La mia concreta, personale passione per il tennis sembrava circoscritta per sempre ad una fase della mia gioventù: un lustro d’anni, innescato dai trionfi del 1976 di Panatta a Roma, Parigi e Santiago, quest’ultimo colla squadra italiana di Coppa Davis. Mi intrigava soprattutto Bjorn Borg, svedese dall’aspetto e dal carattere molto svedesi, che zitto e quieto correva di qua e di là dal campo come nessun altro, ributtando la palla sempre dall’altra parte e vincendo di fisico, determinazione, umiltà, impegno, grinta.
Poi, all’alba degli anni ottanta, il raffreddamento dell’interesse, con Panatta ridimensionato dalle sue voglie di spassarsela e non sudare troppo, Borg che si ritira a ventisei anni sul più bello e che addirittura, più in là, sposa quella sciroccata della Bertè, perfetto esempio (tuttora) di cialtroneria italica… Basta allora, d’altronde il mio vero amore di sport era da sempre il basket, praticato a lungo e seguito per decenni.
Ovviamente, da maschietto appassionato medio di sport, di un certo numero di sport, avevo continuato a seguire non molto seriamente le vicende del tennis e quindi l’avvento di Lendl, Becker, Agassi, Sampras, fino allo stabilirsi dell’impareggiabile triade pigliatutto Federer/Nadal/Djokovic, epopea questa oramai in chiaro dissolvimento, seppur lento. La mancanza di un campione italiano decente, vero ovviamente influiva e talvolta, guardando uno spezzone di partita o più facilmente il resoconto di un torneo importante coll’immancabile vittoria di uno dei campioni di cui sopra, mi chiedevo come mai in questo nostro paese non si palesasse, da ormai mezzo secolo, qualcuno veramente forte colla racchetta.
Poi è successo che due anni fa, nel consueto zapping davanti al televisore, ho incocciato in un incontro delle Next Generation ATP Finals di Milano, torneo novembrino da qualche anno riservato ai migliori otto tennisti under 21 del mondo. Stava performando un roscio boccoloso allampanato che, pur secco come una betulla e senza muscoli in evidenza, tirava incessantemente scaldabagni dall’altra parte del campo addosso ad un povero disgraziato suo collega, più grosso e fisicamente formato di lui ma con una modesta frazione della sua velocità, concentrazione, equilibrio, naturalezza, leggerezza, predisposizione.
Guardo e ascolto, rapito, e vengo informato che il tizio è italiano, anche se ha nome e cognome tedeschi. È perché proviene dalla Val di Sesto, sopra le Dolomiti e al confine coll’Austria. Ha diciott’anni e qualche mese ed è effettivamente il più giovane degli otto tennisti presenti.
Mi concentro: cos’è che mi piace, che mi avvince di lui? Per cominciare lo schiocco della pallina sulla racchetta, netto e acuto, indice dell’estrema velocità con la quale viene colpita. Impressionante il diverso rumore fra il suo colpo e quello del suo avversario. Pare una partita uomo contro donna. È lì buona parte del talento: la velocità in vece della potenza, una palla “pesante” scagliata da un omino con settanta, massimo settantacinque chili a coprire il suo metro e novanta d’altezza.
E poi la agilità del gioco di gambe, che pur affusolate e senza muscoli si mostrano in grado di portare a spasso quel corpo leggero e piazzarlo in equilibrio ideale un istante prima di ogni colpo, in modo da scatenare la velocità assoluta di braccio in tutta la sua letalità. Apprendo d’altronde che ha fatto sci agonistico a lungo da ragazzino (e lo slalom gigante le gambe te le sveglia di brutto, sicuro), prima di scegliere definitivamente il tennis e addirittura auto deportarsi in Liguria per stare a tempo pieno accanto ai suoi maestri in una scuola di tennis. Scelta mica da ridere, a tredici anni… ci vogliono le pall…ine!
E ancora il viso, ovviamente lentigginoso e quasi imberbe, concentrato e privo di qualsiasi smorfia di narcisismo o supponenza. Però non ombroso come Borg, solo bello innocente e… interessato, dedicato: si vede che è sul pezzo, che si sta divertendo, che il tennis è tutto per lui; un lavoratore convinto che con il darsi da fare senza requie su qualcosa che si ama, e per la quale si ha inclinazione e talento, si può fare veramente molto bene.
È quel tipo di tennista definibile come attaccante da fondo campo: la sua strategia naturale è ributtare in campo avverso la pallina sempre più rapida, sempre più angolata, sempre più lunga ad un palmo dal fondo campo, oppure nei piedi o nella pancia dell’avversario fino ad aprirsi un pertugio, un metro o due irraggiungibili, verso il quale esplodere un dritto o un rovescio a 150 all’ora e mandare la sferetta gialla e pelosa spesso e volentieri a sbattere di rimbalzo nel telone dietro al malcapitato antagonista.
Non capisco gli appassionati che danno indefessamente del “pallettaro” a chiunque non abbia predisposizione a fare la corsetta verso la rete ad incocciare la pallina al volo per prendersi il punto, oppure ad eseguire la fatidica “smorzata”, cogliendo col rimbalzo i primissimi metri del campo avverso e costringendo il rivale ad una concitata corsetta ed eventuale, difficoltoso rinvio. Chissà perché uno ben capace di fare volée a un metro dalla rete è da considerare tennista più nobile e venerabile di un altro capace di sparare missili angolati e/o lunghissimi, altamente spettacolari, assolutamente e superiormente soddisfacenti per quanto riguarda la mia estetica su questo sport.
Certo, a un vero campione occorrono un po’ tutti gli aspetti del gioco perché arriva sempre, nelle partite importanti contro gente veramente forte, la necessità, l’opportunità di provare una smorzata, di correre a rete per fare una volée, di giocare di fino. Con gli scarsi basta tirare un po’ di lavandini vicino alle righe e l’altro si smonta subito, resiste il primo set e poi si squaglia al secondo. Ma con quelli bravi occorre variare, ogni tanto, ed è su questo che Jannik deve migliorare. Anche la battuta… è importante avere un colpo che ogni tanto ti raddrizza all’istante uno 0-30 o un 15-40 con due botte ben piazzate. A lui succede già, come no, ma non abbastanza, non sufficientemente ancora per gli altissimi livelli e i tornei più prestigiosi.
Sinner inizierà il 2022 da decimo al mondo e con 5 tornei già vinti, a vent’anni (Panatta 10, Fognini 9, Bertolucci 6, Berrettini e Barazzutti 5 come lui), C’è la concretissima possibilità che fra un anno o al massimo due diventi il tennista italiano più vincente di sempre. Certo, una carriera sportiva è legata anche a fortuna, salute, imponderabili altre vicissitudini, ma insomma il tizio è forte e lo si vede ad occhio nudo. Speriamo che vada tutto bene, e a lungo, nella sua carriera da chiaro predestinato.
Il tennis è uno sport di massacrante componente psicologica, talché faccio fatica ultimamente a guardarmi in diretta le partite di Sinner, preferendo aspettare che finiscano per poi gustarmele a risultato (positivo) acquisito. Sono coinvolto, e quindi non voglio soffrire, solo godere. Confido di gustarmi molte godurie a merito di Sinner nell’ormai prossimo 2022
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