e quello che dovrebbe conoscere il percorso e sapere dove sta conducendo i compagni, mi dice con assoluta tranquillità testuali parole: "Guardi in effetti non lo sappiano perchè il telefonino non funziona (aaarrgghhh...!!!). Dobbiamo raggiungere un bivacco qui in Svizzera e scendere poi verso il Passo San Giacomo. Forse dobbiamo procedere a sinistra verso il Passo della Novena o dovremmo proseguire da dove lei arriva?".

Per un attimo sono senza parole, incredulo. Penso addirittura che stia scherzando, ma non è così è tutto vero.

OK siamo ad Agosto e la giornata è splendida; ma siamo a 2500 metri di altezza e vi assicuro, per provata esperienza, che a quelle quote nel giro di mezz'ora le condizioni climatiche possono d'improvviso cambiare. Con l'arrivo anche della neve nei casi peggiori.

Aggiungo che questo gruppo di dementi, età media ben oltre i 60 anni, non ha con se un ricambio adeguato di vestiti. Hanno tutti zaini poco voluminosi e dubito che possano contenere dei maglioni, dei guanti, dei berretti pronti all'uso in caso di bisogno. Per quanto mi riguarda anche nelle giornate d'estate più calde ho sempre nel mio capiente zaino un giubbotto pesante, un pile leggero ed uno pesante, un paio di guanti ed un caldo berretto. Mai prendere sottogamba, mai scherzare con la montagna. Ed infatti quante volte si legge di tragedie avvenute per aver preso alla leggera un percorso in apparenza facile...ma torniamo al mio incontro.

Mi qualifico come accompagnatore escursionistico e con le buone, anche se avrei voglia di "sbottare" contro di loro a parole, spiego il percorso da seguire, in pratica stanno facendo il giro al contrario rispetto al mio. Dovendo ancora effettuare molti chilometri con continui saliscendi almeno fino al Passo San Giacomo, li invito ad aumentare la loro blanda andatura perchè ci vorrano ancora almeno quattro ore per tornare a Riale. A questo punto una donna della comitiva, con fare prepotente ed altezzoso, mi dice che non devo preoccuparmi per loro perchè sono in vacanza fino a ferragosto e non esiste problema d'orario per il rientro nell'abitazione che hanno affittato.

Ed allora "esplodo": fate un po' come volete coglionazzi (in verità non uso un simile epiteto ma capiscono che mi sono piuttosto arrabbiato). Vi meritate di perdevi, restare bloccati di notte a quelle quote ed essere costretti a richiedere l'intervento dell'elisoccorso svizzero. Dovendo sborsare qualche migliaia di Franchi babbei!!!

Non aggiungo altro e non li saluto nemmeno; riprendo la mia strada con un'acidità di stomaco dilagante. Per fortuna le visioni che si aprono davanti a me, Punta dei Camosci, Arbola, Blinnenhorn (tutte cime oltre i 3000 metri) mi fanno stare subito meglio. Un toccasana per me.

Ecco questo è solo un episodio, ma potrei raccontarne molti altri; come di quella famiglia con due bimbi piccoli sul Ghiacciaio del Belvedere, anche qui intorno ai 2000 metri, con le ciabatte da mare, i piccoli, e sandali senza calze i genitori!!! E' la verità credetemi...

Ad Maiora.

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editoriale di iside

#casoumano2020

(22 Giugno 2020)

I VINCITORI!!!

@[MrDaveBoy73] 32 punti

13 PREFERENZE

9 PRIMO POSTO

1 SECONDO POSTO

3 TERZO POSTO

vince tour della Sardegna nel cassone del motobecane (o apixedda) di @[sfascia carrozze]

@[iside] 28 punti

13 PREFERENZE

3 PRIMO POSTO

8 SECONDO POSTO

3 TERZO POSTO

vince crociera Genova/Porto Torres A/R da svolgersi interamente nella giornata del 29 febbraio prossimo venturo


@[dsalva] 24 punti

11 PREFERENZE

5 PRIMO POSTO

3 SECONDO POSTO

3 TERZO POSTO

vince soggiorno della notte fra il 28 e 29 Febbraio prossimo venturo nel sottoscala di @[G]

tutti i votanti sono invitati sulla spurgomobile di @[spurgopozzineri] il 30 settembre 2029

quando nel piano padano bresciano si comincia a spargere i liquami (piscio di maiale) sulle coltivazioni di mais ( furmentù) utilizzando l'apposita "botadela pìsa" (botte del piscio).

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editoriale di sfascia carrozze

Nel mezzo del digitar di nostra vita
mi ritrovai per un DeBasio obscuro,
ché la telematica via era scempiata.

Uh! Quanto a dir qual era è cosa dura
esto DeBasio selvaggio, aspro e forte
che nel pensier rinova la visura!

Tant'è avara che poco è più morte;
ma per trattar dei troll ch'i' vi trovai ,
dirò de l'altre cose bone-e-givste ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant'era pien di loschi ceffi et farnetici viandanti
a quel punto che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui dentro al sito giunto,
là dove terminava quella rete
che m'avea di paura il cor compunto,
scrutai in alto, e vidi le sue corna puntute
vestite già de' raggi del pianeta
che mena diritti e rovesci per ogne valle.

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editoriale di CosmicJocker

Chi di voi ha avuto la (s)fortuna di imbattersi in qualche mia/o paginetta/delirio/commentucolo ha forse intuito la mia indomita passione per il randagismo cittadino.

C'è chi si inerpica in catartici cammini verso una qualche Santiago, io, più modestamente, mi accontento di trotterellare per le vie e purificare la mia anima sostando talvolta in qualche bar dimenticato da Dio.

Settimana scorsa, in una di queste peregrinazioni, mi sentivo insolitamente loquace (oltreché insolitamente sobrio).

Arenandomi in un tempio a me (ancora) sconosciuto e notando la scarsità di fedeli genuflessi ai tavoli, decisi di attaccare bottone con il Sommo Sacerdote del luogo.

Rubizzo, pingue, sgrammaticato e vagamente manesco, non mi ispirava nessuna fiducia, ma la sobrietà è una brutta bestia per me, tende a farmi abbassare le difese immunitarie e a dare possibilità a persone che d'istinto mi respingono.

Voleva assolutamente sapere cosa facessi per sbarcare il lunario ed io, vista la sua insistenza e nonostante la mia ritrosia, ho ammesso il mio percorso teatrale: la mia compagnia, le date e il fatto che, visto che il denaro che ne ricavavo era sempre piuttosto esiguo, puntellavo le mie entrate con lo scarico-farina.

Lui mi fissava in silenzio, ma la luce del suo sguardo e il sottotesto del suo immobilismo era:

"Ma tu guarda 'sto minchione! Il teatro a quasi quarant'anni! Che pena! Se non paga il vino lo ribalto!".

Io capivo tutto ciò (o almeno mi sembrava di capire, da sobrio non sono sicuro di niente) e, cominciando a divertirmi, ho giocato la carta della conduzione di laboratori teatrali per persone con disagio psichico che, essendo un lavoro istituzionalmente riconosciuto ed anche discretamente pagato, sortisce di solito un certo effetto con persone tendenti ad una forte semplificazione di tutto ciò che le circonda.

Ho salutato il buon uomo e, uscendo dal locale, mi sembrava che il suo abbozzo di sorriso dicesse:

"Bah, in fondo un bravo ragazzo. Non un coglione totale. E poi ha pagato senza problemi. Non ho perso troppo tempo con lui"...

...E il tempo, si sa, è denaro.

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editoriale di iside

Delle volte ci rifugiavamo in cantina; un walkman due cuffie e stavamo la ad ascoltare la musica.

Eravamo gli unici che ascoltavano de André.

Eri uno scricciolo, ti chiamerò Ivette come nella canzone di Ivan “quella senza tette”...

Ogni tanto sparivi magari per un giorno o due, tre, una settimana, poi tornivi sempre e finivamo in cantina ad ascoltarci Giugno 73.

Poi un pomeriggio al Casbah ci prendemmo anche noi i famosi peli d'elefante con la promessa che mai l'avremmo dati ad un passante.

Ogni tanto ti allungavo un po' di soldi sapevo che cosa ne facevi ma preferivo darteli io, tanto li avresti trovati comunque...

Poi:

"Davidino me ne vado a Roma"

“Non andare lo sai che finisci nei night”

“Sai quanti ne ne ho sbocchinato in cantina per 5000lire”?

Passarono i giorni, le settimane, i mesi, gli anni, poi una sera mi chiami:

“Davidino vado da mia mamma fra due settimane ti va di vederci”?

“Hai ancora i peli d'elefante o li hai dati a un passante”?

“Davidino non ho tempo per le cazzate, chiamami fra quindici giorni”.

Al telefono mi risponde il fratello, ubriaco come sempre, ride:

“Ciao, mi passi Ivette”?

“ È morta”!

“Come”?

“Morta l'ho capisci? MORTA”!!

Riggancio guardo fuori dalla finestra i fumi delle acciaierie.

Fanculo.

Giugno 1965/ Giugno 1986

(nella foto Ivan del Casbah, morto Marzo 2020 e alcuni frequentatori)

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editoriale di mrbluesky

Ascolto musica ma non sono un consumatore di musica,non la sento in cucina o sotto la doccia,raramente in macchina,ma dove proprio non la sopporto è nei luoghi di lavoro.
Da molti anni ormai la musica è praticamente ovunque,negozi,stazioni di servizio,alberghi,persino ospedali,e di che musica stiamo parlando poi! Quasi provo pietà per quei poveri dipendenti costretti a subire,oltre alle condizioni lavorative di oggi,anche ore ed ore di supplizio sonoro. La peggiore poi è nei centri commerciali,altissima,sembra che la compongano a loro uso e consumo perche io fuori da lì non l'ho mai sentita.
Una volta sì c'era la filodiffusione,rilassante,discreta,ma sopratutto il silenzio e anche d'estate,che è la stagione delle canzonette per eccellenza,se taceva il juke box si sentivano solo i vecchi che bestemmiavano giocando a carte.
La musica me la voglio godere,quando ne ho voglia;ma perchè cazzo devo sentirmi Ligabue mentre lavoro o compero i pomodori,e magari cenare in albergo con Fausto Papetti ? mi fa schifo Fausto Papetti!
Oggi in fila alla cassa mi son dovuto sciroppare quella vecchia ciabatta della Amoroso: "Perchè mi da fastidioo"
Ma l'anima de chitammuort,e sapessi a me..

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editoriale di iside

( le parole non sono mie, io, ai tempi, mi limitavo all'appoggio attivo.)

Le persone fanno la differenza, sempre.

Eravamo nei primi anni novanta quando la Valsella Meccanotecnica di Castenedolo (Bs), controllata dalla Fiat, era leader nazionale nella produzione di mine anti-uomo, vendute all'Iraq in 9 milioni di esemplari. Vi lavoravano un pugno di ingegneri, pagati a peso d'oro, e 40 operaie, addette allo stampaggio, per 800 mila lire al mese. In assemblea ponemmo in tutta la sua gravità il problema della corresponsabilità anche di chi lavorava alla costruzione di quegli ordigni di morte. La prima risposta fu: "Noi non abbiamo le mani sporche di sangue; se non facciamo noi le mine le farà qualcun altro". Allora organizziamo un incontro in Camera del lavoro con Gino Strada al quale partecipò l'intero consiglio di fabbrica. La riunione fu introdotta da un documentario che Gino aveva portato con sé sui tragici e indiscriminati effetti delle mine, soprattutto sulla popolazione civile sui bambini, con mutilazioni permanenti, provocati da ordigni in qualche caso fatti a forma di bambole affinché suscitassero l'interesse dei più piccoli. Lo choc fu potente ed innescò nelle lavoratrici una catarsi, una presa di coscienza che avviò una delle più straordinarie battaglie sindacali e di civiltà che io ricordi. A quel primo incontro con Gino Strada ne seguirono altri, mentre maturata la decisione di chiedere l'interruzione della produzione delle mine e l'avvio di un processo di riconversione. Ma la Valsella non aveva alcuna intenzione di rinunciare ad una produzione lucrativa come nessun'altra. Cominciarono gli scioperi, via via più intensi, fino a trasformarsi in un blocco a oltranza dell'attività. Il prezzo era altissimo. Dopo mesi di lotta le operaie e le loro famiglie vivevano a credito. La lotta non aveva contenuti salariali o normativi. Era il grido di donne che dicevano all'azienda dove si fabbrica la morte: "Noi non saremo complici". Quelle operaie vinsero, perché la moratoria nella produzione di quegli ordigni infami ne bloccò la produzione. A quel punto si fece avanti un'azienda, la Vehicle Engineering&Design, che si candidò a rilevare l'impresa per produrre motori elettrici per automobili: indubbiamente un bel salto, dalle mine a motorizzazioni ecologiche. Ma la nuova azienda pose una condizione: potere vendere alla Spagna il brevetto dell'Istrice, un dispositivo per il disseminamento delle mine dall'alto, senza mappatura, con le conseguenze che ciascuno può immaginare. L'azienda promise che il denaro incassato sarebbe servito anche per saldare alle lavoratrici le mensilità arretrate. In assemblea intervenne la compagna più anziana, componente del consiglio di fabbrica e disse queste parole: "ragazze, in questi mesi abbiamo fatto tanta strada insieme e siamo cambiate. So che è dura, ma non possiamo tornare indietro. Quindi, nessuna macchia. Se la nuova azienda vuole subentrare, nessuna condizione". Le operaie approvano, tutte, con un grande applauso. A sera scrivemmo alla Engineering comunicando le decisioni assunte di comune accordo fra sindacato e lavoratrici. Per uno di quei rari casi che talvolta capitano, l'azienda rispose che rinunciava alla propria richiesta. Segui' una grande manifestazione, in realtà una festa. I brevetti furono restituiti al ministro della difesa e gli stampi delle mine bruciati in piazza.

Sono certo che distanza di oltre vent'anni tutte le operaie ricordino questa vicenda come uno dei momenti più importanti delle loro vite e che il ricordo di colui che tanta importanza ebbe nella loro maturazione non è mai venuto meno.

Ben fatto, caro vecchio Gino.

La terra ti sia lieve

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editoriale di iside

Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purchè trattiate e contrattiate
Le vite dei vostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L'esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d'Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl'innocenti straziati a Bologna.
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perchè siamo i vinti.
Invulnerabili perchè già spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finchè la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.‎

(in questa piazza per lo stato non è successo nulla)

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editoriale di IlConte

L’ho visto ad un incrocio qualche giorno fa di passaggio da Cavriago, ora entrambi esuli dal nostro nobile paese per ragioni molto differenti.

Tempo fa avrei fatto inversione, l’avrei raggiunto, abbracciato e ci saremmo bevuti alcuni bicchieri mentre ci raccontavamo.

Erano parecchi anni che non lo vedevo. L’ultima volta in un incontro inaspettato mi raccontava che aveva “in gestione” un gruppo di ex tossici tramite qualche comunità o qualcosa del genere. Lui aveva avuto una sorta di semilibertà, se non sbaglio rientrava al gabbio ogni sera ed usciva il mattino per recarsi al “lavoro”. Lo hanno anche convinto a tenere mostre, mi dicevano, dei suoi quadri. In prigione infatti si è dedicato alla pittura, con risultati, neanche a dirlo, eccezionali.

Marco è sempre stato di quei personaggi così, certamente particolari e sicuramente affascinanti, almeno per me. Dotato di un talento nelle mani fuori dal comune da ragazzino si mette in testa di suonare ed impara da solo tutti gli strumenti. In quella Cavriago vitale, piena di energia e di passioni, fu lui a dare impulso alla scena musicale paesana e non solo. Ha forgiato tre/quattro complessi di giovanissimi, insegnando ad ognuno lo strumento desiderato. Anche con noi fece lo stesso. Poi mi fece amabilmente capire che la chitarra non faceva proprio per me e che forse era meglio dirottassi le mie totali attenzioni verso le ragazze e qualche sport a scelta… ahahahahah favoloso!

Era veramente un “fenomeno” ed a ciò univa una (apparente) serenità e un (apparente) invidiabile autocontrollo. Intelligente, calmo e ironico, non litigava mai ... al limite ti faceva tacere con una sua frase enigmatica e tagliente di fronte alla quale la gente non sapeva come reagire.

Marco si era creato la sua vita fuori da casa perché lì , purtroppo, era tutta un’altra storia. Un padre “padrone”, ignorante, manesco e con nessun valore nella vita se non quello di prendersela con quelli più deboli e che considerava inferiori ed ai suoi ordini.

Ovviamente costui odiava questo figlio così “Peace and Love” che osteggiava il suo potere e che aveva scelto uno stile di vita opposto al suo.

Marco poi si perse come molti talenti. Non ebbe mai un lavoro fisso e non ebbe fortuna nella musica e nelle arti. Che poi mica la voleva Marco quella “fortuna”. Rifiutò’ audizioni molto importanti con cantautori di successo che avevano sentito parlare di lui, non voleva suonare in mezzo a tanta gente... insomma stava bene così, tranquillo... o almeno così sembrava. Partì’ poi per qualche anno in giro per l’Europa, così almeno disse quando tornò, suonando per strada o dove capitava.

Al ritorno, dopo poco tempo, nessuno poteva credere che facesse la guardia giurata. Marco no, proprio no. In divisa e con una pistola faceva scappare da ridere solo al pensiero.

Poi un giorno mi chiamano e mi dicono che a Cavriago era un casino, che Marco aveva ucciso suo padre. L’incredulità era totale in chiunque.

Io non rimasi, al contrario, molto sorpreso. Non che me l’aspettassi sicuro, ma ho sempre creduto potesse accadere qualcosa del genere. La cosa più “logica” sarebbe stata il contrario, ma solo in apparenza e solo se non analizzavi davvero tutto.

Marco, da quanto ne so, non disse mai a nessuno la verità del suo cuore, di ciò che l’aveva veramente portato a questo gesto estremo. Non ricordo bene la sentenza, ma sicuramente non parlò mai di cose da cui poteva trarre vantaggi.

Non parlò mai di suo papà e di sua sorella, molto più giovane di lui.

Io (insieme a pochi altri) penso di sapere il vero motivo finale scatenante.

E la vita è proprio strana. Fosse stato un tipo come me avrebbe menato il padre, senza subire, fin da ragazzino e, molto probabilmente, non si sarebbe arrivati a tanto.

Lui ha taciuto, subito tanto a livello psicologico e corporeo da sempre, senza una vera ribellione nel senso fisico del termine. Il suo stile di vita non faceva altro che esasperare quell’inutile, squallido e dannoso personaggino del padre.

E poi la sua sorellina, quello no, quella cosa doveva finire...

E io sono dalla sua parte.

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editoriale di luludia

La stronzaggine un tempo era più naif e selvaggia, ma, nondimeno, sempre stronzaggine era. Ai miei tempi la si viveva in strada e ci sbattevi la faccia praticamente ogni giorno.

Il mondo, pieno di bande sgarrupate e di piccoli eroi, pullulava anche di fottuti bastardi.

Gentaglia in preda a una stupida e parodistica idea di virilità e con tanta (ma proprio tanta) voglia di menar le mani.

Mai avuto problemi io, mai preso per il culo da nessuno, ma, insomma, ho visto cose. E nitido ho il ricordo di tutta una serie di gentiluomini.

Sbaraccani, ad esempio, uno che aveva la perniciosa abitudine di spingere la propria morosa addosso al malcapitato di turno per poi, in rapidissima sequenza, (UNO) berciare un “che cazzo fai, tocchi la mia morosa?” (DUE) far partire un terrificante pugno in piena faccia.

O “Danilo la merda e la sua banda di cerebrolesi”, che, si, detta così sembra il nome di un gruppo punk e invece era soltanto un gruppo di stronzi. Se ne andavano in giro di notte con un paio di gatti morti sul cofano della macchina cercando qualsiasi pretesto per sfogarsi. E quando dico qualsiasi intendo proprio qualsiasi.

Oppure gli amici di Ugo, che il povero Ugo se lo tenevano in gruppo solo per menarlo da mattina a sera, menarlo con calci nello stomaco intendo. Bastava un momento di noia, un ghiribizzo di qualcuno e partiva la scarica di botte. E il giorno dopo Ugo era di nuovo li

O Marcellino che quando doveva menare la morosa lo faceva sempre in pubblico di modo che tutti potessero godere dello spettacolo. E qui finisco, anche se di esempi ne avrei ancora tanti altri...

E comunque i suddetti gentiluomini ogni tanto mi capita ancora di incontrarli.

Hanno mogli, figli, lavori e fanno schifo esattamente come ieri. Solo che l'antica violenza si è trasformata in una specie di orrenda normalità di cui sono i più fieri rappresentanti.

Ma il mondo, un tempo, era anche un posto che offriva cose:gli interminabili giri in bicicletta, i pomeriggi pallonari, le chiacchierate con gli amici.

Poi c'era il favoloso Bar Arena, luogo dove tutto (dalle smargiassate alle bizzarrie, dal racconto piccante fino alle strampalate massime di vita) entrava direttamente nella leggenda.

Non so se sia la memoria a ingentilire i ricordi, un po' magari si, chi lo nega, Però credo anche che allora la vita fosse meno influenzata dalla gabbia di cose tutte uguali per persone più uguali ancora.

C'era insomma, a meno che non sia, il mio, un vaneggiamento d'anziano, un pochino più di spazio per l'autenticità.

Penso al Conte, venti caffè al giorno, mai un soldo in tasca e mai un'idea meno che assurda.

Penso a Bruno, ladro di mezza tacca (e gentiluomo dal cuore d'oro) morto in un incidente mentre lo inseguiva la polizia.

Oppure a quando, la domenica, un manipolo di desperados prendeva il pulman per seguire la Patrizia che andava al mare a mostrare le sue grazie.

Alla pazza che lavava la sua biancheria intima nell'acquasantiera.

Al ciclista filosofo che a tutti sussurrava “il mondo non esiste, ma la figa si”,

Al mio amico Vampiro, quello che camminava sui tetti della scuola e una volta si bendò la faccia tipo mummia che, insomma, “tutte quelle facce da cazzo come si permettono di guardarmi?”

E, tra l'altro, ciclista filosofo, Vampiro, più una gattara, più una specie di poeta abitavano tutti in una strada che si chiamava via Spaventa...

Gran bel nome via Spaventa...

Ecco perché Ian Dury...

Che Ian Dury (con quella faccia/con quelle parole/con quella voce) un posto così lo avrebbe saputo raccontare.

Che, per raccontarlo, non ci vogliono cantautorini pallidi dalla faccia pulita e nemmeno vocette querule, oh no, quel che serve è un eloquio pieno di pepe con corollario di faccia da schiaffi e rospi in gola.

Non serve la lingua del paradiso, anzi la lingua deve essere sgarbata...

E ci vuole una faccia da cazzo, lubrica, irriverente, claunesca...un occhio vivo guizzante, spermatico...

E comunque, nella mia memoria, il nostro Ian è legato a doppio filo a un mio vecchio compagno di scuola, uno della genia dei gentiluomini che ho elencato all'inizio.

Ma prima devo parlarvi di un altro personaggio straordinario...

Il professor Cosentino...

Il professor Cosentino non insegnava storia, non dava voti, faceva leggere Kafka al posto dei promessi sposi e con lui si ascoltava Gaber in classe.

Da spento era un tizio trasandato, dimesso, ma una volta acceso ecco che veniva fuori una faccia da cazzo, lubrica, irriverente, claunesca...un occhio vivo, guizzante, spermatico..

Il primo giorno, all'inizio, lo scambiai per un bidello. E' che se ne stava seduto dietro la cattedra con l'aria di chi davvero non c'entrava niente. Poi suonò la campanella...

“Sono il vostro professore di italiano e storia, anche se...”

Come sarebbe “anche se”?

“Anche se mi scoccia...”

Come sarebbe “mi scoccia”?

“Cioè mica mi scoccia essere con voi, mi scoccia essere un professore”

E sorrise...

Poi partì con un monologo, “io non insegno storia, perché non è possibile insegnarla in modo serio” “e Topolino non lo sopporto e Prevert diceva padre nostro che sei nei cieli, restaci”...

Ma ora beccatevi un bel un/due/tre...

(Uno) Il nostro eroe, con aria assai poco convinta, passeggia per l'aula leggendo “I Sepolcri”. “Basta, è troppo retorico”. Poi, per rendere più chiaro il concetto, chiude il libro e lo scaglia lontano....

(Due) Ingresso dell'istituto. Il preside sta aspettando il professor Cosentino che finalmente arriva. “Professore, siamo di nuovo in ritardo!!!” E il professore, di rimando: “Tutto ciò è irrilevante nella genesi storica”.

(Tre) Scrutinio di fine anno. “Professore, che voto diamo in condotta all'alunno X” “Dieci” “Ma come dieci!!!” “Ah, dieci non va bene, facciamo nove” “Nove e perché nove?” “Non va bene neanche nove, facciamo otto allora” “Ma come otto!!!” “Fate un po' come vi pare, io vado a bere un caffè”...

Ok, questo per quanto riguarda il prof...

In quella classe c'erano poi Lorenza e Luca...

Lorenza il mio sogno (e questo vi basti) e Luca una specie di paracarro.

Ecco, io e questo Luca, da paradigmi antropologici piuttosto diversi quali eravamo, non ci cagavamo pari. Però in due occasioni ci scontrammo...

La prima fu un giorno che insieme ai suoi due luogotenenti (tipi simili han sempre dei luogotenenti) stava martoriando un ragazzetto indifeso. Il giochino andava avanti da un po'...

“Ma perché cazzo non la smetti?”

“Se no?”

“Smettila e basta”

“Vuoi prenderle?”

“Voglio solo che la smetti”

Si stava mettendo male, poi, per fortuna, intervenne Lorenza che era insieme alle sue due luogotenenti (ragazze simili hanno sempre delle luogotenenti)...

“Dai Luca, ha ragione lui, non è divertente”

E finì li...

La seconda riguardò solo noi due. Non so come, ma noi che non parlavamo mai, ci ritrovammo a discutere di musica...

“Ti piace Renato Zero?”

“No.”

“Eh, figurati se a te piace una cosa che piace a tutti!!!”

“.....................................”

“Chi ti piace, allora?”

E io, che non potevo certo parlargli dei miei ascolti stravaganti, gli risposi:

“Mi piace quella canzoncina, quella che fa -e cominciai a canticchiare- Sex and drugs and rok''roll”

“Ma fa schifo!!!”

“Il fatto che ti faccia schifo è la prova che invece è davvero notevole”

E lo lasciai li...

Ecco, forse, in quell'occasione fui un pochino rigido io, non mi aveva parlato in tono di sfida, anzi e le sue parole sembravano quasi dettate da una specie di simpatia.

Però, che volete, lo detestavo...

Qualche giorno dopo il professor Cosentino, appena entrato in classe, se ne uscì con questa inaspettata affermazione “ma dico, non è fantastico l'ultimo di Renato Zero?”. Poi si mise a cantare il triangolo no...

“No prof, anche tu”...

Del resto nessuno è perfetto. E forse nessuno, ok facciamo quasi nessuno, fa totalmente schifo,

Infatti, dopo il siparietto del prof, Luca il paracarro cercò il mio sguardo e dopo averlo trovato sorrise. E non era un sorriso di vittoria, era una specie di alzata di spalle o, se preferite, di “che vuoi farci?”.

Così, anche se era una testa di cazzo, sorrisi anch'io...

Trallallà...

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editoriale di De...Marga...

Albeggia quando raggiungo in automobile La Gomba, quota 1250 m., da dove inizierà la mia escursione. Zaino il più leggero possibile, scarpe da trekking da poco acquistate e si parte. In solitaria, come piace così tanto al sottoscritto. Ho controllato per filo e per segno il percorso da seguire scaricando la traccia GPS sul telefonino; tra andata e ritorno dovrò percorrere una ventina di chilometri, con un dislivello a salire che supera abbondantemente i 1000 metri. Non ho fretta, mantengo un passo tranquillo ed i primi due chilometri attraversano una bella mulattiera in un bosco di conifere. Il sole deve ancora sorgere, l'aria è frizzante il giusto; intorno a me la quiete, il silenzio più profondo. Non potete immaginare quanto amo questi doni della natura. Giungo senza problemi al primo "strappo" i famigerati "14 tornanti" dove d'improvviso le pendenze da superare si fanno aggressive. Sono poche centinaia di metri, ma salgo di quota in maniera esponenziale. Ecco il sole spuntare dietro la solenne vetta del Pizzo Montalto ed il sentiero ritorna ad essere molto più facile da seguire; prima breve sosta per togliermi il leggero maglione indossato. Rimango in maglietta, anche se la temperatura esterna si mantiene frizzante; mai sofferto il freddo e queste temperature, non ci saranno più di 10 gradi, sono un autentico toccasana. Il viaggio prosegue fino all'alpeggio ormai tristemente abbandonato di Oriaccia; un altro traverso arduo, facendo le dovute attenzioni ad alcuni passaggi di relativa difficoltà visto che alla mia sinistra si aprono profondi dirupi, e sono alla Croce del Vallaro (1850 m.). Doverosa un altra sosta perchè il panorama è davvero gigantesco: vedo in fondo alla vallata che sto attraversando Domodossola e la sua piana, la cresta montuosa che divide l'Ossola dall'impervia e selvaggia Val Grande, parte della Valle Antigorio, la Valle Vigezzo...ma non posso fermarmi a lungo perchè avrò percorso 5 chilometri e me ne mancano almeno altrettanti per concludere l'ascesa al Passo di Straciugo. Non scendo al rifugio del Vallaro, ma prendo un percorso più diretto verso il Passo di Campo; questo è il tratto più difficile della giornata, una serie di tornanti duri da superare, pendenze che mettono alla prova la mia resistenza, le mie gambe, il mio fiato; minuti tosti, il Passo si avvicina e lo raggiungo; mi merito un altra breve fermata ristoratrice. Ho ormai superato la fatidica quota dei 2000 metri ed inizio a vedere, anche se distante, il traguardo. Ciò mi rincuora e si riparte verso i meravigliosi laghi di Campo: acque cristalline, pure, gelide. Qualche nevaio entra ancora nel terzo lago, quello più bello e posto più in alto rispetto ai suoi fratelli più piccoli. Altro traverso che devo affrontare, altre pendenze da sostenere; ma ormai ci sono. Poche decine di metri, gli ultimi durissimi perchè l'acido lattico ha preso possesso dei miei arti inferiori. Sono in cima, sono arrivato. Un vento fortissimo mi accoglie, ma non mi disturba. Quota 2350 raggiunta in poco più di 3 ore di cammino; ho mantenuto una buonissima media e sono contento. Credetemi a parole mi risulta difficilissimo quantificare, descrivere che cosa provo in questi momenti. Una gioia infinita; sarò banalissimo lo so ma mi sembra di essere in Paradiso. Non ho incontrato nessuno nel mio peregrinare: quello che cercavo, quello che desideravo più di ogni altra cosa oggi. Davanti a me il Canton Vallese in territorio Svizzero, il trittico del Sempione (tre imponenti cime che raggiungono i 4000 metri di altezza). Alla mia destra il filo di cresta che sale, con un percorso molto difficile ed adatto per escursionisti esperti, fino al Pizzo di Straciugo, la cima più elevata di questa parte della Val Bognanco. Scatto tantissime foto e quel video che ho postato ieri negli ascolti e che ben rende l'idea della solennità del luogo raggiunto...

Era il 2 Luglio del 2019...sembra passato un secolo...

Passerà questo periodo assurdo...passerà questa forzata reclusione...ci ritornerò la prossima estate...e non sarò solo perchè ho promesso a qualcuno del sito di portarlo con me...

Ad Maiora.

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editoriale di sfascia carrozze

Qualcuno di Voi, lì, si è mai chiesto il motivo per il quale da bambini, soprattutto per le Sacre Cerimonie come il Battezzo, la Comuniçao e la Gresima i nostri genitori ci
costringevano a vestirci nel peggior modo possibile et immaginabile?

E' vero: anche oggi ci vestiamo perlopiù da cani, ma almeno lo facciamo facendo finta che sia il frutto di una nostra stilistica scelta personale quand'invece attesta solo il fatto che quando hanno distribuito il Buongusto noi eravamo assenti (ingiustificati).

Il dramma assumeva tinte ancor più grottesche nel caso in cui prima di Te in famiglia aveva visto la luce qualche altro extraterrestre tipo un fratello o una sorella (quindi più grande di te).

Perchè in questi casi l'abito "da cerimonia" non poteva che essere il medesimo di quello usato da Lui o da Lei qualche anno prima di Te.
Anche se Lui era più halto o meno grasso di te.

Ora: già il fatto di fare la comunione (senza liberazione) ti sembrava vagamente di intuire che fosse una pagliacciata pazzesca con tutta quella storia che dovevi prima raccontare le tue innocenti marachelle al prete, ma che la dovevi fare per forza dopo esserti sciroppato mesi-e-mesi di devastante catechesimo; altrimenti erano cinghiate e battipannate fino a farti esplodere le natiche a mò di Krakatoa.

Ma torniamo all'abito:
per la Prima Comunione il mio sontuoso abito ereditato dal fratello maggiore (un elegante completo giacca & pantolone forse in mistoraso) aveva un colore particolare: era marrone.

Ma non era marrone-e-basta: era esattamente color cacca.

In realtà non so se si tratti di un colore tuttora in uso o se lo fosse stato all'epoca.

So che c'era quello e quello dovevo indossare.

Il tutto era abbinato a una camicia.
Sempre marron.
E le scarpe, ad libitum, marron.

Insomma ero vestito proprio come una cacca.
Anzi da cacca.

La tonalità del pigmento era più o meno quella di quando hai esagerato con la frutta di stagione matura.
Non so se avete presente.

Ovviamente alla sequela di
"Ti piace? Guarda come stai bene!"
la risposta "NO!" non era contemplata tra le tue opzioni.

Mi chiedo sinceramente se i miei genitori avessero contezza di presentare dinanzi all'altare di Cristo un nanerottolo abbigliato esattamente come un ciocco di sterco.
Io, ve lo dico, avrei preferito farlo vestito da Goldrake.

Ma a pensarci bene forse è stato givsto così: altro non era che l'antifona di ciò che avresti vissuto quando un giorno (forse mai) avresti raggiunto l'età dei tuoi genitori e che Loro all'epoca, volendoti bene, non ti avrebbero mai voluto dire neanche se sottoposti a tortura.

Però almeno la coccarda gigante sul petto me la potevano risparmiare.

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editoriale di CosmicJocker

Ieri sono andato al bar...
... Che incipit del cazzo!

Ma del resto quale incipit non lo è? Avrei dovuto cercare qualcosa di gustoso (o che credo lo sia) per provare ad incuriosire fin da subito chi sta leggendo 'sta cosa; non che non l'abbia mai fatto, anzi, solo che oggi voglio restare il più possibile fedele all'impressione che mi sta spingendo a buttare giù queste righe... E poi, in fondo, a che serve un incipit gustoso? Vanità, vanità, tutto è vanità. Vanità di chi scrive titillandosi l'ego e vanità di chi legge soppesando il godimento estetico ai margini del suo sorrisetto complice.

Dunque sarò brutale: ieri sono andato al bar.

Non vi starò neanche a dire l'ora in cui ci sono andato. Mattina, pomeriggio, sera? Che stronzate senza importanza.

Mi sono seduto, ho preso un paio di bicchieri di vino (bianco o rosso?), qualcuno ha parlato con me, io rispondevo (almeno mi pare di ricordare) e c'erano i Clash in sottofondo.

Solo che dopo un po' è accaduto qualcosa, qualcosa di non particolarmente nuovo per me, ma ieri ha avuto una risonanza, come dire... Avvolgente.

Tra lo sferruzzare continuo dei bla-bla-bla, tra i respiri ansimanti causati dal caldo combinato con le mascherine, tra le dissonanze di vetri e porte che si aprivano e chiudevano... Il tempo si è fermato.

No, non il tempo. Io. La mia testa.

Non era quella leggera ebbrezza che fa sembrare tutto lontano e ovattato, non era lo sfinimento del corpo che rende indifferenti gli esseri e le cose che ci stanno intorno.

Sentivo i miei pensieri totalmente inconsistenti, astratti... No, neanche. Sentivo piuttosto un vapore tiepido e denso che aveva preso il posto dei miei pensieri.

Sentivo, no... Avevo la percezione di me stesso lì, in quel momento, bilanciavo ogni grammo del mio peso e ogni respiro che emettevo aveva un non so che di nitido, di materico.

Anche gli oggetti e le persone mi parevano semplicemente lì, lì e basta. Non immaginavo storie sul loro conto, non sentivo il bisogno di relazionarmi con loro. Sapevo che erano lì, come me erano lì, come me semplicemente esistevano.

Naturalmente questa sensazione sarà durata solo per pochi secondi e, nel momento in cui ci ho pensato, è sparita d'un tratto.

A posteriori ho pensato a Sartre e alla sua nausea, ma, in lui, l'esistenza delle cose e delle persone in quanto tali era percepita come "di troppo" o "gratuita" ed era precisamente questo a dargli il voltastomaco. Io invece l'ho sentita un'esperienza riposante, quasi gratificante e poi Sartre... Vedete anche questa citazione di Sartre è vanità, o meglio, è vanità e insicurezza insieme: cerco di puntellare e giustificare quello che sto dicendo con ciò che ha scritto un filosofo di riconosciuta fama.

A volte invidio la mia gatta: la sua capacità di essere presente nel presente, il suo sembrarmi immune da inutili crogiolamenti su ciò che sia meglio fare. Eppure... Non è anche lei un essere troppo complesso? Non è certamente immune da vanità visto quanto tempo dedica alla cura del suo corpo e la curiosità che la spinge in esplorazioni sempre nuove nasconde forse un'ombra di atavica inquietudine.

No, ieri io ero come un granchio. Un granchio che asciuga la sua corazza al sole, con le zampette ben salde sulla roccia. Un granchio che non sente altro che il rumore sordo della sua esistenza. Un granchio che semplicemente è.

Devo solo ricordarmi, se mi capiterà ancora quell'impressione, di non troncare involontariamente con le mie chele i secondi che ancora mi separeranno dalla mia esistenza di uomo.

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editoriale di mrbluesky

In vita mia ho sempre passato le vacanze nelle seconde case, solo negli ultimi anni mi sono concesso il lusso di qualche soggiorno in albergo, ma volete mettere?
Le seconde case sono luoghi della memoria, non hanno visto i bambini crescere e nemmeno i vecchi morire, no. Loro stanno li da sempre e aspettano solo che qualcuno posi le valigie sullo zerbino e infili la chiave nella toppa per accoglierlo, come in un abbraccio, in quell' atmosfera irreale, dove il tempo sembra essersi fermato. Là, dietro la porta, lo spazzolone con lo straccio ormai rinsecchito che qualcuno aveva passato prima di partire e poi, alzando le tapparelle, ecco che ogni cosa, ogni oggetto si risveglia, pigramente, come da un lungo sonno.
Del resto, si sà, finiti i soldini per comprare la casa restava poco per arredarla, e cosi ecco ogni anno il solito campionario di oggetti recuperati chissa dove, o saggiamente occultati dalla vista di tutti i giorni (perche spiace buttarlo via). Come lo splendido vaso beige con intarsi in pietra verde che troneggia all'entrata, un mobile in bambù a fianco di uno in ferro battuto; in bagno, specchio in Moplen, acqua di colonia che nessuno ha mai nemmeno osato aprire, rasoio Remington ricordo dello sbarco degli alleati, boccettino collirio Stilla scadenza ottobre 1973. In cucina stelle marine appese e l'immancabile orologio con Ancora in rame e termometro, immagini di Saronni e Bitossi sulle piastrelle, in camera, stampe vecchia Milano e quadretto ricordo di Canazei, anche se dalle finestre si intavede il mare. Ma non andava meglio in montagna; all'ingresso bastoni da passeggio recuperati nel bosco e cerate tascabili, in camera Madonna con rosario in onice (peso 25 chili) e, unico soprammobile, una scatola di veline (valore 80 centesimi di oggi) che però non si potevano adoperare perche profumavano l'ambiente. In cucina pentole deformate, tovaglia in plastica con bruciatura di sigaretta, bicchieri scompagnati, radio onde medie rivestita in cuoio, settimana enigmistica dell'86 con schema in bianco ancora da completare, posacenere in plastica Cinzano preso (in prestito) da chissà qualche osteria.
Se non fosse vero sembrerebbe un film di Fantozzi, ma io vi voglio ringraziare lo stesso cari nonni che non ci siete più, per averci regalato comunque un infanzia così felice.
Buone Vacanze!!

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editoriale di Kyrielison

Visto il freddo, stamani, uscendo di casa, mi son detto: “Sai che c’è…? Oggi, invece che in bicicletta, quasi quasi me ne vo con l’autobus”. Non l’avessi mai fatto! Ho dovuto aspettare venti minuti alla fermata prospiciente il circolo ARCI, in compagnia di alcuni ottuagenari congelati dal torneo di Burraco della sera prima. Quando poi l’autobus è arrivato – lo confesso: m’ero distratto e allontanato – ho dato vita a tutto il campionario di segni internazionalmente riconducibili a un tizio che implora di aspettarlo, pur consapevole del fatto che le possibilità che un autista ti attenda prima di ripartire sono pari a quelle di vedere i Genesis riunirsi in occasione del “Festival della canzone ciociara” di Lariano. Niente da fare: se n’è ripartito, tronfio e irridente.

E tutto questo, affrontando pedibus calcantibus il tragitto casa-lavoro, mi ha portato a riflettere sui traumi infantili che debbono aver segnato l’esistenza dei manovratori di autobus, personaggio del sistema viario di cui gli abitanti di qualsiasi cittadina conoscono bene l'indice di pericolosità. La sua sommaria descrizione corrisponde a quella di un uomo generalmente bilioso, rancoroso e vendicativo, perennemente incazzato coll’umane genti. Nonostante egli già presenti gran parte di quelle caratteristiche necessarie alla carriera che lo attende, l’azienda filoferrotranviaria, particolarmente attenta alla preparazione dei suoi dipendenti, premette all’attività lavorativa un corso di formazione, distinto in una sezione teorica ed una pratica - o di tirocinio - ed articolato nelle seguenti discipline:

SCIENZE DELLA DISEDUCAZIONE: il futuro autista viene indottrinato circa le diverse possibilità di offesa, insulto o ingiuria, ponendo particolare importanza anche alle problematiche afferenti la sfera delle mortificazioni corporali da infliggere ai passeggeri meno remissivi. Superato con profitto tale insegnamento, il futuro autista potrà – in un solo turno di lavoro – utilizzare un numero di moccoli e turpiloqui che, impiegati con oculatezza, sarebbero sufficienti ad una persona di ordinaria moralità nell’arco di una vita intera.

SCORTESIA APPLICATA: al conducente vengono mostrate, avvalendosi anche di rappresentazioni teatrali e performance, le diverse possibilità a sua disposizione per svillaneggiare e bistrattare i passeggeri, trincerandosi, poi, dietro un generico “non parlare al conducente”.

FONDAMENTI DI PERVERSITÀ: all’allievo viene insegnato, anche servendosi di filmati, come trarre il massimo soddisfacimento dalle parti contundenti dell’automezzo a sua disposizione; verrà mostrato, ad esempio, come utilizzare una porta a mo’ di ghigliottina o in quale modo frenare per intasare di anziani il vicino Centro traumatologico.

ISTITUZIONI DI MASCALZONATE COMPARATE: avvalendosi di supporti audiovisivi, viene mostrato all’allievo il burbero comportamento dei suoi colleghi nelle principali città europee. Particolare attenzione viene riservata al caso della regione del Baden-Württemberg - dove i conducenti di autobus esibiscono una divisa che ricorda sinistramente quella delle SS - e a come possa essere variamente interpretato l’avviso “Non parlare al conducente” (“Sprechen Sie nicht mit dem Führer!”).

600 ORE DI TIROCINIO: Tutta la parte pratica del corso viene svolta nel campo di addestramento dell’azienda, dove a ciascun conducente viene assegnata una ruspa, o un caterpillar, o una mietitrebbia, abituandolo, per il futuro, a non giudicare degno di considerazione quello che si frapporrà fra lui ed il raggiungimento dell’agognata lettura del Corriere dello Sport al capolinea. Al termine del corso, dopo una solenne ma composta cerimonia, egli viene insignito dei galloni di Conducente. Da quel momento la sua occupazione consisterà nello sbriciolare i femori delle vecchiette nelle porte, vilipendere gli automobilisti nelle corsie preferenziali, sgasare in bocca ai ciclisti, smoccolare e sacramentare contro Dio e autorità costituite in genere.

Quanto al cosiddetto “parco mezzi”, poi, occorre tenere presente che, mentre nelle zone centrali della città sfilano vetture modernissime dotate di ogni comfort, nelle tratte dei sobborghi si aggirano torpedoni che sembrano usciti dritti dritti da un film con Anna Magnani ed espongono scritte del tipo "Scelba boia!". L’autobus suburbano, incontrastato Signore della viabilità periferica, gode pertanto di un vero e proprio microclima. In particolare, durante la stagione invernale, grazie all'intelaiatura traforata dall’usura e ai finestrini bloccati dal 1988, vi imperversano correnti gelide che falcidiano la fazione più malandata dei passeggeri e tramutano la cabina di guida, particolarmente colpita dagli spifferi, in un’autentica ghiacciaia. Gli autisti si palesano, allora, intabarrati con paraorecchi calati, fusciacca di montone e occhiali da neve. Tale abbigliamento, unitamente alle folate ghiacciate e a certe grida belluine che provengono dalla cabina di guida, inducono i passeggeri più suggestionabili a credere di trovarsi sull’invincibile Fokker di von Richtofen. Emblematico il caso del conducente Adelmo Severini, assegnato ad una banale corsa “Stazione centrale-Stadio” e rinvenuto nottetempo sul passo della Tosa, in uno stato confusionale che l’aveva indotto a ritenersi il capo-spedizione del dirigibile Norge, mentre ingiungeva ad alcuni sconcertati montanari di “operare d’urgenza sui flap, boiaduncàn!”. Altri, invece, ostentano un atermico contegno ed un’ineccepibile divisa d’ordinanza, mentre sotto, in realtà, sono avvolti nel Domopak come grosse orate al cartoccio.

D’estate, invece, le soste al capolinea sotto un sole ineluttabile, il guasto dell'aria condizionata, le esalazioni studentesche dopo la quinta ora di ginnastica ed il blocco simultaneo di gran parte dei finestrini (gli stessi che in inverno rimanevano bloccati aperti!), trasformano l’automezzo in un camera a gas. L’autista cercherà di reagire viaggiando con le porte aperte, creando così delle perturbazioni monsoniche, e costringendo i passeggeri ad aggrapparsi per non essere risucchiati via dal tifone. Il suo abbigliamento sarà ridotto a mutande e canotta e, nei casi più estremi, guiderà seduto su un blocco di ghiaccio.

Esiste, infine, un vero e proprio campionario di frasi da non rivolgere mai ad un autista d’autobus (“Scusi… che lei vende i biglietti...?”, “Dove devo scendere per andare al santuario...?”, “A che ora parte...?”). Per comprensibili ragioni di stringatezza, in questa sede ci si limiterà alla più terribile: “Scusi… apre al centro?”. Tale locuzione – apparentemente innocua e convenzionale – sembra abbia il potere di scardinare la morigeratezza del conducente più mansueto, trasformando il suo spirito nel più fecondo asilo di proponimenti di killeraggio seriale. Nelle lunghe e buie attese ai capolinea, i conducenti più anziani raccontano ancora alle implumi e atterrite reclute di quando Baroncelli Osvaldo, capo-manovratore e sindacalista, staccò un orecchio a morsi all’intervistatore di una Tv locale che – cercando conferma di una sua disponibilità verso partiti d’estrazione cattolica – gli chiese: “Allora, che fa?... Apre al centro?”.

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editoriale di algol

Si sa.

Quanto più alta è la statura del Villain tanto più epica sarà la dimensione eroica del suo antagonista.

Il cattivo è l'unità di misura del buono, della sua dedizione, sagacia, forza ed astuzia. Il suo corrispettivo speculare, ma in negativo. In definitiva la sua dimensione.

Probabilmente è stata tutta colpa della visione a 10 anni de “L’Impero colpisce ancora”, il cui choccante finale lasciò un segno indelebile nella mia psiche ancora in formazione, coriacea quanto il molle ventre di un calamaro di Humboldt.

Ci volle un po' per realizzare che la pellicola era davvero terminata, Luke con una mano in meno e un padre di troppo, Han Solo cristallizzato, la resistenza spazzata via.

Troppo.

Così oggi capita di abbandonarmi a perfide derive, con sadico accanimento sui più sensibili nei panni di algol, mi dedico ad ascolti dalle tinte poco rassicuranti in pellegrinaggio presso i luoghi della mia psiche meno presentabili (Babadook docet).

Gli utenti più datati già conoscono la mia malvagità, eccovi un esempio di cui vado particolarmente fiero: tempo fa vidi un cieco che avanzava spedito come il Titanic verso i raggi di una bicicletta parcheggiata sul marciapiede … beh, me ne sono stato dall’altra parte a gustarmi la scena, ridendo a crepapelle quando quella cazzo di bacchetta oscillante andò inevitabilmente ad incagliarvisi trascinando il resto del malcapitato. Hehheheh.

Lo rifarei … lo so, sono una brutta persona.

Quindi nel vano tentativo di superare i miei atavici traumi oggi vi tedierò con la mia personale classifica dei cattivi cinematografici / fiction, dall’ottavo al primo posto, “A rebours” come direbbe Huysmans.

8 Tinky Winky, Laa Laa, Dipsy, Po (I Teletubbies)

Lobotomizzanti

Pensate quello che volete, ma sono sicuro che fanno parte di un diabolico programma di devastazione della psiche di generazioni di piccoli umani.

Se li incrociate sterminateli senza pietà.

Anche il sole-bambino è piuttosto inquietante.

Pure il trenino Thomas, ma questo è un altro editoriale. Forse.

7 Darth Vader (Star Wars)

L’archetipo

Iconico, che aggiungere?

La sua scintillante teca, il respiro meccanico, la fusione corporea ad elementi cibernetici a rappresentare l'incubo di assoggettamento dell'uomo alla macchina e la perdita della nostra identità.

Concetto quest’ultimo portato all’estremo dai Borg di Star Trek.

Ma anche il percorso di fascinazione al Male, da umano a inumano, è rimarchevole, ci interroga su quanto la Paura sia un potente motore nei processi di deriva morale.

Anche collettivi.

Peccato per la democristianissima conversione finale, uno spot per il cristianesimo che nemmeno il peggior Innominato uscito dalle pagine manzoniane.

Ovvero, puoi sterminareprevaricaredistruggere fare esplodere pianeti ma se, anche un secondo prima di trapassare ti penti (ma per davvero eh, giurin giuretta e non incrociare le dita che ti vedo) allora puoi andare nel Regno dei Cieli e della Phorza, ballare con gli Ewoks e scurdammoce o passato.

Che poi sarebbe il sacramento della Confessione.

Comunque voglio essere un padre amorevole come Vader.

6 Loki (Mitologia nordica)

L'ambiguità

Multiforme, insinuante, ingannevole, infido, calcolatore, corrotto, dispettoso.

Eppure capace di slanci inaspettati.

Loki offre una variegata panoramica: è una divinità norrena, ma quanto sembra terreno nelle sue grette mire?

Sfaccettato, come l'animo umano, che alberga abissi e vette.

Convincente Tom Hiddleston nella trasposizione cinematografica in Thor.

5 Souther (Ken Shiro)

La disciplina

Vabeh, mi rifiuto di pensare che esista ancora qualcuno ignaro della drammatica vicenda di estremo sacrificio. Molto nippo.

A volte il lato oscuro è un cammino impervio da intraprendere, una pedagogia da abbracciare.

E così l'amato Maestro impartisce l'ultima lezione facendosi uccidere per mano dell'allievo. Non avrai debolezze se non avrai nulla per cui soffrire, per cui temere.

Estirpa l'amore, e non soffrirai. Questa la genesi (vedi Darth Vader), la banale superfilosofia, la tentazione anestetizzante, la promessa di un’eterna aponia.

Ma quante volte ci illudiamo che la distanza emotiva possa metterci al riparo dalle delusioni che il prossimo inevitabilmente ci infliggerà?

Personalmente è un meccanismo di difesa che ho adottato.

E poi ieri soffiandomi il naso mi è partita una sonora scorreggia, segno evidente che pure io tengo i punti di pressione invertiti.

4 Il Colonnello Hans Landa (Bastardi senza gloria)

Geniale

Il bieco utilitarismo nel completo abbandono di qualsiasi principio etico, che non sia la propria affermazione personale.

Ma condito da intuizione, sottigliezza, acume e arguzia, financo classe. In una parola "Intelligenza"

Impossibile non collocare Christoph Waltz nel mio Olimpo personale, per me che anche nella vita reale preferisco mille volte avere a che fare con uno stronzo intelligente piuttosto che con un coglione ricolmo di buoni propositi.

Lo so, è una mia debolezza, ma tutto ciò che percepisco come stolto mi irrita irrimediabilmente.

3 Agent Smith (Matrix)

La freddezza

Infatti è una macchina, il suo monologo al cospetto di un Morpheus agonizzante, che accomuna la razza umana per modalità di adattamento e impatto all'ambiente al virus, è da applausi a scena aperta.

Il disprezzo, sublimato dalla maschera luciferina e asettica di Hugo Weaving, addirittura condivisibile.

2 Joker (Il Cavaliere Oscuro)

Destabilizzante

Nel secondo Batman della trilogia di Nolan inutile girarci attorno, il superbo Joker di Ledger fa paura.

Qua il concetto di Male assurge a vette di apologia eversive.

Talmente radicale da spingersi alla massima volontà e capacità di corruzione. Finalizzata ad imporre la sua anti – moralità a ad estenderla come un morbo disgregante dell’ordine sociale prestabilito, dimostrando che caos e assenza di connotati morali definiti sono costitutivi dell’essere umano.

Sostanzialmente un male altamente ideologico, autoaffermante, per questo spaventoso.

1 Lo Xenomorfo (Alien)

La purezza

Questo inarrestabile membro corazzato è animato da una forma di ostilità assoluta, totalmente priva di qualsiasi sovrastruttura ideologica, spoglia di motivazioni che non siano mera furia brutale e annientatrice diretta a tutto ciò che è "altro da sé".

Odio incondizionato, primordiale, innato. Ontologico in quanto costitutivo della natura di una creatura che all'unidirezionalità intransigente del comportamento teso alla distruzione aggiunge componenti morfologiche unicamente concepite per offendere.

La sua bocca vuole ucciderti.

Le sue diramazioni vogliono ucciderti.

I suoi stadi larvali vogliono ucciderti.

Addirittura i suoi fluidi sono letali.

Ogni suo gesto è finalizzato alla tua distruzione.

Come dice Bishop, ammirevole.

Ma la vera domanda è.

Quale il vostro cattivo preferito?

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editoriale di heartshapedbox

Il mio professore prima della discussione di ogni tesi mi ha sempre consigliato di bere un “grappino”. E inizia a farmi la disamina scientifica degli effetti dell’alcool sul cervello e dei fantomatici “benefici” sui muscoli e sull’emotività. Io in realtà l’alcool non lo reggo proprio, mi basta un cocktail squilibrato e non troppo annacquato per ridere ininterrottamente e straparlare. Ma la cosa peggiore è quella sgradevolissima nausea post sbornia, che mi fa sentire una vera stupida.

Me l’ha consigliato anche adesso che mi preparo a discutere la tesi di specializzazione. Stavolta ho pensato a Karen Dalton. Mi sono chiesta se mai qualcuno le avesse dato lo stesso scellerato consiglio da mettere in pratica prima di esibirsi davanti al pubblico.

Karen Dalton nasce a Enid, una piccola cittadina dell’Oklahoma, il 19 luglio 1937, un giorno e molti anni prima di me. Polistrumentista autodidatta fin da piccola, viene definita “la Billie Holiday del folk”. Non amava per nulla esibirsi dal vivo, sicuramente per le sue proverbiali timidezza e insicurezza, ma anche per una sorta di moto ribelle verso tutto ciò che a suo parere fosse commerciale. Donna testarda, forte ma allo stesso tempo molto insicura, perfezionista maniacale tanto da costringere la sua band a lunghe ed estenuanti sessioni di prove per poi non presentarsi nel momento in cui dovevano esibirsi. Non le piaceva essere messa sotto pressione e si prendeva il tutto suo tempo per fare le cose ”perfette”: si racconta che una volta abbia addirittura perso un ingaggio perché ci mise troppo ad accordare la sua dodici corde. Amatissima da Bob Dylan, Dino Valenti, Fred Neil, i quali hanno avuto il privilegio di suonare con lei ma soprattutto di essergli amici. In vita, pubblica soltanto 2 album che non ebbero alcun successo.

Perennemente insoddisfatta e inquieta, vagabonda per tutta la sua breve esistenza in cerca del suo “place to be”, non soltanto come luogo fisico ma soprattutto interiore, come cantava in quella che sembra essere a tutti gli effetti la sua canzone manifesto/testamento:

..“If I was where I would be

Then I'd be where I am not

Here I am where I must be

Where I would be, I can not”..

(Katie Cruel, dall’album In My Own Time)

La produzione artistica di Karen può sembrare poco prolifera, ma in realtà nella sua vita ha scritto tanto. Teneva interi taccuini e diari in cui si appuntava meticolosamente informazioni sulla storia del folk, la sua cultura, poesie, testi di canzoni e racconti del suo doloroso vissuto. Parte di questi testi inediti sono poi confluiti in un album tributo pubblicato nel 2015, “Remembering Mountains: Unheard Songs by Karen Dalton”, interpretati dalle ragazze che amo. Per carità loro sono brave, sono le nuove leve del folk americano degli anni 2000 e io le adoro. Ma non hanno niente di Karen purtroppo, e per fortuna loro. Non hanno la sua inquietudine, la sua emotività.

La dipendenza dall’alcool e l’eroina la accompagnò per tutta la vita, fino a quando Karen muore a 56 anni nel 1993. Chi dice sia morta per l’AIDS contratta negli anni ’80 per l'uso dell'eroina, chi per indigenza. Comunque questo non conta, Karen forse non è stata mai viva. Era uno spirito ineffabile, impalpabile. Non era fatta di carne, ma di un’anima immensa e lacerata.

Cara Karen, quello che in realtà ci frega è che spesso confondiamo la perfezione con l’eccellenza. E mentre testarde perfezioniste emotive quali siamo ci logoriamo tentando con determinazione di raggiungere la prima, che poi forse manco esiste, non ci accorgiamo invece che siamo già arrivate alla seconda.

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editoriale di odradek

Sto dalla parte dei vecchi, specie se acidi e rompicoglioni, che si lamentano e imprecano per le scritte sui muri.

Hanno finito da poco di riverniciare e il muro sembra nuovo di zecca, spicca come un segno di speranza tra la rassegnazione smoggata dei palazzi intorno, come una sfida all'inesorabile, o anche come un patetico maquillage su un volto attraversato dai segni implacabili del tempo, fate voi.
La luminosità di quella superficie intonsa non durerà, sarà presto sfregiata da mani rapaci, da giovani col sardonico ghigno di chi deflora un corpo inanimato, per poi vantarsene con i propri simili.

Sto dalla parte dei vecchi, acidi rompicoglioni (che con buona probabilità voi detestate, come tutti, suppongo) per ragioni diverse dalle loro. Non è mio il muro, non mi stupisce il vandalismo, non nutrivo grandi speranza intorno alla riconquistata verginità di quella superficie.
E' la sciatta e arrogante imposizione di sé che mi disturba e mi disgusta. Caratteri più o meno originali, sigle e sgorbi che intendono manifestare la presenza di un "writer", marcare un territorio, sfoggiare uno "stile", testimoniare ad un mondo insensibile l'"urgenza" di "comunicare" sa il cazzo cosa.

E non parliamo di quei gaglioffi che si affannano a rilasciare patenti di artisticità, paraculi nefasti, assessori alla cultura o critici prezzolati senza spina dorsale.
Non è solo questione di gusto (la stragrande maggioranza degli sgorbi ne è assolutamente priva, quel che resta il più delle volte è ripetitivo) anche se un po' di gusto non potrebbe guastare oltre. E' proprio la convinzione che quella superficie sia lì per te, per la tua insopprimibile bramosia di "dire".
Convinzione che ne presume un'altra, cioè che tu abbia qualcosa da dire.
E un'altra ancora, che tutto il mondo non veda l'ora di conoscerla, questa cosa che credi di dire con le tue bombolettine.

Ma non è un problema loro, non è altro che retorica da vecchi, questo affannarsi sul senso delle cose e il rispetto di quelle comuni o altrui. Lo danno per scontato, i writers: sono artisti, sono giovani, liberi e coraggiosi, il mio sguardo infastidito è quello di un annicchilito urbano che dovrebbe essere grato di tanta grazia ricevuta.
Ma vadano affanculo, brufolosi egocentici arroganti.

Epperò...

Qualche volta ne vedo alcune, di scritte, defilate, anonime, inattese e folgoranti e sono grato alla mano sconosciuta che le ha tracciate.
Non stanno sfoggiando un presunto stile, non appartengono al vasto mondo paraistituzionalizzato delle opere d'arte urbana: son solo "le scritte sui muri" roba dell'altro secolo e di quello prima.

Quella della foto è su un muretto non distante dal posto dove lavoro, le passo spesso vicino andandoci, al lavoro.
Non so se l'autore si rivolgesse a qualcuno in particolare, magari residente di fronte, costretto ogni giorno a riflettere sulla propria condizione, o se invece abbia voluto ricordare, a noi, passanti distratti, qualcosa che tediamo a obliare.

Un paio di giorni dopo che l'ho fotografata qualcuno ha tappezzato il muretto con piccole locandine accostate l'una all'altra sino ad occultarla completamente.
Mi ha fatto sorridere osservare la piccola teoria di locandine, e mi ha fatto piacere constatare che la vista della scritta si sia dimostrata insopportabile.

E' insopportabile alla vista perché è insopportabile alla coscienza.
Sprigiona la semplice potenza di un memento mori, ma nel suo rovescio: sinché non sarà il momento ti tocca vivere, è tuo onere e onore, e dovresti farlo al meglio. In fondo di un "memento vivere" si tratta.

Ed è una sintesi che non consente rifugio nella distrazione, nel "far finta di niente".
Poteva chiudersi perfettamente con "...merda", ma quel "... e tu lo sai", implacabile, ti investe di un'autorità, nei tuoi stessi confronti, che non ti consente scampo.
Certo, è drastica e definitiva, un po' troppo assertiva, forse, non tiene conto delle sfumature...

Non so voi, che suppongo per lo più giovani e "in progress", sufficientemente soddisfatti delle vostre esistenze o comunque intenti a indirizzarle verso l'orizzonte dei vostri desideri, che non avete ragione di leggervi quanto vi leggo io.
Ma io lo ringrazio, quello scrittore sui muri (writer ci sarà tua sorella) che, con la sua spietata sintesi, mi obbliga a ricordare lo squisito che è in me, e il dovere di riportarlo alla luce.

Vi amo, tutti voi che siete in questo bar.



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