editoriale di mrbluesky

Ho un ragno in casa

se ne stà li da mesi

Certamente da quest'estate quando le finestre erano sempre aperte,eppure lui non se n'è mai andato

Non è uno di quelli schifosi e corpulenti,se no lo avrei gia spiaccicato,no!

Ha tante zampette lunghe e sottili,quasi trasparenti,a dir la verità non mi fa nemmeno tanto schifo

Se ne sta li fermo in un angolo,a volte per giorni e giorni,fino a quando non si stufa e decide di spostarsi da un altra parte

L'altro giorno osservandolo pensavo:ma cosa mangia? di che cosa vive?

Già perche lui non fa la tela e comunque non catturerebbe nulla stando dentro casa mia

Eppure la libertà è li a due passi

A volte mi sento un po come quel ragno

Ma tanto uno di questi giorni lo farò a pezzettini

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editoriale di zaireeka

Oggi sono stato, come ogni sabato, al cimitero a trovare mio padre e mia madre.

Forse sono ancora uno dei pochi che ci crede, era una nevrosi collettiva, ora forse è solo mia e di pochi altri, a giudicare dalla poca gente (viva) che si vede in giro.

All’uscita ho trovato un tipo con cui ho avuto a che fare tempo fa per faccende sempre legate a mio padre e mia madre ora che sono qui, in questo posto.

Era depresso, si lamentava dell’Italia, così ha esordito, tanto per essere originale.

Poi ho capito subito perché.

Tempo fa un altro addetto mi aveva raccontato di come non ci sia più il due novembre di un tempo.

Con traffico nei pressi del cimitero e ai banchi dei fiorai.

Che ormai le inumazioni sono una cosa che sta passando di moda, le sepolture diminuiscono, e quindi i visitatori del cimitero.

Nell’era materialista in cui l’uomo non è altro che il suo corpo e l’anima non esiste, il suo corpo ha perso qualunque valore.

Tutti vogliono essere cremati.

Un’urna cineraria da tenere a casa, accanto al televisore.

Niente più viali alberati con pietre marmoree con sopra foto e nomi di sconosciuti, da osservare, da leggere, da incontrare, sempre quelli, per abitudine una volta a settimana, una volta al mese, una volta all’anno, che divengono familiari pur rimanendo estranei come succede con i vivi nella vita reale, su cui immaginare storie aiutati dagli epitaffi, come Totò o Edgar Lee Masters.

Niente più la voglia ed il bisogno per i congiunti di lasciare alla memoria degli altri un’immagine, anche se solo di un umile netturbino, su cui mettere un fiore, passeggiando su un viale alberato.

Niente più il bisogno di scrivere il ricordo di un amore perduto su una lapide in un campo fiorito sotto i raggi del sole e gli occhi degli altri.

L’ultima vittima di Internet.

Era lasciare una traccia del nostro passaggio e di quello dei nostri cari, sul suolo terrestre, sotto gli occhi di tutti, uno dei più intimi bisogni umani, in attesa del giorno del giudizio dell’Altissimo e della resurrezione dei morti dalle loro tombe.

Ora non più.

“Ed il giorno del giudizio l’ultimo Internauta prenderà le migliori nostre vite prese dal web e da whatsap, ci scriverà un romanzo pieno di citazioni, e il mondo avrà un nuovo inizio”.

La nuova resurrezione dei morti.

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editoriale di sotomayor

Dopo aver letto una recensione su questo sito relativamente l'ultima pubblicazione de gli Stone Temple Pilots, incuriosito dai suoi contenuti e sulla discussione che è seguita, mi sono documentato brevemente sul conto di questo gruppo che conosco ma che non ha mai storicamente fatto parte dei miei ascolti. In particolare ovviamente più che sui contenuti della loro musica, mi sono interessato alle vicende che hanno riguardato i diversi cambi di line-up dal 2015 ad oggi e che hanno scatenato una specie di dibattito in merito alle scelte operate dal nucleo storico de gli STP composto dai fratelli DeLeo e il batterista Eric Kretz. Fatti che proverò a commentare dalla posizione privilegiata di non essere uno storico ascoltatore della band e quindi pertanto privo di qualsiasi tipo di coinvolgimento emotivo relativamente i fatti.

I fatti sono che nel 2015 Scott Weiland, che morirà alla fine di quell'anno mentre è un tour con la sua nuova band, veniva praticamente 'licenziato' dagli altri componenti della band, che peraltro vincevano anche una causa nei suoi confronti relativa alcuni diritti come l'utilizzo del nome. Contemporaneamente lo sostituiscono, in via provvisoria, con il frontman dei Linkin Park, Chester Bennington e poi, recentemente, con Jeff Gutt.

Nel commentare la vicenda trascurerei, se possibile, tutta la parte relativa la question dei diritti. I cosiddetti aspetti legali. Non che questi abbiano un carattere secondario ma non incidono in ogni caso (se non in maniera negativa) su possibili riflessioni relative le scelte del gruppo in merito alla posizione di Scott Weiland e l'opportunità di continuare il progetto STP senza la sua presenza.

Non considererei altresì ogni possibile giudizio su Jeff Gutt che mi sembra di capire sia emerso come concorrente di un programma televisivo, qualche cosa che come tale sicuramente lo marchia in maniera negativa e indelebile presso i fan storici e più duri e puri della band.

Mi concentrerei invero solo su se e come valutare la scelta di portare avanti il progetto STP senza un elemento fondamentale come Scott Weiland e dopo la sua morte, consdierando che questi abbia contribuito in maniera pesante alla storia della band (più o meno di altri non lo so, ma non è rilevante) e che comunque di questa egli costituiva in qualche maniera il simbolo, perché era sempre e comunque il frontman di una band sicuramente popolare (penso di non sbaglaire se dico che gli STP siano una band che abbia un rapporto forte, praticamente viscerale con il proprio pubblico) e in cui il seguito in qualche maniera si identifica perché immediatamente riconoscibile in maniera simbolica e anche se vogliamo 'iconografica'.

Adesso la storia della musica è piena di esempi di situazioni che possono essere comparate a questa che menzionarle tutte è impossibile. Faccio tre esempi.

1. Brian Jones. Il suo contributo alla nascita e al suono dei Rolling Stones fu determinante. Eppure egli fu di fatto licenziato da Mick Jagger e Keith Richards. Poco dopo morì in circostanze mai del tutto chiarite. Con un certo cinismo gli Stones ritornano praticamente mai su questa questione che pure costituisce uno dei tanti motivi di critica (inevitabile) alla band più grande della storia del rock and roll.

2. Ian Curtis. Dopo il suo decesso Bernie e gli altri decidono di continuare comunque a suonare assieme e con Gillian Gilbert danno vita ai New Order, che via via si distaccheranno dal sound tipico dei Joy Division, facendo la storia della musica britannica negli anni ottanta. Anche loro hanno ricevuto comunque delle critiche negli anni: per avere continuato; per avere cambiato sound. Non hanno suonato le canzoni dei Joy Division per molti anni prima di ricominciare a farlo. Poi dopo che Bernie ha rotto con Peter Hook abbiamo adesso una ulteriore situazione di contrasto e che richiama le critiche dei fan storici del gruppo (oppure dei gruppi...) e in cui i New Order senza Peter Hook e questi da solo continuano a suonare sia le canzoni del repertorio Joy Division che quelle dei New Order.

3. Andrew Wood. Al suo decesso Stone Gossard e Jeff Ament sciolgono i Mother Love Bone e ricominciano da zero con i Pearl Jam.

A questo punto secondo me, senza andare ulteriormente avanti nella rappresentazione dei fatti, ci dobbiamo fare due domande fondamentali.

La prima domanda è: perché gli Stone Temple Pilots abbiano deciso di continuare a suonare e ritenuto di farlo continuando a adoperare lo stesso nome e senza fondare da zero un nuovo progetto.

Da una parte, è evidente, si potrebbero menzionare quelle che sono ragioni di opportunità a livello di visibilità e sul piano commerciale; dall'altra però, perché no, si potrebbe richiamare anche il forte legame emotivo a una storia o a una pagina di storia che evidentemetne non considerano chiusa nonostante la morte di Weiland. Quest'ultimo è un punto di vista che si può condividere oppure no. Considerare più o meno discutibile. Però, chi lo sa, immagino che come ci siano dei fan contrari al prosieguo di questa storia, ce ne siano anche altri che invece siano contenti di poter ancora vedere dal vivoo suonare gli STP.

La seconda domanda è tuttavia più importante e non riguarda tanto chi possa dire che cosa sia giusto o sbagliato fare in questi casi, ma fino a che punto le decisioni di questo tipo riguardino solo direttamente i membri del gruppo e non una 'comunità' più ampia e che comprenda anche i fan storici della band. Certo, sul piano della autodeterminazione e rivendicazione alla propria libertà personale (sacrosanta) e in termini puramente legali è ovvio che i fratelli DeLeo e Eric Kretz possano e debbano (tanto più dopo aver vinto una disputa giudiziaria) fare delle scelte in piena autonomia e secondo quello che è il loro sentire. Ma sul piano invece diciamo etico e morale, sul piano puramente emozionale, gli ascoltatori e i fan della band dovrebbero avere anche loro un ruolo in questa cosa oppure no? E se la risposta è 'Sì': in che misura?

Penso che rispondere in maniera netta a questa domanda sia difficile. Non riesco personalmente a quantificare quanto questa cosa possa essere rilevante, ma questo non c'entra niente con il caso specifico. Penso che quando fai della musica tu lo faccia per entrare in comunione con i tuoi ascoltatori e che quindi questi abbiano un ruolo fondamentale in quello che fai. D'altro canto questo può succedere se e solo se tu fai quello che senti di voler fare. Voglio dire che se uno suona tanto perché sia costretto a farlo alla fine te ne accorgi e in questo senso sarebbe forse o tendenzioso oppure fallace sostenere che ci siano esclusivamente ragioni di convenienza nel portare avanti questo progetto. Giudicare da fuori se sia moralmente giusto o sbagliato continuare dopo la morte di Weiland del resto non è possibile. Giudicare se invece questa cosa abbia 'storicamente' un senso può essere possibile, ma qui il giudizio di ciascuno è individuale tanto quanto quello dei diretti interessati.

Quanto ci appartengono veramente i presonaggi pubblici del mondo della musica e dello spettacolo. Persino della politica. Ma soprattutto, mi domando, se questi non facessero comunque delle scelte, come potrebbero essere definiti e considerati come tali. In qualche modo sono proprio le loro scelte e le loro decisioni e le reazioni del pubblico a tenere in piedi questo legame tra la band e i suoi ascoltatori in quello che si traduce in un vero e proprio show. Questo nel caso di una band conta tanto quanto i contenuti delle loro canzoni e un ascoltatore penso possa giudicare se le loro scelte siano più o meno giuste tanto quanto possa considerare se le sue canzoni siano più o meno buone. Perché funziona così: queste sono le regole del gioco.

Ma questo penso che gli STP lo sappiano benissimo. Lo sapeva anche Scott Weiland. La domanda è se noi che assistiamo a questo 'spettacolo' facendone comunque parte, siamo più o meno consapevoli di questa cosa. Forse, per quanto una scelta come questa ci possa in qualche modo toccare profondamente (perché no), la cosa più giusta è comunque relativizzare i fatti e considerarli nella loro giusta dimensione. Avere sostituito Scott Weiland con un nuovo cantante non è esattamente come profanare una tomba. Nessuno infatti in ogni caso ti potrà togliere quello che è il tuo vissuto e quelle che sono le emozioni che una certa musica ti ha dato e che potrà continuare a darti ieri come oggi ogni volta che la ascolterai.

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editoriale di lector

Non era mia intenzione distruggere l’equilibrio del giorno, in un luogo – oltretutto – dove non ero mai stato felice. E quelli battuti alla porta della sventura, sono stati ben più di quattro colpi secchi.

E’ che stamani mi sono svegliato dopo un sonno agitato ed ero trasformato.

Un enorme insetto splendente senza mele nel fianco, un immondo angelo della vendetta.

E poi è arrivata la nausea.

Perché, vedi, se nulla ha senso allora tutto è gratuito. Quando ti capita di rendertene conto, ti si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare.

Così ho cercato un posto che mi sembrasse adatto.

Una scuola, un supermercato, una sala da concerto, una piazza affollata.

Uno vale l’altro, poiché lo Spirito è a sé stesso dimora e può farsi del Cielo un Inferno e dell’Inferno un Cielo.

Così questo è il luogo, questa l’ora e questo il giorno!

Accarezzo la mia Uzi calibro 9 parabellum, fredda e fedele amica, ora sei libera di cantare il tuo canto d'odio. Il tuo canto di liberazione.

I primi se ne sono andati senza nemmeno accorgersene.

Poi l’incredulità, lo smarrimento, il caos, il terrore.

Chiamate il vostro Dio? Io potrei credere solo a un dio che sapesse danzare.

Volevate essere salvati? Io crederei all’esistenza del Salvatore se voi aveste una faccia da salvati.

E poi una di quelle facce mi insinua due occhi bistrati sulla punta delle mani. L’abitino della festa, le unghie dipinte coi colori della bandiera, i leziosi fermagli luccicanti fra i capelli.

Oggi ti aspettavi, forse, di rubare un bacio? O di riderne con le amiche?

E mi biascica insinuante, con rabbia lamentosa, la sua domanda: “perché?”

Interessante….

Cosa dovrei risponderle? Che bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante?

Ma davvero crede che ci sia un perché, un senso, una motivazione?

Questo non è mica un film dell’orrore, un banale b movie per adolescenti dove il Male appare sempre per un motivo ed agisce sempre secondo una sua logica, anche se assurda.

Questa è la realtà e il Male trova la sua ragion d’essere solo in sé stesso.

Il Male non è banale: è ottuso. E’ libero dalla prigione della logica.

Pape Satan, pape Satan aleppe.

L’Agnello ha infranto il Settimo Sigillo, le porte si sono aperte, presto si udranno le trombe dei Sette Messaggeri.

“Et vidi aliud signum in caelo magnum et mirabile angelos septem habentes plagas septem novissimas quoniam in illis consummata est ira Dei.”

Le porte, ormai, sono spalancate: psicopatici, terroristi, depressi, invasati religiosi, rivoluzionari, vittime, carnefici. Stanno arrivando, sono già qui, altri ne arriveranno.

Noi siamo la malattia, noi siamo la cura.

Saranno, poi, psicologi e sociologi, giornalisti, preti, politici ed esperti vari a doversi guadagnare il loro guiderdone. A doversi inventare un significato. Politico, religioso, psichiatrico, sociologico. A doversi sforzare di vederci un senso quale che sia, pur di non dover sopportare il peso della Verità.

In quanto a me, io indosso una corona.

“una corona degna è d'alti pensieri, ancor che splenda

su questo abisso di dolori. Oh, meglio

Re nell'inferno che vassallo in cielo!”

Ma come glielo spiego? Così le rispondo in fretta: “perché no?”

Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione.

Così la libero dal peso di un futuro fatto di rimpianti e di un matrimonio da poco. E poi faccio lo stesso dono ad un futuro avvocato. E poi pensionati, casalinghe, studenti, fiscalisti, disoccupati, stagnini, gelatai….

Intanto canticchio “Cease to Exist”.

Madri, e padri, figli, fratelli, amici, amanti. Di qualcuno.

Giudice, finalmente, arbitro in terra del bene e del male.

Ed Eric disse a Dylan: “cerchiamo di divertirci mentre lo facciamo”.

Laggiù a Columbine.

Poi, liberatorie, ho sentito le sirene.

Temevo che non mi bastassero le pallottole.

Stanno arrivando. Arrivano per me.

Peccato che non siano ancora le tre. Le tre è sempre troppo tardi o troppo presto per quello che si vuol fare. È la più stramba ora del pomeriggio.

Devo trovare il tempo di scrivere – da qualche parte – “Healter Skelter” (si, io lo so che è scritto male, non sono mica “Tex” Watson!).

Arrivano.

Finalmente.

Ora, perché tutto sia consumato, perché io mi senta meno solo, non mi resta che augurarmi che ci siano molti spettatori alla mia esecuzione.

E che mi accolgano con delle grida di odio.

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Campionamenti: “Lo straniero”; “La metamorfosi”; “Il processo”; “La nausea”; “Così parlò Zarathustra”; “Umano, troppo umano”; “La Divina Commedia”; “Apocalisse di S. Giovanni”; “The Paradise Lost”; “Cease To Exist” (Lie: The Love and Terror Cult); “Bowling a Columbine”; “Un Giudice” (Non al denaro, non all’amore né al cielo).

Solo un piccolo raccontino natalizio in questi giorni già pregni della futura atmosfera di festa.

Dedicato a Charles Manson e Leslie Van Houten (che non è la mamma di Milhouse).

Che brucino all’Inferno.

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editoriale di zaireeka

Dice Rovelli nel suo ultimo libro, e non e’ il primo, ed e’ convincente, che il tempo non esiste, quello fisico, quello assoluto, quello che passa uguale per tutti.

Che lo ha erroneamente legittimato Newton apposta per dare un senso alle sue leggi.

Esistono in verità solo misurazioni di quantità, di cambiamento dello stato di cose rispetto ad altre.

Numero di volte che hai visto per strada la donna della tua vita rispetto a battiti del cuore.

Battiti del cuore rispetto a numeri di passi inquieti nel corridoio aspettando che tua figlia rientri a casa.

Giri completi della lancetta delle ore rispetto a giri su se stessa della Terra.

In questa ottica io ho cinquantadue anni (quasi cinquantatrè...) ma in verità ho solo cinquantadue giri completi della terra intorno al sole.

Un anno sappiamo che è lungo, ma un giro della terra intorno al sole è solo un termine di confronto, senza dimensione, come tanti altri.

Come un viaggio di mia figlia nel Regno Unito, l’andata a un concerto dei Flaming Lips, un ascolto della settima di Beethoven, o un esplosione di felicità.

Conta solo il cinquantadue, che non è un numero altissimo.

Sono cinquantadue anche le carte di un mazzo di carte da poker.

Le conto in un attimo, non più di un minuto.

Un giro completo della lancetta dei secondi.

La mia vita è durata solo un giro completo della lancetta dei secondi.

Ricordando Il Miracolo Segreto di Borges, ora mi sento molto, ma molto, più giovane.

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editoriale di MikiNigagi

Ha perso l'allegra baldanza in tempo zero. Mi è bastato risponderle che fa freddo, oggi, che siamo soli, e siamo morti. Si è voltata perplessa verso l'uomo alla camera. Ha abbandonato il tono di sufficienza quando poi, interrotta mentre rinnovava l'aggressività della domanda, le ho fatto notare che in un mondo retto, una donna incravattata come lei, gli occhiali in tartaruga sul naso elegante adunco, la prima pagina di Tropico del Cancro avrebbe dovuto coglierla, anzi accoglierla con un brillìo, e di non provare a muoversi o mi sarei fatto brillare io lì sul posto, che avrei risposto alla sua domanda ma ci sarei arrivato a modo mio, e di continuare a filmare.

Risollevo la lampo del bomber, sorrido coi denti alla camera, dico che possiamo cominciare, allora.

Dico vedi, l'ultimo libro che ho letto è Memorie dal sottosuolo del povero Fedor Dostoevskij, semper laudetur, ma è passato tanto tempo. Smisi del tutto di leggere quando a otto anni vidi un'immagine di cui tra poco ti vorrei parlare, ti prego di concedermi un istante.

Lei tace, in preda a un percettibile tremito. Tiene il braccio teso davanti a sé, le dita dorate salde sul microfono, tanto salde da sembrare Raynaud. Ma Raynaud è una malattia e penso a Onder e a quanto sarebbe inopportuno se Onder, a un medico che sostiene la necessità di limitare il burro nella dieta per tenere nella norma il livello di colesterolo, rispondesse che lui mangia mezzo panetto di burro al giorno, a morsi, e non ha mai avuto problemi di colesterolemia, scopa come un bastardo, riesce a saltare due metri e mezzo in alto e infilare una serie di venti triple, quindi che sarebbe inopportuno e tendenzioso come accogliere le testimonianze di attrici mai molestate, mai stuprate in tent'anni di onorata carriera, mentre sul divanetto dello studio televisivo abbiamo questa donna che dice di essersi sentita paralizzata al contatto di quel piccolo pene venoso con la sua spalla: incredula lei, e impotente, figurarsi credibile agli occhi dei giurati. Che la soldatessa Jane è in realtà Demi Moore che è Diana Murphy in Proposta indecente, mi ritrovo a pensare.

Fa piuttosto due passi indietro per lasciarmi più spazio quando dalla tasca del bomber estraggo una busta di American Spirit giallo e con la calma del Cristo e fare ieratico mi infilo un filtro tra le labbra, mentre rivolgo un sorriso di mezza bocca ai suoi occhi carichi.

Ma sto ancora pensando alla per nulla clamorosa assenza del macellaio di fiducia di Rudolf Hess in qualità di testimone al processo di Norimberga, a dire che per quanto gli riguardava, il Landjäger glielo aveva sempre pagato, e il resto mancia. Che a un potere mediatico si faccia un processo mediatico, allora. E che il fine sia didattico, educativo: che si dica vacci piano con quel burro, Marlon Brando, come da Onder.

Il gelo di prima mattina le mangia la faccia e le crepa le mani. Quindi seleziono un ciuffo di tabacco, lo avvolgo in una Rizla arancione, quelle alla liquirizia, sfilo il filtro dalle labbra, mi schiarisco baritono la voce, e mentre rollo la sigaretta tengo ben ancorato lo sguardo sulla scritta SPQR, coperchio di un tombino, un paio di metri a sinistra delle sue creepers nere.

Quando accendo, hanno un sussulto. Ma le ginocchia sono troppo deboli adesso, sanno che neanche con uno scatto olimpico da centometrista potrebbero portarsi in salvo.
Dico state tranquilli che ne usciremo tutti vivi.
Insomma, era l'illustrazione di un ragazzino occhialuto che lasciava cadere un grosso libro, gli occhi sgranati e il cranio enorme spaccato, con cervella per aria, lettere e numeri. Aveva otto anni come me, e i suoi amici lo sfottevano: dicevano che un giorno gli sarebbe esploso quel testone che cresceva e cresceva, e ogni volta che leggeva un libro diventava più grande, fino a farlo somigliare a una piccola mongolfiera. Pensava che un giorno, come una mongolfiera, sarebbe volato via verso la Luna, e avrebbe trovato altri ragazzini che come lui leggevano tanto. Avrebbero potuto parlare di Jack London, e magari si sarebbe fatto la ragazza. Perciò continuò a leggere, recluso, i medici e i familiari rassegnati, finché la testa gli esplose.

[Immagine rubata a Thomas Ott, via Twitter: https://twitter.com/thomasott_tott]

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editoriale di CosmicJocker

La pagina bianca.

La sua perfezione, la sua infallibilità, la sua chiaroveggenza.

L'aroma che tesse.

Pura, incontaminata, regno del possibile.

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editoriale di ThorsProvoni

Sono stato in posta ieri, ci vado almeno una volta al mese per pagare i bollettini vari che sommergono le nostre esistenze e ci svuotano il portafoglio.

Naturalmente non funzionava niente o quasi e sono rimasto ad aspettare per una buona mezz'ora.
In questo tempo di attesa avevo intenzione di aprire il mio Cybook e immergermi nella lettura di qualcosa. Invece la mia testa ha cominciato a vagare, anche grazie ad una signora vicino a me che parlava della scomparsa in giovane età di una sua amica.

Questo mi ha fatto venire in mente un'usanza di alcune tribù tibetane del nord, che non so neanche dove ho letto o sentito: se c'è nel gruppo un malato, questo viene posto in una tenda al centro delle altre (che sono normalmente poste in cerchio) e qui resta fino alla guarigione o alla morte.

Ma la particolarità è che ogni giorno qualcuno lo va a visitare e gli porta un dono. Non qualcosa di particolare o di strano, ma semplicemente una radice, una foglia, una piuma d'uccello, qualcosa così, insomma. E il malato capisce, guardando questi oggetti, che non è solo nella sofferenza.
Quest'immagine mi ha fatto riflettere sull'importanza (o meno) che la nostra società dà alla persona malata, specie in fase terminale.
Io ho perso i miei genitori a distanza di 2 anni e mezzo, entrambi a causa di un tumore al fegato. Mio padre è stato ricoverato prima un paio di volte per poche ore al pronto soccorso nell'arco di 15-20 giorni; poi dopo l'ultimo ricovero la notte di ferragosto è rimasto in ospedale per una settimana ed è morto. In quei giorni è stato tartassato con prelievi quotidiani per controllare i valori del sangue, continue terapie con iniezioni e compresse (anche quando aveva difficoltà a deglutire), gli hanno messo una mascherina particolare per ossigenarlo, ecc. E la mattina che è morto era talmente stufo di tutto questo che, in stato semicosciente, ha strappato di mano all'infermiera l'ago con cui gli stava facendo l'ennesimo prelievo, sporcando di sangue tutto ciò che stava intorno. Dopo un paio di ore ha chiuso gli occhi. Gli stessi medici che l'hanno assistito avevano comunque detto che era destinato a spegnersi nel giro di pochi giorni.
Dopo quest'esperienza di accanimento nei confronti di mio padre, quando mia madre è arrivata allo stesso punto, ho preferito tenerla a casa, anche perché lei aveva sempre detto: "fatemi morire a casa mia". Naturalmente ha avuto tutta l'assistenza medica possibile, anche grazie ai medici di un associazione di volontariato che qui a Vercelli segue i malati in fase terminale. E mia madre è spirata tranquillamente, senza che prelievi e terapie varie le prolungassero l'agonia.
Davanti ad una persona che sta morendo, io penso, dobbiamo pensare anzitutto alla persona, non al nostro rapporto con lei. Mi spiego. Se pensiamo che stiamo perdendo un familiare probabilmente ci viene naturale dire (o gridare) dentro di noi: non voglio. Ma la morte è l'unica certezza della vita, si dice. E prima o poi dobbiamo morire tutti. Perciò ritengo che bisogna sempre chiedersi qual è la cosa migliore per la persona che si ha davanti, sia che questa stia bene sia che, a maggior ragione, stia male.
Chi arriva a quei momenti, normalmente, capisce che sta morendo e capisce pure, per quanto questa cosa possa procurargli dolore nell'animo, che è inevitabile. Perciò ritengo, forse a torto, che voglia soffrire il meno possibile.
Non voglio qui impelagarmi in discussione su eutanasia, accanimento terapeutico e cose di questo tipo, ma semplicemente ragionare sul far seguire alle cose il loro ritmo naturale.
Come quel tibetano nella tenda: alla fine morirà pure, ma ogni giorno potrà vedere dalla foglia e dalla radice che non è solo. E che tutti lo rispettano perché è ancora uno di loro, fino alla fine.

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editoriale di Flame

Ho trovato il modo per mandare in crash il modello spazio tempo di Einstein. Nei sogni, come tutti voi avrete sperimentato, credo, il tempo scorre più velocemente che nella realtà. Mi spiego meglio. Per notare con chiarezza il fenomeno di cui sto parlando occorre che si verifichino alcune cose. Occorre che ci si addormenti subito dopo aver controllato l’ora in quella che per semplicità chiameremo “esperienza reale”. Occorre poi una volta risvegliati, che ci si ricordi l’esperienza che si è appena vissuto in sogno. Occorre infine, per apprezzare meglio il fenomeno, che nell’esperienza reale sia passato relativamente poco tempo tra il momento in cui ci siamo addormentati e quello in cui ci siamo risvegliati. Diciamo che un quarto d’ora potrebbe essere il lasso di tempo ideale per prenderne meglio consapevolezza.

Di solito capita di accorgersi di questo fatto in frangenti simpatici tipo la mattina presto dopo una notte passata a cercare inutilmente di prendere sonno e a controllare continuamente l’orologio per vedere quanto tempo rimane prima di alzarci per andare al lavoro, e poi riuscire ad addormentarsi solo poco tempo prima che suoni la sveglia.

Quando succede tutto questo si potrà notare che gli avvenimenti che abbiamo vissuto nell’esperienza del sogno, sconclusionati fin che si vuole, questo aspetto non rileva ai fini della presente riflessione, non li avremmo potuti vivere nell’esperienza reale. Ci sarebbe mancato il tempo per farlo.

I dati empirici ci dicono quindi che al quarto d’ora dell’esperienza reale, da me proposto come unità di comparazione, corrisponde un lasso di tempo più lungo di vissuto nell’esperienza effettuata nel mondo dei sogni. Personalmente posso stimare questo lasso di tempo in almeno un’ora.

La prima cosa che sarebbe interessante verificare è se questo rapporto ts/tr è da considerarsi una costante o varia da persona a persona.

Ma la cosa più importante che va rilevata è che il processo di invecchiamento del nostro corpo segue sempre il tempo dell’esperienza reale, sia che noi stiamo vivendo quell’esperienza li, sia che stiamo vivendo quella nel mondo dei sogni. Questo non succede nelle teorie di Einstein, in cui il corpo invecchia sempre secondo il tempo dell’esperienza che sta vivendo la persona a cui quel corpo appartiene.

Il tempo esse per l’uomo è quindi una risorsa meno scarsa del tempo erre. Meno pregiata, se vogliamo.

Non è chiaramente utilizzabile per svolgere attività che richiedono un qualsiasi livello di manualità o l’interazione con altri individui, ma potrebbe essere utilizzabile per svolgere attività puramente intellettuali.

Una sfida dell’uomo moderno potrebbe quindi essere quella di trovare una tecnica che ci permetta di vivere un’esperienza intermedia tra sogno e realtà, per spostare consapevolmente parte delle attività intellettuali all’interno di un sistema in cui abbiamo più tempo per potercene occupare, e salvare tempo erre per attività che possono essere realizzate esclusivamente con il suo impiego, come nutrirsi, amarsi, scaccolarsi ecc...

Ad esempio il povero ingegnere a cui non basta mai il tempo per trovare le soluzioni ai problemi che gli pongono i suoi clienti, potrebbe impiegare tempo esse per l’attività di pura spremitura di meningi e avere quindi a disposizione maggiore tempo erre, che abbiamo visto essere risorsa maggiormente pregiata per lui.

Questa riflessione verrà certamente fatta oggetto di controinformazione oscurantista da parte di comunisti mangia bambini quali quelli del comitato centrale, Carlos e Perfect Element in testa. Cerea.

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editoriale di ALFAMA

La Verità.

Vi siete mai soffermati sul concetto di " Verità". ?

Pensate alla vostra immagine riflessa in uno specchio. Forse è vera ? Sempre uguale ma opposta. Una pellicola Super 8, la vedi controluce è una realtà,ma quando la giri sul vecchio proiettore è una nuova visione,una nuova "verità".

Ho aperto una latina di birra ,mi ha fatto pensare a quante volte ho ripetuto quel gesto. Un semplice gesto, come guardare l'orologio,vedere il tempo e sentirti insignificanti.

La Verità è che siamo insignificante.

Una nullita.Difficile da digerire,ma forse nullità e verità dopo una montagna russa di pensieri si abbracciano ?

Forse lo capisci la mattina quando hai l'acido in bocca della notte e l'immagini che si muovono nel teatro dei ricordi.

Scrivere,scrivere e scrivere,

Ma è così bello pensare che sia vero.?

Bello pensare sia vero quello che scrivi, uno specchio, una latina aperta, uno sguardo al vecchio orologio.

Forse la verità è guardare un vecchio orologio e spostare le lancette'?

Leggere i pensieri che volano come saette?

Esiste una macchina della verità, ecco penso che esisti ma spero di no.

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editoriale di sotomayor

Avevo molte cose da dire sull'ultimo editoriale di Hank Monk, così ho pensato di scriverne un altro in risposta al suo. Fermo restando che questo qui non è un editoriale in polemica con i contenuti del suo, che in poche parole (bravo) esprimeva una pluralità di concetti e quelli che sono dei dati di fatto inconfutabili. Al contrario gli riconosco di avere rilanciato, sotto una prospettiva diversa, un argomento, quello relativo il caso-Weinstein, che io per primo posso dire di avere portato su queste pagine.

Comincio con una premessa fondamentale per specificare una cosa sulla quale non ritornerò più nel corso di questo editoriale e che mi pare inutile di continuare anche a commentare nello specifico: non ho assolutamente cambiato il mio punto di vista. Allora mi sono espresso dichiarando il mio sostegno ad Asia Argento. Ribadisco la mia posizione nel merito, che so non essere condivisa da molti, ma il mio pensiero resta lo stesso. Penso che abbia avuto e stia avendo molto coraggio. E che certe critiche che riceve in maniera esagerata (al di là dei commenti più tipicamente maschilisti) non tengono conto della sua umanità e della sensibilità ferita di una persona che in questo momento ha messo in gioco tutto se stessa su una questione così grave. Così come ritengo che la presenza di un certo maschilismo imperante nella nostra società sia un dato di fatto.

Ma questa volta volevo affrontare l'argomento secondo una prospettiva diversa e che è stata introdotta in qualche modo dall'editoriale già richiamato di Hank e che riguarda un aspetto più relativo una prospettiva riguardante il rapporto tra l'informazione e chi vi accede. È chiaro del resto che il comportamento dei media e conseguentemente delle masse, in reazione a questa vicenda e al suo prolungarsi nel tempo andando a chiamare in causa anche soggetti diversi da Weinstein, sia diventato oltre che la ostentazione persino volgare e deprecabile di atteggiamenti e posizioni maschiliste inaccettabili, anche quello di scatenare e fomentare una certa caccia all'uomo nel mondo dello spettacolo.

Hank Monk nel suo editoriale si riferisce in maniera chiara a Kevin Spacey, facendo un parallelo tra l'attore di Hollywood e le sue vicende e quelle che in qualche maniera (assieme a molte e molte e molte altre) portarono poi a un processo mediatico e che si concluse con la fine (chi lo sa...) del 'berlusconismo'.

Il parallelo tra l'altro, ma questa è una osservazione di 'costume', è in qualche maniera caratteristicamente peculiare perché molti hanno sempre sostenuto che nel caso l'attore americano sarebbe stato perfetto per recitare la parte di Berlusconi in un film. Una osservazione che condivido, anche se personalmente ho sempre ritenuto molto più adatto al ruolo un attore più 'classico' come Leonardo Di Caprio. Ma questa è solo una osservazione diciamo di costume.

La verità è che il parallelo proposto in questi termini è interessante: quanti in Italia, se si dovesse presentare alle prossime elezioni, voterebbero ancora Berlusconi? E quanti ritengono che ieri (cioè pochi anni fa) si stesse molto meglio che oggi? La risposta alla prima domanda è facile: molti. La risposta alla seconda anche: tutti.

Questo succede chiaramente perché la gente tende sempre a ricordare in maniera nostalgica il tempo passato, qualunque esso sia: senza fare nessun plauso particolare alla attuale amministrazione, non mi pare del resto il caso di stare qui a rimarcare la situazione in cui era arrivato il nostro paese prima che si concludesse l'ultima esperienza governativa di Berlusconi e senza considerare il fatto che Berlusconi abbia di fatto governato o comunque inciso sulla politica del nostro maniera per un periodo lungo vent'anni. Sotto questo aspetto dissento molto probabilmente da quello che è il pensiero di Hank. Ma non penso sia questo il punto centrale della questione. Ad ogni modo per quanto riguarda Berlusconi tutto questo va considerato a prescindere poi della sua vita personale diciamo sopra le righe (senza considerare poi la consultazione diretta del parlamento che si inventò di sana pianta una nipote di Mubarak...) e molto spesso anche al di là di ogni regola e che si converrà quantomeno inadatta a un ruolo così importante come quello di guida di un paese civilizzato o presunto tale e che invece, guarda caso, si considera sia perfettamente adatta a una stella del cinema americano oppure a una star della musica rock o in ogni caso a una eminente e popolare figura dello spettacolo. Di conseguenza, perché no, anche ad un attore come Kevin Spacey.

Come partecipanti 'passivi' (questa definizione apparirà a tutti come una forzatura e forse effettivamente lo è) a quelle che sono le esistenze di queste celebrità, per cui si adopera non a caso una espressione, 'divi' e che in quanto tale rimandi a un immaginario appunto divino e ultraterreno, che non possiamo toccare, siamo portati da quella che si può ritenere propaganda oppure una consolidata forma mentis, a considerare che loro tutto sia concesso. Ogni forma possibile e estrema di manifestazione e in qualsiasi settore possibile.

Quando parliamo di queste 'star' e guardate, proprio allo scopo di chiamare me stesso in causa per primo, nomino come esempio quella che io personalmente considero come la rock'n'roll band più grande di tutti i tempi, cioè i Rolling Stones, non solo lo facciamo in una maniera che esprime la certezza di parlare di qualcuno cui tutto sia concesso, ma dove ci aspettiamo addirittura sempre qualche cosa di più. Tanto che alcuni soggetti poi non riescono a uscire da quella interpretrazione di quello che poi dovrebbe essere solo un 'personaggio' (ma come facciamo a tracciare una linea di separazione netta tra le due cose) e finiscono con il distruggere la loro stessa esistenza.

Perdoniamo in maniera inconsapevole e automatica tutto, persino comportamenti inaccettabili e fuorilegge e che sono lontanissimi dalla nostra cultura e formazione ideologica: perché alla fine si è radicata non a caso la convinzione che la loro stessa esistenza costituisca uno show. La accettazione di questa cosa porta a conseguenze che possono essere il già citato bersagliamento nei confronti di Asia Argento (fosse successo a vostra figlia, vostra sorella, vostra moglie, vostra madre, che avreste fatto, come vi sareste comportati, che giudizi avreste espresso) oppure alla caccia all'untore come nel caso di Kevin Spacey, che scopriamo all'improvviso avere una personalità fortemente traumatizzata da sue vicende personali, ma che nondimeno a quanto pare lo abbiano portato a compiere atti di molestie. È chiaro che la prima cosa secondo me vada comunque tenuta in conto nel giudizio all'uomo Kevin Spacey (come peraltro in qualsiasi altro caso), del resto come si dice, 'chi è senza peccato...', ma se ha commesso atti di molestie allo stesso tempo mi sembra giusto che come resta valido per tutti e in qualsiasi caso, questi vengano denunciati e nel caso discussi in tribunale e che lui sia processato. E penso che su questa cosa pochi abbiano da ridire.

Il fatto che sia già stato condannato dai media ancora prima di un processo vero e proprio, purtroppo, fa parte di quello stesso meccanismo che però allo stesso tempo può scatenare anche reazioni opposte. Come non considerare ad esempio la celebrazione e la unanime difesa del mondo dello spettacolo e dei media di Roman Polanski. Un attegiamento da parte di amici e colleghi che nel caso può essere anche comprensibile ove questi siano convinti della sua colpevolezza ma che se espresso pubblicamente diventa - secondo me - discutibile. Vedasi nel caso quello che sta succedendo adesso riguardo Tornatore e le pubbliche accuse di Miriana Trevisan. Chiamata a parlare sulla questione, Monica Bellucci ha giustamente (secondo il suo punto di vista) espresso sostegno al regista. Che magari con lei e che lei sappia ha sempre avuto comportamenti irreprensibili. Eppure magari in quel contesto... Non lo sappiamo. Possiamo solo attenerci alle dichiarazioni dei soggetti chiamati in causa e vedere se ci saranno sviluppi sul piano processuale e giudiziario.

Di nuovo richiamo a proposito le mie stesse prefereze, perché anche io come tutti, ho delle preferenze in campo musicale, cinematografico, letterario e sono evidentemente vittima di alcuni meccanismi. Uno dei miei attori preferiti di sempre infatti è Klaus Kinski. Io adoro Klaus Kinski: lo dichiaro apertamente. Rivendico personalmente di amare questo attore in una maniera significativa, importante e di anche essere affascinato dalla sua figura sotto e lontano dai riflettori. Eppure Klaus Kinski era, è stato da tutti i punti di vista possibili probabilmente quello che potremmo definire un mostro e questo è purtroppo innegabile: alcune vicende ci sono state raccontate direttamente dalle figlie. Ma in generale era risaputo che avesse un carattere quantomeno difficile e pare sussistano anche perizie psichiatriche che lo determinino come un soggetto socialmente pericoloso. Ma sapete in automatico quale processo compie il mio cervello pensando a lui: penso che era un mostro, ma che va bene così, perché voglio dire, in fondo era un genio... Ma questo è un pensiero chiaramente sbagliato. Klaus Kinski è stato un attore fantastico, persino sublime, ma è stato allo stesso tempo un uomo orribile e la prima cosa non giustifica la seconda né è giusto compiere una connessione e un collegamento tra le due cose!

Quello che sta accadendo a Kevin Spacey è sbagliato ed è qualche cosa di deviato perché è deviato il sistema dello star system e guardate che la denuncia fatta da Asia Argento e altri e altre rappresentanti del mondo dello spettacolo va anche in questa direzione: cioè quella di sradicare una determinata mentalità anche allo stesso tempo provando a intaccare questo 'privilegio' che noi abbiamo accordato a attori e registi, musicisti e cantanti, calciatori e alla fine persino personaggi del mondo della politica.

Tutte queste persone hanno un potere specifico all'interno della società e che è dato dalla loro posizione così come in primo luogo dalla propria situazione finanziaria e questa cosa difficilmente cambierà per quello che sta succedendo in questi giorni perché la deriva che si è voluta far prendere alla cosa sposta chiaramente il bersaglio di nuovo su noi stessi e che quindi di nuovo siamo soggetti passivi di tutto quello cui assistiamo, ma allo stesso tempo vi partecipiamo PER FORZA contribuendo ad alimentare determinati meccanismi.

Ci sto: non ha nessun senso fare un processo mediatico a Kevin Spacey come a Berlusconi oppure al primo assassino vero o presunto dei tanti casi di cronaca nera reclamizzati fino allo spasimo da televisione e giornali. Di queste cose per la verità, riguardando aspetti privati e come la maggioranza dei casi di cronaca nera, ci dovrebbe interessare zero: la colpevolezza di queste nefandezze dovrebbe nel caso riguardare solo la giustizia. Ma ci sta una mentalità che riguarda la intoccabilità di determinati soggetti e che sono guarda caso, soggetti 'pubblici', cui ci è stato 'insegnato' che tutto è concesso (ma non ci è stato insegnato del resto anche che tutto ci è concesso sulle nostre donne in generale...) oltre che su determinati temi (e qui si ritornerebbe sulla questione di partenza del mio precedente editoriale, cioè il supporto a una cerca causa contro una mentalità maschilista evidentemente dominante) che va messa in discussione.

Il problema come sempre sta nelle capacità critiche delle persone, ma cominciare a considerare che questi soggetti possono essere colpevoli di cose che voi per primi considerereste sbagliate, può essere un primo piccolo passo per diventare non giudici inflessibili censori ma parte attiva e protagonisti della nostra vita invece che solo spettatori (paganti) inconsapevoli.

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editoriale di Hank Monk

Il mondo di oggi gira davvero in fretta.
Fai appena in tempo ad arginare un problema che l’argine ti crolla addosso.
Fai in tempo a partire che sei già tornato.
Ad innamorarti che sei annoiato.


Prendi, per esempio, il nostro amato ex presidente del consiglio.


Le sue amicizie con Putin e Gheddafi sembrano oggi capolavori di politica estera.
Le sue posizioni anti-Euro un inno laburista alla sovranità monetaria.
L’odio che suscitava motivo di lustro per la sinistra italiana.
Era morto ed è risorto.

L'attacco mediatico a Kevin Spacey ha un che di manicheo e l'ipocrisia debordante che lo pervade mi fa addirittura rimpiangere certe tendenze sessiste passate.


E poi fanculo, mi scopo le marocchine minorenni a pagamento e se mi scoprono do la colpa al capo di stato di un paese del cazzo del terzo mondo!

La natura umana è strana; rovina tutto. Ha nostalgia di tutto.

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editoriale di sotomayor

Ho girato due volte la Sicilia in motocicletta. La prima volta, anzi, per la verità l'ho girata su una vecchia vespa arcobaleno di colore grigio (sembra quasi un gioco di parole) che praticamente, una volta ritornato a Napoli, ho dovuto solo buttare. L'avevo fatta camminare troppo. Troppi chilometri e troppi incidenti. Quella estate tra l'altro il mio (ex) meccanico di fiducia, diciamo così, attentò praticamente alla mia vita. Prima di partire, infatti, gli lasciai la vespa per un check-up totale, una buona prassi che si rispetti prima di intraprendere un viaggio. Questi me la riconsegnò secondo lui perfettamente integra. Fatto sta che in verità egli non svolse nessun controllo particolare e dopo due-tre giorni di viaggio, sulla strada provinciale che in direzione nord/nord-est da Agrigento porta a Racalmuto, il paese dove è nato e vissuto Leonardo Sciascia, la ruota posteriore si staccò letteralmente dalla matrice (il cosiddetto 'mozzo') lasciandomi praticamente fermo. Rimasi completamente immobile e fermo in mezzo alla strada seduto a bordo della vespa cui era rimasta solo la ruota anteriore.

Allora credo di essere stato fortunato: non c'erano macchine che sopraggiungevano alle mie spalle; per una pura combinazione di natura fisica inoltre la vespa si fermò completamente immobile e ben piantata a terra, nonostante io stessi peraltro compiendo il tracciato di una curva. Quindi non sono neppure caduto.

Tutto il resto fu altrettanto fortunato. Perché ero su una strada provinciale completamente deserta e era domenica e batteva forte il sole perché era estate, era fine giugno e fine giugno significa comunque praticamente estate, ma davanti a me vi erano due volontari della protezione civile che per qualche ragione (una deviazione di una delle varie diramazioni della strada provinciale) erano posizionati strategicamente sul posto e che dopo avermi soccorso, chiamarono un loro conoscente, mi pare di Favara, un certo signor Bruno Spatola, che venne sul posto e riparò la vespa montando la ruota sul mozzo con del fil di ferro tagliato con le cesoie da una recintazione del maneggio adiacente la strada.

Una soluzione che definirei artigianale, ma altrettanto brillante e che mi permise di portare a termine il mio viaggio.

Quella giornata guidai su fine a Enna e Caltanissetta e poi giù giù fino a Gela e quindi rientrai all'interno e terminai la mia giornata in quella città bellissima e unica al mondo che poi sarebbe Ragusa con il tramonto che mi sbatteva sulla faccia mentre percorrevo gli ultimi chilometri.

Quando sono tornato a Napoli ho cambiato meccanico.

Mentre relativamente il signor Spatola, va detto che questi non era un meccanico, ma semplicemente un grande cultore della vespa come mezzo di locomozione. Cosa che chiaramente fece sorgere in lui un affetto e una simpatia particolare nei miei confronti, rafforzata dal racconto del viaggio di nozze dei miei genitori nella ex Jugoslavia nel 1980 a bordo di una vespa Sprint blu che orgogliosamente possediamo ancora e custodiamo giustamente come un bene di famiglia: come se fosse qualche cosa di importante. Semplicemente perché lo è. Dopo aver sistemato la vespa il signor Bruno Spatola non volle nulla per il disturbo: era venuto fin lì da Favara (quel giorno casualmente da quelle parti c'era anche un moto-raduno) una domenica mattina di estate, ma non volle nulla per il disturbo. Anzi embrava felice di avermi aiutato e in effetti lo era. E anche io sono stato felice di averlo incontrato. Non perché mi abbia riparato la vespa. Questo è importante, ma alla fine è secondario. Sono stato felice di averlo incontrato perché era una brava persona.

Questo credo sia successo sei oppure sette anni fa.

Era l'estate del 2011.

Il giorno prima, mentre guidavo da Marsala ad Agrigento, allargandomi volutamente per i percorsi 'paesaggistici' costieri, passai per Mazara del Vallo, uno dei porti commerciali principali della regione e da dove partono i traghetti per la Tunisia. Più precisamente per quella città che si chiama Hammamet e che costituisce ancora oggi meta di pellegrinaggio, giuro, delle figure più eminenti, diciamo così, che gravitavano e grativano attorno l'orbita di quello che una volta si chiamava PSI.

Era il 2011 comunque. Me lo ricordo bene anche perché in quel periodo secondo quello che ci raccontavano i mass media, tutto stava cambiando in Nord Africa. Io invece avevo cominciato a stare male e da allora questo processo non si è mai arrestato aggravandosi di anno in anno e volevo andare via, scappare, cambiare nazione, sparire e non tornare mai più a casa.

Qualche mese dopo ci provai a scappare. In Germania. Berlino. Riparai lì un gelido inverno prima di ritornare a casa dopo avere visto l'Hertha pareggiare 1-1 in casa con il Wolfsburg sotto una tempesta di neve. Sulla panchina dell'Hertha sedeva Otto Rehhagel, l'allenatore che nel 2004 aveva fatto vincere i Campionati Europei di Calcio alla Grecia. Un tedesco che fa vincere la Grecia. Ma questo succedeva nel 2004 e nel 2004 secondo quello che ci raccontavano i mass media, tutto stava cambiando in Grecia e così ...

Comunque la notte dopo la passai con Chiara: fu la nostra ultima notte. Vomitai ininterrottamente il sushi che aveva cucinato. Non l'ho mai più rivista. Non ho mai più mangiato giapponese. Senza di lei la cosa non avrebbe avuto più senso. Non ha nessun senso. A volte le donne pensano che tu faccia qualche cosa che di solito non fai, solo per loro oppure con loro e per farle un piacere oppure una concessione e questa cosa a loro non piace perché sembra quasi che tu faccia qualche cosa perché dopo ti aspetti qualche cosa in cambia. Per quanto mi riguarda non è così: tutto quello che faccio, seppure non rientri nella mia quotidianità abituale, lo faccio proprio perché ritengo abbia un senso farle assieme e in quel determinato momento specifico. Oppure come una specie di rituale. Perché no.

Del resto se dovessi fare comunque sempre le stesse cose che faccio da solo, che ci sto a fare con una ragazza.

A fine campionato l'Hertha Berlino retrocesse meritatamente in Serie B.

Mazara del Vallo invece credo sia una realtà difficile: voglio dire che è apparentemente un posto difficile dove vivere. È unitamente a Gela, forse Porto Empedocle, Augusta e sicuramente dei posto sperduti là tra le montagne nel cuore della regione, il posto che più tra tutti nella regione mi ha trasmesso una certa 'durezza'. Ma posso sbagliare e comunque questa non vuole certo essere una critica ai suoi abitanti. Va detto infatti che ovunque in Sicilia (ci sono stato più volte e praticamente dappertutto) ho sempre e solo trovato gente cordiale e accogliente. Ma come dicevo prima: forse sono stato fortunato.

Comunque quando mi sono trovato davanti al porto e al punto di imbarco delle navi, ho fermato la vespa, sono sceso, l'ho messa sul cavalletto e mi sono tolto il casco.

Eravamo io e il mare. Tutto quello che mi divideva da un altro continente e da un'altra vita: dalla fine di tutto quello che aveva riguardato la mia vita di merda fino a quel momento. Solo una nave che avrebbe percorso in poche ore il Mare Mediterraneo da una parte all'altra e mi avrebbe praticamente traghettato da una esistenza a un'altra.

Non avrei mai informato nessuno della mia scelta e una volta dall'altra parte, chi lo sa, mi sarei subito messo in moto per far perdere le mie tracce. Sarei andato avanti per un po'. Avrei continuato a guidare finché avrei potuto. Poi non lo so. Magari mi sarei fermato da qualche parte. A un certo punto avrei sicuramente finito i soldi. Ma pensai che a quello mi sarei preoccupato solo dopo. Del resto che importava. Per quanto mi riguarda una volta lì avrei pure potuto decidere di farla finita del tutto. Materializzai l'idea che a quel punto, quando sarei stato dall'altra parte, avrei potuto farlo veramente: perché sarei stato solo e quando sarei stato solo, veramente solo, sarei stato libero di vivere la mia vita ma anche libero di morire se lo avessi deciso. Se fosse succeso. Come se restare significasse in qualche maniera che tanto vivere quanto morire fosse impossibile.

Voglio dire, alla fine non dovevo per forza ricominciare da zero se non me la sentivo. Però quando sarei stato dall'altra parte, sarei stato finalmente veramente solo e in questo modo libero.

Non lo so quanto tempo sono rimasto lì fermo. Forse sono stati solo cinque minuti: cinque minuti, dieci, quindici. Ho fumato una sigaretta e ho pensato e ho visto tutte queste cose. Ma ho anche visto mia madre che piangeva per la mia scomparsa e ho visto mio padre, che avrebbe pensato che fosse stata colpa sua e che non avrebbe mai potuto curarla dalla sofferenza che le avrei arrecato; ho pensato che i miei fratelli avrebbero praticamente perso anche loro una famiglia a questo punto e sarebbe stato tutto per colpa mia. Ho pensato anche che per tutte queste ragioni da questa vita non potevo e non sarei mai potuto scappare allora come in futuro se non in una maniera così estrema, radicale. Senza compromessi. O bianco o nero. Come dice mia madre. Non conosco le gradazioni di colore infinite che passano da un estremo all'altro.

Sono testardo oppure forse mi piace semplicemente essere così.

Così non ho scelto oppure, meglio, ho fatto quello che dovevo fare e che però non so se fosse quello che volevo veramente fare: mi sono infilato nuovamente il casco, ho rimesso in moto la vespa e mi sono lasciato l'Africa alle spalle oppure - meglio - sulla destra, mentre continuavo la mia strada senza nessuna meta particolare. La sera arrivai ad Agrigento, ma la Valle dei Templi aveva già chiuso. Mangiai ottimamente a un piccolo ristorante all'aperto in una piazzetta nascosta alle spalle della strada principale della città vecchia.

Il giorno dopo mi rimisi in viaggio e quella giornata incontrai Bruno Spatola, una persona che non dimenticherò mai.

Foto: la mappa del mondo ricostruita secondo Eratostene di Cirene, terzo bibliotecario di Alessandria, 200 a.c.

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editoriale di ThorsProvoni

E direttamente da Giallozafferano, come direbbe qualcuno, ecco il mio nuovo deeditoriale (senza polemiche eh, si fa per ridere... ).

Sapevate che il Monte dei Paschi di Siena è ‘la banca’ del Testimoni di Geova?

Mi direte: porta le prove! E io vi rispondo: le prove provate, le carte insomma, non ce l’ho, ma sono affermazioni che si trovano tranquillamente girando per il fantastico mondo del web. E non su siti bufalari, ma su pagine serie e verificabili.

Ma non mi interessa parlare di banche, oggi. Era solo un modo per introdurre l’argomento del mio qui presente deeditoriale: alcuni aspetti della fantastica vita dei Testimoni di Geova (da ora in poi TdG).

Cominciamo col dire che i TdG non sono cristiani.

Essi infatti non credono in due dei principali punti del Credo a cui si attengono tutti i cristiani: divinità di Cristo e realtà della Trinità.

Non è questo il momento per approfondire queste cose, e non lo farò, ma è così, fidatevi.

Quindi se doveste incontrarli avete già un’arma per controbattere.

Anzi no, l’arma migliore con loro è quella orale: dite che non vi interessa. Perché state certi che un qualche discorso riescono sempre ad impiantarvelo, e a quel punto siete fritti, per quanto preparati possiate essere.

I TdG infatti hanno i loro 15-20 versetti che vi condiscono in tutte le salse, molto spesso tradotti non correttamente. Loro stessi lo ammettono: esiste una traduzione esatta delle Scritture, edita da loro, che però persino nessun TdG può consultare: riporta la traduzione corretta e poi il testo che, comunque, c’è nelle loro Bibbie (la Traduzione dal Nuovo Mondo delle Scritture).

Ma neanche di questo voglio parlarvi oggi. Perciò veniamo al punto, anzi ai punti.

Vorrei infatti deliziarvi con alcune proibizioni che i TdG devono rispettare, pena la censura e persino la dissociazione (qualche volta vi parlerò di questa cosa, perché è seria che ha portato e porta ogni anno anche a diversi suicidi… ).

Per ogni proibizione riporterò anche il testo dei TdG dove è riportata; per molti, i testi sono plurimi, ma ne citerò solo uno. In fondo alla pagina troverete il significato delle sigle.

Tralascio i più classici come il divieto di trasfusione e di trapianto (ma ora stanno cambiando politica in proposito) e quello di festeggiare il Natale e altre festività religiose.

Alcune sono così strane e strampalate che non riesco neanche ad immaginare quale motivo anche solo umano ci possa essere.

Eccole:

- non si può augurare ‘salute’ quando qualcuno starnutisce (Sv 2273/63)

- non si possono vedere teleromanzi in TV né portare la barba (TdG 15.07.87)

- non si possono praticare sport professionistici (Sv 8.11.86)

- non si può partecipare ad attività extrascolastiche come quelle sportive organizzate dalla scuola stessa, balli studenteschi, elezioni di miss di qualunque genere e nemmeno per fare il capoclasse (opuscolo Sj)

- non si possono mandare i bambini all’asilo (Sv 8.5.79)

- non si può far parte di una giuria (TdG 74)

- non si può pensare (!!??) perché è dannoso (TdG 15.1.68)

(io mi fermeri qui, ma mi faccio forza e proseguo)

- non si può praticare la danza classica (TdG 1.7.76)

- non si possono, nella celebrazione del matrimonio, mettere confetti nei sacchetti delle bomboniere, usare le marce nuziali, gettare il riso sugli sposi (Km 7/67)

- non si può lavorare in una ditta che produce articoli natalizi, in un bar o altro luogo dove si vendono tabacchi, biglietti di lotterie e schedine del totocalcio (Km 3/74)

- non si può mangiare un animale ucciso ma non dissanguato secondo le loro regole (un po’ come ebrei e mussulmani) (opuscolo 1968)

- non si possono mangiare uova, lepri e conigli pasquali (Sv 22.3.86)

- non si può frequentare l’università (lettera del 7.12.85); scrivere o spedire lettere ai giornali senza averle fatte leggere agli anziani (circolare 25.1.90)

- non si può partecipare a servizi funebri o altri riti al di fuori della loro comunità (TdG 1.10.61) né a feste in famiglia: onomastici festa della mamma e del papà, s. Valentino, 1° maggio… (TdG 1.12.68)

- non si può accettare né leggere stampa che non sia dei TdG (Km 1/86)…

E, dulcis in fundo, se avete il mal di testa, tenetevelo: è vietato fare uso frequente di pillole per l’emicrania (Lettera del 7.12.85)

Mi sembra che per stasera possa bastare così.

P.S.: come promesso ecco le sigle, per correttezza…

Sj: I TdG e la scuola - Sv: Svegliatevi - TdG: Torre di Guardia - Km: Ministero del Regno

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editoriale di zaireeka

"Esistono due momenti fondamentali nella vita.

Uno in cui l'Universo viene a noi, ed uno in cui noi andiamo all'Universo.

In mezzo c'è solo la Poesia del Tutto" .

Stasera, guardando il cielo al tramonto sopra i palazzi, ripensavo al fatto che in tutto l'Universo non esiste un punto che possa essere definito il suo centro.

Lo dice la scienza, da un po' di tenpo a questa parte.

L'unico punto che può essere definito tale alla fine, almeno per me, è quel punto speciale da cui lo osservo io, l'Universo.

Anni fa, quando mia figlia era molto piccola le chiesi (è una storia vera):

"Tesoro, la vedi la luna? Di chi è la luna?"

"Mia" mi rispose veloce.

Qualche mese dopo le feci la stessa domanda.

"Del cielo" mi rispose.

Un anno dopo le feci di nuovo la stessa domanda.

"Di tutti" mi rispose.

"Benvenuta su questa terra, tesoro mio" le dissi, senza farmi sentire.

Non so a quanti di voi è capitato uno di quegli episodi in cui vi siete trovati ad essere sovrappensiero ed avete effettuato azioni di cui un attimo dopo non ricordate nulla.

Un caso tipico è quando non ricordate se avete chiuso la macchina, o la porta di casa, tornate indietro e scoprite inesorabilmente che la macchina, o la porta di casa, è perfettamente chiusa.

Non potreste mai immaginare che in quei pochi attimi siete stati, una delle poche volte nella vita da svegli, davvero parte dell'Universo.

Di solito siamo chiusi in una gabbia illusoria, chiamata coscienza, a guardarci allo specchio.

Secondo certe correnti di pensiero la coscienza umana è solo un incidente nel percorso evolutivo della razza umana.

La nostra vera natura finale, quando l'Universo avrà finalmente imparato davvero a badare a se stesso, è essere dei robot senza coscienza al Suo servizio, al servizio della Natura, del Tutto.

Cosa possiamo fare nel frattempo?

Trovare un’alternativa.

Aiutare l’universo che si riflette in noi, senza mai poter essere afferrato, a ricostruire la sua perduta unità senza necessariamente, un giorno, farci chiudere gli occhi per sempre.

Riappropriarci della luna.

Tutto e' metafora.

Se non ci fosse metafora non ci sarebbe significato, come dice Hofstadter.

Se non ci fosse la metafora non ci sarebbe la poesia.

La Poesia del Tutto un giorno ci aiuterà a capire l’Universo, a capirne il significato, a ritrovarne l’Unita’.

"Il rombo di un’orchestra è il pieno orchestrale di un aereo che decolla"

"Le battute dalla duecentoventicinque alla duecentotrentanove (*) del primo movimento del secondo concerto per pianoforte e orchestra di Sergei Rachmaninoff contiene il battito di ali di un uccello che cerca di spiccare il volo contro un vento in tempesta".

"C'è un elefante che volteggia nel cielo".

Ma, se è così, la mia vita, tutte le mie parole, tutte le nostre parole, di cosa sono allora la metafora, di cosa il verso, se non dell’Uni-verso?

(*) Minuto 5:20 https://www.youtube.com/watch?v=x8l37utZxMQ

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editoriale di ThorsProvoni

L’Olanda, dicono, sia uno dei paesi europei più avanzati quanto a legislazione che va ‘al passo coi tempi’ (qualunque cosa voglia dire ‘coi tempi’).

Proprio nel paese dei tulipani, di Ruud Gullit e della Donkervoort (come: cos’è la Donkervoort? È la macchina che vedete su in foto!) ho scoperto il LAT.

LAT è l’acronimo di Living Apart Together. Ed è una legge.

Praticamente: sei sposato, anche con figli? Anche da molti anni? E non sopporti i piedi freddi del tuo partner (banalizzo, ma non troppo… )?

No problem! La legge, appunto il LAT, ti permette di vivere non in due stanze separate – che d’altra parte a casa sua ognuno fa quel che vuole – ma addirittura in due appartamenti separati!

E i figli possono stare dove volete voi e per il tempo che volete voi. Tipo pacco.

Pare che questo sia ormai un modo abbastanza comune di praticare la convivenza matrimoniale anche in Francia e Scandinavia e, soprattutto, che sta prendendo piede anche in Italia.

Anche se nel paese del panettun, di Paolo Rossi e della Fiat (ma la Fiat esiste ancora? E quel che ne resta è ancora italiana?) la legge non lo prevede e permette.

Direte che nessuno ci ha ancora pensato o che da noi comanda il cupolone papalino e queste cose non si fanno. Non so, ma in Italia, che io sappia, se sei sposato hai l’obbligo della coabitazione. Anche se poi c’è la possibilità di avere residenze separate per motivi di lavoro, ecc. ecc. . Ma questo è un discorso diverso.

In Olanda non c’è bisogno di un motivo particolare per usufruire del LAT: cambi casa e basta.

Naturalmente non c’è bisogno neanche di specificare in quale dei due appartamenti i due coniugi assolveranno al loro obbligo matrimoniale più interessante e godereccio.

Ora, capisco chi lo fa perché deve stare ancora a casa di mammà per motivi economici.

Ma qui qualunque motivo è buono: c’è chi lo fa perché non sopporta qualcosa del partner, chi vuole ‘avere i suoi spazi’, chi non può vedere gli amici del coniuge, chi non vuole alzarsi al mattino e dover condividere con l’altro quei momenti delicatissimi che ti possono indirizzare la giornata in un verso o nell’altro. Motivi che vengono definiti ‘sociologici’ dai diversi studi sul fenomeno.

Insomma: si può vivere come perfetti sconosciuti o amici che si incontrano ogni tanto per fare uno scambio di sudate (per citare Woody Allen) o per gustare il pollo alla brace con patatine e rosmarino. E rimanere legalmente sposati a tutti gli effetti.

A questo punto, io chiedo: ma allora, che vi sposate a fare?

Oggi come oggi anche in Italia, grazie alle ultime leggi, le coppie ‘di fatto’ sono tutelate praticamente alla pari di quelle sposate; quindi perché arrivare davanti al sindaco o al parroco e firmare un qualche registro? Solo per provare il brivido di vedere come viene la foto di rito? O provare l’effetto che fa il riso che s’insinua nella scollatura della sposa?

Il matrimonio penso, anche al di là di una connotazione ‘religiosa’, è voglia di stare insieme, condividere, litigare e fare pace, giocare insieme coi figli, ‘costruire un progetto’ (come mi vengono bene oggi le frasi!). E per fare questo devi avere tra i piedi l’altro/a.

Dice: ma se la convivenza è difficile? Io non lo conoscevo, non sapevo che l’alito gli puzza, che rutta durante le partite in TV della Sanremese (per dire) e non apparecchia mai la tavola.

Ma perché, oggi si va a vivere sotto lo stesso tetto solo dopo il matrimonio? Nessuno convive prima? Queste cose, non le sapevi già?

Non capisco, proprio non capisco…

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editoriale di Taurus


Non sono portato per carattere agli strombazzamenti e ai facili ammiccamenti, odio i selfie allo specchio e quelli con la bocca a culo di gallina, i like tattici su Facebook e gli atti di reciproco onanismo consuetudinario perché lo richiede la prassi. Però riflettevo su un po’ di cose ed è arrivato il tempo di renderle pubbliche.
Sono circa 10 anni che partecipo più o meno attivamente a Debaser, sono più giovane anagraficamente dell’80% dell’utenza del sito, ma sono più vecchio di molti di voi debaseristicamente parlando.
E allora cosa mi spinge a rimanere ancora attivo dopo tanto tempo? Si potrebbe dire che la genuinità di Debaser, nel bene e nel male, rimane ancora oggi insuperabile. E da un punto di vista qualitativo Debaser non ha nulla da invidiare ai “professionisti della critica musicale” dei vari Ondaclock e webzine digitali concorrenti. Del resto mi fido molto di più di un recensore amatoriale, che di qualche editorialista o caporedattore un po’ furbetto che riceve accrediti e pile di dischi in omaggio ogni settimana. E ai recensori per la maggior parte, i cui molti nickname meritebbero un altro editoriale a latere, competenza e preparazione non sono mai mancati, ma è la passione l'elemento fondamentale che non manca mai a chi dedica spazio e tempo per dare il proprio piccolo contributo per arricchire sempre di più il sito.
E poi il cuore pulsante di Debaser, la sua fenomenologia antropologica è sempre stata scritta nello spazio dedicato ai commenti: un tempo anche anonimi, hanno rappresentato un gran punto a suo favore. E se all’anarchia e al goliardismo ricettistico sotto i pluridoppioni dei tempi andati si è sostituito una sorta di ‘volemose bene’, i commenti rimangono un irrinunciabile strumento di confronto, civiltà (si narra però che il tempio di Deb sia stato costruito sugli antichi resti di un'arena fatta di sangue, polvere e lacrime) e discussione con cui poter interagire con altri utenti e generare discussioni circa l’opera, l’artista o lo scritto.
Avete mai visto cosa succede su Ondaclock quando provano raramente e sciaguratamente ad attivare i commenti per le recensioni? Di musica si deve discutere democraticamente, non è un monologo. Tu scrivi, io ti leggo e ho il diritto di poter intervenire. Tu decidi che hai qualcosa di interessante da dire, io ti dedico del tempo aprendo la tua pagina, è un gioco reciproco delle parti. Ecco dove sta la bellezza di Debaser: non si ammettono monologhi senza contraddittorio. Se dici una cagata, affermi un’inesattezza non puoi disattivare i commenti e nasconderti. Probabilmente venisse soppressa la sezione dei commenti, credo smetterei di scriverci.
Aggiungiamoci alla discreta fetta di utenza attiva una notevole ed eterogena offerta musicale ed extramusicale che ha veramente poco da invidiare a quella di altri siti web. E soprattutto la libertà di poter recensire il disco dei tuoi sogni (o dei tuoi incubi) liberando la fantasia e utilizzando gli approcci preferiti come meglio credi (magari non parlando per niente del disco e divagando? Yeah!), e quanto meglio credi senza scadenze temporali.

E adesso tutti in coro: La mucca è morta, viva la mucca.

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editoriale di ThorsProvoni

Oggi due parole così, per farsi del male.

Qualcuno, su questa terra debaseriana, ha risposto giorni fa a questa mia osservazione in un mio editoriale: "non ho trovato da nessuna parte come deve essere fatto un editoriale" con questa citazione:

"L'editoriale è l'articolo di apertura di una pubblicazione periodica in cui il direttore o un giornalista molto esperto e conosciuto dal pubblico (una «grande firma») tratta un problema o un fatto di rilevante attualità.".

Dal che ho capito che non potrò mai scrivere (almeno su DeBaser) un editoriale perché:

1. non siamo su una publicazione periodica;

2. non sono il direttore;

3. non sono un giornalista;

4. non sono molto esperto né conosciuto, né come giornalista né come imbianchino;

5. non tratto mai problemi o fatti di rilevante attualità.

Purtuttavia sto a scrivere deeditoriali. E lo stesso fate voi.

Questo fatto, quindi, penso mi esima dal rispettare le regole di cui sopra (essere giornalista... fatti rilevanti... ), così come esime voi.

Ora vengo al punto, prima che passino i 12 minuti in cui, si dice, la mente umana è capace di prestare attenzione a qualcosa.

Quando venni attirato in questa trappola debaseriana da un affiliato innominabile, mia intenzione era quella di manifestare al mondo intero la mia eloquenza, conoscenza e capacità d'esprimermi (non per forza in questo ordine) su alcuni argomenti invisi ai più: teologia, Bibbia, fede, ecc. .

Nello specifico, perciò, colgo l'occasione per dirvi che ogni volta che avrete una notifica che vi dice che ho deeditoralizzato, potreste trovarvi (ma non sempre sarà così) di fronte ad uno degli argomenti sopra enunciati.

Certo il tema potrebbe anche non essere direttamente quello, ma state pur certi (e sicuramente l'avrete già notato) che se parlo di qualcosa lo farò a partire dalle mie convinzioni.

Naturalmente siete liberi di andare a leggere o di tenervi alla larga.

Debaseriano avvisato, mezzo salvato. L'altra metà spetta a voi.

P.S.: non la volevo mettere così tragica e/o drastica, ma ho avuto brutte esperienze su altri social (non parlo di FB o Twitter), fino a doverli abbandonare avendo trovato 'buontemponi', diciamo così, che ad ogni pubblicazione riempivano i commenti di off topic, parole poco decenti, offese et similia.

Io accetto ogni commento che esprima un'opinione (poi posso rispondere o meno... ), ma rifiuto espressioni che poco hanno a che fare con la normale e civile comunicazione. Se scrivo è perché voglio offrire spunti per parlarsi, scambiarsi idee, punti di vista e mi sembra che, finora, in quest'universo debaseriano si possa fare.

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editoriale di Cialtronius

è un raccontino horror, lo scrissi quando avevo 25 anni.

IL VIAGGIO
Marco e Gregorio si misero in viaggio con calma, dopo pranzo, con l’automobile di Marco, una Y10 del ‘92.
Gli altri 4 invece avevano preso il treno alle 6 del mattino così sarebbero arrivati in albergo verso l’ora di pranzo e nel pomeriggio avrebbero potuto già lanciarsi sulle piste innevate.
La settimana bianca.
Marco e Gregorio non erano mai stati in settimana bianca, non sapevano neanche sciare.
Quei 4 invece, non solo erano sciatori provetti, ma erano anche organizzati molto bene con le loro tute da sci fiammanti, sembravano tute spaziali, gli sci, il casco, super accessoriati.
Marco e Gregorio li avevano accompagnati al negozio sportivo giorni addietro e i 4 avevano speso un occhio della testa per acquistare tute, sci e altri accessori.
Fighetti del cazzo, stronzetti radical-chic; questo pensava Marco di loro.
Li aveva conosciuti tramite Gregorio, erano amici di Gregorio dell’università.
Marco invece non studiava, faceva il barista e non sapeva bene cosa volesse dalla vita.
Nonostante avesse quasi 30 anni, viveva alla giornata.
Il viaggio fu molto lungo; Marco si fermava spesso agli autogrill, caffè e sigaretta, la pipì, un panino.
Dopo 11 ore di viaggio, erano quasi arrivati in albergo.
Stavano percorrendo l’ultimo tratto di strada, una strada di montagna, stretta e piena di curve, ancora pochi chilometri e sarebbero giunti a destinazione.
Ad un tratto la macchina iniziò a sobbalzare, ad arrancare sulla strada, perse colpi e si spense.
Il motore borbottò come un vecchio animale ferito, l’eco si propagò nella valle e dopo alcuni secondi, si spense.
La benzina!
Gregorio sbottò: “Te l’avevo detto che era meglio metterne un po’ all’ultima sosta ma tu no no ce la facciamo la conosco la mia macchina, la riserva dura tanto eeee… ma vaffanculo va!”
“Ok ok non ti agitare …adesso li chiamiamo e diciamo loro di portare una tanica di benzina” disse Marco, ma in quel tratto di strada i cellulari non prendevano, non c’era la copertura.
Senza benzina a 10km dall’albergo alle due del mattino, a Febbraio, in Trentino Alto Adige.
La temperatura esterna era -11°, faceva freddo, molto freddo.
“Porca troia!” urlò Marco.
Cosa fare?
Era quasi impensabile tentare di arrivare a piedi, 10km a piedi con quel freddo e con quel tempo da lupi ma lupi non ce n’erano, anzi, sembrava proprio che non ci fosse anima viva intorno.
Uscirono dall’automobile infagottati e infreddoliti per guardarsi intorno ma non scorsero anima viva, non passava nessuno.
La situazione era drammatica: se avessero passato la notte in macchina e si fossero addormentati sarebbero passati dal sonno alla morte per assideramento.

IL VECCHIO
Decisero di provare ad incamminarsi nonostante il freddo e subito dopo la curva, la videro.
Un’area di servizio con la pompa di benzina!
Un colpo di fortuna!
Raggianti, tornarono verso la macchina e la spinsero per un centinaio di metri raggiungendo la piazzola di sosta; sì, era proprio un’area di servizio.
C’era la pompa per la benzina, c’era un piccolo chiosco.
L’area di servizio era illuminata a giorno e pulitissima.
Non una cicca in terra, né una foglia o una cartaccia, niente di niente.
Tutto a norma di legge; illuminata a giorno, l’estintore con l’etichetta, il secchio di sabbia, i segnali di divieto di fumo, il rotolo di carta per pulirsi le mani, il secchio dei rifiuti, c’era tutto.
Le cromature della pompa di benzina brillavano sotto la luce artificiale; tutto era nuovo di zecca, forse l’avevano aperta da poco, forse non c’era nessuno e non era un self-service, forse non erano stati poi così fortunati.
Si guardarono intorno e, nell’oscurità, appena dietro il chiosco, lo videro.
C’era un uomo, un vecchio, e stava pisciando.
Finito che ebbe di pisciare, il vecchio rimise dentro il pisello senza neanche sgrullarlo e senza chiudersi la patta dei pantaloni e con un piglio deciso ed un passo rapido a dispetto della sua età, poteva avere 80 anni, appena li vide si avviò verso di loro entrando nella zona illuminata a giorno dell’area di servizio.
Che tipo!
Indossava una camicia di flanella rossa e blu, la classica camicia del taglialegna canadese, una camicia sporca, macchiata, logora.
Indossava soltanto una camicia nonostante il freddo glaciale!
Pantaloni di velluto marroni, la patta aperta, ancor più sudici della camicia se possibile.
I capelli unti, lunghi fino alle spalle, tirati all’indietro, bianchi - anzi no giallini - sporchi.
La barba di 3 giorni, rughe irregolari e profonde solcavano il suo viso da vecchio, 3 o 4 denti in bocca storti e giallognoli e sorrideva mentre veniva incontro ai due ragazzi.
Due occhietti grigiastri, piccoli, vispi, incassati nelle orbite, grandi orecchie, un grande naso bitorzoluto, una bocca larga e semi-aperta, ma non era il lupo cattivo, forse.
“Ehilà, ragazzi! Finita la benzina?” disse il vecchio.
“Entrate il caffè è sul fuoco” e senza attendere la risposta dei due ragazzi, il vecchio era già dentro e in pochi secondi aveva disposto le tazzine per il caffè su di un piccolo tavolino che si trovava all’interno del chiosco, una sorta di piccolo ufficio, anche questo pulitissimo, tirato a lucido, ordinato.
Marco e Gregorio erano incerti sul da farsi ma sembrava non avessero alternativa, inoltre il profumo del caffè caldo e la prospettiva di scaldarsi un po’ dissiparono in pochi secondi eventuali riserve.
“State andando all’hotel ‘La Baita’ vero? Dovete fare ancora una decina di chilometri”
Il caffè era buonissimo, servito in raffinate tazzine di porcellana col piattino sotto, roba di classe.
“Sì” disse Marco “….stiamo andando all’hotel ‘La Baita’ per la settimana bianca, noi siamo partiti dopo pranzo da Roma, i nostri amici invece son partiti stamattina presto e sono già su, ci aspettano”
“Quei 4 fighetti del cazzo! stronzetti radical-chic!” esclamò il vecchio e nel dire ciò il suo volto da bizzarro ma bonario si trasformò in una maschera ghignante e parossistica; fu un attimo, ma fu terrificante.
Gregorio divenne bianco dalla paura, avrebbe voluto dire qualcosa ma era come paralizzato e, in realtà, aveva avvertito la netta sensazione di un grande disagio non appena il vecchiò sbucò dall’ombra dopo aver pisciato.
L’atteggiamento di Marco invece era del tutto diverso, era come divertito, non si rese neanche conto che il vecchio aveva utilizzato, per i 4 ragazzi, le stesse parole che aveva pensato lui.
“Massì” proseguì il vecchio “sono i classici figli di papà, che vanno all’università, che han quasi 30 anni ma che sono ancora a metà con gli studi, che fanno tanto i sapientoni ma non hanno mai lavorato un giorno in vita loro, meritano di morire …che cazzo campano a fare?”
“Mi scusi, ma cosa sta dicendo? Co-come si permett…” era Gregorio; balbettava, tremava, un filo di voce ma il vecchio lo incalzò come un fiume in piena; Marco sorrideva.
“Perché non li ammazzate? 2 a testa… tu ne fai fuori 2 e tu gli altri due… ammazzateli quei 4 stronzi! …facciamo un patto …se li ammazzate io vi faccio il pieno gratis ok? …qua la mano” e tese la mano verso i due, una mano grande, forte, tesa, immobile.
Il vecchio è completamente pazzo, pensò Gregorio col cuore in tumulto, Marco continuava a ghignare divertito, rilassato.
“Ok, ci sto, qua la mano vecchio mio!” disse Marco.
E fu così che il vecchio e Marco stipularono il patto.
“E ora tu!” disse il vecchio a Gregorio “su dammi la mano che aspetti? Due a testa! Un patto è un patto e va rispettato!”
Il vecchio sembrava eccitato, il tono della sua voce era potente, sembrava davvero convinto di quel che diceva.
Gregorio era paralizzato e fu Marco a rompere gli indugi.
Prese da sotto il tavolo il braccio di Gregorio e lo portò vicino alla mano del vecchio che era di nuovo tesa.
Il vecchio afferrò la mano di Gregorio e gli scosse il braccio in una stretta di mano vigorosa, serrata, implacabile.
Gregorio al contrario era come spossato, senza forze, non riusciva a parlare, voleva solo uscire da quel posto.
“E’ andata! Abbiamo stipulato il patto! 2 a testa 2 a testa!” urlò il vecchio trionfante.
In un attimo si alzò, ripose le tazzine ed uscì fuori iniziando a fischiettare il motivetto del film ‘Il ponte sul fiume Kwai’.
Con gesti rapidi e aggraziati era già fuori, pronto a fare il pieno alla macchina; aveva estratto la pistola e programmato il pieno.
Dopo pochi secondi la lancetta della benzina era già tutta a destra, nel serbatoio, erano stati erogati circa 30lt di benzina.
“Fatto!” esclamò il vecchio.
Gregorio, ancora visibilmente scosso nonostante fosse entrato in macchina, fece per prendere il portafogli ma il vecchio se ne accorse subito e gli disse: “ragazzo? Che fai? Il pieno è gratis, abbiamo stipulato un patto! Un patto è un patto e va rispettato! 2 a testa! 2 a testa! Ammazzateli come cani, quei luridi topi di fogna! Ah ah! … Ah Ah!” …e iniziò a battere le mani ritmicamente Ah Ah! CLAP! Ah Ah! CLAP! producendo un rumore secco, uno schiocco di frusta che squarciò il silenzio della valle circostante.
Marco salutò il vecchio per l’ultima volta e mise in moto, continuava ad avere quel ghigno curioso, come di chi la sa lunga ed iniziò a fischiettare il motivetto del film ‘Il ponte sul fiume Kwai’.

LA TELEFONATA
Raggiunsero l’albergo e si sistemarono nella stanza.
Era una stanza confortevole con due posti letto, il bagno in camera, la tv ed il telefono.
Il cellulare di Marco squillò, Marco rispose.
“Sì… certo, sarà fatto, un patto è un patto…” disse Marco. 2 a testa! 2 a testa! La voce inconfondibile del vecchio, Gregorio la sentiva benissimo nonostante Marco avesse l’apparecchio attaccato all’orecchio, era la sua voce, acuta e potente.
Come aveva fatto ad avere il numero del telefonino di Marco?
Gregorio, seduto sul bordo del letto, non fece in tempo a finire di formulare questo pensiero che squillò il telefono fisso della stanza.
Gregorio come in trance alzò la cornetta.
“ehi! Ragazzo! Dico anche a te sai? Un patto è un patto, ne dovete ammazzare 2 a testa, 2 a testa! …e poi tu non mi piaci per niente, finirai male!”
Il vecchio era contemporaneamente su due linee telefoniche!
Gregorio riagganciò e disse a Marco che era necessario andare subito alla polizia a denunciare l’accaduto.
Marco lo tranquillizzò “Gregorio ma che cazzo stai dicendo? Ma ti rendi conto che il vecchio scherza? È un burlone, ci ha offerto il caffè e ci ha fatto il pieno gratis che vuoi di più?”
Gregorio non si calmò affatto e cercò di fargli notare come fosse possibile che il vecchio avesse il suo numero di telefono che avesse chiamato la stanza d’albergo parlando contemporaneamente con entrambi eee…
Niente da fare, Marco non lo ascoltava proprio… ormai aveva sempre quel sorrisetto beffardo dipinto sul volto e lo sguardo era come assente, forse era stanco per il viaggio, ad ogni modo mentre Gregorio continuava a parlare cercando di far valere le sue ragioni, Marco già si era diretto verso la doccia continuando a fischiettare la canzoncina di quel celeberrimo film di guerra.
Gregorio, in preda al panico, decise allora innanzitutto di raccontare l’accaduto agli altri 4 ma avevano i telefonini spenti.
Chiese di loro alla reception e gli fu riferito che due di loro stavano dormendo da almeno due ore e che gli altri due erano fuori, in giro.
Gregorio, senza avvisare Marco, gli prese le chiavi della macchina ed uscì fuori a cercarli, non potevano essere lontani, probabilmente li avrebbe trovati giù in paese al pub, l’unico posto aperto a quell’ora.


LA MATTANZA
Marco, sotto la doccia, si sentiva bene come non mai, ormai sapeva benissimo cosa doveva fare: doveva rispettare il patto.
Li voglio scannare come maiali quei 4 balordi… anzi no due, ne ammazzerò solo due… 2 a testa 2 a testa!
Questo pensava Marco sotto la doccia in preda ad un’euforia incontrollabile.
Una volta fuori si asciugò alla svelta, scese al primo piano e passando dall’uscita di emergenza si introdusse furtivamente nelle cucine dell’albergo dove trafugò un grosso coltellaccio e due guanti scamosciati, di quelli che si utilizzano per gettare i sacchi dei rifiuti.
Tornò su e telefonò alla stanza 213 dove c’erano 2 dei 4 che stavano dormendo.
“Aprite! Sto venendo da voi… fate presto Gregorio è stato arrestato!” disse Marco.
Non diede loro neanche il tempo di replicare, si precipitò fuori immediatamente impugnando il grosso coltello da cucina.
Il ghigno sul suo volto era ora un sorriso largo, sardonico, gli occhi di fuori, Marco era pronto a portare a termine la sua mattanza.
Il ragazzo aprì la porta che era accanto a quella di Marco e Gregorio e ricevette immediatamente una coltellata in pieno petto.
La lama affondò per almeno 20 cm, tanta era la forza impressa.
Il ragazzo si accasciò al suolo gorgogliando inconsulte cacofonie mentre, blando ed esterrefatto, si dimenava tra la pozza di sangue che immediatamente si era formata ai suoi piedi.
Marco gli aveva spaccato il cuore con un solo colpo, il sangue era ovunque.
Marco estrasse la lama dal cuore e si diresse verso l’altro ragazzo con una furia disumana.
L’altro era riuscito a scendere dal letto, d’istinto rovesciò la lampada e la frappose tra sé e Marco ma Marco la scansò via con rapidità fulminea.
Il ragazzo balzò sul letto dell’altro e cercò di guadagnare la porta del bagno per chiudersi dentro ma non fece in tempo perché Marco entrò nel bagno con lui.
Ci fu una colluttazione ma Marco era come un cane idrofobo, aveva una forza ed una rapidità tale che il povero ragazzo non ebbe scampo.
Venne centrato dal coltellaccio proprio in mezzo alle scapole e Marco si accanì, il ragazzo aveva tentato una reazione.
Si accanì come una bestia e diede tante, ma tante coltellate al ragazzo, lo colpì ripetutamente sulla schiena, sulle braccia, sul volto, sulle gambe, ovunque.
La scena era raccapricciante; il primo ragazzo era rannicchiato in una pozza di sangue in posizione fetale e con le mani sul cuore o meglio, su quel che ne restava.
Il secondo era semi seduto sul bordo della vasca con intorno il telo per coprire gli schizzi d’acqua pieno di tagli e di sangue e di frattaglie sparpagliate sul linoleum.
Sangue ovunque; sulle pareti del bagno, sul soffitto, sulla vasca, sullo specchio, sul pavimento.
Non era più bagno, era una macelleria ma non era mobile e non era mezzanotte, erano le 4 del mattino.
Marco uscì dal bagno si sedette sul letto di uno dei due e si tagliò la gola e morì.
Il coltello cadde per terra.
Marco si accasciò da un lato: il ghigno c’era ancora.

L’INCIDENTE
Gregorio uscì dal parcheggio dell’hotel ed imboccò la stradina che portava giù in paese.
Dopo la curva c’era un rettilineo e Gregorio accostò per provare a richiamare i due sul telefonino, magari erano nel pub e non avevano campo, magari erano usciti e poteva finalmente comunicare con loro.
Non poteva sapere, Gregorio, che i due fossero più vicini di quanto immaginasse.
I due erano ubriachi fradici; provenivano dal pub ed insieme con gli altri turisti e gli abitanti del luogo si erano scolati tanta di quella grappa da non reggersi in piedi.
Erano a piedi e si trovavano appena sopra la strada, avevano imboccato una scorciatoia, un sentiero che passava per il bosco e che era sì meno agevole da percorrere ma molto più breve della strada asfaltata che avevano percorso all’andata.
I due, ancora in preda all’euforia e caracollanti, decisero di fare una gara, una corsa lungo il sentiero.
Il sentiero sbucava sulla strada principale e si trovava ad un metro circa dal livello dell’asfalto.
I due erano appaiati nella corsa e ridevano e si spintonavano e stavano giungendo alla meta praticamente insieme.
Gregorio, in preda allo sconforto e ad una rabbia incontrollabile, innestò la marcia e partì a razzo lungo il rettilineo per scendere in paese.
Stirò la prima marcia, poi la seconda.
I due erano giunti sul traguardo, la fine del sentiero di montagna, la fine delle loro vite, 2 a testa.
I due saltarono insieme; davvero non sarebbe stato facile stabilire chi avesse vinto la gara.
Saltarono sulla strada asfaltata nel preciso istante in cui sopravveniva, a tutta velocità, la Y10 del ’92.
L’impatto fu terrificante.
I loro colpi rimbalzarono sul parabrezza e volarono in alto investiti dalla macchina in velocità.
Sembravano due manichini, due pupazzi di pezza gettati dalla finestra a capodanno.
Morti sul colpo, il cranio sfasciato, la spina dorsale spezzata, due a testa.

EPILOGO
Da un quotidiano locale:
La nostra comunità è stata profondamente turbata dagli abominevoli omicidi della notte scorsa.
Mai, a memoria d’uomo, il nostro paesino era stato teatro di un fatto di sangue così feroce e malsano.
Gregorio Ravelli, 29 anni, di Roma, incensurato, ha barbaramente ucciso i suoi 5 amici coi quali era in vacanza per la settimana bianca.
Tre di loro sono stati trucidati e sgozzati, con un grosso coltello da macellaio, trafugato nella cucina dell’albergo e rinvenuto sul pavimento della stanza 213; gli altri due sono stati investiti dal Ravelli con l’automobile in velocità e senza alcuna traccia di frenata.
Il Ravelli è in stato di choc, rinchiuso in una cella, guardato a vista.
Non ha parlato, non ha spiegato i motivi della carneficina, si è chiuso in un totale mutismo, è praticamente catatonico.
L’unica frase che ripete sporadicamente è: 2 a testa 2 a testa, il patto va rispettato.
Una curiosità: nel serbatoio della Y10 non c’era neanche una goccia di benzina.

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editoriale di sotomayor

Quando ero bambino, mio padre lavorava in fabbrica a una macchina a controllo numerico. Ricordo che qualche volta succedeva, in occasione dei periodi natalizi, che i genitori potevano portare la propria famiglia e i propri figli in fabbrica: questa organizzava degli eventi attraverso il cral aziendale in cui era data la possibilità di accedere a degli sconti per chi volesse comprare determinati regali per i figli in occasione delle festività. Organizzavano allora una specie di festa e un allestimento. Ricordo questi grandi capannoni addobbati per l'occasione: nel complesso, ripensandoci, mi sembra tutto molto 'povero'. Era sicuramente tutto molto grigio e ricordo sempre che faceva freddo, però allora bastava la magia dei giocattoli a dare quel colore che significava qualche cosa di speciale.

Devo dire che mio padre non amava particolarmente quelle iniziative. Ricordo che organizzavano, sempre secondo le stesse modalità, ad esempio anche la colonia estiva e mio padre non volle mai mandare me e mio fratello più piccolo, il terzo invece non era ancora nato in quegli anni, perché diceva che non avrebbe mai e poi mai lasciato i suoi figli in ostaggio nelle mani del padrone.

Comunque io queste visite me le ricordo bene ancora oggi, ma ricordo che quello che mi interessava veramente era vedere dove lavorava papà.

Io volevo essere come mio padre, il mio unico grande sogno, l'unica cosa che ho sempre voluto essere è stata diventare un operaio come mio padre prima di me. Magari potere un giorno lavorare alla macchina accanto alla sua.

Era la fine degli anni ottanta. Vedevo poco mio padre durante gli anni dell'infanzia. Un po' perché faceva i turni in fabbrica; un po' perché il sindacato, era nel comitato centrale, la politica... tutte queste cose lo tenevano spesso lontano da casa.

Praticamente posso dire che io e mio fratello siamo stati cresciuti solo da mia madre e per questa ragione, come io volevo essere come lui, ricordo che dormivo con martello, pinze, cacciavite... sotto il cuscino, allo stesso modo mio fratello (due anni più piccolo di me) aveva per lui una specie di venerazione. Tanto che mia madre a lungo si domandava se per caso sbagliasse qualcosa nel comportamento nei suoi confronti. Ma la verità era semplicemente che, poiché lui non c'era mai, quando c'era, la cosa acquistava un significato speciale per noi e per mio fratello, più piccolo di me, la cosa lo era ancora di più. Del resto sul piano affettivo (come sotto ogni altro aspetto) non ci ha mai fatto mancare nulla.

Poi a un certo punto tutte le cose sono cambiate.

Mio padre ha chiuso con la fabbrica. Mio padre ha chiuso per sua decisione con il sindacato e con la politica, del resto non era più un operaio metalmeccanico e democrazia proletaria (cui era stato tra i fondatori, dopo l'esperienza in avanguardia operaia) concludeva la sua esperienza politica confluendo in buona parte in rifondazione comunista. Cui non volle mai aderire. Del resto aveva già avuto Bertinotti come 'capo' al sindacato e averci a che fare in quel contesto gli era bastato. Nonostante il 'compagno' Fausto fosse per lo più assente e poco interessato a adempiere ai suoi impegni di rappresentante capo del sindacato dei metalmeccanici e impegnato a diffondere il verbo da qualche altra parte non meglio precisata, il fatto che mio padre non fosse allineato al pensiero massimalista del pci gli comportò nel tempo un certo ostracismo, se non - molto peggio - degenerazioni e minacce degne di una certa altra parte politica della direzione opposta e che, va detto, senza denigrare un pezzo importante della storia di questo paese, non mancarono tuttavia nel corso degli anni della storia del partito comunista italiano.

Questo succedeva più o meno in coincidenza con la caduta del muro di Berlino: come se quel determinato momento storico avesse segnato il crollo di tutte le mie certezze in una maniera che ancora oggi a distanza di tanti anni, mi appare irreversibile.

È come se quel muro in un certo senso mi sia crollato addosso.

Appena mi sono diplomato, oltre dieci anni dopo, ho fatto subito domanda per entrare in Alenia Aeronautica, ma non mi hanno mai risposto.

Lo sapevo che sarebbe andata così, figuriamoci, ma provare non mi costava nulla.

Nel frattempo comunque mio padre aveva avviato una sua attività e - come naturale - avevo cominciato a lavorare con lui già prima del conseguimento della maggiore età. Del resto aveva comunque bisogno di una mano e sembrava naturale che fossi io ad aiutarlo. Ma la cosa non mi è mai dispiaciuta: mi sono sempre offerto volontario.

Sono passati quindici-venti anni e non ho mai smesso di fare quel lavoro, una attività che padroneggio con l'esperienza di un veterano e molto meglio di colleghi più attempati e con anni e anni di esperienza alle spalle (che poi a questo punto non sono più tanti dei miei), e l'unica ragione per cui credo di avere cominciato e di avere continuato a farlo sia stata in parte la realizzazione della stessa che quando ero bambino mi faceva sognare di lavorare a una di quelle gigantesche macchine.

Infatti sono riuscito, se vogliamo, a lavorare con mio padre (ma vi posso garantire che nonostante l'ottimo rapporto, un rapporto molto intenso e speciale, questo non sia stato facile a causa del suo carattere diciamo particolare). Ma mi manca qualcosa.

La fabbrica.

Qualche anno fa cercai curiosamente di riempire questo grande vuoto proprio a Berlino, dove cercai l'amore disperatamente rincorrendo fin lì la donna della mia vita. Ma io non ero l'uomo della sua vita e così, ironia della sorte, mi ricordai d'un tratto, proprio lì, davanti ai resti del muro, che io stavo ancora lì: sotto quel cumulo di macerie.

In un certo senso sento di non essere riuscito a combinare niente nella mia vita. Tutto quello che ho fatto è stato seguire la scia di mio padre. Ma mi manca qualche cosa e negli anni ho cominciato a avere dei problemi di salute e quando anche la sua è peggiorata, per motivi diciamo fisiologici dato il raggiungimento di una certa età, penso di avere definitivamente realizzato che quel sogno così tanto lontano sia rimasto incompiuto e che forse dentro c'era qualche cosa di più che potere fare lo stesso lavoro di mio padre e essere come lui.

Dentro quel sogno c'era quella voglia e quel bisogno di fare parte di qualche cosa di grande e che se da una parte mi avesse avvicinato a mio padre, come pure volevo del resto, dall'altra mi avrebbe anche dato una definizione e un ruolo riconoscibile all'interno di un gruppo e di una comunità di persone. Avrei fatto parte di qualche cosa.

Volevo lavorare in fabbrica perché così non sarei mai stato solo.

Ogni giorno che passa, adesso, invece, sento che sono sempre più solo e che questo grande buco che ho dentro non riesco a riempirlo e nonostante io ci abbia provato con metodi che definirei 'sani', come cercare di coltivare amicizie o una relazione sentimentale, ve ne ho parlato prima in poche righe, senza esito; che insani. Facendomi del male.

Forse il grande sogno di lavorare in fabbrica, penso qualche volta a Gaber quando diceva che 'Qualcuno era comunista perché si sentiva solo,' ecco, forse anche quello era solo una grande illusione. Ma, sapete, ci sono bambini che sognano di fare qualche cosa di avventuroso come il pilota oppure il pompiere oppure qualche cosa di ancora più difficile come l'astronauta o lo scienziato; altri invece hanno ben chiaro sin dalla più tenera età di voler fare il medico oppure l'avvocato oppure l'architetto...

Io volevo solo fare l'operaio e costruire gli aeroplani: questo era l'unico modo con il quale mi sarei potuto staccare dalla terra e avrei potuto spiccare il volo. Solo che invece sono rimasto con i piedi attaccati al suolo e ogni volta, alzo gli occhi al cielo e vedo gli aeroplani volare e mi sento vuoto e come se la mia vita non avesse alcun senso.

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