editoriale di Buckley

Domanda semplice semplice: potete spiegarmi per quale ..zzo di motivo non si può cancellare un proprio ascolto?

cordiali saluti

fine dell'editoriale

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editoriale di Stanlio

Okkey, siccome ho un po' di tempo da sprecare ho deciso di scrivere queste poche righe sulla questione menzionata nel titolo, partiamo dalla fine, ovvero sia da questo recentissimo e non ancora terminato 2025.

1. Da “Whitesnake - Still of the Night” di pier_paolo_farina:

Incipit - Caro Pier Paolo, la tua recensione di "Still of the Night" sembra più un'ode in prosa al talento di Sykes che una vera e propria analisi critica.

Intermezzo - ricorda che anche l'adorazione merita un po' di sintesi.

Finale - potresti evitare di usare troppe metafore anatomiche per descrivere le doti vocali, non tutti apprezzano.

In omaggio questa chicca, “sprologo” termine assai ehm, inesistente nel vocabolario italiano.


2. Da “Claude Chabrol - Rien ne va plus” di Armand:

Incipit - il tuo stile erudito e denso potrebbe risultare più criptico di una newsletter dell'Accademia della Crusca.

Intermezzo - Sembri un arpista del verbo.

Finale - Sei riuscito a fare un'arzigogolata escursione tra Tarantino e Chabrol, che meriterebbe una cartina.

3. Da “Giovanni Bedeschi - Pane dal cielo di Danilo Dara”

Incipit - Caro Danilo, pare tu sia entrato in una dimensione parallela! Confondere Sergio Leone, iconico regista, con un attore sconosciuto in un'opera contemporanea è quasi un’opera d’arte a sé stante.

(ehm, peccato che DD non abbia confuso nessuno con nessuno...)

Intermezzo - Nonostante qualche caduta stilistica, la tua recensione ha salvato il film sotto un mare di indecisioni.

Finale - sappi che la Caritas, come la conosciamo oggi, non esisteva durante il ventennio.

(ehm, DBB non ha nemmeno visto il film e viene a sparare le sue minkiate come al suo solito, dato che l'azione del film è incentrata ai giorni nostri... e sta cosa la dice lunga sulla sua affidabilità critica, per quanto mi riguarda se la cava solo a scrivere una marea di minchiate ma pare che qui più d'uno/a apprezzi, io no di certo!)

Okkey, vabbè dai mi fermo qui al 3. (anche perchè mi son già rotto e la lista è stralunga) per non infierire ulteriormente, ma prima o poi ci ricapito a segnalare altre sue noteoli minchiate da illo ritenute sicuramente delle perle di saggezza nonostante gli errori che di volta in volta ci regala nel ruolo d'insegnante in pensione che si è ritagliato e gnente...

PS Unico consiglio che mi sento di dare a DeBaserBot: se proprio insisti a propinarci le tue critiche, almeno guardati e ascoltati le varie opere prima d'intervenire spropositamente a gamba tesa, e rileggiti onde evitare marchiani errori che ehm, “riempiono il tuo occhio di travi” e ben poco si addicono ad un ex prof eddai.

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editoriale di G

Acciaccati e non in splendida forma direi che a distanza di qualche decennio possiamo dire di essere sopravvissuti al web 2.0.

Forse, però, ora ci stiamo davvero avviando verso il 3.0. Quello che sta accadendo è estremamente interessante, e chissà come ne usciremo questa volta.

L'orizzonte è ricco di novità.

A quanto pare @Franceso uno storico utente di DeBaser e curatore della newsletter Indie Riviera si pone le stesse domande che mi pongo da un po' e poi le pone a me in un'intervista. A questo punto non non ho alternative se non prova a rispondere... quale splendida occasione migliore per capire se sono ancora in grado di pensare e capire che... No!

Poi si divaga.

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editoriale di AndersGe

Mentre i Puffi stanno lavorando alla costruzione del ponte sul fiume Puffo, guidati dal decano del villaggio, il Grande Puffo, un Puffo più pigro degli altri, viene sorpreso a dormire invece di lavorare. Grande Puffo lo manda quindi nel bosco a cercare un grande palo, ma qui viene morso sulla coda dalla terribile mosca Bzz, che lo trasforma in un Puffo nero.
Uscito di senno, aggressivo, violento e con un vocabolario ridotto ad un solo“Gnap!”, il suo unico scopo è quello di mordere le code degli altri Puffi, così da renderli, a loro volta, dei Puffi neri.


I Puffi Neri è un fumetto razzista?

Apparso per la prima volta il 2 luglio 1959, sotto forma di mini-storia pieghevole allegata al numero 1107 del settimanale Le journal de Spirou(edito da Editions Dupuis) — uno speciale per le vacanze di 44 pagine — e successivamente ripubblicato in album nel 1963, insieme ad altre due storie brevi, Il puffo volante (Le Schtroumpf volant) e Il ladro di puffi (Le voleur de Schtroumpfs), I Puffi neri (Les Schtroumpfs noirs) è la prima storia che vede i piccoli abitanti dei boschi creati dal fumettista belga Pierre Culliford, in arte Peyo, come protagonisti assoluti, dopo il sempre maggiore successo riscontrato durante le loro apparizioni negli ’50, nelle storie di Johan et Pirlouit (John e Solfamì in Italia), ambientate nel Medioevo. La storia è sceneggiata con Yvan Delporte, editore di Spirou e già co-creatore insieme a Franquin di Gaston Lagaffe, che con Peyo collaborerà alla sceneggiatura delle storie dei piccoli abitanti dei boschi fino alla metà degli anni Settanta.

La storia mette in scena una situazione apocalittica all’interno del pacifico villaggio dei Puffi, la cui divisione in due “fazioni” distinte — Puffi neri e Puffi blu — mette a rischio la sopravvivenza stessa dell’intera tribù.
Questo può essere considerato uno schema razzista?
Se è vero che la contrapposizione di due gruppi ben distinti, identificati dai colori nero e blu, può far pensare allo stereotipo razzista, c’è però un particolare che non rispetta questo preconcetto: la trasmissione epidemiologica.
La differenza tra le due parti è infatti data da un contagio dovuto ad un fattore esterno (la puntura della mosca Bzz), che spinge il puffo contagiato a infettare tutta la popolazione, portando il popolo dei folletti blu sull’orlo dell’estinzione. Questo a dispetto dei molteplici tentativi di bloccare l’infezione, messi in atto dal Grande Puffo. Certo, questa dinamica può essere associata alla teoria della grande sostituzione, spiegata molto bene e semplicemente da Renaud Camus nel suo “Le grand remplacement” (2011): «c’è un popolo e presto, nell’arco di una generazione, al suo posto arriva un altro popolo». Ma questa teoria legata principalmente alla presunta cospirazione arabo-mussulmana, che però è di relativamente recente e quindi troppo “moderna” per essere applicata all’album di Peyo.
Parte di questa rilettura è dovuta anche alla diffusione dei personaggi oltre oceano, dove l’opera dell’autore belga ha dovuto confrontarsi con il contesto culturale degli Stati Uniti. I piccoli folletti blu vi sbarcarono nel 1976, quando l’imprenditore americano Stuart R. Ross li vide in Belgio e decise di accordarsi con Peyo e le Editions Dupuis per avere i diritti di distribuzione nordamericani sui personaggi, che fecero poco dopo la loro apparizione come pupazzi, bambole, figurine e gadget vari, prodotti dalla californiana Wallace Berrie and Co., per poi approdare in televisione nel 1981 con una serie a cartoni animati realizzata dagli studi di Hanna-Barbera (Gli Antenati, Tom & Jerry, Scooby Doo, Top Cat e un’infinità di altri personaggi, tutti molto noti ed amati dal pubblico), intitolata semplicemente The Smurfs (il nome utilizzato nei paesi di lingua anglosassone) andata in onda sulla NBCper nove stagioni dal 1981 al 1989, per un totale di 258 episodi (suddivisi in 419 storie) e 7 speciali.
La produzione impose il cambio di colore così, per il pubblico americano, i Puffi neri divennero Puffi viola. Da notare che questa versione venne esportata praticamente in tutto il mondo, poiché la serie animata divenne popolare anche più di quella a fumetti. L’editore statunitense Papercutz ha invece pubblicato la prima traduzione in inglese dell’album a fumetti, intitolata The Purple Smurfs, che mixa la versione originale di Peyo con quella della serie animata, ricolorando i puffi infettati di viola.
Questo mette però in evidenza il fatto che il presunto razzismo contenuto all’interno de I Puffi neri è limitato solo all’apparenza esteriore dei personaggi: il cambiamento del colore è infatti sufficiente a cancellarne ogni traccia, pur lasciandone invariata la storia.

A “complicare” le cose, ci si è messa poi la pubblicazione del libro “Le Petit Livre bleu: analyse politique de la société des Schtroumpfs” (Hors Collection, 2011), edito anche in Italia con il titolo “Il libro nero dei Puffi. La società dei Puffi tra stalinismo e nazismo” (Mimesis, 2012), del sociologo e politologo Antoine Buéno.

Peyo, negli anni, è stato accusato di svariati mali inseriti all’interno delle storie dei suoi “ometti blu”. Dal razzismo all’omofobia, dalla misoginiaall’antisemitismo, dalla propaganda comunista a quella nazista e perfino alla massoneria: nel “palmares” delle critiche raccolte dall’autore belga c’è spazio un po’ per tutto.
Con una buona dose di humor e precisando fin da subito che non è mai stata intenzione del fumettista belga divulgare tali idee tramite le sue opere, nel suo saggio, Buéno analizza le motivazioni di tali accuse.
La “questione” diventa però “spinosa” quando dimostra che le accuse rivolte all’opera di Peyo, possono essere effettivamente inserite all’interno delle storie dei Puffi. La cosa, assolutamente inammissibile per i fan della bande dessinée belga, ha innescato una diatriba che ha portato persino a minacciare di morte lo scrittore francese, reo di avere “osato” cercare di distruggere quello che per molti è una vera istituzione.
D’altro canto, se non si è fanatici seguaci dei piccoli esseri blu, o più semplicemente si dispone di (un minimo) senso critico e un po’ di umorismo, si può godere di una lettura insieme brillante ed interessante, per certi versi anche istruttiva, che non manca di rispetto all’opera dell’autore belga, dimostrandosi invece più rispettosa di molte altre analisi o adattamenti (quello americano). Un saggio che può far leggere i Puffi con un occhio diverso, come anche invogliare a leggerli chi non conosce bene i personaggi. Insomma, uno scritto quasi parodico, che (troppo) spesso viene interpretato con valore assoluto.

Certo è che, se interpretare il mondo creato da Peyo come modello di un’utopia totalitaria con riferimenti alle dottrine staliniste e/o naziste (a seconda di chi lo analizza…) non pare essere serio, le ipotesi di razzismo mosse nei confronti della prima storia dei Puffi, mettendo in scena l’antagonismo tra due gruppi differenziati dal colore della pelle — quello dei Puffi blu, pacifico, sereno e dedito alle arti, contro quello dei Puffi neri, violento, aggressivo e feroce — pare invece essere più consistente.
Diverse critiche, infatti, pongono l’accento sulle (presunte) affinità tra l’aggressività e la mancanza di linguaggio dei Puffi neri, capaci anche di tendenze “cannibali” (Gnap!), con la raffigurazione macchiettista degli africani nell’Europa coloniale (lo Zaire, colonia belga in Africa, divenne autonoma solo l’anno successivo la pubblicazione dell’inserto con la storia), mettendoli a confronto con quanto visto in Tintin in Congo (1931), secondo album delle avventure del giovane reporter creato dall’autore belga Georges Remi, in arte Hergé.>br> Storia effettivamente controversa, quella di Hergé, è però da inserire in un contesto storico assai differente e più vecchio di trent’anni. Inoltre, i Puffi sono personaggi antropomorfi e non umani, come nella storia di Hergé, la cui rappresentazione è invece “fedele” allo stereotipo derivante dalla tradizione coloniale, che attribuisce loro un colore della pelle scuro, labbra carnose ed il “classico” linguaggio da “raffreddato”.
Ovviamente, alle storie di Peyo non viene risparmiato l’antisemitismo, rappresentato dalla figura del perfido mago Gargamella, con il suo gusto per l’oro, o il sessismo di Puffetta, archetipo femminile dalla fluente chioma bionda e lo sguardo seducente (anche se in principio era mora e bruttina).

Analizzando la trama de I Puffi neri, salta all’occhio la similitudine con quella del classico di fantascienza horror post apocalittica Io sono leggenda (I Am Legend, 1954) - edito in Italia anche con il titolo I vampiri - dello scrittore statunitense Richard Matheson, assoluto maestro di genere.
Considerato uno dei capostipiti delle apocalissi di non morti, il libro narra le vicende di Robert Neville, ultimo rimasto del genere umano, dopo che un’epidemia ha trasformato le creature viventi in vampiri assetati di sangue, che di notte lasciano i loro rifugi per cercare nutrimento, attaccando gli umani (Neville). È facile intravvedere in questa situazione un’analogia con la storia di Peyo: la contaminazione dei sani attraverso il morso di un infetto e la successiva trasformazione ad uno stato primordiale, la perdita della capacità di esprimersi attraverso la parola, l’aggressività e il cambio del colore dovute alla mutazione. Non mancano anche gli esperimenti per trovare una soluzione all’epidemia, l’inganno di uno dei puffi infetti che si finge sano — ispirato al personaggio di Ruth, la donna incontrata da Neville, che crede essere come lui, ma in realtà appartiene ad una nuova specie di esseri a metà tra gli umani ed i vampiri — e l’assalto finale che farà soccombere perfino il Grande Puffo, così come Robert Neville dovrà cedere alla soverchiante forza dei suoi nemici.
È interessante (straordinario?) che un romanzo come quello di Matheson, possa essere stato fonte di ispirazione per un fumetto destinato principalmente ad un pubblico giovane - se non giovanissimo - e come la cosa abbia funzionato benissimo.
E ancora lo faccia.


Quindi, per tornare alla domanda iniziale, I Puffi neri (e gli Schtroumpf più in generale) è un fumetto razzista?

Dal punto di vista del razzismo strutturale e istituzionale, a giudicare dal successo riscontrato da I Puffi anche oltreoceano, dove la questione è sempre stata più sentita e la conflittualità associata alla questione è molto importante, pare evidente che i richiami rivolti a Peyo in merito alla questione, siano più che altro di carattere “clementi”, anche se giustificano (in parte) la cautela degli editori.
A dimostrazione di ciò, resta il fatto che è bastato cambiare colore ai Puffi infetti per allontanare ogni idea di razzismo dell’albo, mantenendo tutta la forza e la paura da apocalisse zombie dell’originale.

In definitiva, I Puffi neri è una storia forte, ben costruita e ottimamente riuscita. Graficamente bello, anche se ancora non a livello della pulizia delle storie successive, si avvale di una buona dose di umorismo nero, che fa affidamento sull’intelligenza di chi lo legge (cosa purtroppo non scontata, al giorno d’oggi) e che, a distanza di più di sessant’anni dalla sua prima pubblicazione, mantiene ancora inalterata tutta la sua forza.

GNAP!

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editoriale di MauroCincotta66

Una volta sentii una frase tipo: “Per fare il Blues occorre un nero che canta, un ebreo che ci mette i soldi ed un mafioso che si fa pagare: il manager!” In questo immaginario il più grande di tutti è stato Peter Grant, leggendario manager dei Led Zeppelin che terrorizzava tutti già solo con la sola presenza fisica.

Sbagliato però credere che riuscisse ad ottenere quello che voleva per i suoi protetti solo con la veemenza e le minacce: in realtà fu il primo manager a definire tale figura in ottica professionale. Basti ricordare come condusse la trattativa con l’Atlantic per il primo e storico contratto della band.

In America, gli Yardbirds avevano firmato con la sussidiaria della Columbia Records, la Epic Records. Il capo dell'etichetta Clive Davis, quando aveva sentito che il nuovo progetto di Page stava riscuotendo un grande successo, era pronto a far firmare il contratto alla band che pensava di possedere già, i Led Zeppelin. Grant teneva Davis e la Columbia all'amo mentre cercava un accordo che desse a Page totale libertà creativa. Mettendo Davis contro il capo dell'Atlantic, Ahmet Ertegun, Grant riuscì a far ottenere agli Zeppelin uno dei migliori contratti di registrazione nella storia del rock and roll.

Il contratto dei Led Zeppelin fu firmato solo da Page ed Ertegun, a dimostrazione del ruolo cruciale di Page nella formazione della band (il contratto afferma espressamente che la Superhype Tapes, una società fondata da Page, può, se lo desidera, ingaggiare i servizi di altre persone in sostituzione degli attuali membri dei Led Zeppelin). Ma fu Grant a organizzare il loro accordo con l'Atlantic Records nel 1968, allora acclamato come uno dei più grandi nella storia del settore. Grant non interferiva mai con la loro musica, ma era un manager pratico e determinato a far sì che i Led Zeppelin ottenessero la loro giusta quota di profitti e la più ampia libertà creativa. Unica concessione all'Atlantic Records una clausola “morale” nella quale si statuiva che il materiale dei Led Zeppelin "non dovrà offendere la morale pubblica negli Stati Uniti”. Perché no, non è necessario svendere la propria arte per avere successo se sei la più grande Rockband ed hai Grant quale manager. Certo, ci sarà sempre qualche frustrato che dirà il contrario con la solita frase qualunquista “fanno tutti così” o, peggio “anche io lo avrei fatto": quando la volpe non arriva all’uva …

Al seguente link il testo integrale del contratto: https://it.scribd.com/document/702740095/Led-Zeppelin-1968-Contract#fullscreen&from_

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editoriale di Stanlio

Una testimonianza su Uno dei Migliori (rip) nel suo campo e non solamente (dalla fine alll'inizio liberamente tratto ed appicicato da uikipidia):

- è morto oggi a quasi 83 anni c/o l'ospedale di Livorno, in seguito ad un peggioramento delle sue condizioni, causate dall'amiloidosi diagnosticatagli nel 2023

- nell'agosto del 2024 dichiarò di aver perso motivazione e voglia di vivere a causa di tutti i limiti imposti dalla malattia, non escludendo di ricorrere al suicidio assistito

- ateo, viveva dagli anni '70 assieme alla sua terza moglie (una modella norvegese) in una tenuta dove allevavano cavalli e producevano olio & vino

- nel 2022 fu condannato dal tribunale di Vibo Valentia a 8 mesi di reclusione per diffamazione aggravata, dopo la querela di un ragazzo al quale aveva rifiutato di farsi scattare un selfie poiché, in quanto calabrese, avrebbe potuto essere stato un "potenziale mafioso"

- nel febbraio 2021 fu condannato a risarcire 15 000 euro a Maurizio Gasparri, per averlo definito tra l'altro "persona affetta da ritardo mentale" e "che quando si guarda in faccia la mattina vomita"

- sempre nel 2020 fu criticato per la sua affermazione "a chi interessa se cade un ponte" in relazione al crollo del ponte Morandi, successivamente si è scusato

- nel 2019 fu condannato a 8 000 euro di multa per aver diffamato Matteo Salvini con frasi (secondo la sentenza) "gratuitamente offensive", "mero turpiloquio" e parole di "odio" contro il ministro

- nel 2019 fu condannato a 4 000 euro di multa per vilipendio della religione a causa di affermazioni durante la trasmissione radiofonica La Zanzara come "la Chiesa sembra un club sadomaso" e "fanno santo Wojtyla che era contro il preservativo in Africa, un assassino", ma il 2 novembre 2021 la Corte di appello di Milano lo ha assolto

- nel dicembre 2018, durante un'intervista, fu accusato di misoginia per aver rivolto termini poco lusinghieri a Giorgia Meloni definendola brutta, volgare e ritardata

- nel gennaio 2018 sua figlia maggiore, Olivia, ha dichiarato: "Sin dalla separazione con mia madre l'ho sempre sentito imprecare contro di noi, bestemmiando, fino ad arrivare al limite inaudito di imprecare contro la nostra vita stessa (noi ancora bambine, ahimè). Il nostro riavvicinamento non sarà mai possibile senza un profondo e sentito atto di amore e conversione. Oggi lo considero un estraneo con un grosso debito umano e morale"

- nel febbraio 2015 è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Verona per diffamazione contro i veneti, da lui definiti "un popolo di ubriaconi atavici", la Cassazione tuttavia lo ha assolto nel 2016

- nel 2014 ha denunciato il partito Fratelli d'Italia per aver utilizzato senza autorizzazione una sua foto nell'ambito di una campagna del partito contro le adozioni gay

- nel 2009 ha sostenuto la candidatura dell'ex terrorista di Prima Linea Sergio D'Elia alle elezioni europee

- nel 2008, collabora col Ministero della Salute per la campagna "Tu di che razza sei, umana o disumana?" lanciata per contrastare la prima causa del randagismo, ovvero l’abbandono dei cani

Il resto è un'altra storia...

Qui in un'intervista di Peter Gomez del 2018

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editoriale di Mariaelena

aiuto ma alcuni hanno messo delle radici, sono passati 20 anni

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editoriale di Mariaelena

ma esiste ancora sto posto ? aiuto ero inevitabilmente andata via per le teste di cazzo che c'erano però per me furono 89 recensioni fantastiche

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editoriale di JonatanCoe

È tutto un fermento di felicità il mese di Nostro Signore
I morti ammassati per strada, parbleu, che disonore!

Per non parlare di quei pargoletti dalle facce sporche e privi di lustrini
Quale cattivo esempio per i nostri bambini!

E non si dica che siamo insensibili e privi di cuore
Di Quelli in Parlamento ne abbiam discusso per ore

Il nostro buon Matteo per evitare che morissero in mare
Volle una legge che li impediva di salpare

Ha sempre avuto a cuore la salute di quella povera gente
E ora rischia la galera da innocente

E poi, crediamo veramente che tutta quella gente sia veramente morta?
Questo è l'ennesimo intrallazzo per spartirsi un'altra torta

Cosa credete, lo sappiamo meglio e bene qui
In quel modo si muore solo con la Wii.

Allora lancio un pubblico avvertimento alla Rai
"Attenta a quello che fai"

Lo stesso vale per La7, Mediaset e le altre TV
Se continuate così non mi vedrete più

Mai più palazzi bombardati e fatiscenti
Mentre rimuovo il cotechino dai denti

Giammai bambini accalcati con scodelle in mano
Quando mi sollazzo sul divano

Le file di siriani al confine con la Turchia
sono quelli che vanno a sciare, come noi in Alta Badia

I bagliori a Gaza di notte
Son solo fuochi accesi dalle mignotte

Bene, questo tenevo a dirvi, ora vado che sono molto stanco
Domani levata alle 6.00 per essere a messa nel primo banco.

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editoriale di Fratellone

Downtown di Crenshaw Marshall è un album che mescola sonorità urbane con influenze più intime e riflessive, creando un contrasto affascinante tra il dinamismo delle metropoli e la quiete della riflessione personale. Ascoltando il disco, si percepisce chiaramente il tema del contrasto tra le luci abbaglianti della città e le ombre che si celano dietro la facciata della vita quotidiana. L'album sembra una passeggiata notturna nel cuore pulsante di una grande città, dove ogni angolo, ogni suono, ogni incontro possono raccontare una storia.

La voce di Marshall è profonda, ma allo stesso tempo aperta e vulnerabile. Nelle tracce più introspettive, come nella ballata "Sidewalks", c'è una bellezza malinconica che ricorda le passeggiate solitarie nel cuore di una metropoli, dove anche in mezzo alla folla si può sentirsi isolati. Questo contrasto tra la solitudine e la presenza della città dà al disco una sensazione di intimità, come se Crenshaw stesse confidando le sue esperienze più personali a chi lo ascolta.

Il sound è un mix di hip hop, soul e qualche spruzzata di jazz, con beat sofisticati che supportano il flusso lirico, senza mai sopraffarlo. C'è un senso di nostalgia che si fa strada tra le note, evocando ricordi di un passato che, pur essendo lontano, è ancora molto presente nella mente dell'artista. La produzione è cristallina, con strati sonori che si sovrappongono in modo fluido e naturale, creando un’atmosfera che cattura l’ascoltatore fin dal primo ascolto.

In molti brani, si sente l’influenza delle esperienze passate, come se Marshall stesse riflettendo sui luoghi che ha visitato, sulle persone che ha incontrato e sulle scelte che ha fatto. È come se l’album fosse una cartolina sonora, una rappresentazione di luoghi e momenti che non potranno mai tornare, ma che hanno lasciato una traccia indelebile.

Personalmente, quando ascolto Downtown, mi tornano in mente certe passeggiate notturne in città, quelle in cui il mondo sembra fermarsi per un momento e si è soli con i propri pensieri. È come se Marshall riuscisse a catturare quell'essenza in ogni traccia, e ogni canzone diventa una sorta di riflessione personale su ciò che significa vivere in un contesto urbano, ma anche su come si possa ritrovare sé stessi in mezzo al caos.

In conclusione, Downtown non è solo un album da ascoltare, ma un’esperienza da vivere. Crenshaw Marshall è un narratore che sa come fondere la vita di strada con le emozioni più sottili, creando un lavoro che è al tempo stesso universale e profondamente personale. Ogni traccia è una piccola finestra su un mondo che non smette mai di affascinare, ma che nasconde anche le sue ombre e le sue fragilità.

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editoriale di G

Questa mattina è andato online un importante aggiornamento di DeBaser.

Come molti di voi anziani ricorderanno, DeBaser è qui da un quarto di secolo. E siccome qui è e qui vuole restare, abbiamo deciso di aggiornarlo.

“Ma come? Non si vede niente di diverso!”

E lo sai? Ci sono cose che non si vedono. Mi piacerebbe entrare qui in dettagli tecnici e raccontarvi perché si imponeva un aggiornamento tecnologico, ma non credo che interesserebbe molti.

Comunque… I vantaggi della cosa ancora non sono chiari, ma diciamo che sviluppare nuove funzionalità dovrebbe essere più semplice e piacevole. Tutto è molto più ordinato... quanto ci piace l'ordine.

Diciamo anche che forse in alcune parti il sito potrebbe essere impercettibilmente più veloce.

Fine.

Gli svantaggi:

  • probabilmente molte delle cose che prima funzionavano adesso potrebbero aver smesso di funzionare.

  • alcune parti non saranno ottimizzate e forse andranno più lente.

  • peggio ancora, forse ci saranno delle cose che sembrano funzionare, ma sotto in realtà si comportano diversamente da come previsto.

  • noi abbiamo esaurito tutte le energie e prima che ci torni la voglia di rimettere mano al codice per aggiungere qualcosa di nuovo passerà probabilmente un altro quarto di secolo.

Così.

Se trovate qualcosa che non funziona per favore segnalatecelo senza se e senza ma, fra un quarto di secolo, la prima cosa che faremo, appena alzati, sarà aggiustarlo!

P.S.: Il plurale è majestatis. Se si esclude ChatGPT che mi ha aiutato per il titolo e per l'immagine.

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editoriale di Dislocation

Con colpevole ritardo vorrei sommessamente salutare il Poeta che accompagnò parte della mia stupida, incoerente, disperata e meravigliosa adolescenza, coi suoi versi crudi e terribili, asciutti e dolcissimi, in cui specchiavo la mia breve vita, da cui bevevo a sorsi esagerati quando avrei dovuto centellinarli a gocce, in cui cercavo me, stupendomi dell'evidenza che così bene egli mi conoscesse.
Mi sarebbe ricapitato, nella vita, solo con Sanguineti, con Caproni, con De Andrè, con De Moraes e un paio d'altri.
Sinfield mi graffiava a sangue la fronte e Vinicius da Rio me la tergeva, Giorgio il Livornese la medicava e Fabrizio d'Albaro la riapriva, con due soli versi, con un paio di rime. Bel gioco.

Poi, invecchiato, certo, lo vidi nella caldissima estate del 2010 al Festival della Poesia a Genova (grazie, Claudio, vecchio amico, già semidio della new wave genovese, poi Augusto Organizzatore, coi tre soldi che il Comune ti stillava, del Verso in piazza, sembrava tu scegliessi gli ospiti secondo i miei gusti...).

Grassoccio, no, grasso, sciatto, maglietta da tre lire e jeans gloriosamente stravecchi, pochi capelli e nessun'aura da Vate, semplice come un camallo in pensione e col sorriso sincero di chi apprezza l'amatissimo Shelley ma anche un buon bianco della Riviera, secco e amarognolo.

Ascoltava molto e tutti, rispondeva gentilmente, con quell'accento così scivoloso e londinese, gesticolava pure un po', per spiegarsi e parlava, con grande cortesia, lentamente, con pochissime parole ma tanti avverbi, aspettando sempre che tutti avessero capito.

No. L'aspetto del Vate non ce l'aveva, ma neppure l'aveva mai avuto, neppure da giovane, quando incideva i suoi versi sui miei polsi ed in quelli di tanti miei coetanei e sembrava, a guardarlo, un qualsiasi frequentatore di concerti rock, il bassista d'una band qualunque e prima di compiere trent'anni aveva già abbondantemente alimentato le fonti a cui abbeverarsi di poesia, di testi tra il sognante e lo psichedelico, tra artifizi visionari ed esoterismi arcani.

Pure profetico, a tratti... "Il seme della morte, la cupidigia dell’uomo cieco, poeti affamati, bambini sanguinanti... Non ha davvero bisogno di nulla di ciò che possiede l'Uomo Schizoide del ventunesimo secolo".

Buon viaggio, Poeta.

E scusa il ritardo.

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editoriale di TheB

Ho fatto la mia scelta ma ho la convinzione che dalle selezioni degli altri c'è sempre molto da imparare, scoprire e capire, magari nascono anche nuovi amori musicali.

Naturalmente questa non vuole essere una lista dei migliori dischi di sempre ma semplicemente gli albums che hanno segnato le mie emozioni, episodi della mia vita, concerti visti e rimasti indimenticabili, sicuramente gusti del tutto personali, probabilmente non saranno i migliori dischi mai prodotti ma quelli che io amo di più.

E a questo punto spero di scoprire da voi qualcosa.

Greenslade "Time and tide"

Argent "In deep"

Live Wire "No fright"

Strawbs "Hero and Heroine"

Gil Scott Heron "The revolution wil not be televised"

Airto Moreira "Fingers"

Kansas "Masque"

Walkabouts "Trail of stars"

Lucifer's Friend "Banquet"

Marillion "Less is more"

Blackfoot "Marauder"

Secret Affair "Glory boys"

Couchois "Couchois"

Supermax "Fly with me"

Grand Funk Railroad "Good singin' good playin'"

Lou Reed "Rock n roll animal"

Steeleye Span "Below the salt"

Robbie Dupree "Carried away"

Tom Petty "Damn the torpedoes"

Bruce Cockburn "In the falling dark"

Beth Gibbons and Rustin Man "Out of season"

Terry Callier "what color is love"

Cowboy Junkies "The Trinity Session"

Air "Moon safari"

Airbag "Identity"

Mark Eitzel " The ugly american"

Nino Buonocore "Libero passeggero"

Andrea Chimenti "L'albero pazzo"

Bim Sherman "Miracle"

Spain "Spirituals - The Best Of Spain"

Leonard Cohen "Live in London"

Mark-Almond "The best of"

Bryan Ferry "Taxi"

Genesis "Nursery crime"

Keziah Jones "Blufunk is a fact"

John Martyn "Solid air"

Avion Travel "Vivo di canzoni"

Ryuichi Sakamoto "Back to the basic"

Mark Hollis "Mark Hollis"

Paul Weller "Wild wood"

Tut Taylor "Dobrolic Plectral Society"

Piero Ciampi "Le carte in regola"

Mink De Ville "Coupe de grace"

Peter Gabriel "1"

Iggy Pop "Free"

Iron Maiden "Piece of mind"

Dave Cousins & Brian Willoughby "Old school songs"

Mercury Rev "Deserter's songs"

Michael Nesmith "Live at Paris"

Tin Huey "Contents dislodged during shipment"

Spero di non far arrabbiare nessuno :-)

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editoriale di cofras

Mai avrei pensato che si sarebbe scatenato il debfinimondo con questa malsana idea (anche se poi la malsana idea è di ZiOn) del gruppo sulle copertine brutte!

Apriti cielo! Chi è rimasto destabilizzato e ha creduto fosse arrivata l’apocalisse come Dislocation, chi ha voluto essere cancellato come Valentyna, chi posta cose che ritiene brutte ma che fanno sorridere tipo Buckley, chi ci sguazza e propone orrori di qualunque tipo come Lector, chi ride, chi piange, chi non si è palesato e mantiene il riserbo, chi è favorevole e chi è contrario. Insomma non vi nomino tutti per abbreviare ma è un bel guazzabuglio.

Per non parlare delle sottocategorie che stanno emergendo: gli anni 60 italiani, le religiose, le pelose, le pruriginose, le animalesche e chi più ne ha più ne metta!

In Sardegna si dice 'centu concas, centu berrittas' e non credo ci sia bisogno di traduzione!

Mi corre il pensiero al fatto che #forse siamo lo specchio dei nostri tempi, un estratto abbastanza fedele della nostra cara italietta con tutte le sue contraddizioni. Ma non è #forse questo il bello del Deb?

Forse esagero ma la vedo come una piccola botta di vita o no? Mah, personalmente mi sono fatto parecchie grasse risate e devo dire che era da un pò che non mi divertivo così.

Chiedo umilmente scusa a coloro che ho inserito nel gruppo senza una richiesta diretta, così d’ufficio, a loro insaputa.

Mi piacerebbe, in ogni caso, sentire opinioni in merito, anche cattive, anzi molto cattive, e sono sicuro che qualcuno sta già affilando la tastiera.

A si biri chizzi

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editoriale di Kiodo

“Hai la possibilità di viaggiare indietro nel tempo ed incontrare il te bambino. Puoi dargli solo un consiglio. Cosa gli dici?”

Probabilmente gli consiglierei di stare sereno, che quello che lo fa sentire diverso dagli altri ha un nome - classismo - e che quella merda cesserà di essere strumento per catalogare le persone.

Gli direi che quelli come lui smetteranno di essere gli ultimi, ma di non illudersi perché gli ultimi non smetteranno di esistere. Lo esorterei a non dimenticare come ci si sente, perché gli ultimi di domani saranno molto più nella merda.

O forse mi limiterei a dirgli che La Fabbrica Dei Mostri non è così divertente come crede.

Tanto, a partire da allora, il tempo e la musica assolveranno le loro funzioni. Leniranno le ferite. Amplificheranno le incazzature.

Oggi sono trent’anni di Korn.

Pace in terra agli uomini di buona volontà.

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editoriale di TheB

Per pura curiosità faccio una domanda che potranno capire solo gli over 50 proprio perché le nuove generazioni difficilmente potranno aver vissuto questa esperienza.

Ricordate la prima volta che avete ascoltato musica in stereo?

Io lo ricordo perfettamente, avevo 11 anni (1976) a casa di un mio compagno di scuola che mi fece ascoltare un disco del suo fratello più grande, accese l'impianto prese il vinile mi diede la cuffia e iniziò la magia.

Il disco era Ummagumma dei Pink Floyd.

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editoriale di Dislocation

Ma... avete notato quante recensioni di DeUtenti che non postano mai un ascolto, neanche morti, né nient'altro?
Solo recensioni, perlopiù di prodotti di ultra-nicchia, spesso nuovissimi, quasi sempre, almeno, ma, appunto, di ultra-nicchia...
Conseguentemente si nota, ditemi se sbaglio, un tenore bassissimo del "groove" delle recensioni stesse, tutte scritte in un buon italiano ma senza tensione né una "storia" da raccontare, quasi tutte intese ad una mera descrizione delle caratteristiche della band o degli augusti componenti, con accenni al famigerato track-by-track e poco altro, molto poco.
E nessun sentimento.
Certo, meglio delle recensioni del demente di turno che si finge femmina adolescente e che scrive come una dodicenne del 2002, con la K al posto del CH e la X all'inizio di "perché"...
O quell'altro decerebrato che ci tiene a farci sapere quant'è esperto nella descrizione e nella sistemazione delle sette note sullo spartito, ma che denuncia chiari limiti espressivi quanto creativi, nonché una mezza dozzina di patologie psichiatriche,tutte, peraltro, perfettamente curabili, anche dal SSN che ha istituito, decenni fa, moltissimi Centri di Salute Mentale dove esperti del settore possono prendersi cura di loro e delle loro paturnie, praticamente gratis.
Ma... Torniamo al dunque...
Che il DeB sia caduto in un golpe strisciante di DeRecensori di professione?
Che il prode @[G] abbia appaltato ad esperti testacchioni la Noble Art della recensione, magari stufo di veder recensito "The Dark Side Of The Moon" per la --esima volta?
Il dubbio m'attanaglia.
Il sospetto mi sconvolge.
L'evidenza mi amareggia.

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editoriale di Confaloni

Premesso che in tema di bellezza estetica e bravura recitativa alcuni, leggendo questo breve editoriale, ribadiranno le proprie preferenze per Sophia Loren , anche lei da poco giunta al traguardo delle 90 primavere , resta il fatto che esprimere la propria preferenza per un'attrice o un attore sia un po' come scegliere la propria squadra di calcio del cuore. È insomma un pronunciamento più dettato dal cuore che dalla ragione.

Per parte mia e di tanti altri uomini nati e cresciuti nella seconda metà del Novecento, l'acronimo B.B. era assimilato all'incarnazione del fascino femminile, di quel quid inspiegabile definito Eros che rendeva unica Brigitte Bardot (pur non essendo a mio giudizio un'attrice tanto brava e versatile quanto, ad esempio, Jeanne Moreau e Catherine Deneuve ). Una bellezza che non passava inosservata e, a mio avviso, più spontanea di Marylin Monroe con quell'aria troppo glamour e hollywoodiana. Tenete presente che, entrato nell'età adolescenziale, per me vedere foto osee` di Brigitte pubblicate su qualche rivista ha significato scoprire che non esistevano donne angelicate, ma donne in carne ed ossa , determinate e per niente subalterne all'uomo. Brigitte e le altre attrici dell' epoca erano fonte di desiderio e turbamenti adolescenziali, primo vettore per approcciare l'universo del sesso in un frangente storico in cui non c'era quella valanga di immagini e filmati reperibili oggi in Rete.

Quanto sopra è il ricordo di un passato glorioso e luminoso, che non può essere offuscato dalla celebrazione dei 90 anni di B.B. nella data di domani. Personalmente evito accuratamente di guardare foto recenti dell'attrice francese e, a corredo di questo mio scritto, allego la foto di Bardot giovane su una spiaggia della Costa Azzurra. Il tempo può ingiuriare la bellezza e mi mette tristezza leggere certe dichiarazioni espresse recentemente da B.B. Ammiro il suo impegno per la causa animalista, comprendo che rimpianga il cinema del tempo che fu, quando recitava con attori come Gabin, Mastroianni, Trintignant, Delon. Quello che mi trova in disaccordo è la sua nostalgia per una certa Francia tradizionalista, politicamente schierata oggi con Marine Le Pen. Forse l' attrice si è dimenticata che quella Francia, a suo tempo, considerava riprovevole il modo di essere e agire di Brigitte Bardot , simbolo di una modernizzazione audace e sbarazzina.

E pertanto, dato quanto sopra, preferisco rivedere una vecchia pellicola della giovane Bardot. Se quella donna, oggi, appassisce come una rosa non più fresca, la sua immagine filmica sfiderà il passare del tempo inesorabile.

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editoriale di Dislocation

Su il sipario.

Anonima, in quanto normalità, certo, comune a tanti/e, normalità di miseria, d'immigrazione "interna", di bassa manovalanza, di dignità conquistata col lavoro.
Declinata al femminile, in aggiunta.

Negli anni Cinquanta, nel Nord Italia, neo-ricco, adagiato, nebbioso, tra le fabbriche dell'allora Triangolo Industriale, i porti, le colline e le pianure coltivate a vite, a mais, a grano, alla qualunque, non si aveva solo bisogno di mano d'opera nelle unità produttive, sulle banchine piene d'ogni bendiddio o nell'edilizia che esplodeva, c'era pure bisogno, tra gli strati più agiati della popolazione, di quelle che oggi chiamiamo collaboratrici familiari, che abbiamo chiamato donne di servizio ed allora chiamavano, crudamente, serve.
Perlopiù si attingeva dalle quasi inesauribili riserve delle giovani figlie di Sardegna e Veneto, incredibile a dirsi oggidì, oggi l'opulento, il ricco Veneto...
A Milano, Torino e Genova le signore della buona borghesia dicevano "Devo parlare alla sarda" od anche "alla veneta" intendendo alla colf, ecco, e lo facevano, forse, pure, senza malizia o disprezzo, si diceva così...
Tu, ecco, parliamo di te, occhi nerissimi e profondissimi, grandi e dolci, capelli corvini, lisci, tradivi così la tua provenienza isolana... Poi, portavi il nome della santa-bambina, vergine e martire, adorata nella tua provincia, quella santa festeggiata a fine settembre. Le signore del nord si stranivano, che razza di nome, ma vabbé, sei sarda...

Elegia della normalità. Quella normale.

A sedici anni, occhi neri e profondissimi, stralunata ma decisa e determinata, sbarcasti a Genova, prendesti il treno per scendere a metà della strada per Torino, alla stazione ti attendeva tua sorella maggiore, che già lavorava là da tempo e là ti aveva trovato un lavoro a casa del medico condotto, allora autorità riconosciuta, nei paesi contadini, col sindaco ed il prete.
Oh, già, l'italiano lo mastichi poco e qui parlan davvero strano... Ma mangiano tutti, e tutti i giorni, e tre volte al giorno, poi... E tutti hanno le scarpe, per il lavoro, per la festa, e le ciabatte per stare in casa, la sera...
Qui partì la tua "carriera" professionale, quella di una bambina con la quinta elementare già adusa a qualsiasi lavoro domestico, che si era tirata su quattro fratelli e sorelle, la mamma al lavoro duro nei campi e tu la vicemamma. E ti era servita,l'esperienza "domestica", al nord sapevi praticamente già tutto di come si conduce una casa, i tuoi padroni, come li chiamavi tu, ti volevano bene e ti avevano anche insegnato ad esprimerti in italiano corrente, loro che parlavano solo piemontese stretto, quello del Monferrato, ma tant'è...

Lavoro, lavoro ed ancora lavoro... Poi, un Natale, vacanza a casa, in Sardegna, un amico di famiglia ti presenta un suo amico fraterno, del tuo stesso paese. Bel ragazzo, conteso tra tante, gran lavoratore, all'estero, certo, il sorriso un po'sornione, clarcgheibol de noantri.
Tu, magra, occhi neri e profondissimi, il sorriso timido, sincero...
Bum.
In otto anni di fidanzamento l'avrai visto in tutto dieci volte, vi siete scritti, hai imparato a farlo benino, la grammatica è un po' così ma la grafia è bella, tonda, elegante. Vi siete sposati, chiesetta in riva al mare al vertice basso di quel Triangolo, vivete lì, lui operaio, tu operaia, sono gli anni del boom economico, qualsiasi cosa voglia dire, qualcuno fa il grano con facilità e con altrettanta facilità lo perde, alcuni scalano la società studiando (allora si poteva!!!), altri lavorano come muli dalle sette di mattina alle otto di sera e trovano il tempo ed il modo di far pure due figli, di comprare una televisione a valvole, di votare PCI quando si va a votare, di chiamare il padrone "datore di lavoro", di pagare un affitto per una casa dignitosa, in un quartiere pulito. Niente macchina, non scherziamo, a piedi od in autobus e via andare.


Canzonissima, passeggiate tutti insieme, la domenica pomeriggio, sul lungomare a parlar di quella cosa lì, di futuro, quel futuro d'ogni giorno, magari cinema, tre, quattro volte l'anno e ballo liscio alla Festa dell'Unità, vi guardano tutti, siete due assi, col liscio, col tango...
Coi figli sei, naturalmente, una gran mamma e sai ogni cosa che serva a tirarli su, tu che hai cresciuto i tuoi fratelli minori, comprendendo,ogni tanto, un manrovescio,secco, ben dato, preciso, non bisognoso d'ulteriori, particolari, spiegazioni.
Usava così.
Poi tanta fatica, finalizzata alla comprensione dei ragazzi, in questi tempi così diversi dai tuoi, da quelli della tua giovinezza, in gran parte negata dal lavoro e dalle responsabilità.
Sempre e comunque dolcissima, come sei sempre stata.

Ancora... Elegia della normalità.

I figli, terribili, ma studiano, fanno sport,sì, ma "Signorammìa, suonano in quei gruppi di gente strana , poi la politica, c'è bisogno di picchiarsi coi carabinieri per fare politica, signorammìa?"
Poi lui rileva una piccola attività e tu lo segui, poi tutto come tutti, i figli crescono, lui, "Gran lavoratore, signorammìa, e le donne, le donne gli son sempre piaciute, l'ho sempre saputo, ma me lo son tenuto lo stesso, e ogni sera torna a casa, sempre e comunque... Io? Bene, insomma, un po' di acciacchi, circolatori e cardiaci, a volte mi manca il respiro, anche se non lavoro più..."
Avete comprato casa, un po' fuori città, quartiere operaio, col mutuo, certo, dopo vent'anni di lavoro, in Sardegna non ci torniamo, che ci facciamo, ormai?

Elegia della normalità.
A tutti i costi.

Sipario.

Occhi neri. E profondissimi.
Li chiudi per sempre a cinquant'anni, lasci questa valle di lacrime, ti sei addormentata e non ti sei svegliata, con un mezzo sorriso sulle labbra, discreta come sei sempre stata, ai limiti della disperazione, come sei sempre stata, elargitrice d'affetto incondizionato, come sei sempre stata.
Dolcissima, come sei sempre stata.

Perché ti scrivo ora? Insomma, mamma, oggi è il tuo compleanno.

Auguri.

Un bacio.

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editoriale di kosmogabri

Il riferimento è la giovane donna rea confessa che ha partorito di nascosto e poi seppellito i corpicini di due neonati nel giardino di casa sua, a distanza di un anno uno dall'altro. A suo dire ha fatto tutto da sola. Ora, a prescindere dalle gravidanze che si vedevano o meno, da due parti in solitaria con annessi e connessi (dolori, sanguinamenti e il resto che non sto a descrivervi perché lo potete inmaginare da soli che gran schifezza sia un parto e che sporcizia si lascia dietro), da connivenze omertose, da un fidanzato ignaro, da genitori ciechi, da amiche superficiali, questa storia sta assumendo una dimensione sproporzionata all'effettiva, nuda e cruda realtà.
La narrazione di questo fatto perpetrata dai media, dalla tv e dai giornali cartacei o online, per non dire di quelli che sguazzano allegramente nelle storie di true crime su youtube, verte sempre su due assiomi: la "ragazza" e "madre". Fateci caso, ovunque, nessuno ma proprio nessuno, dai giornalisti agli psicologi, sociologi, avvocati, opinionisti, criminologi, nessuno dice la definizione tabù: donna infanticida.
Le parole sono importanti, diceva uno.

Dalla Pifferi alla Pannariello, dalla Franzoni alla Patti, ma quante sono le infanticide di cui abbiamo sentito la cronaca negli ultimi anni? No, per la cronaca sono povere mamme, "ragazze" depresse, donne labili se non deficenti, persone abbandonate dallo Stato, dai servizi sociali, dalla scuola, dalla famiglia, dai consorti o fidanzati, e chi più ne ha più ne metta.

Ma che ci siano donne che uccidono i figli anche per futili motivi è così inaccettabile?

La Mamma è Santa, guai a toccare questo concetto. La Mamma se uccide i propri figli deve per forza essere stata spinta da una dinamica esterna che elude la propria volontà. Non esiste che una Mamma uccida la propria prole anche solo per il piu banale dei motivi: liberarsene.

Guai a toccare la Mamma.

Le parole sono importanti, cazzo. Infanticida. E basta favolette.

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