editoriale di POLO

Un po’ di dischi del 2019 passati velocemente in rassegna. I voti possibili sono OK, se l'album è bello, e NO, se fa schifo.

Vampire Weeeknd - Father Of The Bride - Dalla Columbia University al Mali, dal fumo di New York all’altare. E quindi a Gerusalemme, di nuovo a New York e infine a Berlino, ma mica a ballare. E non è che ci sia molto altro da dire su quest'album, se non che delle 100 canzoni pop più belle scritte nel corso di questo decennio, almeno 10 sono contenute qua dentro. Le altre otto sono comunque bellissime, a parte una sola, ma cercare di capire qual è di certo non renderà più bello quel disco dei Cure che tanto decantate e che altrettanto ha già rotto il cazzo. OK

Solange - When I Get Home - Solange Knowles ha indovinato un paio di canzoni belle da morire nella sua carriera e, manco a dirlo, adesso si crede l'Aretha Franklin di questa fluida generazione tutta queerness e dischi R&B che, più scatafasciano le balle, più sembrano piacere alla gggente. Agli americani che gli frega di guardare in tv il Giro d'Italia? Ecco, quindi a me che dovrebbe fregare di ascoltare questi trentaquattro minuti di lamenti art-soul pro-black power senza capo ne coda? Me ne frega, quindi state su di dosso, voi, i vinili e il trentennale di “Disintegration”. OK

Coma Cose - Hype Aura - Nel caso non si fosse capito dalla recensione precedente, il Giro d'Italia scassa la minchia, ma mai quanto ascoltare due zanza all'incrocio tra i Prozac+ e Luca Laurenti che, forti di un retaggio mezzo-rave e mezzo-cantautorap, si sentono autorizzati a farmi una pera di acido fluoridrico nelle orecchie a suon di slogan da giovani marmotte tipo "mio nonno è tropicale/ quindi ho un avo-cado". Ma se io ho un cane che è mio, quello sarà un d'io cane? NO

Massimo Volume - Il Nuotatore - Ho deciso di smontare i Massimo Volume a colpi di De Gregori. Emidio Clementi e compagnia sono delle persone facili che non hanno dubbi mai, ma sul palco portano la loro valigia dell'attore, e con gli occhi sudati e le mani in tasca fingono e recitano il loro ultimo discorso registrato. Peccato, però, che abbiano nella punta delle dita poco jazz, poche ombre nella vita. Quindi arriviamo Adelante! Adelante! al punto, perchè se è vero che gli aerei stanno al cielo come le navi al mare, De Gregori sta alla poesia come questo disco alla merda fumante appena sfornata. NO

Izi - Aletheia - A differenza di tanti eruditi colleghi della musica italiana che eruditi non sono, Izi sa scrivere. Per dire, quasi nessuno oggi riesce a buttare su carta cose come “quando sono nato non avevo pelle addosso/ ed ero penna e inchiostro in connessione con qualcosa”, barre che spolpano la carne del concreto fino a giungere a un’astrazione di dura matrice ossea. Ma in generale, “Altheia” è un disco introspettivo e coraggioso, che snobba con classe le leggi dello streaming dozzinale mostrando allo stesso tempo un bel dito medio in faccia a chi dava a Diego del rapper finito. O a chi non lo conosceva nemmeno, tipo voi. OK

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editoriale di De...Marga...

"Siamo fatti di emozioni. Cerchiamo sempre delle emozioni. E' solo questione di trovare il modo per provarle. Ci sono molti modi per provare un'emozione e c'è solo una cosa particolare che la Formula 1 può fornire. Siamo sempre esposti al pericolo. Pericolo di farsi del male. Pericolo di morire." (Cit. Ayrton Senna)

"Dov'eri quando è morto Ayrton Senna? Prova a fare questa domanda a chiunque. Ciascuno ti risponderà descrivendoti un luogo, il momento preciso." (Lucio Dalla, Bologna 1996).

Hai ragione Lucio; hai perfettamente ragione. Ricordo benissimo quel 1 Maggio del 1994...però devo tornare ancora più indietro. Devo ritornare al Gran Premio di Montecarlo del 1984 sotto un diluvio universale. Ayrton era al suo primo anno in Formula 1; gareggiava con una Toleman, vettura di categoria inferiore rispetto alla concorrenza. Strabiliò il mondo con la sua guida, galleggiando su di una pista resa ancora più insidiosa da una pioggia che non dava tregua. Recuperava 6 (sei avete letto bene) secondi al giro ad Alain Prost che conduceva la gara. Lo avrebbe ripreso, lo avrebbe superato; ma d'improvviso si decise di sospendere la gara e non ci fu vittoria per Ayrton; "soltanto" un secondo posto. Ma si fece notare, tutto il mondo sportivo dell'automobilismo capiì che il ragazzo di San Paolo aveva la stoffa da campione.

Da quel giorno mi innamorai di Ayrton come raramente mi è capitato nei confronti di un uomo dello sport; soltanto Michael Jordan e Roger Federer possono competere. Da quel giorno credo di non essermi perso nemmeno un Gran Premio di Formula 1; con le mitiche telecronache sulle reti RAI di Mario Poltronieri. Duelli sanguigni prima con Piquet, poi con Prost e Mansell; ho gioito per le sue vittorie; ho goduto per i suoi tre titoli di campione del mondo. Emozioni che conservo ancora dentro di me.

Ricordo benissimo...

Poi arrivò il 1 Maggio del 1994; mio suocero era ricoverato in un centro di cura per dimagrire sulle alture di Verbania. Dovevo accompagnare Marina e sua madre a trovarlo; non senza una certa dose di dispiacere perchè, per la prima volta, non potevo vedere il mio Ayrton in diretta. Quindi non seppi dell'incidente, non c'erano telefonini, non c'era internet. Rimasi all'oscuro della tragedia fino a quando rientrai a casa, in quella casa di un mio precedente editoriale a Pieve Vergonte.

Mio padre mi raccontò; da pochissimi minuti era giunta la notizia ufficiale della morte di Ayrton; si spense la luce per me. Ho dei nebulosi ricordi su come ho reagito; fu comunque devastante. Avevo la camera tappezzata di poster; prima di Gilles Villeneuve, poi di Ayrton.

Per me la Formula 1 è finita quel giorno; certo ho continuato a seguirla...ma non è mai più stata la stessa cosa.

Ayrton o lo amavi alla follia o lo odiavi.

Era una bestia in pista, non aveva pietà per nessuno; un vincente, che voleva soltanto tagliare il traguardo per primo.

Maniacale nella preparazione fisica, abilissimo nel trovare le soluzioni ideali per l'assetto sulle varie piste. Arrivava dal kart e dalle formule minori; si era formato battagliando con chiunque. Sempre cercando di essere al comando, da subito, dalla prima curva. "Se sei davanti non hai problemi con i sorpassi, a parte i doppiati. Non hai davanti nessuno ed i cartelli che espongono dai box puoi leggerli meglio". Così diceva.

"Non esiste curva dove non si possa sorpassare".

"Arrivare secondo significa soltanto essere il primo degli sconfitti"

"Non saprete mai come si sente un pilota quando vince. Quel casco nasconde sentimenti incomprensibili".

Queste alcune delle sue citazioni più famose. Ma ce ne sono a decine.

Aveva anche una fede incrollabile; molto spesso parlava del suo rapporto con Dio, con la religone. Ma lo faceva senza essere tedioso; lo faceva perchè era onesto e sincero.

Raramente sorrideva; mi ha sempre dato l'impressione di una persona triste, almeno quando gareggiava. Ma non era così; ci sono tantissimi filmati dove lo si vede amare la vita, sorridere, divertirsi nel suo Brasile.

Con la sorella Viviane iniziò a pensare di creare una fondazione a suo nome per aiutare la sua gente, la sua povera gente ed in particolare i bambini. Tutto ciò divenne cosa concreta pochi mesi dopo la sua morte; una fondazione che ancora opera tutt'oggi in Brasile e non solo.

Qualche anno fa sono stato ad Imola alla curva Tamburello dove è avvenuto l'incidente. C'è un monumento, una statua di Ayrton che lo ricorda; commozione tanta. Ho incontrato delle persone che arrivavano dalla Russia; come me hanno lasciato uno scritto sulla rete che separa il parco dalla pista.

Volevo andarci anche quest'anno ad Imola; per i venticinque anni...non ne ho avuto il coraggio. Sono troppo emotivo.

Ho quasi concluso; vi lascio consigliando la visione in rete dei suoi tre CAPOLAVORI in Formula 1 che certificano indissolubilmente la sua infinita grandezza.

1) Gran Premio del Brasile 1991, la sua prima vittoria nel circuito di casa. E' in testa nettamente, una gara dominata. Ad undici giri dal termine il cambio si rompe, ed è costretto a finire la gara in sesta marcia!! Tenendo una mano sulla manopola del cambio per evitare la fuoriuscita della marcia ed il ritiro: uno sforzo gigantesco. Patrese alle sue spalle guadagna secondi su secondi; ma riesce a concludere in testa. Godetevi l'urlo impressionante sia del telecronista brasiliano, sia di Ayrton tagliato il traguardo. Sul podio è distrutto dalla fatica ma riesce ad alzare la bandiera del suo paese; un paese in delirio per il proprio eroe.

2) Prove del Gran Premio di Montecarlo 1988. Il suo è il giro perfetto nelle stradine contorte del principato. Una danza millimetrica, una precisione di guida che impressiona. Non c'erano tante diavolerie tecnologiche nella Formula 1 di allora. Rifila quasi un secondo e mezzo a Prost e più di due secondi a Berger. A detta di molti il giro di qualifica migliore di tutti i tempi!! Sono totalmente d'accordo.

3) Gran Premio di Donigton 1993. Ancora sotto il diluvio. Un primo giro leggendario; Ayrton è indietro nello schieramento di partenza e parte anche male. Alla prima curva è quinto con la sua McLaren; ma ci mette pochissimo a prendere confidenza con un asfaldo insidioso, viscido ed infido. Quattro sorpassi, uno dei quali all'esterno di una curva dove nessuno si sarebbe sognato anche soltanto di provarci. Al termine del primo giro è già in testa, lasciando dietro di se piloti del calibro di Prost, Hill e Schumacher. Trionferà con distacchi mai più visti in Formula 1.

Grazie Ayrton; oggi come allora.

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editoriale di paolofreddie

Il tipico cristiano moderno condanna, quanto e come può – con la più sentita e "dovuta" convinzione –, la violenza in tutte le sue forme: in generale, il dolore inferto o subìto. Senza pensare che la sua religione è tutta basata sulla violenza, a partire dalla sua storia, e dai suoi dogmi e insegnamenti.
Al di là dei buoni precetti - buoni ma retorici in egual misura -, per esempio l'amore verso il prossimo (mai, o raramente, messo in pratica, oppure messo in pratica ipocritamente), ecc., il Cristianesimo è lo "scenario" privilegiato per episodi paradigmatici di dolore, gratuito e non.

Solo che il dolore di Gesù Cristo, frustato, riempito di sputi, malmenato, crocefisso, rispetto a quello di un sadomasochista che si fa frustare; a quello di un ragazzo che, in prima fila a un concerto punk, si fa sputare addosso dal cantante; a quello di un boxer sul ring; a quello di un ragazzo che si fa legare, per scommessa, a un albero; insomma, il dolore di Nostro Signore Gesù Cristo, rispetto a tutte le altre “cavie umane”, è giustificato. Perché? Perché è sacrificio volto alla Redenzione e alla Salvezza dell'essere umano – e non un esercizio volto al piacere individuale o mutuale di più persone (!?).

Il tipico cristiano moderno può benissimo arrivare a possedere dieci croci, di diversa grandezza, una per ogni stanza della casa, per ogni comodino o mensola, tutte in egual modo simbolo del sacrificio di un uomo che è stato ucciso nella maniera più brutale possibile; ma condannerà puntualmente, come sbagliato, diabolico, innaturale, malato, un ragazzo che, con i suoi traumi (per esempio dovuti al bullismo), si infligge dei tagli alle braccia, o che si fa di droga, o chi fa sport estremo per eliminare le ansie. Non vedrà la vittima in lui, ma solo il carnefice. Addirittura non sarà più il bullo a essere il carnefice numero 1, ma chi si taglia, droga o fa sport estremo.

Insomma, che uno lo apprezzi o meno, che uno lo faccia o lo subisca, il dolore è sbagliato – o dovrebbe esserlo – per il tipico cristiano moderno.
Ma, allora, come mai il dolore di Gesù Cristo sulla Croce non gli fa provare schifo o dolore? Risposta: perché il Suo dolore aveva un senso, una logica (!?).
Ma, allora, Gesù Cristo faceva bene a essere frustato, riempito di sputi, malmenato, crocefisso? Insomma, si meritava tutto questo? Risposta: … (Silenzio) … (Dopo un po’ … risposta tipo) … “Eh, ma Lui non aveva colpa, Lui ha subìto, era una vittima".

E allora uno può chiedere “E allora, un sadomasochista che si fa frustare; un ragazzo che, in prima fila a un concerto punk, si fa sputare addosso dal cantante; un boxer sul ring; un ragazzo che si fa legare, per scommessa, a un albero; non sono tutti questi delle vittime?”.
“Eh no, loro sbagliano, sono malati, magari non si rendono conto, seguono degli esempi sbagliati”.
“Esempi di chi? Forse di Nostro Signore Gesù Cristo!?”.
“Eh, ma Lui è morto e resuscitato per il Bene dell’Umanità!”.
“Quindi, se Leopold Von Sacher Masoch si fosse fatto frustare per una buona causa, sarebbe stato giusto?”
“Eh no, ma a lui piaceva!”
“Certo, gli sarebbe piaciuto, come sarebbe piaciuto, allo stesso modo, ai suoi giustizieri. Come nel caso di Cristo, i cui esecutori hanno goduto nel fargli del male”.
“Sì, ma loro erano nel torto, non conoscevano il Bene, la Verità. Erano ignoranti, non avevano capito il Messaggio …”.
“Perché, te capisci il messaggio che c’è dietro il dolore o la violenza che certe persone fanno o subiscono consenzientemente? Il sadomasochista, il punk, il boxer sul ring, il ragazzo legato per scommessa; non fanno, tutti, qualcosa per il proprio bene o per quello del proprio gruppo? Non vogliono portare un messaggio? Non hanno valori?”.

“Ok, ma allora tutti possono dire di portare valori. Non tutti però agiscono nel bene. Alcuni credono di farlo, ma sono perversi. Alcuni non intendono fare del bene a prescindere. Quindi, non puoi fare queste associazioni!”.
“Gesù Cristo, nella situazione in cui stava, secondo quanto riferito nelle Scritture, non credeva di fare del bene sacrificandosi per l’Umanità? Non si è fatto frustare in virtù di questo? Anche lui voleva portare valori, che avessero a che fare con il Bene – e il Bene di certo non significava, per lui, giustiziare o essere giustiziato. Non voleva forse dire l’opposto? Che il Suo sacrificio, cioè quello di un solo uomo, mettesse fine a quello di altri.
Quindi, se giudichi i sadomasochisti, ecc., non sei forse tu stesso giustiziere di persone che, consenzientemente, fanno ciò che credono sia piacevole o giusto per loro, senza dar fastidio altrui? Giudicandoli e condannandoli, non fai di loro delle vittime? Nel concetto di Bene trasmesso da Cristo attraverso la Crocifissione, c’era quello di giudicare chi fa male, a sé stesso, capace di intendere e di volere, e agli altri, di comune accordo?
Il punto è che né la Crocifissione di Cristo, né le frustate, lo sputo, le risse, gli sport pericolosi odierni, sono giustificati o hanno un senso. O, se ne hanno, le due cose sono sullo stesso livello. Chi fa distinzioni è un ipocrita o un idiota. Non c'è né colpa né merito in quello che fa Cristo piuttosto che un masochista post-"Venere in Pelliccia", e viceversa".

“No, invece! C’è assolutamente del merito nel sacrificio di Cristo! Lui è il Salvatore che ha perdonato tutti i peccatori e ha redento l’Umanità”.
“Se si è davvero sacrificato per l’Umanità, come mai ci sono ancora persone come te che giudicano e condannano con tanta facilità coloro che, peccatori o meno, sembrano non percorrere la retta via, o sembrano non fare il bene nel modo più comune? Come mai ci sono tanti Suoi fedeli, tra cui te, che dimenticano piuttosto facilmente il perdono e/o non sono disposti a venir loro incontro o a sacrificarsi per loro, per il Bene?”.
“Non eri proprio tu che dicevi che l’esempio che Cristo ha trasmesso tramite il sacrificio è che, dopo di lui, non ci sarebbe dovuto essere nessun Messia, nessuna vittima predestinata – nessun giustiziere, nessun giustiziato? Se mi sacrificassi per persone come quelle da te elencate, non diventerei io stesso un “povero Cristo”?”.
“Quindi, pur di non essere “povero Cristo", devi far sì che lo siano persone che, apparentemente o a tutti gli effetti, non seguono la retta via? Non vuoi essere giustiziato, ma giustiziere sì?”.
“Ok, ma allora cosa è giusto fare? Lasciarli perdere? Oppure appoggiarne i gesti? E lasciandoli perdere, non è più facile che si moltiplichino?”
“Voi cristiani pretendere la tolleranza religiosa, e non accettate che un sadomasochista o un punk abbia la sua di libertà – ideologica?”.
“No, perché si fanno del male”
“Invece, cristiani come te, condannando queste persone, alla maniera di Ponzio Pilato & Co, fanno loro del bene? Emarginandoli dalla società, o diffondendo l’idea, anche a livello mediatico, che siano sbagliati, non fate forse loro del male, quando invece potreste analizzare il “problema” e agire con intelligenza e umanità?”

"Ok, mettiamo caso che li si lasciasse stare. Loro eviterebbero di diffondere le loro abitudini, attraverso i media? Non vorrebbero forse sensibilizzare o far credere agli altri che quello che fanno è giusto, o comunque normale – come se stessero bevendo una tazza di tè o portando a spasso il cane –?".
"Se così volessero e facessero, ne avrebbero tutto il diritto, dal momento che anche loro rappresentano una realtà, e il mondo, come tutto il sistema solare, e le diverse galassie (che neanche puoi immaginare, e alla cui esistenza forse non vuoi, o non puoi, credere) non è fatto solo di una Realtà. Se tu, in questo pianeta Terra, e i tuoi simili (cristiani), volete diffondere il vostro verbo, assolutamente opinabile, come ogni messaggio, anzi, pretendete di diffonderlo - perché chi si taglia le vene a causa del bullismo, i sadomasochisti, o i punk non possono far conoscere la propria situazione?".
"Perché contagerebbero altre persone".
"Non mi sembra che voi cristiani, settimanalmente, organizziate tra di voi e su di voi delle crocifissioni, o delle sessioni di frustate. Allo stesso modo, un drogato, portando la sua testimonianza, con i suoi modi personali di esprimersi, magari non edulcorati, vuole comunicare, non contagiare".

"Ma allora, oggigiorno, fanno bene i cantanti, gli scrittori, gli attori a raffigurare con le loro parole o le loro immagini delle situazioni estreme, e nessuno avrebbe il diritto di dirgli niente!? Uno può parlare di sesso, di droga, di dolore, di frustrazione, di guerra, di patologie, ecc., con assoluto cinismo e realismo, senza prendersi la responsabilità di eventuali conseguenze sulla mente dei giovani!".
"Ecco, qui ti volevo. Si parla proprio di canzoni ora, di media! Ah, i cari media, che voi cristiani odiate tanto, ma usate a vostro favore. Avete i vostri spazi in televisione, e non vi bastano.
Voi, che, da censurati, vi sentite martiri, siete così pronti a stigmatizzare con il vostro “no”, con la vostra forza di opposizione, qualsiasi contenuto esuli dal buon gusto e dai valori fondanti della società, che voi ritenete debba essere plasmata a immagine e somiglianza di ciò che il vostro Libro dice. Ma non è forse la Bibbia stessa che, attraverso degli espedienti, dei mezzi termini, indorando la pillola, propone gli stessi concetti, le stesse immagini, che vengono comunicate oggi in altri modi meno dogmatici? Non lo fa forse in maniera talmente subdola da far sembrare quegli stessi concetti carichi di senso, di spiritualità, ecc.? Il vostro Testo Sacro non parla forse di stragi, che, giuste o meno, sono state necessarie? Non parla di incesti, di violenza familiari, di violenze tra popolazioni diverse in nome di Dio, di carestie, di amori sbagliati e giusti, di matrimoni combinati, di figli morti alla nascita e di patriarchi che erano pronti a sacrificare il loro stesso figlio su ordine del Signore?
Nonostante tutte queste componenti, incluse, come in un pacchetto completo, nella vostra Lettura preferita, condannate di buon grado “Il Signore degli Anelli”, le poesie della beat generation (con i suoi Kerouac e Ginsberg), ritenete sporchi film come “Pulp Fiction”, inappropriati i dischi di Eminem o dell’ultimo fenomeno del momento, perché parlano di violenza. Perché non lo ammettete, che la violenza vi piace, in fondo, che ve la godete in modo subliminale?

Perché non lo ammettete che quelle vocine che avete in testa sono quelle che sentono anche gli altri esseri umani, magari miscredenti, che però condividono, di voi, il sangue, le fattezze, il cervello, ecc.?
Perché non vi amate un po’ per quello che siete? Perché non vi odiate quando siete così meschini? Perché dovete essere ipocriti? Potete credere in quello che volete, ma lasciare credere anche gli altri in quello che vogliono!
Perché nelle vostre teste non entra il concetto che, se voi avete il diritto di dire 3 pater noster e 4 ave maria al giorno, un ateo o una persona non legata alla Chiesa Cristiana può permettersi tranquillamente, e legittimamente, di far uscire dalla propria bocca un sontuoso “Porco Dio!”.
Perché non siete superiori davvero, coltivando il vostro orto (che è la vostra anima), cercando al contempo di non sputare su quello degli altri? Se volete davvero il Bene, un mondo davvero cristiano, accettate soprattutto chi vi fa storcere il naso, perché sono proprio coloro che vi faranno storcere il naso a mettervi in discussione, e a farvi migliorare".

____________________________

"Per molte ore buie
Ho pensato a questo
Che Gesù Cristo
È stato tradito con un bacio
Ma non posso pensare per voi
Dovrete essere voi a decidere
Se Giuda Iscariota
Aveva Dio dalla sua parte"
(Bob Dylan - With God On Our Side)

"E morì come tutti si muore
come tutti cambiando colore
non si può dire che sia servito a molto
perché il male dalla terra non fu tolto
ebbe forse un po' troppe virtù
ebbe un volto ed un nome Gesù
di Maria dicono fosse il figlio
sulla croce sbiancò come un giglio"
(Fabrizio De André - Si chiamava Gesù")

"Quando l'eroina è nel mio sangue
E il sangue è nella mia testa
A quel punto ringrazio Dio di essere bello che morto
E ringrazio il vostro Dio di non essere cosciente
E ringrazio Dio perché non mi frega più niente di niente
E suppongo di non sapere più niente
E suppongo di non sapere più niente"
(The Velvet Underground - Heroin)

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editoriale di splinter

Da una manciata di anni impazza la moda dei pantaloni a vita alta. Li vediamo addosso alle giovani adolescenti così come a ventenni, trentenni e oltre, sono addosso alle influencer e alle fashion blogger. E fin qui tutto ok, una moda come le altre… no, aspe’, fermi un attimo… Andate con la mente indietro nel tempo… Vi ricordate cosa si diceva tempo addietro su questi pantaloni che arrivano al di sopra dell’ombelico??? Ma andiamo con ordine e riflettiamo un po’ su tutto ciò che vi ruota attorno…

Partiamo con una breve cronistoria. Io, un classe ’89, ho affrontato l’età adolescenziale e le scuole superiori con il culto dei pantaloni a vita bassissima (era il periodo 2003-2008), indossati dalle star e di conseguenza dalle giovani adolescenti; ricordo benissimo quei bellissimi perizomi colorati che si intravedevano senza aguzzare troppo la vista specialmente quando la ragazza era seduta, anzi li adoravo, ne ero uno dei maggiori estimatori e valorizzatori, erano pittoreschi quanto tremendamente sexy, era come se l’intimo volesse insorgere, non volesse più accettare il suo ruolo di prigioniero e allora eccolo fare prepotentemente capolino dai jeans quasi a dire “sono parte dell’abbigliamento e del fascino anch’io, sono arte del vestiario anch’io”; alcuni avevano poi colori e motivi che sembravano fatti apposta per attirare l’attenzione (una mia compagna di classe ne aveva uno verde con le paperelle), in pratica l’intimo nel suo intento di insorgere spesso sceglieva una veste che gli potesse dare ragione, che gli permettesse di dire “ve lo ripeto, anch’io merito di essere guardato”; era proprio questo spirito ribelle ed insolito, questo volersi rendere visibile sebbene non fosse originariamente creato per esserlo a renderlo così sexy, così artistico. Feci anch’io la mia parte, così come anche i maschi della mia età: noi però lo facevamo in modo ovviamente un po’ diverso, indossavamo il boxer e ciò che doveva essere visibile era l’elastico con il marchio (eh sì, a quell’età il marchio fa la differenza); poi c’erano i più tamarri (ma nemmeno così pochi) che addirittura li portavano diversi centimetri sotto il boxer (e non mi dispiaceva nemmeno come moda anche se sinceramente io non sono mai riuscito a portarli né a capire come facessero a non cadere). Un’arte però non riconosciuta come tale da tutti, soprattutto dalle personalità più anziane e mentalmente arretrate, quante volte i professori ci chiedevano di tirare su i pantaloni, qualche preside emanò addirittura una circolare per bandire questa moda nel proprio istituto, in due degli Stati Uniti si cercò inutilmente di renderla illegale.

Qualcuno però già allora avvisava che la vita dei pantaloni più avanti si sarebbe alzata. Nel 2004 giravo spesso sull’ormai defunta All Music ed ero solito guardare la trasmissione All Moda. Una volta accendo e vedo la conduttrice Lucilla Agosti annunciare con tono quasi minaccioso che i pantaloni a vita bassa sarebbero scomparsi in favore di quelli “ascellari stile Fantozzi anni’80” (sì, ricordo che usò all’incirca queste parole); vennero pure intervistate alcune persone in giro e queste si dimostrarono tutte palesemente contrarie al ritorno della vita alta. Ma ricordo anche un servizio visto da mia madre (forse qualche rubrica del TG2) in cui qualche stilista diceva che “com’è stato difficile abituare la gente alla vita bassa sarà altrettanto difficile abituarla alla vita alta”; ma ne parlavano anche le riviste del settore e quant’altro…

Ma se fate un salto con la mente in quegli anni… vi ricordate come venivano visti ai tempi i pantaloni a vita alta? Semplice, erano ridicolizzati, scherniti, specie in Italia, dove sono stati a più riprese collegati alla figura comica del ragionier Fantozzi; quante volte abbiamo usato l’espressione “pantaloni alla Fantozzi” oppure anche “pantaloni ascellari”; quante volte abbiamo visto uno portare i pantaloni un pochino più in su rispetto allo standard e abbiamo detto “Oh ma dove ce li ha i pantaloni quello? Sembra Fantozzi!”, il più delle volte si trattava di una persona non più giovanissima, quante volte abbiamo visto andare in giro un anziano con una maglietta infilata in dei pantaloni classici sopra l’ombelico (sì, perfino la maglietta o la camicia infilata dentro non era granché benvista in quegli anni), talvolta accompagnati da un paio di bretelle, tant’è che spesso abbiamo identificato questo look “ascellare” come il tipico look dell’anziano che se ne frega di come va in giro vestito (“sei vestito come un vecchio, guardati!”); oppure erano considerati un retaggio degli anni ’80-‘90 da non imitare (“ahahah ma guarda come ci vestivamo”); ricordo che in classe nostra guardavamo male la nostra prof. di matematica per i suoi jeans e pantaloni piuttosto alti molto anni ’80, figuriamoci se ad indossarli era un alunno…

Alla luce di tutto questo non avrei mai pensato che circa una decina di anni dopo (sì, effettivamente ci hanno messo molto tempo a tornare) li avrebbero indossati tutte come se niente fosse.

Chiariamo una cosa: a me piacciono (e detto da un vecchio sostenitore del perizoma in vista direi che vale doppio), non solo perché evidenziano curve e fondoschiena ma anche e soprattutto per quell’alone di mistero che creano; la ragazza che li indossa diventa più coperta ma anche più misteriosa; è il discorso del vedo-non vedo ma espresso in un’altra modalità, in tal caso è la camicetta o la maglietta che viene parzialmente nascosta dentro il pantalone, sporgendosi e “gonfiandosi” ma risultando visibile solo parzialmente e ciò risulta piuttosto intrigante. C’è anche un ché di stravagante, il pantalone che dovrebbe coprire soltanto le gambe arriva invece a fasciare gran parte della pancia arrivando talvolta a dominare più di metà della silhouette, mentre la maglietta o la camicia che dovrebbe essere in gran parte visibile qui viene parzialmente nascosta, è come se i ruoli si invertissero; in più le caviglie scoperte oltre ad avere un qualcosa di sexy spostano il baricentro del pantalone verso l’alto; e onestamente, un tocco di stravaganza nella moda non è mai da bocciare. Negli outfit eleganti poi la vita alta sembra essere maggiormente raccomandata, mi sono recentemente convinto che “l’eleganza è a vita alta”.

C’è però da dire una cosa: un sacco di ragazze non li sanno portare! Innanzitutto infilare qualcosa nei pantaloni è una cosa che va fatta con criterio e non si può fare proprio con tutto, altrimenti è soltanto una soluzione di comodità che può risultare sgradevole alla vista. Ad esempio li ho visti portare senza cintura (per me una cintura più o meno stilosa è d’obbligo con un outfit a vita alta, il fibbione assume così un importante valore estetico) infilandoci dentro cose che non sono certo fatte per essere infilate dentro, tipo un top, una maglia attillata o addirittura un maglione! Pensa un po’, un maglione infilato nei pantaloni, guarda dove siamo arrivati… Per non parlare di chi li accoppia con una camicetta annodata o peggio con una di quelle alquanto antiestetiche magliettine larghe e cortissime (diciamo “mozzate” che è più corretto) che lasciano scoperta la pancia… Ma davvero trovate fashion quelle robe lì? Sembra una roba del tipo “sì, scopriamo la pancia però mi raccomando il pantalone deve arrivare sopra l’ombelico perché la moda dice così”, un outfit che non sta né in cielo né in terra, se dovete scoprire la pancia o l’ombelico meglio farlo con un tradizionale pantalone a vita bassa e un top normale. Qualcuna poi infila nel pantalone solo metà maglietta o camicia, altra trovata piuttosto trash, in commercio poi vendono quei modelli con la fila di bottoni ma con i passanti per la cintura ad altezza anca, cerco ancora di capire che senso abbiano; in pratica tutte queste soluzioni sembrano fatte apposta per dire “guarda, sto indossando un pantalone all’ultima moda”, non importa che il risultato estetico sia orrendo, l’importante è essere trendy (“fossi figo indosserei vestiti trendy, certe volte son dei capi orrendi che a nessuno li rivendi” cantavano Elio e le Storie Tese mica per niente)…

Ma la domanda di fondo è semplice: perché state indossando tutte questi pantaloni? Vi piacciono davvero o “è la moda”? Siete consapevoli di quello che state facendo? O siete guidate dall’inconscio? Ma non li reputavate orrendi fino all’altro ieri? E perché quelli a vita bassa non li indossate più? Ah ok, ora non sono più cool, perché ve l’ha detto lo stilista di turno, no anzi, la vostra influencer di riferimento su Instagram o la vostra YouTuber, figure che ora vanno di moda e che voi seguite perché non avete una personalità e un vostro stile che venga dalla fantasia e pertanto come delle pecore vi affidate alla prima per numero di follower perché così facendo siete convinte di andare nella direzione giusta (sìììì, la direzione che seguono tutti è quella giusta, woooow)…

C’è poi da aggiungere una considerazione… per il loro ritorno in voga i pantaloni a vita alta hanno anche trovato un terreno favorevole: ci troviamo infatti non solo in un periodo decisamente revivalista in cui per mancanza di idee si vanno a rispolverare vecchie mode, vecchia musica, vecchie trasmissioni televisive… ma anche in un periodo in cui tutti stanno diventano tristemente più moralisti, bigotti, vegani, pseudoantisessisti, pseudofemministe, ecc… ed ecco che anche i pantaloni che mostrano giusto un pochino di intimo diventano improvvisamente indecorosi…

Tornando un attimo indietro… a volte non pensiamo a che cosa brutta che è la moda: una forma mascherata di dittatura, che ti dice cosa indossare e che se non lo indossi sei una persona brutta e sfigata, mentre brutta e sfigata sarai se indosserai la stessa roba domani. E chi sono i dittatori? Persone altrettanto brutte che sfruttano la debolezza altrui, dagli stilisti che con le loro modelle supermagre hanno rovinato la vita a migliaia di ragazzine all’influencer che non ha un lavoro serio e non sa nemmeno coniugare i verbi. Mi piacerebbe che un giorno si smettesse di parlare di “moda” e ci si mettesse definitivamente a parlare di “stile”, che ognuno fosse veramente libero di avere il proprio venendo accettato ed apprezzato così com’è e che nessuno si sentisse obbligato a cambiare secondo il momento. Ma sta a noi cominciare a dire “faccio come voglio”!

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editoriale di DiggeiRapina

Chissà quante volte vi sarete chiesto:
"Ma chi le inventa queste proverbiette, che ci fanno riflettere e ridere allo stesso tempo? "

Sono misteri atavici che servono a rendere più dolce la nostra vita di diabetici

Ma non è questo il punto
Volevo mostrarvi, un esempio di proverbietta (o barzellerbio) per comprenderne la rima, la metrica, ma anche i maravigliosi giochi sottili e le intenzioni etiche del proverbiettante (o barzebilerbico)
Che sono io,senza false modestie (o molte fadestie)

Ciò ci porta a

MAL COMUNE
S'INDACO I PRIMITIVES (Proverbietta in sestine)
Una ciliegia tira l'altra
decisamente molto.
Più di un carro di buoi.

E le dice, scaltra
"Rubiamo allo stolto
la torta mentre guarda noi"

La sestina dice molto:
sarà tutta
la ragione

di uno stolto
che fissa frutta
di stagione?

La mezza stagione,
ne sono sconvolto
ma è morta da un pezzo

La piena ragione,
o caro stolto
come il torta sta nel mezzo
(Diggei Rapina)

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editoriale di Lao Tze

“Perché siamo un Paese di merda” - fu la risposta (precisa) a una domanda (vaga) posta dalla giornalista.

Che suonava, più o meno, così: “Perché siamo arrivati ultimi all'Eurofestival?”.

L'anonimo intervistato all'ingresso di una discoteca di Madrid, a suo modo, si trovò ad interpretare il sentimento di un'intera nazione in quell'esatto momento. La sensazione, appunto, di essere un Paese de mierda.

Perché l'Eurofestival, diciamola tutta, è un po' come la Coppa Italia. Tutti lo snobbano, non frega niente a nessuno, ma a nessuno piace perdere. Soprattutto quando si perde male.

Vi butto là un esempio di quelli tosti.

La spedizione spagnola a Kiev 2017 si è conclusa con una di quelle batoste epocali da non poter scordare. Roba da vergogna eterna, altro che Ventura e Italia-Svezia.

Se non avete mai guardato l'Eurofestival (cioè l'Eurovision Song Contest come lo chiamano adesso, ma noi continuiamo a chiamarlo così perché ci ricorda i nostri fasti, non esattamente recenti ma chi se ne frega – leggasi: TOTO A ZAGABRIA 1990), sappiate che non è un problema, perché non c'è molto da capire. Anzi, se non lo capite fa lo stesso.

L'Eurofestival ruota sempre attorno ad alcune costanti, che si ripetono invariabili ogni anno:

  • Cipro vota Grecia e viceversa.

  • San Marino boicotta l'Italia e disperde il voto in Armenia o in Lettonia.

  • La Germania sta sul cazzo a tutti e non la vota nessuno. Per cui arriva sempre ultima, o comunque negli immediati paraggi dell'ultima piazza.

A Kiev, però, due anni fa, succede l'imponderabile.

Succede che i Crucchi hanno la brillante intuizione di puntare su un'accattivante biondina che riscuote qualche consenso in più, anche degli abituali dispersori del voto. Gli inattesi 3 punti della Germania (per la cronaca, il Portogallo ha vinto con 376...) hanno così fatto scivolare all'ultimo posto la terrificante boy-band scelta per rappresentare la Spagna alla kermesse continentale.

Zero punti. Verdetto inappellabile, mentre a Madrid si consumava lo psicodramma in eurovisione.

Ma zero punti, al di là del numero, lo sapete che significa?

Zero punti significa che non ti ha votato manco un cane. Significa che non ti hanno votato né col televoto in nessun Paese, né un singolo giornalista in giuria. Considerato che (quarta legge non scritta dell'Eurofestival) il 90% delle canzoni presentate all'Eurofestival fà schifo, significa che hai fatto più schifo dello schifo.

Sei il nulla. Zero, appunto.

Di qui la constatazione che, se prendi zero e non ti chiami Germania, sei un Paese di merda.

Le alte sfere della discografia iberica corrono ai ripari: per la prima volta dopo anni, il nome del candidato all'Eurofestival uscirà da “Operacion triunfo”, un'accademia musicale in forma di reality-show, in onda su LA1 tutte le settimane il mercoledì sera.

(ma in diretta-streaming su YouTube 24 ore al giorno)

In sostanza un Amici di Maria De Filippi senza Maria De Filippi. E hai detto niente.

Per quanto lodevole nel suo tentativo di rimettere al centro la musica (vabbè solo in apparenza, chiaro), Operacion Triunfo fatica a sfornare buoni interpreti che siano anche artisti. E che, soprattutto, lo diventino in tre mesi d'accademia...

A Lisbona 2018, in effetti, non che sia andata molto bene. 23esimi su 26. E contestuale suggerimento di cambiare il nome del programma (che comunque va avanti con successo) da Operazione trionfo a Operazione quartultimo posto.

A riprova del fatto che non c'è una ricetta per sfondare, in questa durissima e avvincentissima gara.

Ah, e comunque: guarderò l'Eurofestival pure quest'anno. Ci mancherebbe.

Lo guarderò per l'inimitabile esibizione di trash gratuito che ogni anno garantisce.

Per l'assolutamente demenziale polemica post-voto che seguirà la gara.

Per la bava alla bocca dei giornalisti in sala-stampa accalorati sul verdetto finale.

Per il tifo ottuso e triviale di Flavio Insinna che puntualmente tirerà all'Italia bordate di sfiga fotonica.

Per la gnocca.

E, ovviamente, per vedere a chi spetterà stavolta il titolo di Next Paese di Merda of the year. Vuoi mettere.

Buttatevi.

In tutti i sensi.

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editoriale di ALFAMA

Ero così piccolo per capire. Per capire che tutto cambia e cambierà.

Velocemente, erezioni e Big Babol.

Sentivo dire " è una Bomba" e forse sentivo un gonfiore non solo nei pensieri, ma ancora non capivo il dono dell'infanzia sostituito con la vita.

Moana Pozzi. L'edicola era un'"Apriti Sesamo" di curva bianche color profumo, di un desiderio senza nome, sentite parole "Panna e Fragole.

Per capire ero ancora così giovane. Tutto cambiava e aspettavo la bellezza, una bellezza. Sempre più coperta dal tempo che respiravo senza capire.

Respiravo, Moana Pozzi, Lei non si accorgeva che Io esistevo.

"Apriti Sesamo" , " Panna e Fragole". Lei era bella e il Tempo non era l' amico. Non era il mio amico "Curve Bianche " e "Panna e Fragole. Parentesi fra Attesa e Scomparsa.

Quel momento unico , irrepetibile. La Big Bubble gonfia di attimi scoppia lasciandomi sulla bocca un sapore dolcemente appiccicoso.

I Suoi occhi mi guardano .

Lei è bellissima.

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editoriale di Bubi

Di Maio ha inviato una lettera pubblica ai corrotti e ai corruttori d'Italia, annunciando nuovamente l'arrivo di una legge anticorruzione, definita "Spazza Corrotti"

(Non la copio tutta perché è lunga...)

Cari corrotti, cari corruttori, vi invio questa missiva pubblica per informarvi che faremo la Legge Spazza Corrotti. È la prima seria misura contro la corruzione che viene discussa in Italia dal dopoguerra ad oggi. Praticamente non lascia alcuno scampo a chi corrompe e a chi viene corrotto. Per cui, in sostanza, corrompere non conviene più. A nessuno e in nessun caso...

(Io credo che faranno... UN BEL NIENTE. L'unico che ha indicato misure che sarebbero davvero efficaci contro la corruzione è il criminale Felice Maniero, in una intervista concessa a Roberto Saviano. Se i 5stelle e la Lega faranno una legge contro la corruzione, conterrà misure che non somiglieranno nemmeno lontanamente a quelle indicate dal boss della mala del Brenta. Secondo me. Di seguito riporto quello che ha detto nell'intervista... )

L'economista Lucio Picci, è il maggior studioso di corruzione in Italia. Secondo lui, tangenti e corruzione ci costano circa 250 miliardi di euro l'anno. Per combatterle adeguatamente, si dovrebbe adottare la legge antimafia, corretta in qualche parte. Per corrotti e corruttori, multe salatissime, raddoppiare le pene, il mandato di cattura obbligatorio ed escluderli dai benefici carcerari. Vorrei vedere poi chi avrebbe il coraggio di evadere le tasse, corrompere o essere corrotto. Oggi, questi criminali vanno agli arresti domiciliari, in ospedale, in libertà provvisoria... poi tornano al loro posto, ricchi da fare schifo.

(Credo che una legge con queste caratteristiche, sarebbe efficace. Non costa niente e non sarebbe anticostituzionale... ma non la faranno)

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editoriale di Kotatsu

The Rainbow, Eden, Desire.

Dal silenzio

fiati lontani e chitarre sognanti,

a turno fanno capolino

timorosi di disturbarsi a vicenda.

Finalmente

sento il suono di un ruscello.

Nel 1988 esce un disco che parla di differenza.

È Spirit Of Eden, quarto album dei Talk Talk. Rispetto ai primi lavori la band inizia una parabola inaspettata: il loro synth-pop da classifica lascia il posto a un suono del tutto nuovo. Da pregevoli a impalpabili, sta qui la differenza.

Abituata ai successi radiofonici del gruppo, la EMI per poco non rifiuta di produrre l’album. Il sound è il primo elemento che li ha spaventati di questo disco. Etereo, dolce. I Talk Talk prendono le mosse dai temi del precedente The Colour Of Spring, ne esplorano gli stessi argomenti. Ma se con i versi continuano un viaggio, attraverso le melodie ne iniziano uno nuovo. Un viaggio di otto note, dove l'ultima è la prima, in atmosfere intimistiche e spirituali.

Lo scroscio d’acqua si ferma e la chitarra esegue il riff quasi blues di “The Rainbow”.

La batteria e le percussioni

pulsano pacate,

su questo nuovo tappeto di pianoforte

inizio a cantare sognante.

Di tanto in tanto annega in una nuvola di tastiere, questa voce quasi sussurrata. Qualcosa di magico, un dialogo con se stessi senza filtri.

La musica scorre lungo il ruscello la musica regala affreschi sonori di musica originalissimi in musica tra cui un curioso assolo di armonica di musica distorta.

In “Eden” il sussurro si fa avanti. Prende coraggio, tenta di spiegarsi. Vorrebbe urlare, ma non sa ancora se è il caso: nessuno ci crederebbe e lui non vuole convincere nessuno. L’organo solenne gli conferisce un’aura di sacralità, come se ciò che ha da dire potesse essere sacro. Qualunque sia il significato di sacro, non lo è mai stato. Sacro per lui, forse. Sacro quanto il girotondo bendati nella stanza più buia della casa. Sacro quanto cera calda sotto l'ombelico. L'eroina non è sacra, la differenza è sacra. Prigionieri sudano per liberarsi e quando escono dalla cella scoprono che in fondo ci si trovavano bene. La differenza. Tutti vogliono strapparsi le bende dagli occhi, tutti vogliono tornare bendati.

Anche nei momenti più intensi, Spirit of Eden mantiene una sensazione di pensosità.

inno di un profeta:

lo chiamo DIALOGO INTERIORE

perché quando ho provato a parlarne

loro hanno provato a rinchiudermi.

La suite di tre pezzi si chiude con–

“Desire”. De • Si • Re. Ritmica semplice e ipnotica di chitarra e organo in un crescendo che all’improvviso esplode deflagrando in un miasma assordante di percussioni.

con pochi accordi di pianoforte,

qualche secondo tra uno

e l'altro

accarezzano il nostro respiro.

Inheritance.

Quarta traccia. Batteria eterea che la apre, la squarcia senza far rumore. La aiutano morbidi accordi di piano elettrico. Il silenzio suona più forte a ogni nota, preme sulle casse dello stereo, si spinge con rabbia contro le cuffie. Sfonda e si diffonde. Vince ogni melodia, l'unica alternativa è accoglierlo. Lasciarlo entrare.

Benvenuto, ora ti vedo.

E ti chiamo

e ti aspetto

e per la prima volta

riesco anche a sentirti.

Non esiste un significato nascosto quando non c'è significato. Versi criptici, ma sinceramente emotivi.

La differenza non si trova in ciò che è presente. Se passato e futuro sono mutamenti, il presente non ha variazione. La differenza deve trovarsi in ciò che è assente.

Sale ancora un canto.

Accende e risveglia le atmosfere con parole riflessive. La sua voce è sospensione. Ogni profezia è mancanza, ogni preghiera un'attesa.

Un canto superbo nella sua fiera fragilità.

È il vinile a girare sotto la puntina o la puntina a girare sopra al vinile? La musica si solleva e perde di intensità, il disco segue la propria dinamica. Procede lento lungo la scia che ha lasciato. Qualcuno grida «fila indiana!» e i bambini non sanno se li spaventa di più disobbedire alla maestra o non tenersi per mano. Là fuori fa già paura così, perdere gli altri li farebbe impazzire. Il silenzio è una nota da abbaiare insieme fino a tarda notte, fino a non reggersi in piedi. Fino a perdere il fiato: fino a un momento free-jazz in cui non sono rimasti altro che i fiati, smarriti gli altri strumenti e anche la maestra, a dialogare liberamente tra loro.

I Believe In You.

È un lieve ritmato groove

la prima mano del dipinto.

Basta stendere un velo di stomp

per lasciar affrescare un racconto

ai colori sommessi nel riff

ma vibranti nello spirito.

Credo in un solo spirito, che non è santo ma dà la vita. Niente di sacro in questo, neanche per lui. E non si parla di onnipotenti eroi, ma di maledetta eroina. Come fermarsi al Padre e al Figlio, quando è suo fratello ad averci rischiato la vita? Scrive della dipendenza che ha quasi distrutto la sua famiglia e ha il coraggio di dire io credo in te. Nulla di meno sacro, ma è qui lo spirito. È questo il dialogo con se stessi verso il quale spinge il disco.

Quando la differenza è la mancanza, quando si resta soli e si vive nell'attesa di un suono che spezzi un silenzio assordante, quando il suono non viene mai e quando viene ed è troppo debole, resta lo spirito.

Sonorità alte, frutto delle collaborazioni dei Talk Talk: un organico vastissimo, che punta a sottolineare in modo perfetto la pregnanza delle parole. Il gruppo tinteggia la seconda mano di colore. Splendidi acquerelli sonori, sfocati ma non confusi.

Wealth.

Il viaggio dentro di me si chiude

con sparsi tocchi sul piano

una scala di otto note

voltata al contrario,

girone dantesco

per trovarsi

di nuovo

in sé.

Ora lui cerca la semplicità. Un contrabbasso lo tiene sospeso sotto il livello del mare, a una profondità sconvolgente. Addormentato, neanche se ne rende conto. I pesci gli girano attorno, lo evitano. Si tengono a largo perché attorno a lui risplende un'aura inviolabile. Ipnotizzato, nemmeno lo sa. Nel ritornello gli nuotano vicino sussurri intensi e tremendi. Il profeta ha tentato di parlare e loro hanno provato a rinchiuderlo. Ma la verità è che dietro le sbarre non si sta tanto male.

«Take my freedom, for giving me a sacred love», sono le parole con cui si chiude l'album. Si nasconde un paradiso tra le quattro mura di una gabbia e quel paradiso siamo noi. Di questo parlano i Talk Talk con Spirit of Eden. Hanno rischiato di non essere pubblicati, ma si sono voluti reinventare. E con toni introspettivi, invitano l'ascoltatore a fare altrettanto: scoprire ancora una volta che ognuno è il proprio carcere, ma imparare a prendersene cura.

Siamo il nostro piccolo Eden personale. Se non ci fidiamo di noi stessi, crediamo almeno al nostro spirito.

«Spirit, how long.»

Dedicato a Mark Hollis (1955 - 2019)

Questo piccolo scritto è frutto di una collaborazione tra me e STC (vi invito a visitare il suo bellissimo sito), e dato che non più che una recensione è un vero e proprio "componimento" ho pensato di pubblicarlo qui.

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editoriale di mrbluesky

Informazione di servizio
I CD possono essere riparati?
Affermativo
Tra i vari metodi e tutorials vi suggerisco quello del dentifricio
Il motivo è semplice, andando ad agire su quello che è lo strato protettivo del disco con una pasta leggermente abrasiva si eliminano facilmente tutti i graffi superficiali.
Spalmatelo al centro e distribuitelo verso l'esterno della superficie con le dita bagnate evitando movimenti circolari,risciaquate e tamponate con un asciugamano morbido.
Va bene qualunque dentifricio ma suggerisco di usare quello piu semplice a pasta bianca.
Non serve cercare altri metodi, è economico e lo abbiamo tutti in casa.
Qualora i graffi fossero piu profondi è possibile tentare con un metodo piu energico, visto che il disco andrebbe comunque buttato, ovvero una leggera smerigliatura con un tampone da carrozziere, avendo cura di agire sempre sulla superficie in maniera uniforme senza insistere sul punto incriminato in quanto il calore farebbe deformare irrimediabilmente il disco. Potete usare trapano, mola o smerigliatrice procedendo con mano leggera sempre dal centro verso l'esterno, lavate infine con sapone liquido ed asciugate o soffiate con l'aria compressa (non usare Phon o solventi di nessun tipo).
Potrà sembrare eccessivo ma vi ricordo che si andrà ad agire solamente sullo strato protettivo del CD senza intaccarne le tracce, quindi se lo avete rigato col cacciavite o ci siete montati sopra con gli scarponi da sci potete tranquillamente lanciarlo dal balcone (o metterlo sotto la gamba del tavolo come fà qualcuno).


Testato e provato dal Mr.

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editoriale di Homburg

Di nebbia poi, in questi ultimi due anni, se ne è alzata parecchia e a volte davvero formidabile, in ogni campo (di granoturco e della vita) e in ognuna di queste mie desolate e disperate, piatte statali di asfalto.
Anche se c’è da dire che questo Marzo appena passato, di solito foriero delle ultime (o le prime?) considerevoli nebbie ha un po’ deluso. E in effetti tutto mi appare lucidamente chiaro.
Il mio non è più lo sguardo nel vuoto di una vittima dell’amarcord, ma di uno che non solo sa (e lo sa da quando ha iniziato ad avere un briciolo di cervello), ma che anche conosce, sperimenta ormai come ci si ritrova incastrati e invischiati in un vitale, più che necessario, processo di adattamento non al male del mondo, ma al male che è il mondo.
E dico così (vitale etc…) perché è sempre lì dove si arriva alla fine stringi stringi:
La Sopravvivenza Del Più Adatto.
Non è che voglia usare questa abusata definizione per ottuse e scientiste teorie sociologiche alla Spencer, né tanto meno per quel lungo processo dato da diversi fattori (selezione naturale, cambiamenti genetici e fenotipici e, quindi, quel magico, forse immaturo, concetto che è la Casualità) e descritto da Darwin con un’umiltà degna di un Padre della Chiesa.
La uso invece per definire un dilemma che ad Amleto ancora oggi fa più di un baffo e che ha mietuto ben più di qualche giovane vittima, come ricorda Piccole Anime.
Si parla di un sistema che riproduce in ogni senso solo ciò che gli è simile, merce e denaro, che poi per Marx sono la stessa cosa ed è proprio questa identificazione la vera essenza del Capitale, più che la semplice accumulazione di denaro, condizione necessaria ma non sufficiente a definirlo.
Chiunque non gli si sia simile ed esuli in qualche modo dalle sue regole, che descrivere servili è dire poco (meglio probabilmente schiavistiche), è condannato a trovarsi in una fottuta Terra di Mezzo in cui Sauron è l’ultimo dei problemi, lo sai bene.
Ma vedi? Anche ora mi trovo “tra il gnac e il pitac” (dopo “…Piccole Anime." per esempio: da notare il volo pindarico verso lidi a me più noti e saldi, in un vano tentativo di razionalizzazione), come si dice dalle mie parti, non solo nella vita ma in questo vuoto discorso, in cui, non appena mi sono vagamente avvicinato a parlare di ciò che è tanto importante, per non dire essenziale inizio a divagare e a distribuire, giusto per salvarmi, come in un divertissement pascaliano, responsabilità che, per quanto oggettive al pari di un macigno che ti tenga inchiodato/a al suolo, non sono certo il massimo per descrivere l’impalpabile volontà dell’azione, del gesto. Di recidere questo ridicolo nodo gordiano senza poi, tuttavia, sciogliere proprio nulla se non me stesso. In un acido che è tutta naturale putrefazione.
Perché sarebbe “come voler piangere anzitempo; tutto (in realtà) sarà chiaro alle prime luci dell’alba” e non prima che queste oscure dialettiche, così indifferenti a noi come gli dei degli epicurei quanto, però, vive, perché plasmate da noi, trovino la loro risoluzione per mezzo nostro, finalmente riconciliando la nostra caduta non con la nostra necessaria disfatta, ma con l’altrettanto necessaria nostra liberazione.

E come puoi leggere, nonostante l’abbia appena detto, finisce che ne faccio ancora un discorso di collettività proprio quando arrivo al limite del tabù, al pensiero che più non sopporta se stesso. Forse è questo il dilemma. Unire me a te o noi a loro. Forse unire, semplicemente. Ma qualcuno, al di là, rimarrà sempre e saranno pure cazzi suoi. O è trovare semplicemente il coraggio che manca e tutto finisce lì?
Oppure è meglio non dire un mare di banali cazzate astratte.
Insomma, non ci sarà “la nebbia in val padana” ma la mentalità si incasina ugualmente.

PS: "Uno degli esempi più convincenti che io conosca di un animale che compie apparentemente qualche atto a esclusivo vantaggio di un altro animale, è quello degli afidi che cedono volontariamente alle formiche le loro escrezioni zuccherine...che questa azione sia compiuta dagli afidi volontariamente è dimostrato dai seguenti fatti: Io levai tutte le formiche che circondavano un gruppo di una dozzina di afidi su una pianta di romice e impedii che vi ritornassero per diverse ore. Dopo questo intervallo ero sicuro che le afidi avrebbero deposto la loro escrezione. Li osservai con le lenti, ma non vidi escrezione alcuna: allora li solleticai e accarezzai con un capello cercando di imitare come meglio potevo le antenne delle formiche, ma anche in questo modo nessuna escrezione. Permisi allora a una formica di raggiungerli, e dal modo come correva dall'uno all'altro, essa sembrò ben consapevole di aver fatto una scoperta preziosa; cominciò allora a palpare con le antenne l'addome prima di un afide, poi degli altri; e ciascuno, al contatto delle antenne, sollevava immediatamente l'addome ed emetteva l'escrezione di una limpida goccia del liquido zuccherino, che era divorato avidamente dalla formica. Anche i più giovani afidi si comportavano in questo modo, dimostrando che la loro azione era istintiva e non risultante da esperienza."
(Charles Darwin)

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editoriale di Bubi

Chico Forti, pseudonimo di Enrico Forti, è un velista e produttore televisivo italiano. Ha partecipato a sei mondiali e due europei di windsurf e vinto il Campionato italiano di vela. Nel 2000 è stato condannato per omicidio negli Stati Uniti. È innocente oltre ogni ragionevole dubbio! Dovremmo raccogliere firme e far sì che si mobilitino anche i nostri politici, per una volta, diano prova di saper fare la voce grossa anche con gli Stati Uniti! Quando capita a loro, difendono sempre molto bene i loro interessi. Vedi il caso di Amanda Knox che ebbe grande appoggio da parte dell'opinione pubblica statunitense. La giustizia italiana ha appurato che non era colpevole ed è stata liberata. Nel caso della strage del Cermis, che costò la vita a tutti i passeggeri della funivia, non è stata fatta giustizia. L'aereo guidato da militari americani, tranciò le funi della funivia, la cabina, con venti persone, precipitò da un'altezza di circa 150 metri. In un documentario di National Geographic, Joseph Schweitzer uno dei marine che erano ai comandi, ammette che quel volo era una sorta di gita per divertirsi, che ridevano e filmavano le montagne. Riconosce anche che subito prima dell'incidente stava facendo riprese panoramiche con la sua videocamera. Il nastro che lo dimostrava, fu distrutto il giorno dopo. Richard J. Ashby, pilota dell'aereo, è stato assolto per la condotta del volo, nonostante sia stato provato che gli strumenti erano in funzione e si trovasse sotto la quota minima autorizzata. Venne condannato a sei mesi di carcere per avere distrutto il video del volo e fu espulso dalla marina. Di lui non si hanno più notizie certe, sembra che sia pilota di jet privati di magnati americani. I due addetti ai sistemi di guerra elettronica William Raney e Chandler Seagraves vennero giudicati non colpevoli e hanno proseguito la loro carriera. Il già citato copilota Joseph Schweitzer, che ammise di avere bruciato il nastro, se la cavò con la radiazione ed evitò il carcere. Davanti alla sede del processo manipoli di veterani del Vietnam manifestavano: "Quei piloti sono innocenti, giù le mani dai nostri marines". In tv alcuni senatori repubblicani contestavano la Casa Bianca: "Quei ragazzi hanno fatto il loro dovere. Si dovrebbe far conoscere il caso di Chico Forti a tutti gli italiani, in modo da mobilitare più gente possibile. Forse allora il ministro degli esteri Moavero e soprattutto il Presidente del consiglio Giuseppe Conte oltre che Salvini e Di Maio cercherebbero di intraprendere qualcosa a favore dell'italiano condannato all'ergastolo, senza condizionale. Sono trascorsi 20 anni e Chico è ancora rinchiuso in carcere, a Miami, a scontare una condanna pronunciata in assenza di prove. Chi vuole giustizia per Chico Forti faccia qualcosa di concreto e condivida su internet articoli che dimostrano la sua innocenza.

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editoriale di Stanlio

Chi l’ha visto?

Qui ci stanno molti Dan

Io questo film non l’ho visto ma ne sentii parlare quando uscì, eccheccazzo direte Voi ma allora che ci azzecca (direbbe il P.M. Tonino DP) eeeh il discorso è lungo o meglio è breve volendo stringere, tutto parte dai (abbr.) ehm, “Man Orc” tanto che colui che interpreta il Cameraman con un piccolo cameo, è anche il coautore della splendida colonna sonora contenente ben 24 tracce, ebbene sì incappai in the morning in un loro bel video, bel nel senso musicale (tanto per capirci)…

Scrissero di questo film:

  • Generi “Avventura, Commedia, Drammatico, Fantastico, Grottesco, Psicologico Visionario”…
  • Un’opera cinematografica tanto bizzarra quanto anomala, che ha per protagonisti due attori di rilievo, diretti da non uno ma da ben due registi… (e qui fioccano i Dan)
  • Una peculiarità di questo anomalo film è l’enfatizzazione dell’amicizia, anche fra un un vivente ed un ehm, “non vivente”…
  • Con la premessa che “orrido è bello” di lui (il film) dicono, “visionario al punto giusto, S A M sarebbe la manifestazione di un individuale malessere sospeso fra una componente terribilmente drammatica ed una componente kitsch, che genera una vicenda del tutto distopica con contorni decisamente demenziali”…
  • E per finire senza farla troppo lunga dicono che “questo film non vanta innovazioni, ma ha dalla sua parte, l’originalità di mettere in mostra una depressione individuale capace di ledere l’esistenza (ed anche clamorosamente la fantasia) di un singolo individuo rimasto assoggettato ad una ingiustificata rassegnazione, terminando con questa chiusa: “fantasticare è bene”, e i registi con S A M decidono di ehm, abbracciare questa “filosofia” rappresentandola con stile in questa pellicola.

Dice la mia enciclopedia preferita che “le riprese di questo film (davvero intrigante tanto che me lo devo assolutamente vedere al più presto) sono iniziate il 14 luglio ‘15 e sono terminate il 7 agosto ’15” e niente…

Scrisse (ehm, sempre wiki) di quel musicista/cameraman:

  • John Andrew “Andy” nacque ad Atlanta in Georgia il 7.11.1986
  • Sette anni dopo si trasferì e crebbe a Richmond Hill nell’Ontario
  • Si trasferì nuovamente tornando ad Atlanta in Georgia all'età di 14 anni
  • I suoi genitori gli comprarono una chitarra e lui imparò a suonare da solo
  • Un anno dopo suonava e scriveva canzoni
  • Dice di se stesso "Ascoltavo molto Morrissey e (ovviamente) The Smiths"
  • Senza menarla troppo chiudo rivelandoVi che sentendosi sempre più alienato nella sua ”Scuola Superiore Cristiana” ovvero la “Providence Christian Academy” della periferia di Atlanta, lui preferì frequentare l'ultimo anno studiando a casa e durante quello stesso anno (il 2004) compose e registrò il suo primo album… e niente.

Ridomando (se qualche DeBaserian è riuscito a decifrare l’arcano ben inteso…), chiudendo il classico cerchio: Chi l’ha visto?

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editoriale di Stanlio

La mia enciclopedia preferita “ça va sans dir”, in questi giorni il suo nome rimbalzava sui media internazionali riguardo alla diatriba sugli articoli 11 & 13 e la stessa wikipedia si era auto oscurata per protesta contro la riforma europea del copyright…

Ok lasciamo stare quanto sopra e veniamo a questa vicenda triste o blues, di cui per caso saltabeccando di qua e di la come solo noi capricorni usiamo ed amiamo fare mi son imbattuto e che m’ha spinto a spezzare una arancia in suo favore (che una lancia costa tloppa fatica dicono i cinesi), che qui narrerò servendomi esclusivamente di quanto offre wikipedia.

Non so quanti di noi conoscevano già Jackson Carey Frank, io l’ho conosciuto oggi dopo aver ascoltato un video della bella & brava Sandy Danny è partito in automatico “Milk And Honey” di JCF, orbene preparate i kleenex che qui vi verranno utili ad asciugare qualche lacrima che vi sfuggirà dagli occhi & dal cuore, dunque andiamo per ordine cronologico/paragrafico:

  • Jackson C. Frank nacque a Buffalo (importante centro culturale, artistico e dotato di una sviluppata vita notturna), una cittadina degli States di circa 260.000 abitanti vicino alle famose Cascate del Niagara, (appena due giorni prima del nostro compianto Lucio Dalla) e morì non molto distante a Great Barrington (luogo di nascita dell'intellettuale afro-americano W.E.B. Du Bois un attivista, storico, saggista e poeta naturalizzato ghanese, avente poco più di 7.000 abitanti) nel Massachusetts
  • All'età di undici anni rimase coinvolto in un incidente presso la sua scuola, la Cleveland elementary school di Cheektowaga, dove rimase ustionato per metà del corpo a causa dell'esplosione di una caldaia.
  • Ventenne cominciò a lavorare come giornalista e parallelamente come musicista folk nei locali del Greenwich Village a Manhattan
  • Nel ‘60 registrò anche alcune canzoni per un album che non avrebbe mai pubblicato, “Peaches & Crust”
  • A 21 anni incassò i soldi dell'assicurazione per l'incidente subito da bambino e a metà degli anni sessanta si trasferì in Inghilterra dove conobbe i principali artisti della scena folk, fra i quali Bert Jansch, la già citata Sandy Denny (con la quale JCF ebbe una relazione)
  • Conobbe anche Alastair Ian Stewart, che suonò in un pezzo dell'album d’esordio “Jackson C. Frank” che Paul Simon produsse nel ‘65 (estremamente schivo, JCF chiese di rimanere nascosto durante le registrazioni)
  • Poco tempo dopo la pubblicazione dell'album JCF cominciò a soffrire di disturbi psichici…
  • Prossimo a terminare i soldi dell'assicurazione, tornò negli States stabilendosi a Woodstock dove sposò Elaine Sedgwick, con la quale ebbe due figli e per sostenere la famiglia riprese il lavoro di reporter in un piccolo giornale, il Woodstock Week.
  • Poco dopo la morte del figlio maschio per fibrosi cistica, il suo matrimonio fallì e JCF cadde in una profonda depressione che lo costrinse al ricovero in un istituto di cura dove restò fino al ‘72
  • Dimesso, non avendo più nulla, visse grazie all'aiuto di alcuni amici fra i quali Joe Boyd (il produttore discografico che ha lanciato la carriera di artisti come Nick Drake, Fairport Convention e The Incredible String Band, nel ‘67 lancia addirittura i Pink Floyd col singolo “Arnold Layne”), fino a quando non tornò a vivere con i genitori a Buffalo
  • Fuggito da Buffalo nel ‘84, tentò di trovare aiuto a New York da Paul Simon ma non riuscendoci, fu costretto a vivere per strada, venendo continuamente ricoverato in ospedali psichiatrici, questa situazione contribuì a peggiorare le sue condizioni di salute oltre che a renderlo introvabile per diversi anni
  • A metà dei ‘90, Jim Abbott (che ne ha scritto una biografia postuma) si mise sulle sue tracce dopo aver trovato fortuitamente un vecchio disco di Al Stewart con una dedica a JCF in un negozio di vinili usati, lo trovò, estremamente appesantito e quasi irriconoscibile, e lo aiutò a chiedere ospitalità presso un ospizio a Woodstock
  • Ma proprio quando Abbott andò a prenderlo, JCF fu vittima di una ennesima disgrazia, venendo colpito da un proiettile esploso da un fucile ad aria compressa con il quale dei ragazzini stavano giocando. Il proiettile lo rese cieco da un occhio
  • Negli anni del ricovero a Woodstock, Abbott se ne prese cura e lo incitò a riprendere a scrivere canzoni, alcune delle quali furono incise nel ‘97.
  • Molte furono le cover dalle sue canzoni: da Nick Drake a Simon & Garfunke, dai Fairport Convention a Marianne Faithfull fino ai recenti Daft Punk
  • Jackson C. Frank morì a cinquantasei anni, nel ‘99 (il giorno dopo il suo compleanno), per un attacco cardiaco, indebolito dalle conseguenze di una polmonite… e niente.
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editoriale di Taurus

Il TAV (Treno ad Alta Velocità) Torino-Lione è diventato negli ultimi tempi una sorta di vessillo agitato in aria come la bandiera della squadra del cuore. Si parla quasi più dell’analisi costi-benefici commissiona dal MIT agli esperti che del VAR la domenica sera.
Anche se poi a dire il vero, visto la complessità tecnica della faccenda, non si entra mai nel merito, ma ci si limita a recitare in loop le solite frasi da marchetta da “meno inquinamento e più velocità” a “non si può bloccare l’Italia” il tempo necessario a riempire la pagina politica dei tg di prima serata, senza chiarire alcunché all’ignaro telespettatore.
Ora aldilà delle opinioni personali, la questione TAV mi serve da spunto incidentalmente per parlare d’altro.
Il governatore del Piemonte Chiamparino ha chiesto l’indizione di un referendum popolare per far esprimere i cittadini riguardo questa grande opera. E qui casca l’asino.
La costituzione italiana prevede diversi istituti di democrazia diretta: dal referendum abrogativo (art. 75) al referendum costituzionale (c.d. referendum confermativo art. 138) passando per la petizione ed il diritto di iniziativa popolare (servono almeno 500.000 aderenti). Accanto a questi strumenti la possibilità per le autonomie locali di prevedere nei propri statuti lo strumento del referendum consultivo su questioni locali, su cui molti dubitano possa rientrare il tema TAV, che ha portata più nazionale che locale.
Non c’è dubbio che un moderno Stato di diritto la democrazia diretta sia un ottimo esempio di partecipazione della società civile e dare la parola al cittadino sia sacrosanto.
Sempre e comunque, su qualunque tema?
Se recarsi alle urne per esprimere la propria opinione su temi etici quali eutanasia, matrimonio di persone dello stesso sesso e adozioni non richieda altro che esprimere un proprio giudizio di valore circa la nostra visione che abbiamo della società del futuro e del modello di convivenza che vogliamo, riguardando infondo una mera scelta personale, per altre questioni lo strumento del referendum rischia di essere un cortocircuito. E qua torniamo alla spina TAV.
Ipotizziamo che il cittadino venga chiamato ad esprimersi pro o contro l’opera. Qui il cittadino razionale non può limitarsi a trincerarsi dietro lo scudo del giudizio di coscienza ma andrebbe prima ad informarsi bene su cosa vorrebbe dire propendere per una scelta o l’altra in termini economici sul bilancio dello Stato, trattandosi di un investimento pubblico.
Assumendo che il cittadino medio sia un tipo che abbia voglia e tempo da dedicare alla questione, potrebbe persino non bastare analizzare le informazioni in suo possesso.
Prendiamo per buona l’idea che l’analisi costi-benefici dei tecnici presieduti dal prof. Ponti poggi su solide basi tecnico-scientifiche. L’analisi, come ben evidente dalle circa 80 pagine, fa sfoggio di termini propri di un dizionario specialistico il cui campionario comprende termini quali TIR, VAN, esternalità, surplus del produttore etc, senza contare la mole impressionante di grafici e calcoli. Termini che probabilmente, non per sua colpa, l’italiano medio ignora nel suo significato e che saranno invece familiari agli studenti di economia o agli economisti.
Persino il sottoscritto, non studente di Economia, ma che ha studiato micro e macroeconomia anche in tempi recenti, avrebbe bisogno di una lettura attenta se non ad un approfondimento sulle basi teoriche.
Avrebbe senso far svolgere comunque un referendum su un quesito così tecnicamente ostico? O sarebbe meglio che sia la politica a prendere una decisione ed assumersi la responsabilità di fronte al popolo? Siamo nel novero delle ipotesi, visto che difficilmente verrà svolto un referendum.
E torniamo all’inizio: democrazia diretta e democrazia rappresentativa non possono che vivere in simbiosi, senza che l’una possa mai annullare l’altra.

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editoriale di Salesuliveires

La scorsa volta scrissi delle pecche compositivo-armonico-vocali deL Luciano Ligabue, del quale, peraltro, è appena uscito il nuovo lavoro START, oggetto di eventuale de-rece da chiunque non sia io, dato che, dopotutto, essendo io sprovvisto di I-tunes e Spotify (al quale, con il futútu Netflix, è stato già dedicato uno scritto), non potrei così facilmente scriverne una ("and menos mal!", direbbe Sfasciacarrozze). Ma veniamo a questo "de-sequel". Ora come ora, in facto di autori ed autrici rock, bàlzano in topten esponenti del lato commercialoide dello stesso rock, fra i quali Vasco, le Vibrazioni, la Nannini, Grignani, Loredana Bertè ed Enrico Ruggeri (pur non dispiacendomi quest'ultimo a dir il vero) , facendo passare in secondo piano i lavori di un certo signor Morgan: al secolo Marco Castoldi, nel 2019 torna alla ribalta per Lo più per vicende ahimè gossippare, come la strenua difesa di Lauroachille per il tema droga in"rox-royce", o quella della figlia avuta da un ex-congorrente sarda diX factori e nonriconosciuta, oltre i vari duetti smentiti.Ecco, francamente penso che fra un' idiozia ed un' altra, Morgan abbia comunque fatto\svolto una meritevole azione: condurre qualche mese fa un programma in seconda serata sull 'anniversario della morte di FreddieMercurey, andato on air su Rai5, poi replicato su rai 3. E la sua musica contemporanea? NonPervenuta. Che si disintossichi e si faccia indi psicoanalizzare un paio di mesi, ché poi se ne riparla. Magari sforna un' ideona coi Bluvertighi, magari trattando/parlando di scacchieri globali, chissà! È stato un piacere. Corro a prendere una tisana..in attesa di Fata Morgana.

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editoriale di Abraham

Introdotto, sospinto dal kolossal del 1994 griffato Emmerich / Devlin, l'universo STARGATE è ad oggi uno dei franchise più popolari mai costituiti.

La MGM ne acquisì i diritti prima che il chiudersi del cerchio paventato da regista e sceneggiatore (una trilogia) potesse prendere forma. Da qui l'idea di creare una serie, rivisitando il cast per un buon 85%, partendo esattamente da dove 'Stargate' aveva lasciato (l'uccisione di Ra, ndr) con la costituzione della squadra nota come SG-1.

Ma non bastò: l'ingordigia dei fans ed il picco inaspettato di ascolti, suggerirono di creare, dopo una manciata di stagioni, altre due serie. Uno spin-off, STARGATE ATLANTIS, ed un contesto parallelo, STARGATE UNIVERSE.

La branchia del merchandise suggerì di partorire fumetti, sceneggiare anime, commercializzare vestiario e affini.

Quando, nel 2008, sua maestà lo share rinculò, la MGM sentenziò che basta, non ci sarebbe stata un'undicesima stagione di SG-1 ma due film a corollario e momentanea conclusione, che sfociarono nei direct-to-DVD 'L'arca dell'Alleanza' e 'Continuum'.

Da lì in poi, abbozzi, promesse, progetti che non hanno avuto seguito. Interrotte anche le serie di contorno, l'intero comando SG venne messo in naftalina.

Nel 2014 Devlin ed Emmerich rifecero capolino: nacque l'idea ambiziosa di completare la trilogia facente capo a 'Stargate' del 1994, riproponendo il vecchio cast e seguendo il progetto iniziale, che si sarebbe inevitabilmente discostato delle serie. L'idea naufragò per due motivi: il mancato successo di 'Independence Day Resurgence', il cui esito scoraggiò moti reazionari, e la MGM che fece muro. 'Devlin può dire quel che vuole', sentenziarono. 'Ma i diritti del franchise appartengono alla MGM'. Amen.

Questo fino al 2018, quando per la gioia dei fans inaspettatamente destati, con sommo gaudio venne annunciata la messa in produzione del prequel dei prequel, 'STARGATE: ORIGINS', che prometteva di tornare alla scoperta originale dell'anello andando a rianimare un gigante addormentato e facendoci conoscere la giovane Catherine. A completamento, la messa online del sito Stargate Command, laddove è possibile trovare, per l'appunto, la nuova serie oltre a materiale inedito e accessorio.

Partiamo dal bicchiere mezzo vuoto [occhio: vado di spoiler]. 10 episodi da 10 minuti cadauno sono veramente poca roba. In secondo luogo, una trama che smentisce e si discosta da avvenimenti futuri per poi essere rimediata alla fine con il Goau'ld che impone 'Orbene, dimenticherete tutto', non regge. O meglio: regge male, traballa. Infine, a volte viene forzata un'ironia la quale, per quanto piacevole e agevolata dalla bravura dell'attore che impersonifica l'inserviente egiziano, poco collima con l'idea originale del progetto.

Per contro, in un filone che già molto, forse troppo, aveva rivelato e trattato, troviamo un'impronta nazi che suscita interesse, crea un ponte tra due culture malate distanti anni solari e anni luce, facendo da defribillatore alla pazienza di cui i fans si sono dovuti armare negli ultimi lustri.

Il futuro è una nebulosa. Il progetto non è morto, tutt'altro. Ma una stagione di un'ora, per quanto ben confezionata, è poco, troppo poco davvero per una pietra miliare contemporanea così brutalmente soppressa.

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editoriale di zaireeka

C’erano tre bambini che si persero nel bosco tanti anni fà.

Erano praticamente coetanei, il più piccolo aveva circa due anni meno del più grande.

Non si conoscevano fra loro.

Arrivarono nei pressi di una caverna.

Una fata parlò:

“Esistono tre destini che vi aspettano, non dico quali, non dico per chi”.

Mi piacciono i maghi, i gatti, le fiabe, vorrei un giorno scriverne anche io qualcuna, quando sarò grande.

Io voglio essere felice, o almeno sereno, imparare a suonare la chitarra, quelle belle musiche che suona mia madre sul suo pianoforte.

A me non importa niente, anche a me piacciono i maghi, ma in fondo voglio solo essere spensierato, voglio imparare a ballare e a cantare.

“Va bene bambini, avrete quello che desiderate, ma attenzione..”

“Dovrete riuscire, tutti voi, senza nessuna eccezione, ad uscire da questo bosco, un giorno, senza mai voltarvi indietro e senza avere paura di quello che vi aspetta lì fuori”.

“Se non lo farete, uno di voi lo terrò per sempre con me, degli altri due deciderà il bosco”.

I bambini salutarono la fata e si incamminarono per fare come lei aveva detto.

Il bosco era vasto, lungo anni, uno dei bambini, quello a cui piacevano le fiabe, dopo un po’ di tempo, non visto dagli altri, si fermò un attimo a riposare, e a riflettere:

“Certo era bella la fata, mi piacerebbe tornare da lei”.

Gli altri due, che non si erano accorti di nulla, continuarono a camminare nel bosco.

Ad un tratto uno di loro, quello più taciturno, si accorse che il bambino alla sua sinistra mancava.

Si voltò guardando all’indietro, una grande malinconia lo colse, pensava alla fine del bosco quando sarebbe arrivata.

Senti’ le foglie del bosco che lo chiamavano.

Decise di fermarsi lì.

L’ultimo bambino camminava allegro pensando a quanto fosse bello il bosco e a quanto ancora sarebbe durato, senza pensare a quello che sarebbe venuto dopo.

Il bosco invidioso si voltò indietro e finì all’improvviso.

Dedicato a Syd Barrett, Nick Drake, Marc Bolan.

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editoriale di Tucidide

Il mio appello è prima di tutto un outing. Perché sì, sono anch’io un addicted Radio Sportiva, nell’intimità della mia macchinetta durante gli spostamenti per lavoro. E non sembro essere il solo da queste parti.

Radio Sportiva è stata citata pochi giorni fa, in un commento ad una rece di Algol, da parte del mitico Bartleboom che copioincollo a seguire, perché meglio non si può descrivere la sua essenza:

Meravigliosa: 24 ore al giorno, 365 giorni l'anno, a parlare del nulla cosmico... Per di più dandosi un tono che raramente ho incontrato in un'aula di Tribunale. Credo che riuscirei ad ascoltarli tutto il giorno. A fine giornata sono un balsamo, un bagno caldo, un massaggio, un buon bicchiere di vino: hanno su di me un effetto taumaturgico. E poi la gente che chiama: gente che avrebbe evidente difficoltà ad utilizzare un ascensore, che chiama per dare dritte di finanza calcistica a Marotta, alla famiglia Agnelli e al Fondo Elliott. Adoro la compostezza di Daniele Tirinnanzi e la comicità provocatoria di Marco Bisacchi, Enzo Bucchioni è il nonno che vorrei ancora avere al mio fianco, con Maurizio Biscardi ci uscirei a cena. La totale e perentoria assenza di figa, poi, conferisce al tutto una dimensione accogliente e confortevole che mi riporta proustianamente alla fase prepuberale. Grazie, Radio Sportiva.”

Potrei anche finirla qui, non avendo molto da aggiungere a quanto scritto da Bartle, se non puntualizzare che la perentoria assenza di cui sopra trova una felice eccezione nel caso della corrispondente per il Toro, sulla quale tra poco spendo due parole.

Vorrei però condividere con tutti Voi la mia lacerante sofferenza per la progressiva normalizzazione di RS, per questo loro devastante cedimento al bon ton radiofonico, lampante spia della decadenza dei nostri tempi.

Per esempio: vogliamo dire che ci manca tanto Aldo Agroppi?

Qualcuno ricorderà che prima di Ronaldo, qualche anno fa alla Juve era già approdato un altro giocatore con il finale in aldo. Ebbene, interrogato sul nuovo acquisto dei gobbi, il mitico Aldo si era prontamente lanciato con la rima: “Osvaldo pisello caldo!”, riferendosi al vorticoso giro di gnocca che pareva ruotare intorno al giocatore.

In questo commento c’era forse tutta l’essenza della Radio Sportiva delle origini.

Oggi sembra non ci sia più spazio per questo sanguigno quanto competente commentatore, grande giocatore del Toro dei tempi di Gigi Meroni e del tutto fuori dal conformismo calcistico nazionale. Per chi non lo avesse presente, giusto una chicca. Una volta lo chiama un giornalista e gli chiede: “Ancelotti ha detto che domani gioca con l’Albero di Natale, lei cosa ne pensa?”. Risposta: “Non so che dirle perché io sono di tutt’altra scuola, io giocavo con l’Uovo di Pasqua.” Cos’è il genio?....

La sua assenza è una delle spie del malessere che sta corrodendo il più limpido successo radiofonico italiano degli ultimi decenni. Latitanti i commentatori scomodi, e sempre più rari gli interventi senza peli sulla lingua. Ma ci sono molti altri segni di degrado che minano ormai Radio Sportiva, poichè nei gloriosi tempi andati la nostra era marchiata a fuoco con alcuni tratti che oggidì paiono scolorire, tra cui citerei:

1. L’utilizzo sfrenato dei calembour più terrificanti, titoli costruiti su giochi di parole di cui ci saremmo vergognati già in prima elementare. Qualunque assonanza diventava buona per descrivere la notizia del momento, con esiti agghiaccianti per dirla alla Antonio Conte, la cui mancanza (delle battute, non di Conte) si fa davvero sentire. Censura dei calembour no grazie.

2. Le pubblicità truzze e zozzone. Qua al nord negli spot ha imperato Giggidagostino e Le-ro-ton-de-di-Gar-la-sco (con le ragazze che entrano ggratiss!), un tempio della tamarro dance che probabilmente non riuscirò mai a visitare. La reclame del CA-PO-DAN-NO D’I-TA-LIA AL-LE RO-TON-DE-DI-GAR-LA-SCO!!!, compreso brindisi con similspumante ed alloggiamento in baracche espiantate dai Gulag mi ha più volte fatto vacillare nelle mie certezze sul San Silvestro. Degni di nota anche i jingles per officine, gommisti e autodemolizioniricambi, cantati da fanciulle con voce roca cha vaiasaperperchè mi fanno scopa con l'indimenticato spot teleVISIVO di Brava Giovanna Brava.

Ma il top era la pubblicità dei locali zozzoni. Da queste parti era ricorrente su RS lo spot del Samara’s, noto locale sabaudo per appassionati di ginecologia, con tanto di riepilogo delle Star in cartellone. Dico, quale altra radio nazionale, avrebbe avuto il coraggio di decantare la serata con Giada De Sade? Oggi invece, forse a causa del troppo successo, senti solo più le solite pubblicità generaliste di grandi marchi, che passano su qualunque altra radio nazionale.

3. Gli opinionisti che litigano con gli ascoltatori che chiamano in diretta. Un tempo alcuni parevano davvero imbufalirsi per le domande degli ascoltatori, che certo non brillavano in competenza calcistica. Per non parlare di quel tal giornalista da sempre accusato di essere antijuventino e di conseguenza martellato in diretta da provocatori gobbi ai quali incredibilmente dava pure corda, con clamorose scazzottate radiofoniche.

Fortunatamente resistono ancora alcuni pilastri della vecchia Radio Sportiva, come i collegamenti con le squadre di serie A, ognuno gestito da un giornalista locale che parla solo di quella piazza, dando notizie sulla qualunque, pure della prima comunione del figlio del massaggiatore. E qui mi collego alla felice eccezione della perentoria assenza di cui sopra.

Ivana Crocifisso, l’unica corrispondente femmina, la quale guarda caso parla del Toro, la squadra che da sempre ha nel suo dna la connotazione di attributi. Comunque la nostra Ivana dimostra una competenza ed una fermezza che mancano a tanti suoi colleghi maschietti, raccontandoci le vicende granata con una grinta imperturbabile, come quella di una barista in un locale di Hell’s Angels. Pare che tempo fa fosse stata trattata male, in conferenza stampa, dall’allenatore Sinisa Mihajlovic. Mal ne incolse al povero serbo, già traballante di suo sulla panchina dei granata, contro cui si schierò il silenzioso livore dell’intera struttura di RS, e difatti dopo poco arrivò puntuale l’esonero. Potenza di Radio Sportiva!

Degno di menzione è anche il corrispondente da Bergamo, per l’Atalanta, che si dichiara da anni vivente in una bolla di sogno per i successi galattici degli onesti pedalatori Orobici, roba da far impallidire qualunque altra manovalanza calcistica provinciale. E al termine dei suoi interventi saluta sempre con uno stentoreo A VOI! (sarà mica che sotto la camicia porti una maglietta con su scritto Boia chi molla?).

Con i collegamenti dalle varie squadre della serie A è come fare ogni volta un piccolo giro d’Italia, e questi corrispondenti mi sembrano la versione radiofonica degli storici giornalisti locali di Novantesimo Minuto, original version. Come non ricordare Tonino Carino da Ascoli con i cuffioni in testa, Luigi Necco da Napoli sempre circondato da tifosi urlanti, Cesare Castellotti da Torino con il nodo della cravatta largo quanto il collo e Ferruccio Gard da Verona che ogni domenica gli era morto il gatto?

La finisco qui, che altrimenti scivoliamo su Radio Nostalgia, permettendomi ancora di chiedere la Vostra solidarietà, in questo mio accorato appello per fermare il pericoloso virus della bontonizzazione di Radio Sportiva. Rivendico il diritto che l’interno della mia macchinetta sia ancora riscaldato da un truzzo focolare radiofonico e non dalla sua versione rieducata.

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editoriale di mrbluesky

C'era una vecchia radio in casa della zia D.

Credo che ci tenesse molto dato che stava lì solo per bellezza,sempre silenziosa, nella penombra di una stanza per ospiti che non sono mai arrivati.
Ricordo che era di bachelite, tutto sommato moderna per l'epoca, e che sulla banda delle frequenze c'erano i nomi di tutte le città, Tokio, Istanbul, Parigi, e poi il Monte Ceneri.
Io non ho mai saputo dove fosse in realtà questo monte, e nemmeno cosa avesse a che fare con la radio di mia zia, ma quando nelle sere d'estate scorrevo avanti e indietro la banda in onde medie, ricordo che ne uscivano fuori delle strane voci interrotte da scosse metalliche, come quelle di un temporale.
Per questo motivo ho sempre immaginato quel monte come un luogo oscuro, tetro e ventoso,e comunque inospitale.
Chissà se era realmente cosi, non l'ho mai saputo e non lo voglio sapere, preferisco che rimanga un luogo della mente, una delle tante cose a cui ho dato un anima, una connotazione dettata solamente dalla fantasia.
Oggi quella radio, dopo tante peripezie, è giunta fino a me.

Mi osserva là, dall'alto della libreria, silenziosa come sempre,mentre ho smesso da tempo di immaginare la vita.

Ma sembra che non gliene importi.

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