editoriale di iside

E così dopo quarant'anni ci siamo reincontrati.
Tu a sedici anni avevi preso il tuo cane e te ne andasti definitivamente da casa, dimostrando d'avere più palle tu tra le tue gambe da "Olivia", che noi.
Noi che a sedici anni correvamo ancora dietro al pallone oppure ci masturbavamo fra un "Lando" o un "LeOre" sottratti dal comodino di tuo padre.
E dopo quarant'anni eccoci di nuovo tutti qua a parlare di quanto erano frequentati i sette bar in cinquecento metri del nostro quartiere, di come io non abbia mai visto mio padre ubriaco ed invece il tuo, parole tue, lo era due volte al giorno.
L'incontro l'hai voluto tu come se alla fine qualcosa ti mancasse, forse non la stamberga in cui sei cresciuta, sicuramente non il ricordo di un'infanzia infelice dove, a parte la mia famiglia, non avevi amici, forse è che ti eri dimenticata di salutare chi ti tirava le trecce.
PS "i miei genitori hanno avuto una figlia io non ho mai avuto genitori." cit. S.B.

una canzone https://youtu.be/oGCsOOm3tDs

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editoriale di Bubi

Sto abbandonato nel mio casino e penso. Illimitato è il numero dei miei sogni, sono giovane, ma lo spirito no, nella mente c'è energia, ma il corpo sta appassendo. Batti cuore mio, ho bisogno di sentimenti. Quante volte ho visto la mano tremare? Gli occhi palpitare? Il cuore fremere di paura? Mi sento inutile come un preservativo usato, superfluo come la spazzatura. Uno sputo sul muro. È la solitudine che mi alimenta, mi dà rifugio, ed é il solo stato dove reggo la vita. È la mia prigione, una condizione del non essere, un giogo. Ma la forza di mettermi a nudo e vivere, non c'è. L'anima vuole la pace, gli occhi, un sorriso di gioia, niente gioia e niente pace, tutto si perderà nel mio caos. Il cuore non batte, sono cosa inerte, imbalsamato, rinsecchisco al sole come uno stronzo.

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editoriale di Pinhead

Aveva proprio ragione Jeff Buckley, quando cantava "Maybe I was too young to keep good love from going wrong", forse ero troppo giovane per evitare che l'amore si corrompesse.

Mi sa che siamo sempre troppo giovani per non mandare in malora le cose belle.

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editoriale di ALFAMA

Camminavo con lo sguardo basso, dietro di me il cane ballava.

Vedo un scarabeo a pancia all'aria, un miriade di formiche danzava sul suo ventre divorandolo lentamente e lui si univa alla danza. Guardo quella piccola scena pensando.

Arriva il cane, fa la pipi, annega il tutto. La fine.

Accarezzo il cane, come un Dio.

Accendo la Televisione, immigrati, zingari, disoccupati, politici. opinionisti, giornalisti. Ballano sul corpo di uno scarabeo, come formiche lentamente lo divorano diventando sempre più gonfi. Prendono forma, una forma quasi umana.Crescono,braccia,telefonini e volti e frasi, frasi, frasi sempre più grandi.

Pronti a divorare e il cane li guarda ballando.

Ho visto il cane ballare. Mi guarda, mi prende a braccetto,balliamo su pagine di giornali ingiallite, balliamo sopra telecomandi a pancia all'aria. Divoriamo lentamente e balliamo.

Balliamo guardandoci, sempre più veloci, lo sfinimento.

Cadiamo a pancia all'aria.

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editoriale di lector

Mio padre amava il mare e sognava la Rivoluzione. Dalla sua stanza d’ospedale non si poteva vedere il mare, ma si vedeva – anche da lì – che la Rivoluzione era, ancora, solo un sogno.

Le stanze d’ospedale sono tutte uguali. Vuote, amorfe, inospitali. Minacciose.

Anche quando non sei lì per una “brutta” malattia, ma per una più banale, una di quelle per cui non si dovrebbe morire.

Così, mentre aspetti (questo si fa negli ospedali: si aspetta), magari ti immagini il mare e continui a sognare.

E quei sogni me li ha lasciati in eredità.

Sono il suo lascito.

Ma diventa sempre più difficile e, a parlare di queste cose, ci si sente sempre un po’ stupidi.

Si dovrebbe imparare dalle sconfitte, si dovrebbe capire che il mondo ha una scorza dura, che i sogni la semplificano la realtà, sono cose da ragazzini, che anche se ti sembra – anzi ne sei proprio convinto – di avere ragione, di essere nel giusto, ecco che poi non è proprio così.

Si dovrebbe imparare dai propri compromessi, dalle proprie meschinità, che le cose importanti sono altre, che bisogna tirare avanti, che si deve combattere la propria battaglia, che non si può vincere sempre, che bisogna perdonarsi, accettare le proprie mediocrità.

Insomma crescere.

Ed è questo quello che dovrebbe fare un padre: insegnarti a crescere.

Il padre si insinua nel rapporto madre-figlio, ne spezza la dinamica incestuosa ed impone il senso del limite, cioè stabilisce la Legge.

Almeno questo dicono i sacri testi.

Solo che non è più così. Il principio di autorità è crollato sotto i colpi delle spinte libertarie ed innovatrici, prima, ed edoniste poi. La famiglia patriarcale era già morta da tempo ed i modelli morali di riferimento hanno, ormai, perso ogni credibilità ed attrattiva. La Legge è diventata imposizione e i padri insegne da abbattere.

E così i padri sono scomparsi.

Nessuno vuole fare più il padre. Ed in effetti è dura accettare un ruolo che, se ben svolto, ha come senso finale la messa in scena simbolica della propria morte. Un ruolo che è testimonianza, farsi carico, assumersi la responsabilità di indicare un senso. Sognare un futuro.

Siamo immersi in una cultura dominata dal feticcio della madre. Dominata da parole d’ordine materne: accoglienza, comprensione, accudimento, protezione, sicurezza, soddisfazione.

Siamo tutti figli unici.

Ma lo sguardo della madre non arriva dappertutto e, negli anfratti bui, si annidano i lupi.

Ho ripensato a mio padre vedendo questi lupi mostrare le loro zanne in televisione, pronti a sbranare e sbranarsi per difendere il loro diritto di figli unici. Deridere ogni principio di Legge Morale per difendere il proprio boccone. Senza passato e senza futuro, perché il desiderio (che è il fondamento del rapporto figlio-madre) vive in un eterno presente.

Li ho visti lasciar buttare i cadaveri in mare, mettere bambini - soli – in una cella, lasciare naufraghi alla deriva e chiedere di schedare i diversi.

Senza pietà, senza memoria.

E cosa gli hanno detto altre anime belle?

Accoglienza, comprensione, accudimento, solidarietà……

Soluzioni provvisorie, pannicelli caldi, abbracci ipocriti, attesa.

Nel frattempo facciamo il possibile, gestiamo l’emergenza (ci sarà sempre un’emergenza da gestire), si deve essere realisti, non si possono cambiare le cose. Una soluzione arriverà.

Non arriverà.

La soluzione bisogna inventarla, costruirla, farsene carico, assumersi la responsabilità di deciderne il senso.

Sognarla.

E vorrei sapere cosa ne pensa mio padre di ciò che ne ho fatto della sua eredità, dell’uomo che sono. Vorrei sapere come ha fatto lui, se anche lui – come me – aveva paura.

Ma, in fondo, non è questo che mi manca, alla fine le risposte a quelle domande le conosco.

Quello che mi manca, veramente, è di non avere mai potuto offrirgli il mio braccio. Dirgli “appoggiati, riposati, ora ci penso io”. Solo a me è toccato il destino d’invecchiare.

Perché è questo che c’è di innaturale nel nostro rapporto: io diventerò il più vecchio, ma lui sarà sempre il più grande.

Qualche giorno fa, il mio pulcino ne ha fatta una delle sue. Una delle solite. Una delle tante.

L’ho punito. Ho dovuto.

Sono stato inflessibile. Sordo ai suoi pianti, alle sue recriminazioni, alle sue proteste, alla sua rabbia.

Poi ho aspettato che venisse sera, che andasse a letto, che scivolasse nel sonno.

Mi sono seduto vicino a lui.

E l’ho soffocato di baci.

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editoriale di Bromike

So che assolutamente non sarebbe da scrivere in un editoriale ma spero che sia possibile, secondo le grandi tavole che illustrano le leggi del mondo DeBaseriano, festeggiare i miei primi 100 giorni su DeBaser

Ringrazio chi mi ha aiutato ad abituarmi ai modi di fare e di condividere elementi e opinioni sul "sito più fiko dell'internette"

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editoriale di macaco

Uno spazio grande, contadino ma moderno, sembra un capannone industriale aperto dove penso sia il mio posto nei prossimi giorni. Sandro e Stefano stanno armeggiando con pezzi meccanici vecchi ma con pittura nuova di un verde intenso, ne ignoro lo scopo, sono quasi spettatore.

Mi ritrovo in compagnia di Adriana in un vecchio borgo di un qualsiasi paesino di montagna, il tempo é piovoso e cade un nevischio insidioso per la mia moto, non siamo i soli, ci sono parecchi motociclisti tra i quali qualcuno che conosco. Preoccupato con la nostra sicurezza, cerco rifugio e chiedo ospitalitá ad una coppia di anziani che vive in una casa a forma di L con la gamba piú piccola della lettera puntata verso il cielo. La casa non há pareti interne, un´unica stanza dove trova posto un vecchio sofá di legno, la credenza e un focolare dove il vecchio si trova in piedi. Subito ci rifiuta ospitalitá, ma finisce accettando sotto il compenso di due euro. Sistemo la moto nella parte della stanza dove ci sono oggetti vecchi e la loro camera da letto. Percepisco che le uniche pareti esistenti sono quelle del fondo, la casa si trova aperta sulla piazza.

Sono in una stanza sporca aperta al vento e alla luce, con foglie di albero e di plastica. In mezzo indivui di un certo passato. Arriva la polizia, la reazione é debole, ho in mano un sacchetto rotto con polpa di tamarindo, in mezzo ci sono due pezzi di hashish, uno secco e l´altro malleabile. Il polizziotto guarda dentro e trova il pezzo piú duro. Lo porta via. Io prendo il pezzo piú morbido e me lo metto nelle mutande. Forse me ne vado.

Arriviamo in auto nella casa dove siamo stati invitati a pranzo da una coppia di amici dei miei genitori, c´é anche mia sorella anche se interpretata da un´altro essere e naturalmente i miei. La casa é molto simile a quella in cui ho vissuto tanti anni, compresa l´area esterna, stessi alberi, le case degli zii. Vedo mio cugino, non so chi l´abbia invitato, gli do la mano. Ci avviciniamo agli amici dei miei, in quella casa uguale alla loro e lo stupore per questa incredibile coincidenza continua a pervadermi. Lei é fatta di sembianze che non si possono ricordare, lui é fatto tale che non ci si puó dimenticare; porta una deficenza che gli fa tremare la mano in modo convulsivo e si presenta con un nome che é un numero e una lettera. Ci fanno accomodare in una sala dove regna una grande tavola ed un divano a forma di u che completa il perimetro della stanza. Hanno due o tre figli che danno l´impressione di essere dementi o ritardati, dicono qualche parolaccia poi se ne vanno. Rimaniamo in cinque e regna un silenzio totale, nessuno dice niente. Mi annoio, mia sorella piú di me ed é gia in giardino a passeggiare. Tiro fuori una rivista che posso aver trovato li anche se potrei averla comprata, nella pagina che sto esaminando c´é la foto del retro di un sistema elettronico, che potrebbe essere un amplificatore, guardo i numeri della leggenda e segno il percorso dei fili. Non mi sembra educato e la chiudo. La signora mi chiede se voglio un succo d´arancia, io rispondo gentilmente che volentieri l´accetterei. La signora non mi da niente, come se si fosse dimenticata. Noto poi un bicchiere di succo mezzo pieno, non só se fosse giá li o qualcuno lo abbia posto adesso. Esco di casa, sembra non si mangi mai e che il tempo si stia fermando, incontro mia sorella e uno dei figli loro ci viene incontro, ci dice che lavora mezza giornata e che guadagna cinquantamila euro l´anno e ne é felice, anche i suoi genitori ne vanno fieri.

macaco 09/03/2008

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editoriale di luludia

“In quelle contrade la neve è diabolicamente pura”, così Sergej...

Ecco, l'ossimoro è la più conturbante tra le figure retoriche e ha in sé una specie di assoluto, se non una spiegazione poetica dell'essere...

“Dagli opposti bellissima armonia”, “il sole nella pioggia”...

Oppure l'immediatezza yin e yang di un gatto nero e uno bianco acciambellati in una scatola...

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Ma come può la purezza essere diabolica? Non può infatti. La purezza è solo il più splendente fiore per l'ape...

Scivolando dal paesaggio al viso, possiamo dire che nulla come l'innocenza di certi occhi attira a sé, attraverso lo sguardo, la frustrazione e l'invidia degli altri...

E' il fenomeno noto col nome di affascino. Ovvero una sorta di fastidio inconscio che si trasferisce in un attimo da chi guarda a chi è guardato. Ed ecco allora intorpidimenti improvvisi, immotivati e subitanei attacchi di stanchezza. Sintomi che nel sud Italia certe donne fan sparire abbastanza velocemente grazie all'uso di particolari formule segrete...

Ognuno di noi, ogni tanto, può esserne vittima, ma alle persone particolarmente pure capita quasi quotidianamente...

L'affascino è comunque, il più delle volte, roba di poco conto. Il problema è quando l'invidia diventa pensiero fisso...

E, credetemi, è pieno di anime nere in grado di distruggerti col sorriso sulle labbra...

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La purezza però non mi riguarda, io ne sono ben lontano...

Niente pericoli per me. Non per la mia psiche, almeno. Anche se poi io son di quelli che si portano sfiga da soli...

E, ok, ogni tanto, mi capita di esser felice, e quindi più esposto del solito all'invidia altrui...

Certo, la felicità tende a fuggirsene da sola, però è anche vero, come dice il poeta, che “i pastori (ovvero gli amanti) muoiono pressapoco a causa del mondo”. Ma non è necessario essere così letterari. Basta pensare al blues.

Date un'occhiata ai testi di Robert Johnson...

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Poi, certo, capita di essere esposti perché si è in rapporti intimi con una persona particolarmente pura e allora i fantasmi avviluppano anche te...

Chissà poi perché purezza si accompagna sempre a fragilità?...

Tutte quelle persone che sembrano su una nuvola è proprio su una nuvola che dovrebbero stare....

Il posto di Beatrice è in paradiso...

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Ma come proteggere un cuore delicato? Quale armatura per la purezza e per la felicita?...

La religione ci offre quella cosuccia chiamata fede. O, addirittura, la divina provvidenza....

Francesco, ad esempio, proibiva di pensare al giorno dopo. E infatti perché farlo se Dio vede e provvede?...

Io però non sono cattolico manco per niente...

“Voi portate una croce, io una piuma”, diceva quel tale...

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“Prudenzia, senor”

“Prudenzia?”

“Si, gli dei ci braccano...”

“Si, certo...”

“Non ci credi?"

“Mica tanto...”

“Sarà che con te gli dei non si sporcano le mani...”

“Dici?”

“Dico, tu ti porti sfiga da solo...”

“Beh, in quanto a sfiga non mi batte nessuno...”

“Ma sfiga tua essere pensamento...”

“Pensamento?”

“Si, si, el pensamento...cabeza...cabeza loca...devi svuotarla, devi far pulizia....”

“E che cazzo Prudencio, ti metti a fare il mistico da quattro soldi!!!!”

“Quattro soldi son troppi senor, ne bastano due....”

OK...

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Prudencio era un folle, un folle assoluto...

“La puta...la puta senor...che la cabeza non è l'unica cosa da svuotare...”

“Che puta e puta Prudencio!!!!...l'amore piuttosto”

“No l'amore, la puta...”

OK

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“Quanto tempo?”

“Venti minuti, mezz'ora...”

“Soltanto”

“E quanto vuoi metterci?”

“Ah, ok...”

“Come preferisci? Cinquanta normale o settanta con coccole?”

“Settanta con coccole...”

Poi inizia a spogliarsi...

“No, guarda, ti spoglio io...”

Solo che tergiverso e si spoglia lei...

Vi risparmio i particolari, in ogni caso meglio una sega. Le coccole poi ve le raccomando...

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“Sta minchia Prudencio, la puta mi ha deluso...”

“E' che non eri tranquillo...”

“Hai ragion, non lo ero...e che cazzo, persino andare a puttane è complicato”...

“No senor, quello complicato sei tu”...

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E comunque era matto...

Una volta si mise a urlare...

“L'urlo è l'eiaculazione del cervello” disse al medico. Mai, mai dire una cosa simile a un medico...Mai...

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Sarà che il mondo è impuro, ma tra prudenzia e urlo di gioia non c'è contraddizione...

La felicità, lo abbiamo visto, è un isolotto sotto perenne minaccia di flagello (assalto di invidiose anime nere, schegge vudù di umana stronzaggine)...

Cedete all'urlo, ma subito dopo state attenti...

Proteggetevi, come più vi aggrada, ma proteggetevi....

Pregate, cantate, sputate per terra. Fate gli scongiuri...

Oppure ascoltate Lee Scratch Perry, lui sostiene di essere un demons killer. E credo proprio che abbia ragione...

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“Prudenzia Senor...”

“Ok...”

“A meno che non si abbia fede”...

“Tu hai fede, Prudencio?”

“No, senor...ed è un peccato...”

“E perché mai?”

“Senza fede la purezza è un sintomo psichiatrico, una specie di grazia fuori posto ..”

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E se provassimo ad avercela anche noi un po' di fede?

Mica in Dio, ma nella vita...

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E mi viene da piangere se penso che non sono riuscito a proteggere quell'essere delicato...

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editoriale di splinter

I recenti accadimenti in Champions League a Madrid che hanno portato la Juve fuori dall’Europa mi hanno risvegliato i sensi su cosa sia effettivamente un calcio di rigore e quale significato abbia realmente. Pur essendo milanista rientro fra quelli che sostengono che quello concesso al Real Madrid a tempo ormai scaduto sia un regalo vero e proprio.

Non entro nel merito dell’episodio in questione (mi limito a dire che Benatia mette appena una mano sulla spalla e poi salta toccando peraltro il pallone) ma espando il discorso ad un contesto molto più generale. Vediamo sempre gli arbitri dare un rigore alla minima spinta, la minima trattenuta, il minimo contatto, il minimo incrocio di gambe; e si sentono gli opinionisti in TV dare ragione all’arbitro dicendo “il contatto c’era”, “la trattenuta c’era”, “il mani c’era”, magari sostenendo l’esistenza di un “danno procurato” (espressione che nemmeno esiste nel regolamento calcistico); o se il rigore non viene concesso si sente tirar fuori le stesse motivazioni per sostenere che doveva essere concesso il rigore. Questo atteggiamento fa dimenticare il vero spirito del gioco del calcio e allo stesso modo il vero significato di “calcio di rigore”.

Riguardo allo spirito del gioco ci si dimentica una cosa: il calcio è un gioco fisico e di contatto e in quanto tale prevede trattenute, spinte, gambe che si toccano e quant’altro… Basta soltanto vedere le mischie in area di rigore su punizioni e soprattutto calci d’angolo, quante maglie che si estendono ogni volta, quante cinture, quante mani sulle spalle; dovremmo dare 30 rigori ogni partita? Sarebbe logico se le partite finissero 10-9 solo perché ci sono state dieci trattenute in area per parte? L’abilità di chi gioca il pallone consiste proprio nel saper vincere il contrasto superando proprio quella trattenuta, quella spintarella, quell’incrocio di gambe e di mani; fischiare al minimo contatto a favore dell’attaccante toglierebbe il bello del gioco del calcio, del riuscire a vincere il contrasto con le proprie forze; semplificherebbe troppo la vita a chi attacca e il calcio perderebbe quel senso di sfida che lo contraddistingue.

E poi ci dimentichiamo del significato della parola “rigore”; i dizionari accostano la parola rigore alla disciplina, alla severità, alla durezza, a qualcosa di serio e deciso; se l’hanno chiamato “calcio di rigore” vuol dire che si prefigge di punire qualcosa di grave, di palesemente scorretto, probabilmente anche di cattivo, una trattenuta plateale, uno sgambetto vero e proprio, un tocco col braccio chiaramente largo, una spallata di quelle fatte apposta per buttare giù; questo è quello che dovrebbero sempre avere in mente gli arbitri prima di fischiarne uno ma anche chi scrive il regolamento per evitare che gli arbitri si sentano ogni volta giustificati a concederne uno. E anche il fatto che l’area si chiami “area di rigore” può voler dire che se questi falli fuori area possono anche essere fischiati lì dentro invece bisogna prestare molta più cautela. Esiste l’istituto della punizione a due in area, un’idea potrebbe essere quella di estenderla ai falli che non mostrano particolare cattiveria, i cosiddetti “falletti”, oltre che alle fattispecie già previste dal regolamento.

Ma anche voi che commentate in TV, nei bar, in ufficio e ovunque, pensateci prima di inveire contro l’arbitro!

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editoriale di Bubi

Mi piace il bello, ma è un'illusione, è incantevole vedere mille gigli che sbocciano, ma non c'è partecipazione, è solo forma, e tutta questa bellezza non vale quanto il bacio di una persona innamorata.

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editoriale di sfascia carrozze

Non so se c'avete fatto caso, ma ogni regione del nostro scalcagnato stivale ospita luoghi e località musicalmente insospettabilmente DeGenerose.

Sì, ma in che senzo direte voi?

Per offuscarVi per benino le idee già di per se sconfuse dal logorio della vita moderna fornirò qualche plateale nonché esaustivo esempio di ciò che i miei lunghi studi han portato alla luce.

Ordunque, per cercare di analizzare il fenomeno sarebbe opportuno che ciascun_ sondi per benino quella che conosce (o dovrebbe conoscere) meglio.
E allora ecco a Voi la DeGenerosa e proto-nuragica Sardigna.

Allora aiò!

Se vi dicessi che il paese Doom per antonomasia della regione non può che essere Bauladu? Lo capiscono tutti che con questo nome non può che essere così (per estensione: Bauladoom).

A Pérdasdefogu troviamo del puro e bollente Hard Rock settantiano.

In quel di Palmas Arbòrea ci troviamo chiaramente in territorio Techno-Ambient.

Lei e Uri si contendonono lo scettro del Punk.

Perfugas e Trenuraghes quello del Thrash Metal.

Noragugume ovviamente è un concentrato di puro Giappo-Noise.

Escalaplano è ovviamente un borgo di chiara matrice Prog-Metal.

La affollatissima (più che altro di pecore) Soddì è chiaramente una metropoli street-rock: anche perché di strada ce n'è effettivamente solo una.

Santa Maria Coghinas è chiaramente l'anfratto più Cristian Rock di tutti.

Putifigari si capisce subito che è prettamente Foxcore alla L7.

Villanova Truschedu non può che essere un centro (centrino) dedito al desert-rock: anche perché ci vivono davvero in pochi (305).

E poi c'è Scano di Montiferro: puro Power Metal figlio di Thor, Odino o Megaloman.

Assolo non può che essere la patria per antonomasia degli sbrodolosi Guitar-Heroes: dicono che il sindaco sia Yingwie J. Malmsteen sotto mentite spoglie.

Non ultimo Urzulei che fa un po' genere a sè: son tutti seguaci di Orzowei o di Sampei a seconda dello schieramento politico.


Ecco:
la sfida è quella di scovare in quelle vostre inutili altre regioni in cui cercate di sopravvivere, i paeselli più FreeJazzPunkInglesi e farli metaforicamente incontrare in un epico incontro/scontro musico-geopolitico che ne lascerà in piedi solo uno e (si spera) ci farà sorridere tutti quanti.

Se però non vi piace il gioco perché sapete che avete già perso in partenza, ridatemi il supertele che me ne vado a casa.
E voi continuate a giocare con le pietre.
Rotolanti.

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editoriale di lupo92

Come fanno a vendere musica in Inghilterra? Prendono un qualsiasi gruppo di ragazzi nella classica formazione rock che non hanno ancora firmato per nessuna etichetta e lo fanno conoscere come la nuova speranza del rock britannico/oltremanica. Poco importa se sia originale e genuino finché sia bravo a mettersi in scena. E funziona davvero: Col bel viso e i look da “bad boy“, i ragazzi sembrano usciti da una rivista di moda e fanno impazzire le ragazzine. The Vaccines, The Kooks ed i Courteeners ne sono la miglior prova.

Nel caso di “The Sherlocks“ basta dire che sono una delle tante band a inseguire i gusti e trend del mercato. I quattro ragazzi sono cresciuti a Bolton, una piccola città deserta, si sono formati nel proprio garage e sono già vagati di pub in pub per farsi conoscere, seguendo sempre il sonno di fare il salto. E hanno proprio dei bei brani: La ballad “Turn the clock” si fa apprezzare per gli archi sullo sfondo e la sua melodia orecchiabile e facile da ricordare. Anche “Candlelight” ha degli archi e gira intorno al tema dell'amore perduto. Il tema onnipresente nell'album.

“Live for the moment”, la title-track del disco d'esordio, venne pubblicata già nel 2014, ma non ha perso niente dalla sua freschezza. “Escapades” va sul sicuro e ha una struttura da rock ballabile allo stile dei primi Arctic Monkeys. Anche “Blue” ricorda la band di Alex Turner in termine di tonalità e struttura.

Con “Was It Really Worth It?” invece ci troviamo di nuovo sulla pista ballabile. Questo pezzo vivace e rockeggiante mette la chitarra in primo piano

“Motions” comincia in modo promettente come ballad acustica, ma dopo mezzo minuto la band torna alla solita struttura pop radiofonica con dei fischi allo stile country rockabilly. Anche “Heart of Gold” è solamente un'altra versione del pastiche di sempre. Uno dei pochi brani riusciti è “Will You Be There” grazie alla sua sonorità cruda e avvolgente. Pur avenda la chitarra troppo dominante/intensa/forte, l'insieme della traccia è convincente e rende l'ascolto piacevole.

Ma il problema sono proprio le influenze. Ci sono tante referenze, l'una allineata all'altra, senza approfondire e mettersi al servizio delle canzoni.

Quindi tutto sembra troppo pulito, eclettico ed a tratti anche sterile. Sarà difficile per loro lasciare un'impronta più di superficiale nella scena rock. Non si può certamente negare il loro potenziale, gli serve ancora trovare una propria identità.

Tirando le somme, fanno bene a prendere sul serio il titolo dell'esordio, “Vive il momento”. La loro carriera sarà breve, quindi bisogna godersene ogni secondo invece di inseguire dei piani più ambiziosi, ciò che corrisponderebbe, a detta della band, a “Chasing Shadows” (correre dietro le ombre).

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editoriale di De...Marga...

Venerdì con la compilazione dell'atto notarile ho chiuso la vendita della casa dei miei genitori a Pieve Vergonte.

Perchè da diciotto anni risiedo sulle alture di Domodossola, ma in cuor mio resterò un Pievese per sempre.

Quella casa popolare che mio padre aveva comprato a prezzo irrisorio nei primi anni ottanta e che mi ha visto crescere.

Un capitolo importante della mia vita che si conclude; tristezza e felicità si sono per settimane rincorse.

E' stata dura, durissima vendere quel piccolo appartemento; ma troppe le spese da sostenere, troppi oneri, troppe incombenze.

E visto i miei ancora purtroppo persistenti problemi con il lavoro sono stato in qualche modo costretto a vendere, anzi a svendere alla fine.

Mercoledì ho portato via le ultime cose e per l'ultima volta sono salito, da solo, in casa. Sedendomi per l'ultima volta nel letto dei miei cari genitori; ed ho pianto a lungo.

Poi sono sceso in cantina, svuotandola dal numero incredibile di "cianfrusaglie" che mia madre ha conservato nell'arco di una vita.

Ed ho ritrovato una vecchia scatola in legno che odorava di vecchio, di antico. Conteneva centinaia di foto della mia gioventù; i miei parenti, le mie nonne, i cugini dell'Abruzzo. Gli amici, i compleanni, i pranzi per la Comunione e la Cresima. Quanti brividi, quante risate, quante emozioni mi sono passate davanti.

Poi mi è capitata la foto più bella...ed è stato devastante emotivamente parlando. Mamma e papà ritratti nei primi anni settanta; abbracciati, sorridenti, bellissimi ed ancora lontani dai dolori, dalle tribulazioni degli ultimi anni.

Ho portato la foto con me dal notaio, tenendola nel taschino della camicia vicino al cuore, mentre firmavo la cessione della casa di Pieve Vergonte. Mi ha dato forza.

Ed infine, rientrato a casa nella mia borgata, ho mostrato la foto a mia figlia Elisa che più o meno ha detto così: "Caspita papà assomigli tantissimo al nonno". Ed è verissimo caro il mio Diamante Grezzo.

Ho scritto queste poche righe con sottofondo musicale "Making Movies" dei Dire Straits; il mio primo amore musicale che così tante volte avevo ascoltato in quella piccola casa popolare.

La mia vita, la mia Musica.

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editoriale di 666cosasei

Quando penso alla versione più bella che posso immaginare di me stessa penso alla trasposizione esteriore di quello che ho dentro. La cesura fra quello che vedo e quello che sento viene colmata, e la mia apparenza è uno specchio che mostra. Cosa mostra? Dolore. Un dolore come quello che si può provare davanti ad un quadro o un film, che ti fa piangere tanto per la tristezza che ti trasmette quanto per la sua innegabile bellezza. Per me non c’è bellezza senza tristezza, ma il problema è che la tristezza non è sempre collegata alla bellezza. Il fatto è che io sono la prima vittima di questo stereotipo e quando cerco di comunicare la tristezza, e il dolore, penso a delle categorie predefinite perché la forma di comunicazione che mi affascina di più è quella delle immagini, e le immagini si scontrano con la loro stessa natura per poter comunicare qualcosa che vada oltre l’apparenza. Mi chiedo come possa il mio aspetto esteriore trasmettere quello che provo, e far sì che il mio dolore sia la mia bellezza, e perché un corpo brutto sia condannato a non poter esprimere quel che prova e renderlo bello, poetico. Un corpo brutto è una tavolozza senza colori, un urlo muto, libro chiuso, una forza di gravità inesorabile che ti ributta a terra, nella terra, nella merda, nella consapevolezza di quello che sei e se c’è altro non lo vedi, perché quello che vedi ti ingloba, quello che vedi fa schifo, quello che vedi è lontano da quello che immagini, lo specchio che volevi essere funziona al contrario, e quello che vedi dentro di te è solo il riflesso di quello che sei fuori.

Probabilmente il mio desiderio di essere bella è la causa dello stereotipo secondo cui il dolore può essere comunicato solo attraverso una forma esteticamente adeguata. E per giustificare il mio banale desiderio cerco di mascherare la bellezza da qualcosa di più, una forma di comunicazione estetica, un mezzo per comunicare me stessa, quando magari alla fine non c’è niente da dire. C’è dolore senza bellezza e bellezza senza dolore. E il dolore è banale, la tristezza è banale. E’ la protagonista di tutte le opere d’arte, i libri, le poesie, e affascina sempre come se ogni volta fosse nuova e comunicata con parole diverse: proviamo tutti un dolore diverso o alla fine quel dolore è sempre lo stesso? Tendiamo tutti a poeticizzare il dolore, a unirlo a qualcosa di letterario, intenso, profondo, ma il dolore è banale come è banale essere tristi e infelici, e per di più è noioso. E nonostante questo chiede di essere riconosciuto, accettato, esternato: se non posso essere felice, allora almeno fa che io sia interessante. Fa che il mio dolore sia più bello di quello degli altri, che mi renda una persona più bella. Ma il dolore non rende nessuno migliore se lo usa come arma, aumenta solo la sensazione di rabbia e frustrazione, perché ti fa credere di meritare di più per il semplice fatto che lui è lì con te. Io penso sempre che meriterei di essere bella, ma questo probabilmente mi renderebbe meno triste, e non avrebbe giustificazione allora.

Bellezza e dolore hanno molte cose in comune: sono realmente incomunicabili, sono ingiustificati, tuttavia hanno bisogno di essere esternati e giustificati, e pensano di renderti una persona migliore. A livelli diversi sono fondamentali nell’immaginario collettivo ed hanno svariate forme di rappresentazione, che tendono spesso all'esagerazione, Sofferenza e bellezza sono delle ottime muse e, come delle muse, da sole non bastano per creare una poesia. (Sono una persona terribilmente triste e non sono nemmeno un artista, Dio devi proprio odiarmi vero?)

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editoriale di zaireeka

Immagino che molti abbiano letto sui giornali e visto in tv il racconto e le immagini di quanto successo nell’ormai famoso bar della Romanina, nella scorsa domenica di Pasqua.

Io sono fra quelli, e voglio dire quello che penso, per cui sarò, insolitamente, molto diretto, molto poco lirico e non poco prosaico.

Ecco quello che farei:

1) Leverei la cittadinanza italiana a tutti i responsabili del pestaggio nel bar (pare appartenenti al nobile clan dei Casamonica e Associati)
2) In quanto non più cittadini italiani li trasporterei con un elicottero in mezzo al mare giusto per buttarli sopra uno di quei barconi della speranza che navigano spesso in acque tempestose a metà strada fra la costa libica e quella italiana
3) Alla maniera di L’arancia Meccanica di Kubrick metterei loro degli apparecchi agli occhi in modo tale che li debbano tenere bene aperti per ben rendersi conto della drammaticità della situazione (per la musica di sottofondo fate voi..)
4) Dopo averli fatti ambientare, al loro posto sceglierei un ugual numero fra quei disperati, invalidi e bambini preferibilmente, da portare ed accogliere in Italia al posto loro
5) Alla fine, non meno importante, continuerei ad insistere nei confronti dell’Europa sulla necessità di condividere e continuare nelle operazioni di soccorso umanitario dei migranti nel mediterraneo e non solo.
6) Al contempo però metterei una clausola alla suddetta richiesta: se alle vostre coste o ai vostri confini doveste vedere arrivare dei tipi dalla carnagione meno scura degli altri e dall’accento non proprio africano, mandateli pure direttamente da Orbán.

Il prossimo governo, quando ci sarà, se ci sarà, tecnico o di qualunque colore politico sia, e’ avvisato.

Ne tenga per favore conto.

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editoriale di CosmicJocker

Voglio voglio voglio vorrei avere l' Erba Voglio ma non solo per me vorrei che tutti avessero l' Erba Voglio o in mancanza di questa vorrei dell'erba sì voglio dell' erba ma non solo per me la vorrei per tutti voglio voglio voglio non essere qui e non voglio esserlo ora vorrei piuttosto scopare stasera ma la vedo grama perché la mia donna non vuole e allora voglio almeno che questo dente mi lasci in pace cazzo voglio un' otturazione come si deve ma non voglio pagarla con troppo sangue voglio voglio voglio che sul DeB si parli di più di musica elettronica e dilatazioni esistenziali voglio che Buzz ritorni e voglio parlare di poesia violenza e pestilenza voglio voglio voglio bere e dimenticare che voglio e lo voglio troppo per cui un altro bicchiere per dimenticare che voglio voglio voglio ma in realtà voglio solo ricordare ricordare che voglio voglio e ancora voglio

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editoriale di Pinhead

È il titolo di una canzone.

"Più di mille", intendo.

Dice del morire di lavoro.

Ci penso spesso, dalla prima volta che l'ho ascoltata.

Immancabilmente il primo maggio.

In piazza San Giovanni a Roma ci sona artisti impegnati a suonare; nel primo pomeriggio, le nuove leve; quelli affermati, da quando calano le prime ombre; gli uni e gli altri mi appaiono superficialmente coinvolti nelle "questioni" del lavoro, pur essendo lavoratori anche loro.

Nella "mia" amata Taranto c'è gente che suona; meno visibile, ma temo che la sostanza sia analoga.

Forse perché ci sono lavori e lavori.

Forse perché ci sono modi e modi di dire di chi muore di lavoro.

Forse per questo il primo maggio non suona mai "Più di mille".

Per non rovinare la festa.

A me che, per "lavoro", tocca quotidianamente coinvolgere e sensibilizzare con la dignità e la funzione sociale del lavoro, la legislazione sulla sicurezza, la previdenza e l'assistenza, la festa l'hanno rovinata e non ci credo più.

Non so chi l'abbia rovinata e perché sia andata cosi.

Ma è andata.

Come per la festa delle donne, quella del papà e quella della mamma, il compleanno.

Come per il volontariato e la beneficenza, l'otto e il cinque per mille.

Sia cone sia, il primo maggio non suona mai "Più di mille".

Che dice così.

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"Odio chi non ha più dignità

E si traveste per campare e non si batte e si lascia andare

Odio chi non sa da che parte sta

E dice "Sarà sempre uguale, io sto da parte" e ci lascia andare a fondo

E odio te che alzi il pugno e gridi Pace, Giustizia e Libertà!

Se non sai cos'è lavorare duro con i diritti vicini appena al culo

Chi non c'è non sa una vita in tuta quanto schifo fa

Le ossa rotte e la gola in fiamme e il nostro sogno che non arriva mai

Siamo in tanti tra vernice, calce e fuoco e i veleni della borghesia

Io sputo a terra, sputo sangue, questa vita non è più mia

Perchè anche un sogno ha le sue piaghe che non guariranno più

Perchè anche un sogno ha il suo colore che si spenge sempre più

E tu guardi la tua vita consumarsi sempre più

Ma i compagni dove sono, c'è chi muore di lavoro

Le parole sono vento e non ci bastano più

C'è chi muore tra il silenzio e tu compagno dove sei?

Dove sono i compagni che possono fermare quelle mani assassine?

Il solo rosso è il sangue dei caduti, la sola rabbia è quella delle madri"

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Buon primo maggio, a chi fa "festa".

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editoriale di splinter

Premesso: questo non è il mio modo di considerare le persone, per me non esistono sfigati e non, io tratto tutti, per quanto possibile, allo stesso modo, qui si tratta solo di riportare la realtà dei fatti, forse con un’aria quasi da poeta maledetto, su come viene trattato lo “sfigato”, anzi, qui si cela anche una velata denuncia. Pure io ho sempre avuto la convinzione di avere la “faccia da sfigato” con tutto ciò che esso comporta e ho spesso notato su di me molti dei comportamenti di seguito descritti, quindi parlo anche da “vittima” del fenomeno.

Ma veniamo al dunque. Sono qui per evidenziare una triste verità: se la tua faccia, la tua fisionomia, il tuo portamento e la tua voce sono quelli tipici di uno sfigato devi metterti in testa che nella vita non avrai molta fortuna con gli amici, con le ragazze, nel lavoro e in generale nelle relazioni sociali. E non esiste un esempio pratico di “faccia da sfigato”, non è possibile delinearne le “caratteristiche tipiche”, semplicemente vedi uno e pensi “questo è uno sfigato”, un po’ come quando guardi una ragazza e pensi “questa ispira sesso” senza riuscire a spiegare cos’ha in faccia di così attraente, stesso meccanismo, una condizione congenita e praticamente irreversibile.

La difficoltà partirà sin dall’infanzia, negli anni della scuola, dove verrai preso in giro dai compagni e potrai subire scherzi bastardi, costringendo i tuoi genitori ad intervenire e parlare del fenomeno con gli insegnanti. E la cosa si verificherà con maggior ferocia negli anni delle medie e delle superiori, gli anni probabilmente più bastardi e stupidi del comportamento umano, gli anni del “o sei così o sei tagliato fuori”, e tu finirai tagliato fuori perché non sei “così”. Potrebbero essere tremendi gli intervalli in corridoio e non è da escludere che pure girando per le strade del tuo paesino o sui mezzi pubblici troverai gruppetti di ragazzi che notando il tuo aspetto ti daranno fastidio.

La cosa però proseguirà, anche se con meno ferocia, per il resto della tua vita. Vediamo come.

La tua natura poco interessante, se non per qualche sparlata da bar alle spalle ogni tanto, farà in modo che difficilmente le persone saranno invogliate a trascinarti in un gruppo di discussione, partecipazione o avventure; ci proverai tu inserendoti a forza ma quanto cercherai di parlare non ti ascolteranno fino in fondo e perfino ti interromperanno, mentre rare saranno le volte che verrai interpellato o in cui attaccheranno bottone con te, capiterà spesso che le uniche volte che lo faranno sarà per deriderti o raccontarti frottole pensando che tu sia così ingenuo da cascarci, mentre invece te ne accorgi benissimo e risponderai incazzandoti (fenomeno quest’ultimo più limitato all’età scolare); le tue idee non verranno mai ascoltate fino in fondo e i tuoi tentativi di sembrare simpatico ti faranno risultare addirittura ridicolo, le tue battute non faranno mai ridere, ma anche battute che fatte tali e quali dai migliori comici sulla piazza farebbero ridere. La tua presenza il venerdì e sabato sera poi sembrerà nelle loro menti perfino utopia, il tuo sabato pomeriggio sarà spesso un giro a vuoto di chiamate a destra e manca verso gente che per non rispondere “tu non vieni” cercherà scuse improbabili (sempre pensando che tu sia ingenuo), ne passerai di sabati a casa con qualche bottiglia di vodka in mano… Sarai poi il principale bersaglio su cui scaricare le colpe di determinati accadimenti e ogni errore o manchevolezza te la faranno pesare come un macigno.

Per non parlare poi del rapporto con le ragazze. Ogni tentativo di sembrare carino ed affettuoso con loro verrà visto come un comportamento invadente o persino buffo e faranno di tutto per evitare la tua presenza. Se provi ad abbracciarle loro reagiranno con freddezza o addirittura tenteranno di svincolarsene, come se per loro tu non potessi avere un cuore e un affetto da dimostrare o addirittura avessi il colera; perfino darti un bacio sulla guancia solo per salutare loro potrebbero trovarlo strano, come se tu non fossi da trattare come una persona normale. Scherzeranno con tutti al di fuori di te e non dar retta a Celentano, non è perché piaci ma semplicemente perché ti reputano sfigato. Se poi ci provi addio, sei perfino uno stalker o un maniaco sessuale. Emblematici saranno i tuoi pomeriggi nelle discoteche da ragazzino: vedrai i tuoi compagni d’avventura (i pochi che sarai riuscito a trovare, magari nemmeno amici, solo dei P.R. che ti sfruttano per avere qualcuno da far entrare a loro nome) slinguarsene a decine ogni pomeriggio e tu tornare costantemente a casa a mani vuote.

Vita dura anche sui social network, dove accetteranno per pietà la tua amicizia ma si cagheranno a malapena i tuoi post e non risponderanno ai tuoi messaggi e commenti.

A più riprese tu proverai, anche alzando la voce di parecchio, a lamentarti e a denunciare la tua situazione ma verrai liquidato sempre con robe del tipo “ma noooo, non è vero, non ti prendiamo in giro, noi scherziamo”, “ma noooo noi ti vogliamo bene”, mentre alle spalle te ne dicono di tutti i colori, “ma sempre la vittima fa quello lì, che paaaalle”. Ciò ti renderà sempre più ridicolo e sempre più solo, perché lo sappiamo che la gente è crudelmente indifferente alla mancanza di affetto, chiedere un po’ d’affetto è come chiedere l’elemosina, è inutile negarlo.

Da non trascurare il fatto che altra gente che magari a primo impatto non vede in te la persona da maltrattare e deridere lo farà poi vedendolo fare agli altri, sappiamo benissimo come la gente si lascia influenzare dal giudizio altrui su qualsiasi cosa; è un po’ lo stesso discorso di quando le ragazze vanno dietro ad uno che ha già un sacco di donne accanto proprio perché lo vedono con tante donne e si autoconvincono che sia attraente, in questo caso invece si autoconvincono che tu sia sfigato perché si fidano del giudizio altrui.

C’è però anche da dire che esiste anche un altro tipo di sfigato, ovvero quello che non lo è di natura ma che indossa una maschera che per la gente è da sfigato; questo fenomeno si verifica maggiormente nei confronti di chi si atteggia in modo diverso dalla collettività, specialmente negli anni trascorsi a scuola, come ad esempio rinunciando a look alla moda, ripudiando la musica del momento o in generale pensandola in modo anticonformista su diverse cose. Quante volte lo sfigato della classe è il metallaro che si isola quando mettono i rapper del momento a tutto volume…?! Forse può darsi che a rendere la persona sfigata sia proprio questo snobismo ma i tentativi di normalizzazione della persona non vanno poi così tanto a buon fine, anzi a volte rendono la persona ancora più ridicola, come se gli altri notassero che la persona lo sta facendo apposta per emergere e non vorrebbero darle la soddisfazione di sentirsi realizzata.

Tornando invece allo sfigato di natura… anche nel mondo del lavoro le cose potrebbero non andare meglio: chissà quanti selezionatori noteranno il tuo strano aspetto e se ne guarderanno bene dallo scegliere proprio te…

Riepilogando, in poche parole: se sei sfigato sei sfottuto! Sei come un personaggio del Ciclo dei Vinti di Giovanni Verga, che deve accettare la propria condizione e non conviene nemmeno provare ad emergere perché si rischia soltanto di fare l’effetto contrario. C’est la vie!

Tuttavia spero che questa sia solo una mia visione eccessivamente pessimistica della realtà, raccontata peraltro con un tono un tantino sopra le righe e come se ciascuna di queste delusioni fosse certa; nessuno dovrebbe mai vivere una situazione simile anche se il mondo, lo sappiamo, è di una cattiveria paurosa.

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editoriale di Stanlio

D - Potrebbe essere una recensione su un brano musicale composto dal tastierista Richard Wright?

R - Potrebbe!

D - Potrebbe essere una recensione su un libro di Albert Camus?

R - Anche!

D - Potrebbe essere un altro editoriale sulle note?

R - Perché no?

D - Potrebbe essere tutto riconducibile ad un mito greco ( Σ ί σ υ φ ο ς ) ?

R - E cosa non lo è?

D - Potrebbe essere un pot-pourri di tutto questo ed altro?

R - Sì!

Ok, procediamo per ordine, ho appena terminato (ieri) di leggere sul mio kindle “Lo straniero” un classico dell'assurdo coevo del Il mito di Sisifo” (dello stesso autore scrittore, filosofo, saggista, drammaturgo ed attivista francese) nel retro di casa seduto su uno sgabello di plastica bianca mentre dal cielo plumbeo scendono minuscole gocce di pioggia intrisa di sabbia che in breve ricopre i vetri della mia panda color vainiglia e lo schermo del ebook reader di macchie biancastre che mi tocca ripulire ogni 5 minuti col palmo della destra spegnendo previamente il kindle per poi riaccenderlo... e come sottofondo non ci sarebbe stata male la suite di 13:28 “Sisyphus” di cui ho letto poc'anzi ed inserita nell’album “Ummagumma” del ’69, dove il tastierista pinkfloydiano riprende il mito di Sisifo che spinge una roccia su una collina scoscesa nell'Ade, Sysyphus Part I è una sorta di introduzione, apre il disco portando subito le atmosfere su toni solenni, quasi funebri, ecco ***4 sono i cambiamenti del brano, che si mantiene su una rigida struttura ritmico/melodica, scandita da un martellamento di timpani, di 4/4 (i primi 12 secondi vedono la seguente successione in tonalità di Re minore: Re, Re#, Do, Re, La, La#, Sol, Do#, Re e nei successivi 12 secondi la tonalità cambia in Fa maggiore: Fa, Do, Re, La#, Do, Sol#, Sol, mentre da 0:24 a 0:36 si ripete la successione melodica dei primi 12 secondi per poi riprendere la tonalità in Fa maggiore fino a 0:50 e si dilunga in un crescendo di cembali tenendo inalterata l'ultima nota, il Sol, negli ultimi 18 secondi si riprende la prima serie in cui l’ultima nota, il Re, si allaccia alla composizione successiva, Sysyphus Part II) e per quanto riguarda le note, tralasciando Sysyphus Part II e Sysyphus Part III, segnalerei quella che si avvicina al breve romanzo “L'Étranger” (diviso in due parti da Albert Camus), proprio quella Sysyphus Part IV che proietta la seconda metà del brano dal lato più lucente ad un lato più oscuro, essendo da 4:24 sviluppata su degli accordi dissonanti di organo, ai quali vengono sovrapposte brevi scale cromatiche ascendenti a varie velocità e violenti accordi disarmonici di pianoforte, in un clima progressivamente più saturo ed estremo, mentre da 5:24 comincia a delinearsi nuovamente il tema principale di Sysyphus Part I (descritto prima) che si libera definitivamente dei rumorismi a 5:54, quando, in maniera più solenne e con il tempo più rallentato, si pone come tema finale.

***(ehm, devo ammettere che nonostante abbia studiacchiato in passato teoria e solfeggio per chitarra e nonostante l’editoriale “12 note” di ygmarchi2 non ho afferrato tutto della descrizione di “Sysyphus” trovata su wikipedia e qui sintetizzata)

E niente ma se vi capita leggetevillo sto libriccino e ascoltatevillo l’album dei Pink Floyd, per le note musicali e i miti greci fate un po’ Voi… ma sapevatelo che questo editoriale dovrebbe proseguire espletando la sua funzione nel descrivere almeno in parte sia il mito del figlio di Eolo che il breve romanzo concernente l’assurdo “Lo straniero”, sia la dinamica delle note con le proprie dissonanze che il pezzo in “Ummagumma” firmato dal compianto Richard Wright ma arbitrariamente terminerà adesso con una delle frasi che mi paiono meno emblematiche ma che nel dal libro mi han colpito restandomi impressa fino ad ora, scrive Camus descrivendo un prete non richiesto che irrompe nella cella del protagonista e con cui si azzuffa: “Aveva l’aria così sicura, vero? Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna.

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editoriale di CosmicJocker

Camminando e rimuginando, progettando e camminando;

Passo dopo passo... Capita a tutti.

Ci trattengono i fili del passato (che sia prossimo o remoto cosa importa?).

Ci tormenta il viso del futuro.

Passo dopo passo... Fino a che..

SBRUASHH!

Eccoci lì: intrisi del suo tanfo, inzaccherati dai suoi sbafi sotto la suola.

Però siamo lì: i fili sono spezzati, il viso è dimenticato.. Siamo lì, presenti nel presente!

Epifania joyciana, paradigma del Momento, sguardo di Medusa del verbo essere.

Siamo semplicemente lì.

Ascoltiamo il nostro respiro, nutriamoci (senza soffermarci) delle immagini e delle energie, calpestiamo cacche.

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