A volte, le parole, sono davvero inutili. Basterebbero due foto. Tipo: avete presente i Beatles? (ne avete sentito parlare?). Ogni tanto arriva qualche ragazzino, qua sul debasio. E chiede.
Dice ma i Beatles perché?
Erano i migliori? No.
Miglior cantante? No.
Miglior chitarrista? Ahahahah no!
Migliore gruppo? No.
Migliori canzoni? No.
Basterebbero due foto, per rispondere. Poi uno si fa la sua idea. Giusta o sbagliata. Però se la fa.
Colin nasce a Milwaukee. Il 3 di novembre del 1987. Milwaukee, per chi non lo sapesse - e difficilmente glielo perdono - sta in alto a destra. Molto in alto. Quasi Canada. Fa freddo. Un freddo cane. Ed è la città di Richie Cunningham. Quella di Happy days. Richie andava in giro con un giubbino. La M di Milwaukee scritta sopra.
Nasce nel 1987. Sul serio, lui è uno di quelli che te lo chiederebbe: scusa ma i Beatles? E te - magari - ci perdi tempo a cercare di spiegarglielo. Che sei stupido. E te la dimentichi - questa cosa - che le parole, alle volte, sono davvero inutili. Basterebbero due foto. Ma non ti viene in mente. Colpa dei tuoi maestri, di sicuro. Ti hanno inculcato categorie che hanno poco senso.
Colin - a Milwaukee, la città di Richie Cunningham - viene su. Ed è un bel ragazzone. Lo vedete nella foto (le parole sono inutili, bastano le foto, si sa). Un metro e novantasei. Cento e qualcosa chili. Una faccia da ragazzo intelligente. E per bene.
Colin nasce a Milwaukee. E Milwaukee è negli Usa. E - siccome è un bel ragazzone, con un bel sorriso - può scegliere di fare cosa vuole (è the land of the freedom, the home for the brave). Lui sceglie una cosa. Giocherà a football. No, non a calcio, non fate i provinciali. A football. Quello strano sport con la palla ovale. E - in quel gioco - farà il quarterback.
Ora, se non lo sapete (e difficilmente ve lo perdono) il football è un gioco un po' diverso dal nostro calcio. Ha le sue regole (per qualcuno complicate) le sue storie, i suoi ruoli.
Ed è - unico sport che io conosca ad averlo - un gioco in cui c'è un ruolo che vale più di tutti gli altri. Quel ruolo è quarterback. Proprio quello che sceglie il nostro amico Colin, da Milwaukee, come Richie Cunningham.
Qaurterback vuol dire che sei il più figo. Punto. Il numero uno. Quello che comanda. Vuol dire che ogni ragazza sogna di venire con te.
Poi - è chiaro - dipende da quanto sei bravo.
Da quello dipende se con te vuol venire ogni ragazza di un quartiere di Milwaukee, ogni ragazza del tuo Stato, ogni ragazza del mondo. Ma quello è il ruolo. Entri in campo e tutti guardano te. Solo te. Ci sono - davanti a te - almeno sei ragazzi - grandi due volte te, che si fanno menare per tutta la partita. Solo perché tu possa stare tranquillo. Succede. A Milwaukee, come in tutti gli altri cazzo di paesi degli Usa. Ci sono i tuoi avversari che non vedono l'ora di toglierti dalla faccia quel cazzo di sorrisetto. E tutto il tuo sentirti uno bravo. Cercano te. Tu - invece - hai in mente qualcosa d'altro. Hai in mente che la squadra è in mano tua. E se si vince o se si perde allora sei tu. Che la squadra sei tu. Che se sbagli una cosa le ragazze te lo perdonano (che siano quelle di un quartiere di Milwaukee, o di uno stato, o di tutto il mondo dipende da quanto sei bravo). Però te, quei sei ragazzi - davanti a te, più grossi di te - che si sono fatti menare per darti la possibilità, non hai il coraggio di guardarli in faccia. Che se invece fai una cosa bella tutti dicono merito tuo. E te invece lo sai. Che non è mica solo tuo. E vai da ognuno di quei sei. E gli dici volevo essere insieme a voi. Ero insieme a voi.
Oppure no. Sei stronzo, e te ne freghi. Dipende. Sono cose di carattere. Le parole - già ne ho scritte tante - sono inutili. Guardate la foto. Decidete voi.
Colin gioca quarterback. E' un ragazzone, con la faccia simpatica. E vive negli Usa. All'università va a Nevada. Insomma, come dire, rispetto al livello di quante ragazze verrebbero con te siamo già a livello di fan club. Quelle cose tipo beh, sì, ha personalità, può piacere.
La gente tosta va a Michigan, per dire, o a Tascaloosa, o in Texas, o addirittura in Oregon (lì sono matti per il football) e della California ve ne devo parlare? Lui no. Reno, nel Nevada. Non proprio pieno di ragazze, diciamocelo.
Sia come sia finisce i quattro anni. Lo scelgono i professionisti. Lo sceglie San Francisco.
San Francisco - una volta - quando ero giovane io, era una squadra fortissima. Più che fortissima. Era una squadra bellissima. A livello dell'Olanda di Cruyff. Una roba così. Una roba che dici che bello è che ci sia uno sport del genere e - dentro a questo sport - chi ti sa dire cos'è la fantasia. E che la fantasia vince.
Passati gli anni che ero giovane io - per regole chiare dell'economia di questo sport (sapete, mica siamo in Italia, lì vige il mercato, quello che fa vincere il migliore) - SF diventa una squadra scarsolina. Per parecchi (dolorosi) anni. E lui lo scelgono, e lo scelgono per fare la riserva.
Fa la riserva di Alex Smith. Alex Smith è un bel ragazzone (oh, sei quarterback, quello è il ruolo) che viene da Seattle. Proprio carino. Bello, biondo, preciso. All'università è andato a Utah (gente seria).
Gioca lui quarterback a Frisco. Lui guardano le ragazze. E ci mancherebbe. Boh, dai, Colin, intanto siamo qui. La California non è esattamente Cinisello Balsamo, qualche ragazza bada anche al quarterback di riserva. Ce ne sono tante, e sono generose.
Nel frattempo pensa a fare quello che fanno i ragazzi - pirla - di quegli anni lì. Si tatua. Ovunque. C'ha mica tanto da fare.
Ad accendere la miccia ci pensa un altro personaggio. Uno davvero mitico. Si chiama Jim Harbaugh. In quel momento è l'allenatore dei San Francisco 49ers.
Jim Harbaugh - cosa ve lo dico a fare - da ragazzo ha giocato. Ha giocato quarterback (lo sapete quel ruolo? Quello che tutti guardano te?). Lui ha giocato a Michigan (e voi non potete immaginare che cosa possa voler dire giocare quarterback a Michigan). Poi ha fatto la sua carriera da professionista, che pure ci sarebbe da raccontarne, e adesso fa l'allenatore. E' del 1963. E' uno tosto, Jim. Uno che fa il quarterback. Che sa che tutti guardano lui. Che da lui dipende tutto. Uno anche che se la tira (eh, vedi te... ha visto cose che voi umani...). Voleste immaginarvelo, senza guardare su google, pensate a un giovane Clint Eastwood (a proposito: buon compleanno!).
Jim smette di giocare e diventa allenatore. E' un piccolo Clint Eastwood a bordo campo. Uno tosto. Uno che ha visto cose. E - sia come sia - arriva a San Francisco. Che è stata una squadra fortissima, ma che adesso è di fondo classifica. Adesso, a San Francisco, il quarterback, quello che tutte guardano, si chiama Alex Smith. E San Francisco va mica troppo bene.
Un giorno, un giorno che probabilmente c'ha le palle girate, Jim ne fa una delle sue. Entra in campo. Prende - di peso - Alex Smith (pesa 93 chili, fa niente). Lo trascina fuori dal campo. Gli dice: hai rotto il cazzo. Con me non giochi più. Glielo dice a un centimetro dalla faccia. Gli dice: piuttosto che far giocare te faccio giocare il primo che passa.
Il primo che passa è Colin.
Colin - diciamocelo - Colin da Milwaukee, è meno bravo di Alex. Meno bello, meno biondo. Però lo sa. E' uno che sa che mica è unto dal Signore. Che non è la mano di Dio quella che lancia quei palloni. E' solo la sua. Uno che sa che - per dire - per farti guardare da una ragazza te lo devi meritare.
Ecco, Colin entra in campo, per la mia squadra preferita, e gioca così. Come uno che sa che non è mica la stella. Non uno che hai pagato il biglietto per lui. Però due robe le sa fare. E poi, poi prende fiducia. E le cose vengono bene. E nessuno si aspetta quello che fa. Per forza. Non se lo aspetta nemmeno lui.
San Francisco comincia ad andare bene quell'anno. E io - non l'aveste capito - a San Francisco ci tengo. Da sempre. Da quella squadra che non era solo forte, era bellissima. (bella come una ragazza italiana che ti sorride? Ah, no, scusate, sbagliato leitmotiv).
E Colin gioca. E' il quarterback, questo strano ruolo che ha solo questo strano sport. E gioca a modo suo. Fa a cazzotti. Le becca, anche. Ogni tanto fa delle cose belle. Ogni tanto due cazzate. Quei sei ragazzi, davanti a lui, hanno delle facce che dicono una cosa molto chiara. Per te ci facciamo menare. Per il biondo no.
Oh, succede il miracolo. San Francisco, quell'anno, arriva in finale. E pure lì ci sarebbe un mare di storie da raccontare. La prima è che Jim (vi sarete mica dimenticati?) arriva in finale. E l'allenatore della squadra avversaria è suo fratello. Che non ha mai giocato, mai fatto il quarterback. Ma che è più intelligente. Mica è un bulletto come Jim, John (il fratello). Nono, è uno che sa il fatto suo. Mica si inventa come si fa l'allenatore. Mica che tira fuori prendendoli per le spalle i quarterback.
Poi - davvero - ne succedono di tutti i colori. Tipo che c'è un blackout. Ma davvero, basta parentesi. Finisce che - per un pelo - Colin e
Jim non ce la fanno. Perdono. Di un soffio. La rimonta non gli riesce. Fa niente, dice Jim. Fa niente? Anzi grazie, dice Colin. Arrivare fino a qui non avevo mai osato nemmeno sognarlo! Incidentalmente - molti anni prima - la stessa cosa era toccato dirla a Jim. Che - tra i professionisti - ebbe una buona carriera. E arrivò a un lancio dall'entrare nella leggenda. Quel lancio andò male. Lui disse: io sono fortunato. Da bambino non avrei mai chiesto una cosa così grande come poterlo tirare quel lancio. Forse è anche per questo che Jim Harbaugh, che è un po' bulletto, un po' Clint Eastwood a me sta così simpatico. Forse non è nemmeno un caso che le squadre a cui tengo hanno la antipatica abitudine di arrivare seconde. In ogni caso finisce così, quell'anno. San Francisco ritornata grande, ma seconda. Colin che ha il posto di titolare. Risulterà ottantunesimo tra i cento migliori giocatori della lega.
L'anno dopo ricomincia da dove ci si era fermati. Jim in panchina, Colin in campo. Io che tengo a San Francisco. No, in realtà, si ricomincia quasi da dove si era finito. E anche qui serve una foto. Che non mostra (purtroppo) i tatuaggi che si è fatto durante l'estate. Però - me lo ricordo come fosse oggi - mi fa venire un dubbio. E - subito - per quel dubbio, mi dico quanto sei scemo. Il dubbio, non lo so, ma forse è venuto anche a voi. Ma è NERO? Che dubbio scemo, a pensarci. Che cavolo significa? E' come è. Viene da Milwaukee. Sua mamma ha origini italiane. Suo padre nero, anche se quasi non l'ha mai visto. Lui - in realtà - da piccolo è stato adottato. Americano. Anche quella cosa di dire afro americani non l'ho mica mai capita. Perché Jim Harbaugh cos'è? Euro americano? Dell'Europa non sa niente. Manco mai vista. Come Colin dell'Africa. Dovessimo tornare indietro, nell'albero genealogico del primo forse troveremmo qualcuno che l'Africa l'ha vista. Ah. Bene. Importante. Sempre queste strane, stupide categorie che ci hanno insegnato. E che ci fanno dire stupidate. Se vedo una ragazza di Palermo, bionda, la chiamo Normanno siciliana? Se - per caso - scorrendo il mio albero genealogico, trovassi un lontano parente nero sarei afro italiano?
Boh, strane cose. Colin, Colin di Milwaukee, Wisconsin, forse, come un po' tutti noi è mille cose. Un quarterback, un ragazzo con l'aria intelligente e simpatica, da giovane giocava anche a baseball. Poteva essere mille cose. E' un bel ragazzone, simpatico e intelligente. E vive nella home of the brave.
L'anno, comunque, ricomincia dove era finito quello precedente. San Francisco è tornata forte. C'è sempre Jim in panchina, un piccolo Clint Eastwood, e Colin in campo. Uno che è 81esimo tra i primi 100 giocatori. E tra gli 80 davanti ci sono certamente tanti quarterback. Ma lui lo è, un quarterback. E' uno che sei ragazzi, grandi e grossi, si fanno menare per lui. E lui gioca anche per loro. A modo suo. Un modo un po' strano.
Poi succede una cosa.
Jim, mio preferito, ne fa un'altra delle sue. Ha appena vinto una partita. Di quelle vinte all'ultimo secondo. La Lega prevede che a fine partita gli allenatori delle due squadre si stringano la mano. E lui ci va. Però - appena gliel'ha stretta - sarà per l'adrenalina, sarà perché è un po' scemo, si mette a girellare per il campo facendo gesti. Di quelli che porti entrambe le mani sotto la cintura. Tipica esultanza... La Lega mica lo perdona. Va bene che prendi a sberle i quarterback belli e biondi, va bene che sei un bulletto. Ma questa cosa - in mondovisione - no. Jim perde il posto. Oggi allena Michigan. E' tornato a casa. Cosa voglia dire allenare quell'università lì, che è anche stata la tua, voi non lo immaginate nemmeno. La allena, come sempre, a modo suo. Un po' da bulletto. Un po' da uno che è nato quarterback. Colin, basta cercare su internet, Colin e lui si sentono ogni giorno... Cazzo si dicono? Boh, robe loro, robe da quarterback...
Quello che succede poi è storia.
Anche qui basterebbe una foto. Le parole, quelle sono sopravvalutate. E spesso inutili. Come chi ti chiedesse chi erano i Beatles. Io penserei a due foto. Bastano quelle. E se poi - in più - uno volesse sapere di cosa parlavano, ne basterebbero altre due.
E' un giorno come un altro, al Candlestick Park di San Francisco. E suonano l'inno. L'inno americano. The land of the freedom. The home of the brave. Colin che - l'avrete capito - di cognome fa Kaepernick, che certo non è un cognome da nero, ma è il suo cognome da adottato, se dovesse tenere il suo cognome farebbe Russo, perché l'unica che ha conosciuto era la mamma, italiana di origine, decide che basta. Decide che non si alza. Rimane in ginocchio. Non fraintendete. Da noi - inginocchiarsi - è segno di devozione. Per un giocatore di football, con tutto l'armamentario addosso, sedersi è difficile. La posizione di riposo è in ginocchio. E Colin, Kaepernick, da Milwaukee, quarterback, così rimane. In testa una pettinatura decisamente afro. Basterebbe la foto, l'ho detto. Perché? Perché non si alza? Perché sente le radici? Il sangue? O forse è solo che ne ha viste e sentite abbastanza? E che dice andate a raccontarla ad un altro quella favoletta lì? Sta di fatto che non si alza. E poi - cosa ci volete fare - lui è quarterback. Subito ci sono altri, di fianco a lui. Che si inginocchiano. Non si alzano.
Quello che succede poi lo avrete sentito raccontare.
La Lega si incazza. Da allora - credetemi - non c'è mai più stata una sola partita in cui ti facessero vedere l'inno. Cominciavano dopo. Pubblicità, prima. Trump si incazza. Platealmente. Pubblicamente. Gli dice sei un rivoluzionario da salotto. Sei un radical chic. Un privilegiato. Nei tuoi quartieri la polizia non fa così. Ti stai solo facendo pubblicità. Ma non sai che cos'è la vita vera. Questo gli dice Trump. E Trump non fate mai l'errore di considerarlo stupido. Solo che... Solo che - ed è strano - non conosce il football. Quello che noi qua chiamiamo football americano. E non sa - evidentemente - che in quello sport lì c'è un ruolo, che c'è solo in quello sport. Il ruolo di quarterback. Che è un privilegiato. Però - se è bravo - e lo puoi essere anche se sei l'81 esimo su 100, tu sei tutta la squadra. Tutta. Anche quelli che la palla non la vedranno mai. E che per tutta la partita si fanno menare per te. E se sei bravo, anche se sei 81 su 100, loro sanno che tu sei uno di loro. Il migliore di loro.
Colin perde il posto. Non viene licenziato. Semplicemente nessuna squadra gli offre più un contratto. Gli dicono hey! sei solo 81 esimo su 100, c'è un sacco di gente meglio di te. Per carità, guadagna anche uno spot della Nike, che sono certamente soldi. Però un posto non glielo dà più nessuno. Ragazzoni grandi e biondi (o anche neri, né, per carità) più forti di te ne abbiamo!
Ci ritenta ancora all'inizio dell'anno. Chiede alle squadre, potrebbe giocare. Gli dicono che non hanno posto, che non è un granché. Allora lui - gli Usa sono davvero un posto strano - ottiene una roba. Una prova. Dice io e altri 3 che giocano quarterback. Su un campo. Proviamo. Vediamo se lancio proprio così da schifo. Vediamo chi lancia meglio.
Come va a finire è semplice. La prova la accettano. A ricevere i suoi lanci si offrono volontari i 5 migliori ricevitori di tutta la lega. Neri. Oh, cazzo, i lanci degli altri non riescono proprio a prenderli! I suoi sì. Il football è un gioco strano. E dentro a questo gioco un ruolo strano. Non ce l'ha nessun altro. Sei un privilegiato. Eppure - se sei bravo - trovi sempre chi è disposto a farsi menare per te. No, insieme a te. Che questo è il segreto. Anche se sei il numero 81 su 100. La prova - ovviamente - la vince. Nessuna squadra gli offre un posto. Numero 81 su 100, dai. A chi serve Colin Kaepernick di Milwaukee Wisconsin?
Non lo so a chi serve. E non so nemmeno se ho raccontato bene questa storia. Che le parole sono davvero sopravvalutate. E che il mio scopo era quello di raccontare una cosa che in gran parte non so. Come una storia intima. Che non è trovare le proprie radici. Ma un'altra cosa. Una cosa più strana. Però - io - ogni volta che lo sento nominare, quel Colin lì, da Milwaukee come Richie Cunningham, che poteva essere ogni cosa, io mi alzo in piedi. Cosa ci volete fare, è un quarterback.
Forse anche per questo le foto, quelle di cui parlavo, nemmeno quelle dei Beatles, non ve le metto...
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