editoriale di vibration

"La morte ?" insistetti, il suo sorriso si trasformò in una lacrima nera, una perla nera che rotolò sul mio viso,sul mio corpo fermandosi su una chiusura lampo.

" E questa ? chiesi gridando, iniziando ad aprirla.

"lasciala stare,non la toccare" gridò il cane nero, con delle perle nere che gli rotolavano giù per il muso. "E' la differenza fra esistere e non esistere".

Continuò "come posso esistere senza te? io che non so cosa sono Vita ,Morte ,Felicità. Per i miei occhi sono solo come quelle luci lontane nel cielo, buchi bianchi nel nero in alto, nulla di più"

Notai che perdete la coda, "non aver paura mio cane nero🖤 ma spiegami"

Inizio' " Se apri la cerniera sparisci ma non è la Morte 💀. Se la richiudi non credere di aver ritrovato la Vita, forse solo un fugace attimo di felicità se la riconosci.. Vita o Morte non è semplice come sembra, la differenza non la fa una cerniera aperta o chiusa, credi al tuo cane nero" .

"Allora Felicità,Vita e Morte cosa sono?" chiesi stanco.. Sono dei fantasmi che appaiono in fondo al pozzo nero o sono io il fantasma che appare a loro"

"Sono forse dei personaggi di un macabro teatrino dove solo io sono incosapevole pubblico nel buio dell'infinita sala"

"Ma tu mio cane nero 🖤 chi sei ? Sei forse un fantasma ? altro personaggio che con Fantasia , Morte e Vita si aggiunge ai personaggi del macabro teatrino dalla infinita sala buia ?" "Sei forse un Virgiglio, mia persola guida ? "

Raccolse delle perle nere me le porse gentilmente senza darmi risposta.

Fine Parte I

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editoriale di vibration

Una mente acuta pensava che i nostri cani sono il legame con il Paradiso

In una giornata soleggiata il mio cane felice corre, mi guarda interrogativo avvicinandomi a un Paradiso dove oziare non è noia, è Pace.

La Pace interiore è Felicità?

Guardai il mio cane nero scodinzolante. Guardandolo negli occhi gli chiesi "Sei felice ? "

"Non ho idea di cosa sia la Felicità, figurati se mi rendo conto se sono felice"

Ma Io sono felice ?

Ho una vaga idea cosa sia la Felicità ?

Sono in vita mia stato felice ?

TRIS DI NO

Ulrlando la chiamo, nessuna risposta.

Prendo in braccio il cane e salto in un pozzo nero.Nella caduta non vedo niente.Il cane sorridente mi sussura "Se vedi la Felicità fermiamoci".

Continuo a cadere tenendomi per la coda del cane finchè non tocchiamo il fondo.Mi guardo intorno , "cos'è il dolore che sento al petto?',chiesi.

La Vita mi rispose, soltanto la Vita.

La Morte chiesi, mi guardò smettendo di scodinzolare, mi guardo fisso negli occhi con uno strano sorriso che valeva mille risposte.

Domande che non osai fare al mio cane nero 🖤, per ora.

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editoriale di Simon59

Il termine antisionismo semplicemente non ha senso.risale a un secolo e mezzo fa il movimento che voleva dare una patria agli ebrei, che non doveva essere necessariamente la Palestina. sì parlo dell'Alaska dell'Arizona.siamo nell'epoca del caso Drieyfuss, ovvero dell'esplosione dell' antisemitismo moderno. Questa volta il termine è appropriato. Detto ciò se ne possono fare tutti gli usi strumentali che si vuole.rimane il fatto che uno al governo che rifiuta di adempiere alle risoluzioni riguardanti Gerusalemme e la Cisgiordania.

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editoriale di HOPELESS

Dentro sono in quattro, seduti intorno al tavolo a bere caffè.
Completi scuri o gessati. Camicie bianche o azzurre.
Che ne facciamo del giovane Wang?

Led lampeggiano: Future Sound of London / Herd Killings.
Dick Verbatim. Datati. Potenti. NEW DISCIPLINE/DEADFORMS.

Cominciare. Flessioni. Tapis roulant: quindici minuti. Sauna, doccia.
Colazione: caffè d'orzo, latte di riso, cereali, crostini integrali, miele.
Seitan. Sei bottiglie d'acqua. Candele. Guida tv.
L'ultimo grido: cereali, soia, rame, fotovoltaico.
Wealthex®, l'ultima frontiera della sedazione.

Ci sono monitor e apparecchiature informatiche dovunque.
Alle quattro di mattina tuoni, lampi, scariche di grandine.
Le previsioni tutte elettroniche, l'Italia verde vista dall'alto,
i simboli, sigle di città come vecchie targhe, e musica tranquilla,
da far addormentare. Venti da Nordovest.

Si levò, sciacquò la faccia, mise su il caffè,
guardò fuori dalla finestra in preda all'ansia.
Lampi illuminavano la spianata di cemento e ghiaia cosparsa di buche,
pozzanghere a formare lagune frastagliate che separavano il condominio
da un'altra mole stolida, identica, illuminata a tagli dalla luce di un lampione sì, uno no.
Un camion vecchio puzza di fumo vecchio, interni che marciscono,
gas di scarico e gomma transustanziata in merda del demonio.

Lampi illuminavano il profilo della città, lontano.
Lampi illuminavano gli svincoli della tangenziale.
La tangenziale è un drago di asfalto e lamiera che sputa acqua e gas venefici.

Città di metallo e luci. L'immensa città sparava verso l'alto luci malsane.
Una nube lucente, una distesa di liquame fluorescente sospeso a mezz'aria.
Dalla città provenivano clangori stridenti e rumori simili a rombi di tuono.
Una vasta distesa di metallo. La trasmissione era disturbata.
Troppa luminanza. Il metallo taceva, immobile.
La città sembrava respirare con la cautela di chi si sorprende di essere ancora vivo.

Caffè amaro, ustionante. Non ci fa caso.
Nessun punto del corpo è particolarmente sensibile, nemmeno la gola.
L'acqua batteva la strada, i cofani delle macchine, sollevava schizzi.
Passò una macchina alzando una scia. Ne passò un'altra, fumando gas di scarico.

Elettricità statica che correva l'aria.
Attorno la luce della mattina gonfia di umidità.
Strati di città occupati da auto in sosta e mucchi di rifiuti.
La città, disperazione organizzata, muoveva membra, articolava parole.

Un mestiere moderno. Tutto programmato. Brillava freddo alla luce dei neon.
L'ufficio aveva i suoi vantaggi, specie per un uomo che si avvicina alla mezza età,
un uomo stanco di metropoli, di strade senza legge, di brutalità.
Il corpo, reduce da un'altra età del mondo, era provato, stanco di pioggia, di tensione, di anni, di ascesa.
La più grande sconfitta è farsi vedere.

Versava Maalox direttamente nella bottiglietta d'acqua e tracannava,
accendeva sigarette che acuivano l'ulcera,
aveva voglia di caffè che acuiva l'ulcera.
Respirò a pieni polmoni, tossì, sputò catarro. Odore di disinfettante.

Buttò giù un altro caffè e sentì le due paste da Autogrill cambiare posto,
semintere, nello stomaco, spinte dal liquido bollente.
Buttò giù l'acqua gassata, e un crampo all'intestino lo sorprese.
Il Conte aveva fretta, aveva sempre fretta. Weltanschauung.

Il panorama digitale. La Cina, ora, è l'inizio e la fine. Il grande ruminante del capitale.
Vent'anni, più o meno. Niente che esista oggi ha una data di scadenza più lunga.
La Cina compra tutto, chiede tutto, vuole tutto. Ingurgita qualsiasi cosa, digerisce,
fa scomparire, è stata fatta per permettere alla giostra di continuare a girare.
Architetture giganti fatte di numeri, chip, flussi di materia prima, carne umana,
territori mutanti. La fantascienza che leggevo vent'anni fa si è realizzata.
Olî, solventi, vernici. Rifiuti speciali, ospedalieri, della catena agroalimentare.
Scarti dell'edilizia, laterizi. Oro. Il grande ruminante chiede tutto, digerisce tutto.
Sbanca montagne, spiana colline, allaga valli, costruisce dighe, città, porti.
Compra tutta la terra, tutti gli scarti del mondo. Mangia merda e caca oro.
Calcolo, statistiche. Neanche la Cina lo sa, nessuno fa progetti così a lungo termine, oggi.
Sotto scorrono fiumi di denaro, liquidità bollente, magma.
In superficie solo colonne di container certificati e maleodoranti.

Una leggera vibrazione annuncia l'sms. Maltempo e code in autostrada.
Quando la bolla è scoppiata, la liquidità ce l'avevamo noi.

Dentro sono in quattro, seduti intorno al tavolo a bere caffè.
Completi scuri o gessati. Camicie bianche o azzurre.
Che ne faremo di Wang.

Il brutto tempo è intimo, costringe le persone a stare vicine.
Il silenzio era motori a scoppio al minimo dei giri.
Un silenzio intimo, come quando si è parlato o agito troppo,
e si guarda fuori del vetro, si lasciano correre i pensieri.
Metteva a contatto il dentro degli uomini con l'esterno.

Il cielo è un soffitto sporco che perde acqua, sono già le nove
e mi tocca prendere un taxi. Via Roosevelt 28.
È lunedì, è l'ora di punta, piove.
Un lusso da tredici euro che nessuno rimborserà mai.

"Lei che sa trafficare su Internet lo trova in un minuto".
La zona è un misto di piccole fabbriche, centri commerciali e condominii.
Distinguere gli uni dagli altri è più un fatto di insegne che di architettura.

"Be', anche la gastronomia è cultura. Però qua di soldi non s'è parlato.
Lei lo sa, io vivo per la causa, ma mio figlio si ostina a chiedere la pappa"
.

Osserva il contenuto del vassoio di plastica senza toccarlo e chiede se
possono portargli un whisky. New York. Aeroporto JFK.
Guarda fuori dal finestrino le luci del Queens.

Tette sull'attenti che sembrano dover erompere dalla camicetta da un momento all'altro. Penso che con la mia giacca di velluto a coste comprata al centro commerciale devo avere davvero un'aria da intellettuale rasato, trasandato. Ma non importa, io sono lo storico, il topo di biblioteca, l'apparenza polverosa non stona.

Prima regola: non dare troppa confidenza, non si accettano bibite o altro
al primo abboccamento. Guarda storto. Palazzi a sei piani in toni di grigio.
Lo senti questo ronzio? Quale ronzio? I miei maroni che girano.

Providence.
Si entra in pieno psicodramma.
Se lo calmi, lo vizi, se non lo calmi, non dormi.
Se qualcuno mi sveglia di soprassalto penso subito che devo preparare il latte.
Poi controllo l'ora, per valutare l'entità del danno e sapere quanto sonno mi resta.

Lo guardo salire le scale del palazzo, e mentre penso che potrei non rivederlo più
avverto un vago dispiacere. Almeno una scelta, nella vita, mi è capitato di azzeccarla.
Ho una scarica di brividi da film horror giapponese.

Se butta male preferisco comunque vendere pizze per un tozzo di pane a New York
che quel buco di città. Date fuoco a questi edifici. Un vero peccato.

Diluvia, traffico impazzito. Ecoballe, compost. Schede distrutte.
Saluti da Abu Dhabi. Domani all'alba un nuovo aereo. Ritorno ai cieli blu.
Ventilatori spenti. Darsena di Levante. Hare Krishna and Happy New Year.

Dentro sono in quattro, seduti intorno al tavolo a bere caffè.
Completi scuri o gessati. Camicie bianche o azzurre.
Che ne abbiamo fatto di Wang.

FREE KARMA FOOD MOVEMENT.
GENERAL STORE, RESTAURANT AND TV REPAIR.


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Romanzi e racconti di Wu Ming Foundation.
(Abstracts) American Parmigiano (2008), Previsioni del Tempo (2008),
Free Karma Food (2006), Canard à l'Orange Mécanique (2000), Città di Metallo e Luci (2003).
copyleft (ɔ): Si consentono la riproduzione parziale o totale dell'opera a uso personale dei lettori e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta. Gli autori difendono la gratuità del prestito bibliotecario e sono contrari a norme e direttive che, monetizzando tale servizio, limitino l'accesso alla cultura. Gli autori e l'editore rinunciano a riscuotere eventuali royalties derivanti dal prestito bibliotecario di quest'opera.
Tagli, suture e remiscelazione: HOPELESS. Napoli 2013 - CYBERFUNK.

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editoriale di Poldojackson

L’antisemitismo è l’odio verso gli ebrei perché sono ebrei.

L’antisionismo è l’opposizione all’ideologia sionista, all’ideologia ufficiale dello stato di Israele, o più comunemente, alla critica alle politiche specifiche del governo israeliano, in particolare alle politiche dei palestinesi e alle politiche di occupazione.

L’antisemitismo è una cosa molto brutta, e non può mai essere giustificato. Per quanto riguarda l’antisionismo, la maggior parte delle critiche, la maggior parte delle dichiarazioni antisioniste che ho ascoltato, sono ragionevoli, basate su prove legittime, ma il problema è che Israele e i suoi amici molto potenti, in tutto il mondo, confondono deliberatamente le due cose, per far finta di sostenere che qualsiasi critica dello stato di Israele e delle sue politiche, sia antisemita.

Questo comportamento è come una sorta di automatismo, che immancabilmente, scatta alla prima avvisaglia di critica, oppure, alla minima presa di posizione pro Palestina. Lo si è potuto notare in questi giorni, laddove sono stati bollati come antisemiti, i manifestanti pro Palestina scesi in strada in varie città del mondo, anche qua in Italia. Tale automatismo, consolidato nel tempo e reiterato come un mantra, è penetrato anche nella mente della gente comune, la quale ripete a pappagallo quanto sopra, magari anche ad un amico con il quale, un minuto prima, ha preso un caffè.

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editoriale di NonnaSummer

Quest'ambiente pieno di intellettualoidi e di problematici d'ogni tipo fa davvero schifo. Davvero non trovate nulla di meglio nella vita che litigare per una parola detta o non detta,per una virgola mal posta, per una convinzione musicale, politica od altro dichiarata, pur se in mala maniera?

Danzate, ballate, andate in discoteca, branco di disadattati!

Che magari, poi, se vi dice bene, prendete un po' di figa, o d'uccello, se nel caso.

Dance, dance, dance!

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editoriale di ZannaB

Spoiler alert: questo testo contiene parolacce. Se sei sensibile o anche solo sbucciafave, passa oltre, staremo meglio entrambi.


Prologo.
Possiamo suddividere le persone in categorie in base alle sigarette.
- A: non fumatori.
- B: fumatori.
A loro volta, A e B si dividono in due sotto categorie.
- A1: quelli che non hanno mai toccato una sigaretta. Sono i bravi, sono quelli che fanno la scelta giusta, quelli che non sbagliano mai. Sono bravi, cazzo! Solitamente si approcciano alla categoria B con un sagace "ma lo sai che fa male?"
- A2: quelli che hanno smesso. Fanno cazzate, ma almeno rimediano. Non saranno mai bravi, ma almeno ci provano. Solitamente si approcciano alla categoria B con un sorprendente "ma perché non fai come me?"
- B1: quelli che smetteranno. Non sono un gran che, ammettiamolo. Non sono bravi e non fanno nemmeno finta di esserlo. Diventeranno A2, questo sì, ma per il momento fanno un po' schifo. Quelli della categoria A che li approcciano gli stanno altamente sui coglioni.
- B2: quelli che non smetteranno. Almeno non prima di morire. Se ne fregano della puzza, della bronchite, del tumore e delle categorie. Fondamentalmente degli stronzi e sanno di esserlo.


Episodio 1: altruismo.
L'altruismo è una cosa strana. Certo, certo, l'educazione civica, il buonsenso, volemose bene, fai agli altri quello che vorresti venisse fatto a te...
Ma poi chi cazzo l'ha detto che gli altri vogliono la stesse cose che vuoi tu?
L'egoismo invece è molto più logico. Lo potete criticare, contestare, perfino cercare di combatterlo, ma non potete dire di non capirlo.
Occuparsi solo di sé stessi è quasi considerabile istintivo, qualcosa di animalesco, comprensibile da tutti. Sbagliato ma naturale.
Non so, forse l'altruismo piace perché fa rilasciare al corpo umano qualche endorfina di merda, ma anche mangiare il cioccolato lo fa e in più lascia un sapore migliore in bocca.
A questo punto meglio una tavoletta di cioccolato che 10 centesimi di endorfine da altruismo.


Episodio 2: bicicletta.
Avevo 5 anni (o forse 6?) ed ero terribilmente in ritardo. Gli altri bambini sfrecciavano sulle loro biciclette malamente colorate (sti di colori fluo di merda...) mentre io stavo lì con le rotelline manco fossi il cazzo d'Apollo 13 sorretto dall'impalcatura prima del lancio.
Tutti volevano aiutarmi ad imparare ad andare in bicicletta: i genitori, gli zii, i fratelli, gli amici dei genitori, i cazzo di passanti...
Così via le rotelline e tutti a dare una spinta, tutti a tenermi, tutti a toccarmi, le mani di tutto il mondo con i loro buoni proposti del cazzo, tutte insieme su di me a far pressione.
Ci fosse stato un solo stronzo capace di capire che quella pressione mi bloccava, che non avevo bisogno di spinta ma di tranquillità e che tutta quella gente attorno a me avrebbe ottenuto il risultato contrario a quello che sperava: un bel cazzo di niente.


Episodio 3: compleanno.
Le primavere passano inesorabili. Ti ritrovi vecchio, egoista, categoria B e pure un po' stronzo.
C'è qualcosa di più egoistico che radunare delle persone scelte da te per festeggiare te stesso? No.
Quindi chiami gli amici (che conti sulle dita delle mani, barando per poterle utilizzare entrambe) e via ai festeggiamenti!
E da bravo egocoso ricevi pure un regalo. Sembra la sagra dell'egoismo di Monte Coso.
Apri il regalo.
Un libro: "Smettere di fumare è facile".
Li guardi tutti, ridono felici.
Nel libro c'è una dedica: "fallo per noi".
Ridono. Puoi quasi sentire i loro 10 centesimi di endorfine tintinnare.
Li riguardi, ci sono tutte le categorie. A1, A2, B.
Qualcuno potrebbe anche essere B2!
E ti stanno aiutando a smettere di fumare.
Ti stanno aiutando, ti stanno sostenendo, ti stanno spingendo.
Ti hanno già tolto le rotelline...

Epilogo.
Apro gli occhi.
Sono a terra, steso sull'asfalto. La bicicletta, poco più in là, ha fatto la mia stessa ingloriosa fine.
Mi alzo, ho un ginocchio sbucciato. Vaffanculo la bicicletta.
Rientro in casa, mi chiudo in camera e accendo una sigaretta.
Il fumo riempie la stanza e offusca sia la vista che i pensieri, così finisco la sigaretta, mi alzo e apro la finestra.
Il fumo si dirada in fretta, la visuale migliora e ciò che vedo è di nuovo il ginocchio sbucciato.
Vaffanculo la bicicletta.
Accendo un'altra sigaretta e inizio a pensare.
Lo so che fumare fa male, non lo sanno mica solo quei coglioni della A1 che si credono stocazzo, c'è scritto su ogni pacchetto che compro, dovrei essere cretino per non saperlo.
Però se fa male, forse fumare non è così egoistico. Voglio dire, per un vero egoista forse è meglio restare in salute per continuare a rompere le palle agli altruisti. Cazzo avranno questi altruisti da aiutare uno stronzo egoista?
Accendo un'altra sigaretta.
...
Forse non sono così egoista.
Forse sono solo stronzo.
Magari pure B2.
E vaffanculo sta cazzo di bicicletta!

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editoriale di assurdino

"C'hai fatto Assurdì? Me pari moscio". C'ho fatto Menelao, so tutto sderenato e pure con la fantasia sto al lumicino, quando scoperchio la bara, e metto lo naso fuori, tempo dieci minuti e mi son rotto li cojoni a meno che non becchi la giornata che tutto è cinema e, come dice il saggio, un colpo di coltello manda a puttane le "false scenografie del sensibile", che poi anche la saggezza, merda, non la sopporto più, perchè dai, possibile che sia tutto così complicato? Se Dio ci avesse voluto intelligenti non ci avrebbe fatto così scemi. "Scusa Assurdì, non ti offendere, ma secondo me ti ci vuole un po' di figa". Ma quale figa, Menelao! L'ultima erezione è roba del 72. "Fa niente, fa niente, quando sei li qualcosa fai comunque, fosse solo una strufagnata oppure un morsetto a quelle chiappette sode, del resto senza un po' di ciccia sotto i denti l'omo non è omo". Dici? "Dico, dico, pensa che l'altro giorno mi son portato appresso quel rimbambito di mi nonno, uno che se gli parli gli occhi gli diventan quelli del pio bove e che pare talmente morto che pure la morte gli scoccia venirselo a prendere, beh insomma, per farla breve, eravamo li, al parco, zitti zitti, quando non ti passa l'Antonova, quel figone russo d'infermiera? Era con altre due che anche quelle te le regalo, tutto un biondume, tutta un'onda di luce, ridevano, scherzavano, una roba abbastanza da ribollire il sangue, anzi l'abbastanza toglilo pure. Che fa allora quell'anticipo di cadavere? Non si mette a sorridere? E che sorriso poi, la coglionaggine del tutto sparita dagli occhi, quello che avevo accanto era un ginn, un folletto, un satiro, dai retta a me Assurdì la figa ti rimette al mondo". Ma si, ma si, che poi ci avrei a mano una stanga di due metri, una bionda faccia d'angelo, che io, minchia, parlo stellato e le donne, ste sceme, si innamoran con le orecchie. "Ah lo so, tu ne conosci di fregnacce, in questo chi ti batte? Perciò Assurdì, daje, mordi, azzanna, che poi chi è che diceva che l'omo dovrebbe essere senza denti e così niente guerra e solo pace? Canetti, forse, ma al momento i denti ce li abbiamo e allora si, daje e daje bene e una volta che hai dato il morsetto santo vai pure in collina a trenta all'ora ascoltando la tua musica del cazzo”. Ma no Menelao lassa perde, me tengo solo la musica che è meglio, poi ok, una pugnetta ogni tanto me la faccio ancora che il riequilibrio psicofisico ci vuole, ma di più no, non mi pare il caso, meglio mettersi al bar mezzo intontito, aprire ogni tanto un libro a caso e per il resto star nel prorio brodo, poi si la musica quella sempre, mo vado per dire e mi ascolto la piggei e se niente niente voglio un pizzico d’eterno vado di luna rosa. E ora Menelao vattene a fare in culo che se continuo così finisce che divento elegiaco, il che tradotto significa minchione.


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editoriale di withor

Nel mio esordio da editorialista voglio parlare, senza che nessuno me l'abbia chiesto, della mia esperienza debaseriana e di cosa io pensi del DeB, stimolato in ciò dal precedente editoriale di kosmogabri.

Io ho vissuto il citato DeB da "scroccatore" per una decina d'anni, come peraltro già confessato nella "lettera di presentazione" redatta al momento della mia iscrizione, nel senso che mi limitavo a leggere le recensioni che mi interessavano. Poi, circa un anno e mezzo fa, è accaduto l'imponderabile: ogni volta che entravo nel sito da povero e semplice scroccatore seriale quale ero, appariva inesorabile una scritta che invitava ad iscrivermi ogni tre-quattro secondi. Dopo aver stoicamente resistito per quasi un altro mesetto, alla fine ho ceduto alla trappola infernale escogitata da G che, per chi non lo sapesse, è il Grande Capo di Debaser: come una mosca, ero alfine rimasto impigliato e imprigionato nella grande ragnatela debaseriana tessuta con la citata trappola, ed ormai non c'era più niente da fare!

Agli inizi non ero molto convinto del mio nuovo status di debaseriano e mi limitavo a fare, per così dire, l'utente passivo. Ma è bastato pochissimo tempo per farmi cambiare totalmente idea: io che non avevo mai scritto nulla in vita mia, ho scritto la mia prima recensione e da allora mi si è aperto un mondo, in quanto mi sono reso conto che scrivere mi piace, e pure un sacco. E se non mi fossi iscritto non lo avrei mai saputo, quindi di questo sarò eternamente grato al DeB. Dopo aver continuato a perlustrare tutti gli anfratti debaseriani come un esploratore e dopo quindi aver sempre preso più confidenza con il sito, e soprattutto dopo aver iniziato ad interagire con gli altri utenti (cosa naturalmente non possibile "da fuori"), dopo circa un altro mese mi sono reso conto di non poterne più fare a meno: è diventato una specie di droga per me, a volte anche fungendo, non mi vergogno a dirlo, da vero e proprio antidepressivo.

Ora, io non ho certamente la presunzione di saperne di più di chi è iscritto da venti anni e oltre sul DeB, e quindi sono pronto a ricevere eventuali smentite su quello che sto per dire, magari sul fatto che, come si dice spesso da queste parti, Debaser stia morendo o che venti o dieci anni fa lo stesso Debaser fosse meglio di adesso. Ma mi è sembrato di notare una cosa in questo mio (circa) anno e mezzo di frequentazione: anche gli utenti che, per i motivi più disparati, affermano di voler abbandonare il sito, gli utenti bannati (anche più di una volta), gli utenti che parlano male del sito o lo denigrano o lo insultano, alla fine tornano sul "luogo del delitto". Ed allora invito questi utenti a fare outlet (cit.) come me: confessare che anche loro non possono farne a meno perché, parafrasando una famosa pubblicità di qualche decennio fa, "se lo conosci lo ami, e non lo abbandoni più". Perché Debaser, come detto, è una potentissima droga!

Bene, ora non mi resta che concludere questo mio scritto con un bel "Sapevatelo"!

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editoriale di kosmogabri

Vent'anni fa, nell'ottobre del 2003, entravo a far pare di Debaser, quel Debaser primigenio, il Debaser vintage. Cazzo sono vent'anni.

Il primo amore non si scorda mai. Ogni tanto lo spio, entro di soppiatto e spio le recensioni, guardo chi c'è, chi non c'è più. Oggi scopro una nuova homepage, l'ennesima. Un homepage per i cellulari, ma io sono old school. Preferisco quelle per i pc, colonna con i cazzi e mazzi a destra, lista recensioni a sinistra. Ma tant'è, the show must go on, e così anche lo show virtuale. Colpa mia che passo di qua raramente. Ma non ho il tempo per una petteggiata su FB, figurarsi su Deb.

Inutile stare qua a immalinconire gli astanti con le nostalgie di un Debaser che fu, ma diobono, che tempi intensi furono. Passione, condivisione e sangue. Penso alle radici di questo portale, e le vedo profondissime, arrivano al centro del mondo. Agli albori dell'interdett. Penso a tutti quegli utenti a cui si è voluto bene, e quelli che ci stavano sui maroni. I primi troll. Persone. Penso ai Nani, che una volta si facevano chiamare così. I webmaster insomma. Stanno bene i Nani? Neanche uno come Musk ha l'esperienza del virtualmente umano che hanno i Nani.

Il Debaser, che strano mi fa scriverci sopra. Mi fa strano, mi fa nostalgia. Ho quasi vergogna.

Il primo amore non si scorda mai.

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editoriale di Fratellone

Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore,
ma come quella vita giovane spenta, Genova muore.
Per quanti giorni l'odio colpirà ancora a mani piene.
Genova risponde al porto con l'urlo alto delle sirene.
Poi tutto ricomincia come ogni giorno e chi ha la ragione,
dico nobili uomini, danno implacabile giustificazione,
come ci fosse un modo, uno soltanto, per riportare
una vita troncata, tutta una vita da immaginare.
Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare,
c'è traffico, mare e accento danzante e vicoli da camminare.
La Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l'onda.
Ritorna come sempre, quasi normale, piazza Alimonda.

Racconta storie, il Maestrone del mio appennino. Storie che inumidiscono gli occhi[1] ma ci fanno sentire meno soli[2], meno incompresi. Quando canta si ascoltano i testi per capire “come va a finire”. Testi pieni di verità, non ci sono finzioni. A volte scrive di getto, per esempio “la locomotiva” è stata composta in pochi minuti ed è considerata come la migliore ballata popolare degli anni 70 che inneggia all’anarchia e piace a Matteo Salvini[3].

La canzone di Piazza Alimonda di Guccini è un buon pretesto per alcune riflessioni. A distanza di oltre vent’anni dai fatti terribili accaduti a causa di un “laissez faire”, di cui il paese Italia è certamente colpevole, oggi mi chiedo tante cose, ma soprattutto se quei fatti hanno contribuito a farci diventare “italiani” oggi. I femminicidi di cui discutiamo, di cui ci stupiamo, di cui proviamo orrore sono figli della sentenza del 2015, in cui la corte europea condannò l’Italia per le torture ed i trattamenti inumani perpetrati a danno dei ricorrenti. Reati di tortura! Forse allora ci siamo indignati troppo poco ed abbiamo creato un pensiero in cui ci si abitua a subire ingiustizie, anche così enormi come i fatti di Genova. Credo sia stato in quegli anni l’inizio di una deriva sociale che oggi ci sta travolgendo. Lo sviluppo di una cultura che considera tolleranti, come normali danni collaterali, certe nefandezze. Una donna assassinata da un ex ogni tre giorni, più di un morto sul lavoro ogni giorno, i primi morti per le emergenze climatiche…

La soluzione qual è? Vi chiedo se ha senso istituire a scuola l’ora di “educazione sentimentale”. Il ministro dell’istruzione Valditara ha auspicato anche interventi in aula di influencer, cantanti ed attori […].

Introdurre l’alternanza scuola – lavoro, far passare il concetto che la scuola deve formare lavoratori e non persone, chiedersi “oh, ma a cosa ti serve studiare Leopardi, Kant o Quasimodo, non è che così il lavoro lo trovi prima”.

Solo a me sembrano minchiate?

Forse a forza di lasciar andare si arriva ad una deriva insostenibile. Se vi avessero detto che il mar Mediterraneo avrebbe inghiottito oltre 25.000 migranti in 10 anni ci avreste creduto?


[1] E correndo mi incontrò lungo le scale …

[2] Non so che viso avesse, neppure come si chiamava …

[3] Se le mie canzoni piacciono a Matteo Salvini, non ho alcuna responsabilità. Il Messaggero 10 maggio 2019

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editoriale di MauroCincotta66

ABBASSA IL VOLUME, urla mia moglie dalla stanza accanto, CHE VIBRA TUTTO!!! E in effetti ha ragione: è finalmente arrivato l’ultimo degli Stones e non ho resistito a metterlo subito sul piatto a volume non usuale (basso) per non alterare gli equilibri familiari, ma quando il Macca schiaccia il fuzz e comincia ad andarci giù pesante con il basso in “Bite My Head Off” non ho resistito ed ho posizionato la manopola del volume a metà range, come faccio di solito nei miei ascolti (rigorosamente) solitari, immaginando ad occhi chiusi il simpatico vecchietto che gode come un pazzo nel produrre quel suono che deve far vibrare tutto!

Fortuna vuole che l’arzilla nonnina che abita nell’appartamento accanto è sorda come una campana e la giovane coppia del piano di sotto alla mia domanda: “disturbo quando ascolto ad alto volume?” ha commesso un errore – per loro – imperdonabile: confidarmi che gradiscono i miei gusti musicali; come invitare Hannibal Lecter a cena! Ma, tant’è ad oggi non ho (ancora) ricevuto visite dalle forze dell’ordine, bontà loro.

Nell’epoca in cui si dibatte tra vinile e digitale - dibattito tra audiofili che ritengo superfluo e che ho risolto come faccio di solito quando possibile, ovvero affidandomi ai fatti: se l’opera è stata registrata prima dell’avvento del digitale, cerco di accaparrarmi un vinile prima stampa o ristampato comunque prima del 1986, se successivo va bene il CD o anche lo streaming ma con qualità CD (44,1 kHz; 16 bit) - vorrei, invece, spendere due parole sull’ascolto quale esperienza “fisica”. Tra tutte le arti la musica è quella che mi affascina maggiormente per una caratteristica peculiare: l’assenza di un oggetto fisico per la manifestazione artistica: il musicista per mostrarci la sua opera si “limita” a muovere l’aria creando onde sonore che raggiungono non solo il nostro orecchio ma impattano anche su tutto il nostro corpo.

La storia racconta che la musica sia antecedente all’uso della parola e che i primi strumenti siano stati strumenti a percussione ma, probabilmente, la forma più primitiva ed elementare di “strumento musicale” è stato il battito delle mani. Sin dall’origine è stata usata in funzione di intrattenimento, rituale o danza, e per alleggerire le fatiche del lavoro. Chi ha avuto modo di leggere le poche cose da me pubblicate su Debaser sa già che sono un appassionato di Rock/Blues che trae origine, quindi, da quel Blues che si trova a stretto contatto con le funzioni primordiali della musica unendo percussioni potenti a testi strazianti: ascolti la melodia ma sotto senti un battito che ti agita le viscere e, a prescindere da cosa dica il testo, senti che c’è qualcosa in più.

E poi, è arrivata la stereofonia! E con essa le sperimentazioni sul palcoscenico sonoro con artisti che spendevano mesi negli studios, primi fra tutti The Beatles e Jimi Hendrix, creando effetti in grado di aumentare la percezione musicale: l’inizio di …And The Gods Made Love di Hendrix è caratterizzato da “spirali sonore” della chitarra distorta di Jimi che ad un certo punto sembrano letteralmente decollare! Ma per gustarle appieno occorre necessariamente che il volume sia adeguato.

Infine, essendo io una persona rispettosa, non posso certo andare contro le istruzioni fornite per la fruizione di un prodotto: se le note riportano “to be played at maximum volume” assecondo la volontà dell’artista, e con piacere! Per favore buttate gli auricolari nel cesso, o meglio, usateli per le conversazioni telefoniche perché la musica pretende altro.

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editoriale di Stanlio

Ok, scustate tutti/e (ad eccezione di Ilovemusic) però siccome non ho la possibilità di commentare quel che ha scritto, lo faccio qui.

Ma dai Ilovemusic, non dirmi che avresti davvero scritto dei racconti lunghi e dei romanzi di narrativa pura, però visto che a sto mondo tutto è possibile citaci almeno qualche tuo titolo (anche se non pubblicato ma se è pubblicato sarebbe meglio) cosicchè ti si possa credere, perchè mi sa tanto che continui a sparare minchiate pure al di fuori della music... e da come scrivi in generale non ti ci vedo proprio a fare il "letterato" chè a quanto pare ne hai di strada da percorrere prima di saper redigere un paragrafo come si deve, figurati un racconto più o meno lungo!

P.S. a Gasboy che ieri alle 20:39 affermò "Io adesso ho la fissa coi cantieri..." posso solo rincuorarlo dicendogli che è normale alla sua età e gnente... anzi no, io per ora sono in trip con l'arte cosidetta ehm " c u l i n a r i a " (ogni riferimento spiritoso voluto od non voluto sarà sanzionato immantinente dalla più vicina mezzanotte con un bel deodio ufficiale, sia ben chiaro)!

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editoriale di Bubi

La pioggia cadde molte volte prima che calasse l'oscurità. Io giacevo a terra, Isa si adagiò accanto a me. Silenzio dentro noi, silenzio fuori, per ascoltare la voce della natura. Le gocce cadevano leggere, picchiettando ovunque posandosi sulla sabbia dorata, su pacchetti di sigarette gettati via, su flaconi di crema solare dimenticati, sulle carcasse di creature decomposte, su bottiglie di plastica. Cadevano su tutto ciò che era diventato inutile, su me su Isa, sulla nostra esistenza. S'era formato un rivolo d'acqua, scivolava tra i viottoli silenziosi, sprizzando, ribollendo, borbottando, bagnando ogni cosa. Portava con sé gocce di veleno che infradiciavano e contaminavano i fiori, obbligati a piegare il capo e ad appassire. Che grande tristezza, ma non c'è mestizia che possa offuscare la poesia che abbiamo in noi, la troveremo sempre, oltre che nel canto della pioggia, pure in una pineta dove non ci sono più gli odori, i colori, le luci di sempre, solo sozzume. Dove sono quei bei rovesci che dissetavano i boschi e dopo aver bagnato rami e foglie, tutto gocciolava e tutto era in festa?

Parlo di un tempo lontano. Guardavamo la pioggia, leggera e multicolore, danzare su tutto ciò che non serviva più. Sul immondizia. Il suo puzzo si mischiava con quello del temporale estivo e vi si perdeva. In quella natura trasformata, ciò che era scarto aveva invaso il pianeta riducendo in agonia ogni vivente. A causa di quello che l'umanità aveva rigettato, nei sobborghi delle città espandeva la melma e cresceva l'irrespirabile. Sotto il peso del consumo sfrenato il mondo era mutato e il lerciume era divenuto il nostro accompagnamento. I fanciulli nascondevano gli occhi dietro una barriera di dita, cercando di evitare lo sguardo su quel cielo malato, ma i loro occhi erano tristi e lacrime li inumidivano. Già i contaminanti avvolgevano il globo come un amante appassionato e in questo mortale abbraccio, le acque e i cieli avrebbero presto esalato l'ultimo respiro. Ma volteremo le spalle anche a questa evidenza, infine, saremo costretti a vagare senza meta, senza scopo, colpevoli di autoinganno.

Immersi in queste malinconiche riflessioni, volti protesi al cielo, godevamo a lasciarci penetrare dalla pioggia e dal profumo del mare. Ascoltavamo in silenzio il ticchettio costante delle gocce. La pioggia scendeva leggera dando vita ad una sinfonia visiva, pareva d'ascoltare: One of These Days dei Pink Floyd. Le piccole perle d'acqua cadevano senza sosta, pennellando colore su tutto. S'era formato un nuovo paesaggio, ci sembrava d'essere dentro una opera d'arte di Banksy. La spiaggia bruciava sotto il sole rovente e il fetore avvolgeva la terra in un manto umido di tristezza. Pensavamo che la natura, offesa dalla sporcizia, prendesse le distanze da ciò che dissonava dalla bellezza che aveva sempre creato. Ma, ora lo so, la natura non segue né le leggi degli uomini né dettami poetici, non concepisce il bello e non partecipa in alcun modo alle cose cui diamo importanza. E noi, Isa ed io, abbagliati dal sole e dalla colorata apparenza di quel mondo, continuavamo a godere, inzuppati d'acqua e coi nasi all'insù.

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editoriale di iside

"Naron, dell’antichissima razza di Rigel, era il quarto della sua razza a tenere i registri di tutte le galassie. Aveva il libro grande, con l’elenco delle moltissime razze di tutte le galassie che avevano sviluppato una forma d’intelligenza, e quello, notevolmente più piccolo, nel quale erano registrate tutte le razze che, raggiungendo la maturità, venivano giudicate adatte a far parte della Federazione delle Galassie.

Nel registro grande erano stati cancellati molti nomi: erano i nomi di popoli che, per una ragione o per l’altra, per sfortuna o incapacità erano scomparsi. Sfortuna, difetti biofisici o biochimici, squilibri sociali avevano preteso il loro pedaggio. In compenso, nessun nome era stato cancellato dal libro piccolo.

Naron, grande e incredibilmente vecchio, guardò il messaggero che si stava avvicinando.

“Naron! Immenso e Unico!” disse il messaggero.

“Va bene, va bene, cosa c’e’? Lascia perdere il cerimoniale.” Rispose Naron facendo fretta come fosse un po’ infastidito

“Un altro insieme di organismi ha raggiunto la maturità.” disse il messaggero.

“Benone! Benone! Vengono su svelti, adesso. Non passa un anno senza che ne salti fuori uno nuovo. Chi è il nuovo popolo?” domandò Naron.

Il messaggero diede il numero di codice della galassia e le coordinate del pianeta al suo interno.

“Uhm, sì, conosco quel mondo.” disse Naron facendo uno sforzo per ricordare e con la sua fluente scrittura prese nota sul primo libro, poi trasferì il nome sul secondo, servendosi, come di consueto, del nome con cui quel pianeta era conosciuto dalla maggior parte dei suoi abitanti, scrisse “Terra” e pronunciò il nome mentre lo scriveva.

“Queste nuove creature detengono un bel primato. Nessun altro organismo è passato dalla semplice intelligenza alla maturità in un tempo tanto breve. Spero che non ci siano errori.” disse Naron dopo aver scritto il nome

“Nessun errore, signore” disse il messaggero sicuro.

“Hanno scoperto l’energia termonucleare, no?” chiese Naron.

“Certamente, signore.” rispose il messaggero.

“Benissimo, questo è il criterio di scelta.” affermò Naron ridacchiando soddisfatto. “E molto presto le loro navi entreranno in contatto con la Federazione” aggiunse Naron come di cosa scontata.

“Per ora, Immenso e Unico, – disse con una certa riluttanza il messaggero – gli osservatori riferiscono che non hanno ancora tentato le vie dello spazio”.

“Proprio per niente? Non hanno nemmeno una stazione spaziale?” chiese Naron dimostrando stupore.

“Non ancora, signore.” rispose il messaggero quasi scusandosi.

“Ma se hanno scoperto l’energia atomica, dove eseguono le loro prove, le esplosioni sperimentali?” chiese Naron sempre più stupito

“Sul loro pianeta, signore” rispose il messaggero.

Naron si drizzò in tutti i suoi sei metri di altezza e tuonò: “Sul loro pianeta?”

“Sì, signore” rispose il messaggero.

Lentamente Naron prese la penna e tracciò una linea sull’ultima aggiunta del libro piccolo. Era un atto senza precedenti, ma Naron era molto, molto saggio e poteva vedere meglio di chiunque altro quello che sarebbe accaduto nell’universo delle galassie.

“Razza di deficienti!” borbottò Naron."

Il 2023 stà per concludersi chissà se il governo USA continuerà a elargire al mancetta?

IL 2 MARZO è il Giorno del Ricordo delle vittime degli esperimenti. Il governo di Washington continua ad assistere, attraverso un fondo apposito, i 29 polinesiani ancora vivi del gruppo dei 147 evacuati nel 1946 e i discendenti di coloro che sono morti nel frattempo. Il fondo, che distribuisce 147 dollari ogni trimestre agli aventi diritto, dovrebbe però esaurirsi alla fine del 2023, salvo interventi dell’ultima ora da parte dell’amministrazione Biden. (fonte: Il Manifesto)

approfondimento:

Sara Peggion

(la foto: Il test atomico Baker sull'atollo di Bikini, durante l'Operazione Crossroads nel 1946- Credit: United States Department of Defense )

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editoriale di splinter

“Io non seguo la moda, ho uno stile mio, me ne frego di quello che dicono gli altri”. Questa frase si sente spesso e devo dire che mi suscita molta perplessità. Sei davvero sicuro/a di vestirti veramente come vuoi, senza condizionamenti esterni? Sei sicuro/a di essere veramente libero/a? Perché ad essere obiettivi non siamo mai stati veramente liberi di vestirci come cazzo ci pare, anzi, il più delle volte ci siamo vestiti perlopiù tutti uguali. L’abbigliamento dovrebbe essere una scelta personale, una conseguenza del nostro pensiero e delle nostre emozioni, dovrebbe dipendere solo da noi. Invece no, anziché educarci a seguire il nostro istinto e il nostro gusto personale il sistema ha sempre cercato di pilotare le nostre scelte stilistiche facendoci credere che esista un modo corretto di vestire e facendo sentire in colpa coloro che non vi si adeguano, per poi svegliarsi una mattina e decidere di cambiare le regole del gioco. Pensateci bene: ciascun decennio degli ultimi due secoli viene ricordato per una sua particolare estetica e per un suo determinato modo di vestire, per determinati capi iconici che più o meno tutti indossavano; si parla di “moda anni ‘60”, “moda anni ‘70”, “moda anni ‘80” e via dicendo. E questo cosa sta ad indicare? Semplicemente il fatto che non ci è mai stata concessa molta libertà di scelta, che non c’è mai stato davvero un culto dello stile personale.

Ogni santa stagione gli stilisti presentano le nuove collezioni indicandole genericamente con la stagione e l’anno di riferimento (es. “autunno/inverno” 2023/24). Già questo potrebbe nascondere un messaggio becero e consumistico: quei capi andranno indossati quella stagione e basta, dopo diventeranno ridicoli ed obsoleti, dovrete buttarli via, i vestiti hanno una scadenza esattamente come un cartone di latte. Poi però si aggiunge tutta la macchina mediatica, fra TV, riviste, fashion blogger, influencer e compagnia bella. Leggo spesso con interesse gli articoli web delle riviste di moda e non ho potuto non notare le espressioni persuasive utilizzate, quando scorro quelle righe sinceramente non mi sembra di leggere dei semplici consigli per gli acquisti, sembrano piuttosto dei tentativi di imposizione. Ad esempio ho notato un frequente utilizzo della parola “diktat”, oppure frasi del tipo “le scarpe che devi avere la prossima estate”, “queste sono le uniche gonne che vorremo indossare la prossima stagione”; in pratica secondo loro tu devi per forza indossare quel capo la prossima stagione, non è una scelta, lo chiamano “MUST di stagione”. Le influencer fanno praticamente la stessa cosa sui social, ogni tanto mi capita di imbattermi in qualche reel su Instagram in cui una ragazza che fino a ieri non sapevi chi cazzo fosse viene a recitarti il mantra su quali saranno le tendenze della prossima stagione, facendolo con un’enfasi vocale che di certo non passa inosservata, oppure fa un raffronto fra i futuri “trend” e “no trend”. Fanno la loro parte anche le esperte di stile in TV, quando cercano di vestire una persona o semplicemente di dare consigli lo fanno quasi sempre “secondo le tendenze del momento”, guai ad essere totalmente controcorrente. Non per ultimi i negozi, che quando pubblicizzano i nuovi arrivi sottolineano con grande enfasi il fatto che questi siano “molto di tendenza questa stagione”, guai a non esserlo, sai…

Ma a quanto pare non è tutto, la loro opera non è completa, oltre a decretare la tendenza del momento bisogna assolutamente distruggere e denigrare quella precedente. Mi è capitato di trovarmi di fronte ad articoli del tipo “Gli indumenti di cui devi assolutamente disfarti” o “Cosa non indossare più nell’anno …. per non sembrare ridicola”, come se improvvisamente si instaurasse un divieto morale di indossare un capo. In pratica non devono coesistere più mode diverse, opposte, contrastanti, se ne deve seguire una, per diversi anni si indossa solo quel tipo di indumento e il periodo successivo si indossa l’altro, una moda soppianta l’altra. Ci ricordiamo bene di quanto l’hanno menata Enzo Miccio e Carla Gozzi con il loro “Ma come ti vesti?!”, il loro lavoro di distruzione della personalità altrui in favore di un look a tutti i costi di tendenza e ordinario è vivo nei nostri ricordi.

Il tentativo di manipolazione però non è solo psicologico ma anche commerciale: l’indumento che viene declassato a “oggi improponibile” sparisce anche dagli scaffali dei negozi, diventa quasi introvabile, sostituito da quello che un manipolo di stilisti e addetti ai lavori ha decretato che in quel momento è “cool”; nei negozi trovi solo quello che è di moda, in pratica la gente è quasi costretta a vestirsi secondo i dettami della moda, quante volte ci siamo lamentati di non riuscire più a trovare cose che ci piacciono…

E la gente come reagisce a queste imposizioni? Solitamente non reagisce, semplicemente abbocca; lo fa perché non sa sviluppare una propria identità, un proprio gusto personale, non sa costruire un proprio io unico ed originale… ma soprattutto per paura di non essere accettata, di apparire sfigata; ha subìto un vero e proprio lavaggio del cervello, è stata portata davvero a credere che esista un solo modo di vestire, ed eccole tutte a comprare capi che schifavano fino all’altro ieri (come si spiegano le vie dello shopping strapiene appena arrivano i saldi? Dubito che non abbiano nulla da mettersi) e a relegare agli angoli più remoti dell’armadio capi che magari adorano (lamentandosi poi di non avere “nulla da mettere”, in realtà hanno semplicemente “paura di metterli”). Fateci caso, quando si scava nei ricordi di un determinato decennio è ricorrente il tormentone “Ma come cazzo ci vestivamo?!” oppure “Come cazzo abbiamo fatto ad indossare quelle robe lì?!”; e allora perché tutti si sono vestiti così? Semplice, un po’ per la non vastissima possibilità di scelta ma anche per una certa paura di essere radiati dalla società.

Il problema è che la gente non è solo vittima di questo meccanismo, anzi ne è perfino complice, spesso non si limita a subirlo, lo alimenta. Si è convinta che quello sia il modo di vestire e così sminuisce il diverso, lo ridicolizza anche se non con troppa cattiveria e in maniera non troppo esplicita; l’età adolescenziale è terreno molto fertile per questo fenomeno, quanti ragazzi lamentano angherie perché fisicamente diversi o per l’abbigliamento non conforme, secondo un’indagine più di un ragazzo su dieci considera sfigato chi non segue la moda, il 34% degli adolescenti sostengono l’importanza di seguire la moda, il 40% sceglie marche di tendenza. Ma non è che gli adulti si astengano da giudizi simili, è stato rilevato che le persone tendono a tenersi a distanza da persone con outfit decisamente datati o fuori moda. In generale ho notato che c’è sempre stato un certo stigma sociale verso il “fuori moda”, ciò che è ”out” o “datato” è sempre stato un più o meno rigoroso tabù, vestire indumenti passati di moda è sempre stato considerato ignobile, ridicolo, improponibile, praticamente come indossare un costume di carnevale... salvo poi tornare magicamente ad essere accettato sotto indicazione di qualche stilista illuminato che una mattina si è alzato e ha deciso che è “vintage”. Immaginiamo ad esempio di essere negli anni 2000, quelli dei jeans a vita bassissima, delle ballerine, delle giacche di jeans attillate, delle felpe Rams, delle Nike Silver, delle cinture con borchie e paillettes, degli occhiali da vista dal taglio piccolo; immaginate che una mattina degli anni 2000 una ragazza decida di andare in giro con un outfit clamorosamente anni ’80, con un jeans a vita alta, una giacca extralarge con spalline, una chioma vistosa e voluminosa e un paio di occhiali da vista enormi; o che nello stesso periodo un ragazzo si presenti con un pantalone a zampa, una camicia colorata, i capelli lunghi sulle spalle e delle scarpe a punta, come un disco dancer degli anni ’70: entrambi verrebbero immediatamente guardati con un occhio strano e pubblicamente ridicolizzati… e se la cosa avvenisse in una scuola questi potrebbero avere a che fare anche con delle angherie. A scuola da me c’era qualche metallaro o qualcuno con uno stile “suo”, ma per i comuni mortali erano semplicemente degli “alternativi del cazzo”, che spesso si costruivano la loro cerchia ristretta di contatti.

Possiamo quindi affermare che la moda è una velata forma di dittatura. Non una dittatura vera e propria, perché non implica nessuna costrizione di legge, non c’è nessuna imposizione di forza e non comporta alcuna aspra pena a chi va contro il sistema, è una dittatura più che altro psicologica, morale, fa credere alla popolazione di dover per forza tenere un determinato comportamento, con la differenza che in questo caso sarebbe molto facile ribellarsi senza prendere manganellate dalla polizia in piazza, basterebbe che il popolo si organizzasse e rifiutasse in massa certe imposizioni. Ma più che una dittatura la moda sembra una religione, ha proprio le sembianze di un credo organizzato e riconosciuto, per niente apocrifo; la moda è anch’essa fatta da precetti e dogmi, è una religione politeista che ha come dèi e profeti stilisti, influencer, personaggi dello spettacolo e santoni su TV e riviste, mentre i precetti consistono nell’adeguarsi alle tendenze e nel cambiare con loro; non seguirle è peccato, sarebbe come allontanarsi da Dio, indossare capi fuori moda è addirittura peggio, è come essere blasfemi. E se le religioni sono il frutto della paura della morte fisica la moda è il frutto della paura della morte sociale; la religione si segue ciecamente per sperare di non soccombere nell’aldilà, la moda invece si segue per sperare di non soccombere sulla terra. E la paura è così forte che spesso anche il non credente o il credente tiepido segue i precetti in maniera praticamente inconscia, proprio come nella religione.

La moda in ogni caso è un cancro da estirpare della società, porta tutta una serie di conseguenze negative. Ho già parlato del fast fashion e del suo impatto devastante sull’ambiente, se scegliessimo uno stile più personale, consolidato e duraturo il problema sarebbe forse di minor portata. Il peggio però si verifica a livello psicologico; la moda può rendere la gente insicura, alimentare il senso di inadeguatezza e la mancanza di autostima, la paura di non essere accettati può portare l’individuo ad una vera deriva psicologica; e anche fisica, quante ragazze giovanissime e meno si sono rovinate l’esistenza o sono cadute in anoressia per seguire quei fastidiosi dettami. La moda può creare divisioni fra gli individui, può creare rivalità fra chi è più “figo” e chi più “sfigato”, la moda non unisce, divide. La moda crea tremendi stereotipi che finiscono per radicarsi nella società e relegare al margine determinati individui. La moda crea inoltre una società dell’apparire, in cui si afferma la convinzione che il contenitore sia più importante del contenuto, che il modaiolo sia più interessante del professore pazzo dall’aspetto trasandato, quando poi basta parlare con entrambe le persone ed accorgersi del contrario; perché chi segue la moda probabilmente è una persona che non ha idee sue e quindi sceglie di percorrere sentieri già ampiamente battuti. La moda inoltre accresce il culto dell’uso e getta, infonde quella mentalità secondo la quale nulla deve durare per sempre, nulla deve restare, tutto deve fare i suoi tempi ed essere poi sostituito, essere usato e poi distrutto e rinnegato. Ma soprattutto la moda rende la società tremendamente piatta e ripetitiva, annulla la personalità degli individui e la gente diventa tristemente tutta uguale, non stimola più la voglia di scoperta e di conoscenza, non capisco cosa ci si trovi di divertente nell’andare nei luoghi della socialità e vedere gente tutta uguale, che noia e che tristezza! A me piacerebbe andare in una piazza affollata e vedere la pin up anni ’50, il paninaro anni ’80, il pigoldino anni 2000, il metallaro, il punk, o anche quello che con nonchalance mescola gli stili a proprio piacimento (e non riderei nemmeno se vedessi anche il signore dell’ottocento e la maschera di carnevale), e mi piacerebbe che questi venissero visti come persone libere e creative anziché come ridicole e démodé; mi piacerebbe che una volta per tutte si smettesse di parlare di “moda” e si parlasse solo di “stile”, un qualcosa che ognuno crea per sé e che va sempre bene in qualsiasi epoca.

Ad essere sincero le persone che fanno più ridere sono proprio quelle più “trendy” o che tentano di esserlo! Perché ogni loro manifestazione non è spontanea, è una forzatura, lottano contro un nemico inesistente e contro loro stesse, contro la loro libertà, compiono uno sforzo che non porta a nessuna ricompensa ma solo all’illusione di essere ammesse in un regno dei cieli che in realtà non esiste, corrono alla ricerca di qualcosa ma nemmeno loro sanno cosa… e tutto questo fa ridere! Quando indossano i loro fighissimi abiti guardandosi allo specchio non si stanno vestendo, si stanno travestendo, perché non si stanno vestendo da “loro stesse” ma stanno impersonando qualcun altro, e l’effetto non può che essere assolutamente buffo!

Tuttavia c’è da dire che forse, ma proprio FORSE, le cose stanno cambiando: siamo nell’epoca in cui si stanno sfatando molti tabù, in cui più o meno tutto è possibile, in cui si pesca liberamente da qualsiasi epoca e ci sono numerose manifestazioni di revival, in cui si cerca di combattere le discriminazioni contro chi è “diverso” dagli altri, in cui si ribadisce più spesso l’importanza di essere sé stessi, in cui il mondo si presenta almeno sulla carta più inclusivo e aperto a una vasta gamma di modelli; sembrerebbe che la scelta di avere un proprio stile oggi sia decisamente più accettata che in passato, su Instagram si vede un po’ di tutto, anche se i pregiudizi non sono stati del tutto sconfitti. Io personalmente consiglierei a chiunque di fare di testa propria e di non avere paura né di sembrare fuori moda e né di sembrare ridicoli… nemmeno di sembrare carnevaleschi! Ricordatevi che il carnevale non è la festa in cui ci si mette in maschera ma quella in cui si tolgono le maschere che solitamente si indossano durante la vita; e che l’unico modo veramente ridicolo di vestirsi è quando si cerca in maniera rigorosa e convinta di seguire la moda!

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editoriale di Trofeo

"Segnali di Vita e di Arte", una serata dedicata a Franco Battiato. Il Parco Archeologico di Selinunte, la location dell'evento nell'ambito del Festival della Bellezza. Morgan sul palco a fare da padrone di casa. Un piccolo gruppo di contestatori, alcune critiche, poi il delirio.

Quanto successo è ormai noto anche alla sciura Maria (con massimo rispetto per tutte le sciure) e il dibattito ha coinvolto personaggi illustri del mondo della musica e dello spettacolo e cialtroni generici (come il sottoscritto) e della carta stampata (ogni riferimento a giornalisti che dovrebbero cambiare mestiere è puramente casuale).

Premesso che l'educazione è alla base di ogni rapporto sociale e che la violenza verbale non è mai la soluzione, soprattutto se questa soluzione è presa di pancia da un'artista durante una rassegna di tutto rispetto, ognuno ha maturato una propria convinzione.

Quest'estate sono volati, verso palchi di tutto il mondo, oggetti e parole contro gli artisti che si stavano esibendo. Le reazioni sono state molteplici. Harry Styles ne ha avuta una che non ha coinvolto alcuna parafarmacia, Cardi B, al contrario, lanciando il microfono, ha causato lesioni multiple al tizio che le aveva svuotato addosso una media dalla discutibile qualità e gradazione alcolica. È di qualche giorno fa la notizia che il microfono incriminato sarebbe stato messo in vendita dal malcapitato fan sulla Bay elettronica per una cifra che sfiorerebbe i centomila dollari. Cifra che diventa ragionevole, se pensiamo che lo stesso fan ha denunciato la cantante, mettendo la fattura del pronto soccorso nelle mani del suo avvocato.

Insomma, in una società dove di normale non c'è più nulla, dove alunni picchiano insegnanti, che vengono picchiati poi anche dai genitori, dove cantanti vengono presi di mira da imperturbabili novelli lanciatori di qualsivoglia oggetto contundente, ci interroghiamo sull'integrità di un uomo pieno di cultura e di vocaboli grezzi ma povero di autocontrollo.

Dite la vostra, sempre se vi va.

Allego il video della performance.

https://youtu.be/UK-gdFewTSY?si=BPGACY7w3e8SpqJy

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editoriale di Trofeo

Oggi avrebbe compiuto settantasette anni. Cinquanta in più di quei ventisette che sono stati il punto di arrivo di un club di fuoriclasse indiscussi come Janis Joplin, Kurt Cobain, Brian Jones, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Amy Winehouse. L'addebito della morte di Freddie Mercury è da attribuire ad un destino che parrebbe codardo e frettoloso, invece che tempestivo e furbo, ovvero ciò che è realmente stato. La cura per la maledetta malattia che aveva lacerato Farrokh Bulsara era realtà imminente. Avrebbe traghettato la leggenda fino ai giorni nostri, dandoci la possibilità di affiancare tanta altra musica epica ad altrettante rughe e ad un paio di baffi grigio argento.

Chi ama veramente la musica dei Queen non ha mai smesso di ascoltarla, fin da quel novembre del 1991. Chi dice di non averla mai considerata mente, perché l'odio è comunque un sentimento. Chi addebita al mito colpe quali l'incoerenza, come vecchi narratori della musica, non ha davvero colto l'essenza dell'umanità a discapito dell'essenza dell'immortalità.

Perle audaci della musica come "Bohemian Rhapsody", rientrano nel mito alla voce "coraggio" e disintegrano gli schemi e gli ostacoli.

Se Freddie fosse esistito in un'epoca smunta come quella che stiamo vivendo ora, le avrebbe dato colore e sarebbe stato un paladino anche ai piedi del palco. Avrebbe rivendicato la sua vera essenza, fregandosene dei pregiudizi, forse i veri carnefici della sua esistenza, ancor prima di quel virus trasmesso dal troppo amore.

Forse è stato meglio così, forse doveva andare così. I migliori sono sempre i primi ad andarsene, si dice quaggiù. Lo dice chi vive carico di domande senza alcuna risposta. Lo dice chi non credeva che le parole di quel giovane dalla dentatura pronunciata, con una voce magnetica, potessero essere verità.

Semplici parole, per alcuni presuntuose, inevitabilmente travestite da verità: "Diventerò una leggenda".

Tanti auguri Freddie. Non dirò "ovunque tu sia", come si usa dire quaggiù. Perché avevi ragione tu, le leggende non moriranno mai e sapremo esattamente dove trovarle.

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editoriale di lector

Tutte le cose possono ammantarsi di meraviglia se le guardi con gli occhi di un bambino, anche le edicole dei giornali.

Mio padre, all’edicola, mi ci portava tutte le domeniche mattina.

La sua manona stretta alla mia, per me era pure meglio del negozio di giocattoli. Noi facevamo le “cose da grandi”: lui si comprava il suo pacco di giornali ed io il mio giornalino, poi andavamo dal barbiere a leggerli e, qualche volta, ci scappava pure un passaggio dal bar. Lui era così: i giornali se li comprava tutti i giorni, almeno un paio, e la domenica tre o quattro riviste di approfondimento politico (qualche anno dopo sulle copertine di quelle stesse riviste – Espresso, Europeo, Panorama…- avrei anche scoperto il fremito dei primi nudi femminili, ma questa è altra storia).

La mamma si arrabbiava, i soldi erano pochi e lei non capiva perché dovessimo sprecarli così. Ma noi non ci avremmo mai rinunciato, per nulla al Mondo!

Lui era fatto così: era convinto che fosse questo il suo modo di stare al Mondo e di cercare di capirlo e di cambiarlo, avrebbe rinunciato persino a fumare per comprarsi i giornali (e, per lui, era davvero un gran sacrificio!) e, poi, si divertiva a portarmici ed io l’aspettavo per tutta la settimana quel momento in cui avremmo fatto le “cose da grandi”.

Scampoli di felicità che, come brace sotto la cenere, ti riscaldano per tutta una vita.

Sarà per questo che mi piacciono così tanto le edicole di giornali, ancora oggi, ancora adesso che sono ridotte a piccoli bazar. Sarà per questo che mi fanno orrore quelli che cianciano di “bruciarli tutti, i giornali” e che si vantano di non leggerli. Ecco, quelli che vogliono “bruciarli tutti, i giornali”, per me, sono della stessa pasta di quelli che bruciavano i libri: hanno lo stesso incedere beota, lo stesso argomentare caciarone e suino, lo stesso pecoronaggio vittimista ed arrabbiato che dà del pecorone agli altri (e niente appecorona meglio del sentirsi “perseguitati” e vittime), lo stesso furore fideistico di quelli là.

E lo so benissimo che ci sono libri e giornali di merda, non sono così ingenuo da non sapere quanto schifo giri intorno al mondo dell’editoria come intorno a quello dell’informazione e della carta stampata. Lo so che quello dell’Informazione è un mercato e, dove vigono le regole del mercato, spira sempre un’irrespirabile puzza di merda.

Ma i libri (e i giornali) non si bruciano! E non solo i libri di Čechov o di Kafka, non si debbono bruciare nemmeno quelli di Moccia o di Vespa. Così, allo stesso modo e per lo stesso motivo difendo pure roba come “Libero” o “Donna moderna”.

Certo ci sono i canali di informazione “alternativi”, fonti oscurate, testi “maledetti”, tutta roba che, a saperla cercare la trovi sul web.

Ma, vedi, io in un posto dove circola da chi di giura che, suo cugino, è guarito anche dalla carie cogli estratti di papaya a chi ti spiega la fisica quantistica con i pupazzetti di pongo – ecco – io, in un posto così, non mi ci raccapezzo.

E, poi, c’è che le notizie, sulla rete, te le danno gratis ed io non mi fido di chi ti regala certe cose; in qualche modo e per qualche motivo c’è sempre chi ci deve guadagnare. E, allora, preferisco darli al “mio” edicolante i miei soldini, illudendomi di sapere quanto e come (e forse a chi) li pago.

Se non altro sui giornali, chi scrive ci mette la firma col suo nome e la sua faccia e, generalmente, con quel nome e con quella faccia ne risponde di quello che scrive, e quindi almeno dovrebbe provare a basarlo su una qualche pezza d’appoggio, quello che scrive. E’ un po’ diverso dai social dove, metti che un tizio qualunque, su di un sito qualunque, protetto da un nickname qualunque, si faccia venire la voglia, per chissà quali motivi suoi, di scrivere una enorme porcata tipo: “i veri colpevoli delle alluvioni in Emilia Romagna sono i geoingegneri climatici che hanno voluto, in questo modo, colpire alcune popolazioni “disobbedienti””.

Così, senza neanche doversi preoccupare di fondare le sue affermazioni su di una fonte più o meno attendibile.

Ora, che rischia uno così? Al massimo qualche insulto o che un povero moderatore lo metta fuori dal sito (tanto torna con un altro nick e ricomincia come prima). Intanto la notizia gira e qualche pollo ci casca. Fallo centinaia di volte e nei modi giusti e vedi che si crea un gran bel polverone, e nel polverone qualcuno sempre ci sguazza. L’illazione si alimenta da sé, non ha bisogno di essere dimostrata, ad un certo punto la stessa insinuazione si trasforma nella fonte di sé stessa.

E’ molto più facile fare così che cercare di controllare tutto un mondo, quello dell’informazione scritta, nel quale – al netto di servi più o meno arricchiti, leccaculo a volte persino felici di poter leccare e poveracci precari e malpagati costretti a scrivere un tanto al chilo – ci finisci sempre per trovare un fesso che ci crede, un testone con la schiena dritta e pure un certo numero di tizi che le cose di cui scrivono le conoscono davvero; e a quelli così o si prova a pagarli, o si cerca di smerdarli o, se non ci si riesce, finisce che si è costretti a sparargli una pallottola in testa. Si trattasse pure di un ragazzotto ingenuo e sconosciuto come quel Siani, lì.

Non è che devi essere una Capacchione o un Berizzi (andatevi a cercare chi è e qual è la sua storia), ma neppure un Purgatori o una Mannocchi (che almeno in certi posti c’è stata veramente); ti basta essere un Santoro, un Mentana o pur anche un Gomez per sapere che il tuo nome – in questo lavoro – è tutto quello che hai. Persino un Vespa o un Sallusti lo sanno che non si può scendere sotto un certo livello, persino loro hanno ben chiaro in testa il limite oltre il quale sarebbe suicida scendere (per dire: un Sallusti una merdata come quella delle popolazioni punite con le alluvioni, col cazzo che la firma! Al massimo, se proprio deve, la fa scrivere a qualche poveraccio precario o free lance, salvo poi prendere le distanze se la cosa comincia a puzzare).

Giornali e giornalisti vivono (quelli che ci campano veramente) della loro credibilità (comunque la si sia ottenuta), blogger e siti web campano sui like, capisci che c’è una certa differenza…

Di giornali e di giornalisti non sempre mi fido ma, la maggior parte delle volte, li prendo sul serio. Perché è un mondo di merda dove si menano senza ritegno mazzate e colpi bassi e, per restare in piedi, ci devi avere le palle. E prendo sul serio soprattutto quelli che non mi piacciono, che mi stanno sugli zebedei, che non la pensano come me (la stragrande maggioranza, in effetti): è con loro che so che mi devo misurare.

Ancora mi ricordo l’incazzatura quando leggevo certe cose della Fallaci; ma lei, le cose che scriveva le conosceva, il mondo lo aveva girato più di me, in certi posti ci era entrata davvero e certa gente l’aveva guardata negli occhi e, poi, scriveva da dio! E, allora, era dura fare la fatica di continuare a pensarla diverso, bisognava faticare per rimanere delle proprie opinioni, per provare a smontare quei ragionamenti (ben consapevole che in uno scontro faccia a faccia mi avrebbe distrutto). Così ho imparato il dubbio, l’antidogmatismo e la fatica dell’argomentare.

E c’è ancora un’altra cosetta che si chiama concorrenza: perché quello dell’informazione – c’è bisogno di ripeterlo? - è un mercato e, sul mercato, ci stai stretto a fare a spallate cogli altri che conosci bene. Per cui, se c’è una notizia che proprio non vorresti dare, ma gli altri l’hanno già pubblicata, allora sei costretto a darla per forza pure tu. E, allora, la sminuisci, la deridi, la smonti o la sputtani, ma è proprio il modo in cui la sminuisci, la deridi, la smonti o la sputtani che – ai miei occhi – dice un sacco di cose in più su quella notizia.

E, insomma, ecco perché tutti i giorni sono qui, dal “mio” edicolante e la domenica ci porto pure i bimbi. Io sono fatto così: mi sono convinto che questo è il mio modo di stare al Mondo e di cercare di capirlo e (ormai non più) di cambiarlo, e rinuncerei persino a fumare (se fumassi) per comprarmi i giornali.

O, magari, sono solo un tizio fuori tempo massimo che cerca, in qualche modo, di raccapezzarsi, di aggrapparsi a qualche certezza, una qualunque. Il futuro ormai non mi appartiene più ed il presente, al massimo, mi sopporta. Semplice spettatore non pagante (…aspè! Pagante! Pagante eccome!)

Così me ne vado, bel bello, coi miei giornali e mi siedo al bar; gioco a mettere insieme i pezzi del puzzle, mi sforzo di farli combaciare; certo potrei fare il sudoku, ma il sudoku non mi diverte! Apro la prima pagina e subito m’incazzo: “CAZZ..! Ma come cazzarola si fa a scrivere una roba così!”; il caffè mi va di traverso, una signora mi guarda…

Va bene, ma io lo so chi è che ha scritto quella cosa lì, qual è il giornale su cui l’ha scritta quella cosa lì (l’ho comprato apposta!) , lo capisco perché l’ha scritta quella cosa lì. O, almeno, mi illudo di capirlo. Io ci vivo di illusioni: magari mi illudo pure quando mia moglie mi dice che mi ama, quando mio figlio mi giura che non l’ha fatta lui quella marachella, quando una collega mi ringrazia per come ho svolto quel dato lavoro. Magari così vivo meglio, chi può dirlo? Non so ma ho sempre l’impressione che certi mestatori siano persone umanamente un po’ tristi, ma è solo una mia impressione.

E, allora, finisco di leggermi i miei giornali, lasciando per ultime le pagine sportive, finisco di bermi il mio caffè (o quel che ne resta), mi accerto di non essermi sporcato la camicia e me ne vado. Non prima di aver lanciato un cenno di saluto alla signora che si era preoccupata ed al barista e, di certo, non dimenticandomi di passare di nuovo dal “mio” edicolante.

-“Ci vediamo domani!”

Perché domani ci torno di nuovo. Ci torno; ci torno tutte le volte che posso. Ed ogni volta, ogni volta, ogni volta, ogni volta…

C’è quella manona nodosa che stringe la mia manina di bimbo

-“Papà, mi compri il “corriere dei Piccoli?””

-“Ma certo!”

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editoriale di Confaloni

Dal 1° agosto scorso qui a Milano ha chiuso il cinema multisala Odeon, dopo tanti decenni di onorata carriera iniziata nel lontano 1929 in qualità di cinema ampio e spazioso con un grande schermo (e infissi e arredi in sontuoso stile liberty) per passare al rango di multisala nel 1986 (dietro cospicuo investimento del gruppo Mediaset). Pare che l' intero stabile, dopo opportuni lavori, riaprirà l'anno prossimo in veste di ampio centro commerciale. La notizia in realtà non giunge inaspettata, se ne parlava già da tempo e comunque è solo l' ultimo capitolo di un inesorabile mutamento nelle modalità di fruizione dell'arte cinematografica, inutile nasconderlo.

Intanto i numeri relativi alle sale cinematografiche presenti sul territorio urbano milanese sono impietosi. Se nel periodo aureo si era arrivati al numero di 168 cinema, oggi se ne contano solo una ventina e perlopiù multisala. Si sa bene che questa costante diminuzione è frutto di vari fattori , economici in primis, che hanno creato un contesto di variegate alternative alla visione di un film in una sala. Prima ci fu il boom del cosiddetto home video che, fossero Vhs e Dvd, ha reso più agevole per tutti noi guardare una pellicola,. E oggi si è arrivati a disporre di piattaforme come Netflix e tante altre da cui scaricare film visibili anche sul proprio smartphone.

Insomma, se così stanno le cose , non ci si sente invogliati ad uscire di casa, come fu spesso in passato, per vedere un film proiettato in una qualsiasi sala. E io stesso, cresciuto a pane e anche cinema, ammetto che continuare a mantenere certe buone vecchie abitudini decisamente vintage, in odore di ventesimo secolo, mi è sempre più difficile.

In compenso, di quei tempi vissuti restano tanti ricordi. Le sale erano gremite quando si proiettavano i western classici (il primo film che vidi fu " Mezzogiorno di fuoco" accompagnato da mio nonno paterno), cosi come fu poi con i western spaghetti di Sergio Leone e company, mentre eguale concorso di pubblico si registrava per le pellicole della saga di James Bond.

Per non tralasciare certe file chilometriche di persone in attesa di andare alla cassa cinematografica per vedere "Ultimo tango a Parigi", prima che qualche illuminato magistrato italiano disponesse il sequestro e la messa al rogo di suddetto film in quanto contrario al comune senso del pudore. E egualmente indimenticabile fu il successo riscosso da " Manhattan" di Woody Allen al punto che, alla proiezione del sabato sera, fui testimone di un alterco molto animato fra due persone per disputarsi l' ultimo biglietto per l' ultima poltrona disponibile in fondo sala.

Così come valeva la pena entrare nei cine d'essai ove, sotto una coltre di fumo di sigaretta, un pubblico colto e attento si sorbiva opere d'avanguardia, seguite poi da animati dibattiti su temi ponderosi quali " è più innovativo lo stile registico di Godard o Truffaut?" oppure " il regista Bergman crede realmente in Dio?" E" Bunuel si dimostra, nelle sue opere, propriamente ateo?".

Insomma, erano proprio altri tempi e i fatti sopra citati possono apparire, agli occhi di un attuale ventenne, eventi semplicemente lunari risalenti ai tempi delle guerre puniche. Semmai mi sento di pensare, senza lamentarmi su come va il mondo, che "il cinema è morto, lunga vita all'arte cinematografica!". E questo proprio per il semplice motivo che, se tutto passa, nulla ci impedisce di vedere un film nelle modalità più variegate possibili. E chissà, nel frattempo, ancora quanto resteranno funzionanti i cinema multisala a Milano e non solo...

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