editoriale di sotomayor

Ci sta questo locale a Kreuzberg, Berlino Est, che si chiama ‘Madame Claude’. Il posto è carino. Voglio dire, niente di particolare, semplicemente un classico sotto-scala con quattro-cinque locali a disposizione. Ma è accogliente. Ce lo avevo proprio dietro casa. Cinque minuti a piedi. Dieci se avevo i piedi troppo gonfi per il freddo.

Chiara amava quel posto e ci andavamo ogni settimana. Specialmente il lunedì. Perché il lunedì al Madame Claude era la serata dedicata agli artisti di musica elettronica sperimentale e lei ci teneva tantissimo a assistere a ogni performance. Ammetto che sono sempre stato una persona di poche pretese. Non me ne importava niente di queste performance, ma mi bastava semplicemente uscire e stare assieme. Dunque perché no. Ci tengo a dire che non ho mai lasciato trapelare poco entusiasmo, anzi a volte le proponevo proprio io direttamente di andarci. Meglio che restare sempre chiusi in casa.

Questi happening avvenivano all’interno di una delle sale del locale che veniva attrezzata con delle sedie. In fondo alla sala venivano generalmente proiettate delle immagini. Si trattava del resto per lo più di opere concettuali e cui anche queste avevano o avrebbero dovuto avere evidentemente un ruolo centrale.

Naturalmente, mi sembra inutile specificarlo, la maggior parte dei progetti proposti era assolutamente inascoltabile. Ma Chiara amava quelle performance che ogni volta seguiva ad occhi chiusi per tutto il tempo e io per dire la verità sopportavo in maniera molto religiosa anche questo suo atteggiamento. Sono sempre stato abituato a stare da solo, di conseguenza quando sono in compagnia di qualcuno da qualche parte, da qualsiasi parte, voglio parlare. Non sto dicendo di chiacchierare ad alta voce ogni volta, ma, cazzo, io se non voglio parlare con nessuno, me ne sto a casa mia da solo, non posso concepire di stare tutto il tempo accanto a una persona immobile in silenzio in una specie di stato di trance. Questo mentre dei ragazzetti molto alternative giocano con i loro ‘canta tu’ da milioni di euro e urlano delle grida al microfono che ricordavano quelle di Fantozzi nei momenti più tragici. Però la rispettavo molto e allora immaginavo che questa cosa per lei avesse un qualche significato particolare.: come se questa esperienza in ogni caso la facesse entrare tipo in una specie di trance meditativa. Come praticare lo yoga. Non lo so.

Le immagini proiettate erano comunque tratte da film sperimentali giapponesi oppure coreani o in ogni caso da qualche pellicola che a un povero ‘peones’ come me non diceva assolutamente nulla. Molto spesso non credo queste avessero un contenuto direttamente collegato con il concept (eventuale) che si voleva sviluppare e che fossero chiaramente invece una specie di esibizione alternative anch'esse. Ma una sera in via del tutto imprevista ecco che sullo schermo cominciarono a scorrere delle immagini familiari e che riconosco immediatamente. Il film è ‘Arrivano i titani’ del 1962, un ‘peplum’ diretto da Duccio Tessari e con il suo feticcio Giuliano Gemma nel ruolo di protagonista.

Nella sala eravamo gli unici italiani quindi immagino che nessun altro oltre me abbia capito esattamente di cosa si trattasse. Mi sentii fiero e orgoglioso di avere riconosciuto quel film. Che finalmente avevo trovato qualche cosa in un luogo 'ostile' che mi apparteneva e di cui potevo rivendicare il pieno possesso. Allora cominciai a dare dei colpetti a Chiara: ‘Chiara... Oh, Chiara, guarda lì, c’è Giuliano Gemma...’ Ma lei, dopo aver fatto un po' di resistenza, si limitò a emettere un grugnito, quindi fece una mossa come se fosse stata colpita da una tarantola e io allora rinunciai e continuai a ‘guardare il film’.

La performance si concluse dopo poco e lei volle subito andare via. Fuori faceva un freddo cane e per qualche ragione lei aveva voluto uscire vestita solo con i leggings e un giubbotto di pelle. Le stavano bene ma faceva oggettivamente un freddo cane e io glielo avevo detto, ‘Guarda Chiara che fa un freddo cane.’ Ma ogni volta che glielo dicevo, lei diceva che io avevo sempre freddo. Non ci stava una cosa che le dicessi che per lei andasse bene. Tremava, io come sempre mi avvicinai a lei con una certa premura, ma venni nettamente respinto. Poi passa la metropolitana finalmente. La U2. Facciamo due fermate e poi dieci-quindici minuti a piedi e siamo a casa sua. Percorriamo tutto il tragitto in totale silenzio interrotto di tanto in tanto da alcuni miei velleitari approcci e tentativi di capire.

Ci spogliamo in silenzio (cioè io mi tengo comunque addosso almeno i calzettoni di lana se non la calzamaglia) e ci infiliamo direttamente a letto. Lei assume da subito la sua tipica posizione difensiva dandomi le spalle. Io mi sento male e penso semplicemente che non ho capito un cazzo e mi metto a fissare il soffitto. Dopo un po’ mi fa, ‘Che fai?’ E io le dico, ‘No, niente, cioè guardavo il lampadario. È sferico, mi fa pensare a una volta che dovevo andare al planetario, ma non mi hanno fatto entrare.’ Lei mi dice, ‘Buonanotte.’ E io sono sicuro ancora a distanza di tanti anni di non avere capito un cazzo. Sono sicuro peraltro che non mi risponderebbe neppure oggi. Così mi domando ancora adesso fino a che punto puoi dare per scontato che uno debba sempre riuscire a interpretarti e se uno non ci riesce, è veramente per forza uno stronzo?

Penso che Chiara fosse come una gatta. Forse considerava quello spazio come un suo territorio e dove nessuno, me compreso, avrebbe dovuto entrare. Ma nel momento in cui avevo identificato la pellicola, il regista e Giuliano Gemma, avevo evidentemente commesso una violazione a questo suo spazio sacrale. Con il tempo scoprii che i suoi spazi inviolabili erano così tanti che scontrandosi tra di loro riuscivano a creare il vuoto. Lo stesso che mi porto ancora dentro a distanza di tutti questi anni.

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editoriale di paolofreddie

I cancelli del cimitero sbattevano, percossi dal vento, violentati dalle gocce grosse di pioggia, e lasciavano passare le foglie appassite in volo, riunite insieme nel viaggio spedito verso la morte. Mentre una scia di polvere si gettava contro la pietra fredda, una mano lacerata, consumata, abrasa si scagliò contro il cielo, stagliandosi al di sopra dell’effimera erba spirata. Le unghie logorate dal tempo senza vita si conficcarono nel fango, una spinta affaticata di un corpo pesante e una testa che fa capolino nell’aria ululante segnarono l’evasione del prigioniero della terra. A gattoni l’imponente e triste figura procedeva in cerca di un appoggio. Le dita incontrarono la lastra bagnata della lapide. Al tocco il corpo dell’uomo tremò e convulso cadde di nuovo nel fango. Due occhi si aprirono e piano piano misero a fuoco la scritta incisa sulla tomba. Questi lessero il nome e la data di morte. Poi, salendo, si fermarono sulla foto, nella quale viveva come un ricordo il volto sereno di un ragazzo dai capelli lunghi e dagli occhi chiari. La bocca dell’evaso, fino ad allora ferma, incollata, si stracciò ed emise un urlo profondo, roco, che squarciò l’aria pullulante di cellule addormentate. Con una forza sovrumana il corpo si alzò. L’evaso della terra si fiondò verso i cancelli, fece di volata la strada affiancata da due file di bianchi cipressi e si dissolse nel buio.

L’alba si affacciò all’orizzonte vestendo di oro divino le vaste distese. Accovacciato sopra un albero, come una vedetta, stava l’uomo, ora totalmente asciutto, pulito. Eppure il sole non era dedicato a lui, ma come per un rito era venuto a dar vita alla vita di tutti i giorni. L’evaso sbatté gli occhi guardando al di sotto. Il paesino sottostante si stava appena svegliando, a testimoniarlo le prime luci artificiali. Un’aquila, descrivendo un elegante semicerchio nel cielo, si posò sul ramo, vicino alla vedetta. Il fiero uccello girò la testa e sorrise enigmaticamente all’uomo. Quest’ultimo porse la mano e l’aquila vi si appoggiò. Con un balzo felino l’evaso si slanciò verso l’albero vicino, e, padrone dei suoi arti, si gettò a terra, senza farsi male.

Proprio in quel momento, a un centinaio di metri da lui, una ragazza si stava dirigendo verso una fonte di acqua limpida. Nuda vi entrò e si bagnò, baciata dai raggi gentili del sole appena nato. Allora intonò una dolce e ammaliante melodia. Le orecchie dell’evaso colsero il suono e furono subito soggiogate. Ei avanzò verso la fonte, in direzione di quella magnifica voce. I passi pesanti dell’uomo attirarono l’attenzione della ragazza. I suoi caldi occhi vivi, freschi e innocenti, attraversarono il corpo di lui e si fermarono sul volto. Sebbene la vista di quella faccia rovinata potesse spaventarla, lei ne fu affascinata. Con profondo interesse e cieca fiducia la ragazza si alzò e il suo corpo, puro, senza macchia, dinamico, non freddo e statuario, si mosse verso la sponda, a piedi nudi, talmente leggera che sembrava sfiorare appena il suolo. L’evaso la vide, e provò una strana sensazione dentro di sé. Dei ricordi cominciarono ad affiorare, un nome di donna si affacciò nella sua mente e capì ciò che aveva dimenticato, ciò che aveva perduto, essendo stato condannato a dormire nelle viscere della terra. Ricordò il giorno della sua morte, ricordò l’urlo straziante della sua amata che cercava di strappare alle mani degli esecutori il suo corpo. Ricordò la terra che gli era stata buttata addosso, il cumulo che lo aveva separato dall’universo, dalla vita.

In quel momento, mentre guardava con la bocca leggermente aperta, come intontito, ancora stregato dal canto dissoltosi nel vuoto, e ora irretito dalle linee di quel corpo sinuoso, così nuovo, così vivo, così vero, pensò alla sua donna, e qualcosa o qualcuno urlò dentro di lui. Svenne. Quando si risvegliò era tra le braccia della ragazza della fontana, e lei lo guardava con amore, con una curiosità casta e ingenua, eppure così autentica, così decisa. Egli tentò di articolare una sillaba, ma la ragazza posò le sue labbra sulle sue, mettendolo a tacere. Un brivido corse lungo la spina dorsale del reduce, che ebbe un tremito inconsulto. La vita gli passò davanti, rivide tutto quanto, dal momento della sua nascita fino alla morte. Rivisse i suoi sogni, i suoi incubi nell’arco di un battito di ciglio. E di nuovo, come un tempo aveva dovuto, forzatamente, lottando all’ultimo respiro per non soffocare sotto una pila di terra, spirò. Morì tra le braccia di una dea in fiore, se ne andò con una smorfia di estasi e di terrore.

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editoriale di zaireeka

Piano concerto n.3 di Kurt Atterberg - Primo movimento

Chi siamo noi?

Chi sono io?

Sono quella tarda serata di agosto sulla spiaggia con il me stesso di 38 anni fa, mi racconta della sua passione per le discoteche e i Bee Gees, le cui note risuonano nell’aria.

Mi racconta per intero le ultime cinque puntate di Happy Days.

Gli parlo della mia passione per la musica classica, per la musica psichedelica, romanzi e saggi filosofici, anche per certa musica depressa e talvolta malata, cose difficili, fatica a riconoscersi.

Gli dico che di televisione ne vedo non più di mezz’ora al giorno.

Siamo per fortuna confinati, senza spesso rendercene conto, in un mare di categorie, solo per decifrarci nel tempo e farci decifrare dagli altri.

Da cui a volte però tendiamo, per età e per altro, a voler saltare fuori come per misteriosi salti quantici.

A voler essere nuovi e dissonanti in mezzo all’imperante, forse troppo meravigliosa e stabile, armonia.

A melodie che da sole basterebbero a rendere tutto indimenticabile.

Ma il libero arbitrio e’ solo una cosa illusoria.

Pensiamo tutti di essere un po’ speciali.

Presidenti, preti, filosofi.

Figli, genitori.

Ma in fondo siamo un po’ come quell’unico elettrone che tesse l’universo immaginato da John Wheeler.

Che va, vorremmo andare, avanti e indietro nel tempo, a riparare gli errori che possiamo ancora commettere, senza sapere perché, nel nostro futuro.

Piano concerto n.2 di Bela Bartok - Primo movimento

Pensiamo di non avere idee oppure di averne talmente tante che a volte fatichiamo a controllarle.

Ma in fondo ripetiamo sempre le stesse poche cose, abbiamo i nostri chiodi fissi, sottoposti alla comprensione degli altri.

Con cui cerchiamo di tenere appesi al muro scivoloso del tempo gli specchi colorati su cui si riflettono i nostri giorni.

Un po’ come sempre le stesse note in fuga, che si rincorrono, suonate da strumenti diversi.

A distanza di secondi, accavallandosi.

Di mesi o di anni.

Piano concerto n.1 di Dimitri Kabalevsky - Secondo movimento

Mi capita a volte, la domenica pomeriggio, quando sono solo in casa, di andare alla ricerca di un concerto di musica classica mai ascoltato.

Sfuggito all’attenzione del mondo forse perché alla sua epoca il mondo produceva troppa bellezza.

In cui rinchiudermi lontano da tutti, ma con i risultati della partita sul televisore muto, per ricordare i tempi in cui il calcio per me era (quasi) tutto.

Per sentirmi ancora, banalmente, parte del mondo.

(Da Wikipedia)

Aristosseno riconobbe la funzione fondamentale della memoria nell'intelligenza della musica, come risulta da un paragrafo degli Elementi di armonia: «Di queste due cose, invero, la musica è coesistenza: sensazione e memoria. Bisogna infatti sentire ciò che accade e ricordare ciò che è accaduto».

E’ l’abitudine a sentire il proprio cuore ed il proprio respiro, come riconoscere sempre la stessa strada dall’inizio alla fine.

Vivere non e’ altro che l’arte di ascoltare musica.

Piano concerto di Kurt Atterberg

Piano concerto n.2 di Bèla Bartòk

Piano concerto n.1 di Dimitri Kabalevski

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editoriale di paolofreddie

David era un obiettore di coscienza. Non aveva che il suo fiero orgoglio a sostenerlo, a fargli da scheletro nella sua vita lavorativa, e anche quando era nel mezzo di una discussione tra comuni amici. Pensava che fosse un dovere e un diritto dell’uomo opporsi a ciò che era comunemente accettato dalla maggioranza. Per via del suo temperamento si era fatto molti nemici, che però gli parlavano alle spalle, perché preferivano che lui fosse emarginato. Se loro lo avessero criticato, lui avrebbe avuto la risposta pronta, quindi sarebbe uscito comunque vincitore, a prescindere dalla verità effettiva. David sapeva tutto questo ed era ancora più radicalmente fiero di sé quando ci pensava o se lo diceva fra sé e sé.

Un giorno decise, come illuminato da un getto di genialità, di donare il seme. David non aveva una donna – non a caso era un obiettore di coscienza –, quindi se lo poteva permettere. E lo stesso donare il seme era per lui un’obiezione di coscienza. In merito al lavoro, vi si dedicava solo per permettersi qualche soldo per portare avanti la sua vita da obiettore di coscienza. Il giorno in cui David rimase folgorato dall’idea pseudo-geniale passò alla storia: David chiedeva per la prima volta al capo un giorno di astinenza dal lavoro. Aveva sempre lavorato con fierezza, distinguendosi dalla maggioranza dei suoi colleghi che timbravano il cartellino e poi se ne andavano a fare shopping – quegli stupidi! –. Il capo gli negò il permesso, nonostante la buona condotta di David, che era forse il lavoratore più accanito dell’ufficio, anzi, dell’intero edificio. Da obiettore di coscienza, David prese l’ascensore, premette il tasto che attivò il meccanismo e partì verso il basso.

Alla banca del seme David era molto emozionato, non stava letteralmente più nella pelle. La tizia giovane ed esile ad assisterlo percepì la sua forte eccitazione, quindi gli chiese se stava bene. “Mai stato meglio” disse David. “A me non sembra. Non può donare il seme in queste condizioni: lei è troppo euforico” rispose lei, scuotendo la testa, pensosa. Il viso dell’uomo si arrossò, poi sbiancò, poi divenne di un colore simile alla terra arata, solcata e ingrigita dalla stanchezza. Non poteva credere alle sue orecchie. “Cosa significa che sono troppo euforico?” disse tirando fuori il fazzoletto dal taschino e dandosi dei leggeri colpetti sulla fronte. Pacata ma decisa la ragazza disse “Signor Leigh, lei ha la pressione troppo alta, il suo seme ne potrebbe risentire, anzi, sicuramente”. “Scusi ma continuo a non capire”. “Signor Leigh, faccia uno sforzo di immaginazione. E non sia egoista. Lei pensa di uscire di qui dopo aver semplicemente depositato il seme, ma non pensa alle conseguenze che potrebbe avere una fecondazione con sperma sovraeccitato. Il feto generato dal suo seme potrebbe tramutarsi, alla nascita, in un neomorto. Non si viene qui alla banca del seme con questo spirito”. David capì, chinò la testa tristemente e rimise meccanicamente il fazzoletto al suo posto, nel taschino. Guardò l’orologio sulla parete della stanza e disse a bassa voce “Sono già le 12:00, farò tardi al lavoro”. La ragazza chiese “Come, signor Leigh?”. “Niente, niente” rispose lui con un cenno della mano ad accompagnare quella semplice oscura parola ripetuta.

Tornato a casa la sera, dopo aver girato a vuoto nella sua automobile, si diresse subito verso il bagno e si guardò allo specchio. Sulla fronte c’era scritto a caratteri cubitali “NO” con tanto di punto esclamativo. Strizzò gli occhi e rivide quella scritta, tentò di nuovo a farla sparire ma niente. Fino a che non si mise sotto le coperte, la scritta lo accompagnò imperterrita, imperiosa. Si addormentò triste e si risvegliò altrettanto triste. Appena giunto al luogo di lavoro, fece contattare il capo dalla segretaria, entrò nel suo ufficio e diede le dimissioni.

Pochi giorni dopo lo trovarono riverso a metà in una buca, al cimitero, scavata da lui stesso. Aveva l’abito strappato e la pelle era aperta, percorsa da graffi ancora caldi, ancora sanguinanti. Dopo essersi licenziato, David aveva fatto domanda per un lavoro da becchino. Lo avevano assunto senza tanti complimenti. Di morti, nei giorni precedenti al ritrovamento del corpo, non se ne erano visti, quindi David era rimasto a bocca asciutta. Evidentemente era stanco di tutta quell’ironia che la sorte abbatteva su di lui. Come ultimo atto d’amore per sé stesso, da obiettore di coscienza, non avendo potuto donare il seme per generare vita, non avendo potuto donare una tomba a chi non ne aveva più, si era scavato la fossa. Senza successo. Non era riuscito a tumularsi, a completare l’opera, perché per giorni aveva digiunato e non aveva dormito, fino al punto di morire tra un colpo di zappa e il successivo, andato in fumo.

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editoriale di sotomayor

Cominciamo con queste cinque domande una rassegna di interviste a personaggi impossibili e che hanno fatto a loro modo la storia della cultura, del pensiero filosofico e della vita politica e sociale.

Una iniziativa che è resa impossibile dalla speciale strumentazione in dotazione al nostro studio radiofonico e che ci permette di entrare in contatto diretto con i morti. Parlare con i morti per parlare della loro vita e ricordare a tutti che la vita non è mai perfetta.

Il primo personaggio intervistato è Serge Voronoff (1886-1951), chirurgo e sessuologo russo naturalizzato francese e una delle personalità più celebri al mondo durante gli anni della cosiddetta 'belle époque'.

Parliamo di una personalità molto speciale e che ha mantenuto negli anni grande fama e che per questo ringrazio molto per la sua disponibilità e averci concesso questa breve intervista.

V. Buonasera a tutti.

Vi ringrazio per avermi invitato e per avermi scelto come prima persona intervistata. Devo dire al riguardo che la cosa mi fa molto piacere, la considero come un modo di dare ancora adito al mio contributo alle scienze anche successivamente il mio trapasso.

Devo altresì dire che varcare questa soglia tra la vita e la morte ha costituito sicuramente una esperienza affascinante. Ah, se solo avessi la possibilità di non essere intangibile! Sicuramente in tal caso mi dedicherei a sperimentare su quache cavia questo tipo di esperienza. Ma ahimè i miei tempi sono andati.

Oppure... Chi lo sa. Magari potrebbe assistermi lei? Cosa ne pensa? Io la mente, lei le braccia. Assieme potremmo fare grandi cose!

Ehm... Capisco il suo rammarico Dottore e la ringrazio per l'offerta generosa, ma credo proprio che la chirugia non sia il mio campo.

V. Peccato.

Ma se cambia idea sa dove trovarmi.

1. Cominciamo allora con le domande. Dottore, i più giovani molto probabilmente non hanno mai sentito parlare di lei e dei suoi studi nel campo della medicina e della biologia. Al contrario, quando si sente nominare il suo nome, sembra sempre che questo sia oggi contornato da un alone di oscurità e di mistero (si raccontano per la verità molte storie anche per quello che riguarda la sua residenza nella riviera ligure, lo 'Chateau Grimaldi'). Solo poche persone inoltre la ricordano come un brillante chirurgo e un vero innovatore nel campo della scienza medica e la maggior parte la ricorda come un personaggio eccentrico, quasi una specie di 'scienziato pazzo'. Cosa pensa di queste definizioni? Le considera offensive?

V. Naturalmente io non sono mai stato pezzo, né sono mai stato considerato come tale da nessuno, ripeto: nessuno, tra le più eminenti personalità del mondo della medicina. Considero quindi assolutamente offensiva la definizione di 'scienziato pazzo'.

Queste cui accenna sono senza dubbio tutte allusioni che non corrispondono al vero e che considero dovute a una certa invidia nei miei confronti che si è scatenata dopo la mia morte e ha macchiato la mia reputazione.

Peraltro, mi conceda una ulteriore precisazione, non vi è assolutamente nulla di oscuro e di misterioso sia nella mia immagine di medico e scienziato, dato che i miei studi e i miei risultati sono sempre stati qualche cosa che ho voluto io stesso far conoscere al mondo intero (non dimentichiamoci che sono stato anche autore letterario molto prolifico) e che sono stati comprovati e dimostrati agli occhi dell'intera comunità scientifica.

Secondariamente, mi guardi bene, mi considererebbe una figura oscura e misteriosa? Andiamo! Al contrario sono sempre stato quello che si potrebbe definire un viveur, amavo la vita mondana e le belle cose. Amavo la vita intensamente!

2. Ma perché questa ossessione per l'eterna giovinezza? Voglio dire, prima di entrare in medias res nel merito dei contenuti dei studi, voglio domandarle da quali presupposti ideologici e concettuali ha voluto partire per orientare i suoi studi in quella determinata direzione. In effetti in generale è sempre esistito il mito della vita eterna, ma che poi se invecchi, giustamente di questa vita che te ne fai. Il segreto quindi sarebbe quello di vivere e restare sempre giovani. Ma lei aveva paura della morte?

V. Ma vede, il mio proposito, quella che consideravo la mia vera missione, era quella di garantire a tutti quanti una vita migliore.

È indubbio che, come dice lei, la vita eterna non ha senso senza giovinezza, così come è evidente che restare giovani significhi vivere bene la propria esistenza. Ma i nostri corpi non solo non sono fatti per durare in eterno, questo è infatti il minore dei problemi, ma sono soggetti a un certo decadimento: infortuni, malattie... la vecchiaia! Senza considerare tipologie di problematiche e malattie che possono essere congenite. Ecco: a tutto questo io ho dedicato la mia attenzione! Gli studi di una vita!

I media e la storia del resto si sono concentrati solo sugli aspetti più 'pruriginosi', ma i miei studi sono sempre stati orientati a garantire una giovinezza persistente nei miei pazienti da ogni punto di vista. Io volevo il bene dell'umanità!

La verità in fondo è che ciacuno dovrebbe curare il proprio corpo e la propria anima per restare giovani per sempre, ma quanti ci riescono. Chi ha parlato di effetto 'placebo' nel caso dei miei interventi sbaglia, ma accenna a una componente comunque vera, come è vera del resto in ogni branca della medicina. Cioè che l'aspetto psicologico e quello mentale sono determinanti per la cura e la salute del paziente.

Qui la scienza medica incontra una certa componente magica e elementi vicini allo spiritismo. Ma non c'è trucco: senza la medicina vera e propria non si può compiere alcun miracolo.

Per quanto riguarda la vita eterna, questa non mi ha mai interessato. Ho voluto vivere la mia vita al massimo finché questa è durata. Non credo nella vita eterna e neppure in una specie di continuum della vita dopo la morte dovuta ai procressi di procreazione. Anche per questo non ho lasciato eredi. Come è stato possibile nonostante tutte le donne io abbia avuto nel corso della mia vita? Qui mi dispiace ma non posso rispondere. Mi conceda la possibilità di tenere per me qualche trucchetto [Ndr. Sorride.].

3. Dobbiamo a questo punto necessariamente affrontare l'argomento principale, cioè la sua attività come chirurgo e biologo di fama internazionale. Lei era praticamente famoso in tutto il mondo, si racconta di folle che aspettavano il suo arrivo a Rio de Janeiro in occasione di un viaggio in Brasile. Si parla di centinaia di interventi e di file di pazienti in attesa fuori dal suo studio. Così come è noto che lei avesse un vero e proprio allevamento di scimmie nella sua villa a Grimaldi da usare come 'pezzi di ricambio'. Che cosa c'è di vero in tutto questo? Ma questi suoi interventi erano veramente miracolosi? Come è arrivato a questo tipo di conclusioni?

V. Voglio innanzitutto dire che a quei tempi la sperimentazioni sugli animali e in particolare sulle scimmie, costituiva una prassi e una pratica di routine. Non mi considero un mostro per questa cosa e non sono colpevole per quelle che sono state le mie sperimentazioni sugli animale. Senza considerare che ogni applicazione su di loro ha comportato l'aumento di conoscenze anche per quello che riguarda la loro natura e anche campi come la medicina veterinaria ne hanno tratto giovamento.

So bene comunque che oggi molti mi considererebbero un mostro. Non so se abbiano ragione e la cosa non mi interessa: io avevo una missione da compiere e tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per il bene della scienza e seguendo le regole.

Come mi è venuta l'idea? Be', rispondere a questa domanda apparentemente semplice, è in verità abbastanza complesso, ma proverò comunque a esporre la cosa usando un linguaggio poco scientifico per essere più comprensibile ai lettori.

Sicuramente alle basi vi furono le teorie sull'evoluzione e il darwinismo. L'uomo, come è noto, si è evoluto dalla scimmia. I primati appartengono quindi alla nostra stessa 'superfamiglia'. Come tali possediamo un numero considerevole di caratteristiche in comune. Tanto più il nostro cervello è sviluppato tuttavia, in maniera inversamente proporzionale il nostro corpo appare essere dotato di un certo vigore. Nelle scimmie accade esattamente l'opposto. Per quanto dunque muniti di un cervello superiore, questo non ci permette di trascendere da questa considerazione. Senza considerare la persistenza nelle specie animali di quegli istinti che noi abbiamo soppresso e superato a favore dell'intelletto. E cosa è più liberatorio che scatenare i propri istinti? Qui nacque l'idea del trapianto.

Adesso la cosa può sembrare molto semplice, ma bisogna essere dei chirurghi molto bravi per compiere con successo operazioni di questo tipo e io modestamente lo ero. Uno dei migliori.

Il grande successo è semplicemente dovuto al fatto che i miei interventi funzionavano.

Ma è anche vero che permane nella nostra cultura un certo oscurantismo che impedisce alle scienze di svilupparsi e gli individui di essere liberi. Ci sono poteri forti che impediscono il progresso. Ma questa è una storia vecchia.

4. Immagino che lei si riferisca alla chiesa e in generale alle istituzioni religiose. Che effettivamente hanno ancora oggi qualche problema con le teorie sull'evoluzione e le nuove scoperte in campo scientifico. A parte questo io devo per forza chiederle di tutte quelle voci sull'uomo scimmia che si ritiene si aggirasse nei dintorni di Villa Grimaldi durante quegli anni. Oltre della possibilità che... un uomo possa accoppiarsi con una scimmia e dare alla luce una ibridazione.

V. Per quanto riguarda la chiesa e le istituzioni religiose, lei ha colto perfettamente il punto! Probabilmente è proprio a causa delle istituzioni ecclesiastiche se oggi godo di questa cattiva fama e i miei studi sono stati screditati. Se sono passato alla storia come un 'ciarlatano'.

Per questo inoltre i miei studi non hanno avuto seguito e probabilmente continueranno a non essere considerati e presi in considerazione dalla comunità scientifica. CI sono troppi paletti. La scienza è schiava di se stessa perché si è imposta troppe regole. Ma tutto questo è semplicemente ridicolo. Così non arriveremo mai da nessuna parte.

Non ho intenzione invece di rispondere a quelle che sono le insinuazioni e le baggianate sull'uomo scimmia che io avrei creato e che secondo certi si aggirava nei dintorni della mia abitazione. Questa storia fu chiaramente inventata per creare un certo clamore e perché io ero una personalità molto popolare. Chi lo sa, magari qualche volta sarà semplicemente scappata una scimmia e la suggestione avrà giocato qualche scherzo.

Comunque, qualcuno ha mai portato prove reali della sua esistenza? Ci sono testimonianze attendibili, fotografie? No. Niente di niente. Di che cosa parliamo allora? Se poi qualcuno avesse delle prove in tal senso, ce le mostrasse. Ma dovrebbe poi dimostrare anche i miei legami e le mie responsabilità in questa cosa. E anche se fosse, che tipologia di reato avrei commesso? Andiamo. Mi sembra di parlare di storie come quelle che riguardano lo yeti, gli ufo, i vampiri. Cose che non esistono.

In quanto all'ultima domanda, penso che lei si sia risposta da solo. Che esistano ibridi all'interno del mondo animale è una verità dimostrata e sotto gli occhi di tutto. L'uomo e la scimmia sono due specie appartenenti alla stessa 'superfamiglia'. Di conseguenza...

Ma penso che il mondo sia oggi anche meno pronto che ieri a riconoscere la verità.

5. Be', sicuramente è un tema controverso. Quindi posso bene immaginare che cosa intende dire.

L'ultima domanda riguarda il suo rapporto con il nostro paese, l'Italia. Che legame ebbe con il nostro paese? È vero che ebbe dei legami con Mussolini? Ciononostante è vero che fu costretto a lasciare il paese a causa dell'emanazione delle leggi razziali?

V. Io sono sempre stato e rimango un ebreo. Non ne parlo volentieri, ma due miei fratelli morirono nel campo di concentramento di Auschwitz... Per quanto io non sia mai stato particolarmente religioso, le mie origini mi ponevano in ogni caso in una situazione scomoda quando furono emanate le leggi razziali. Lasciare l'Italia in quel caso divenne un obbligo e un modo per tenermi al sicuro.

Devo dire che la Francia di quella che voi adesso chiamate 'belle époque' fu qualche cosa di incredibilmente meraviglioso e di una bellezza ineguagliata da nessun altro posto al mondo durante quegli anni e forse anche successivamente. Furono anni meravigliosi e di un furore artistico e culturale senza pari. A parte le scoperte nel campo scientifico.

Ma amavo l'Italia, certo. Del resto è lì che avevo la mia residenza e dove sono ritornato a vivere dopo la guerra e fino alla fine della mia esistenza.

In quanto a Mussolini... Be', suppongo di potere oggi parlare liberamente di lui e senza nessun timore particolare. A differenza che quegli anni.

Benito Mussolini era molto interessato ai miei studi e al mio linguaggio in generale. Credo che fu proprio lui a coniare il verbo 'voronofizzare'. In generale lui diceva di volere 'virilizzare' l'Italia e praticamente fece dei miei studi una specie di slogan pubblicitario. Del resto è innegabile che questo funzionò e che molti giovani lo seguirono in quelle sue manie da grandeur. Ma per quanto mi riguarda - a parte quella che considero fu una pubblicità gratuita per me e i miei studi - lo ho sempre considerato un pallone gonfiato. Se tra me e lui ci fosse un ciarlatano, be', quello era sicuramente lui.

Ma si è mai rivolto a lei come paziente?

V. Mi dispiace ma questa è una domanda a cui non posso rispondere. La mia etica come medico mi impedisce di rispondere e di mantenere un certo riserbo.

Capisco Dottore...

Che altro aggiungere? La ringrazio per questa intervista e per per il tempo che ci ha concesso.

V. Ci mancherebbe altro.

Adesso ho mio malgrado molto più tempo a disposizione che in passato, anche se fortunatamente riesco sempre a trovare qualche svago e a organizzare quelle feste e ritrovi che tanto amavo quando ero in vita.

Grazie a lei per aver ridato con questa intervista letteralmente 'vigore' alle mie tesi e i miei studi da troppo tempo dimenticati. Spero che la mia intervista sia stata illuminante.

Sicuramente e penso che saranno della stessa opinione anche i nostri ascoltatori.

Un saluto dalla nostra postazione radio. Buona serata a tutti.

'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'

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editoriale di zaireeka

Una volta tanto oggi non mi va di parlare e scrivere di massimi sistemi.

Non voglio parlare di coscienza, del tempo, del senso della vita.

Anzi no, forse in verità ne voglio parlare, semplicemente ho meno tempo perché la vita è breve o, più plausibilmente, non sono completamente cosciente di continuare a farlo.

Come vedete, quindi scrivo in fondo sempre delle stesse cose, per cui vado al dunque.

Ieri uno dei pochi volti televisivi per cui provo simpatia, una ragazza bionda, molto caruccia (e per favore nessuno mi accusi di sessismo per metterlo in evidenza), una ragazza normale, con un sorriso che farebbe sciogliere il cuore di un robot (se mai ne avranno uno), ha avuto un incidente sul lavoro, un bruttissimo incidente sul lavoro.

Si da il caso che questa ragazza si sia spesa tempo fa in maniera encomiabile per la mia città, Taranto, come forse nemmeno i tarantini fanno, sicuramente non io.

Si da il caso inoltre che questa ragazza sia di Brescia, anche se tentava di non farlo notare quando provava a pronunciare una frase nel nostro dialetto scritta su alcune magliette.

Io amo il nostro Paese, l’idea che, al di là di beceri estremismi, al di là delle distanze, siamo uniti da qualcosa di più che confini geografici.

Colpevolmente forse più della mia città.

La passione sincera che Nadia, una bresciana, una che con questa terra non c’entra nulla, ha dimostrato nell’aiutare Taranto, ed in particolare i suoi bambini, integrandosi nel nostro mondo, mi ha colpito moltissimo e commosso.

Mi ha ricordato La storia del guerriero e della prigioniera di Borges.

Con la differenza che Nadia non ha avuto bisogno di essere imprigionata per imparare ad amare e ad aiutare questa terra.

Grazie di tutto da un tarantino tiepido.

Riprenditi presto.

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editoriale di sotomayor

Chi lo avrebbe mai immaginato che esistessero ancora, conservate perfettamente fino ai giorni nostri, lettere di manifestazione di dissenso (e contenenti in molti casi anche minacce di morte) scritte al Re Vittorio Emanuele III. Pure non dubitando del fatto che si potessero scrivere delle lettere al Re, questa è una cosa che non avevo mai preso in considerazione, così sono rimasto colpito dall'esistenza di questa opera di raccolta dell'Archivio Italiano Tradizione Epistolare in Rete (AITER).

Coinvolgente cinque unità di ricerca (Università degli Studi di Pavia; Università per Stranieri di Siena; Università degli Studi di Roma "La Sapienza"; Università degli Studi di Cassino; Università degli Studi di Milano) scopo dell'AITER è stata la creazione di una banca dati di corpora epistolografici dal medioevo al Novecento e basto su un'interfaccia web per la lettura dei testi, consultabile attraverso un apposito motore di ricerca: http://aiter.unipv.it/

Con questo progetto e la trascrizione dei testi sono stati messi a disposizione diversi 'carteggi', di cui la sezione forse più interessante per la verità è 'Lettere a e da internati militari' conservate nel Fondo Pirola (1943-1945) e contenente in tutto 15 faldoni e 428 fascicoli (sono state pubblicate 200 corrispondenze) di lettere internati militari italiani (IMI) condotti nei lager tedeschi dai nazisti nelle fasi successive all'8 settembre 1943. Ma quella relativa 'Le lettere al Re' (a cura di Barbara Achilli, Manuela Baroncini e Roberto Vetrugno) è sicuramente qualche cosa di inedito e che genera una certa curiosità

Le lettere (400), provenienti da ogni parte d'Italia (questo si intuisce facilmente dall'utilizzo di espressioni di uso dialettale) ma anche da altri paesi come Francia oppure Stati Uniti d'America, sono tutte relative al periodo 1914-1918 e di conseguenza, come si può facilmente immaginare, per la maggior parte dei contenuti richiamano come argomento principale la prima guerra mondiale. Ci sono lettere di minaccia, dissenso, lamentela o semplicemente richiesta di attenzioni da parte di sua maestà il Re oppure la Regina Elena di Savoia o anche le principali figure politiche di quel periodo, i presidenti del consiglio Antoni Salandra e Vittorio Emanuele Orlando, il ministro degli esteri Sidney Sonnino.

Raccolte in 17 gruppi molte di queste lettere, come è facile immaginare e in particolare per quelle con toni più aggresivi e contenenti minacce di morte, sono lettere anonime e non sono firmate. Immagino del resto che al tempo il reato di lesà maestà fosse abbastanza grave da poter incorrere in parecchio guai anche semplicemente rivolgendogli una pernacchia. Generalmente toni più concilianti sono adoperati nei confronti della Regina Elena di Savoia, mentre in alcuni casi le lettere non hanno neppure un destinatario specifico, ma anticipando di cent'anni qualche cosa che si ritiene sia nata solo con i social network, si configurano come dei veri e propri sfoghi. Molte lettere sono chiaramente sgrammaticate, ma questo è inevitabile, considerando che ci riferiamo all'inizio del secolo scorso e che queste venivano scritte da soggetti di ogni estrazioni sociale.

Vale la pena ricordare il contesto storico specifico. Quello della prima guerra mondiale e cui l'Italia prese parte dopo i Patti di Londra dell'aprile 1915 dichiarando guerra all'impero austro-ungarico. Una scelta che nasceva da ragioni di opportunità e causa la pressione dei cosiddetti 'interventisti' e che strategicamente andava nella direzione di porsi in maniera autorevole sulla scena internazionale come era accaduto cinquant'anni prima con la guerra di Crimea.

La prima guerra mondiale fu un massacro. I morti furono quasi dieci milioni (650.000 soldati italiani circa) ma le perdite dovute alle situazioni di indigenza, senza considerare le drammatiche conseguenze dei disturbi post traumatici da stress, costituiscono un danno che è impossibile da quantificare. È calcolato inoltre che in totale morirono all’incirca un milione di civili. La febbre spagnola, la più grande pandemia ricordata dalla storia e il cui contagio si diffuse durante quegli anni, uccise quasi sei milioni di persone in tutto il mondo.

Alla fine della guerra, alla conferenza di pace a Parigi, l’Italia, rappresentata dal nuovo capo del governo Vittorio Emanuele Orlando e dal solito Sidney Sonnino, fu tuttavia trattata come una potenza minore e ottenne molto meno di quanto le era stato promesso alla stipula del patto di Londra in caso di vittoria. Un nuovo trattato, Il trattato di Rapallo del 1920, fu un tentativo da parte dell’Italia di ottenere quanto non le era stato attribuito alla conferenza di Parigi, ma ogni tentativo fu vano: sostanzialmente l’Italia ottenne una ridefinizione se confini nella zona del Friuli e l’Istria. Ma il risultato fu accolto tiepidamente dall’opinione pubblica, tanto che si parlò in ogni caso, secondo una definizione di Gabriele D’Annunzio, di ‘vittoria mutilata’, un leit-motive che costituì uno dei principi fondamentali cui si deve probabilmente la nascita del fascismo.

Va detto, al di là delle conseguenze finali, che il ruolo del Re Vittorio Emanuele III nell’entrata in guerra dell’Italia fu determinante come mai forse nessuna altra decisione presa in prima persona nel corso del suo regno. Di fatto la sua volontà si impose su quello che era l’orientamento generale del parlamento e delle forze politiche e sul loro orientamento neutralista, quando superando i precedenti accordi con Germania e Austria-Ungheria (la cosiddetta Triplice Alleanza), si accordò con le forze dell’Intesa. Ovvero Francia, Inghilterra e Russia. Fino alla Rivoluzione d’Ottobre. Senza considerare il solito intervento decisivo degli americani. Che fosse ritenuto direttamente responsabile di quello ‘scempio’ non ci appare dunque particolarmente strano e queste lettere sono in questo senso solo un piccolo pezzo della storia del dissenso di quegli anni, passato chiaramente in secondo piano a fronte di quelli che furono eventi di una drammaticità unica come la guerra di trincea raccontata in maniera tanto sensibile quanto unica da un autore gigantesco come Giuseppe Ungaretti.

Tra le tante lettere presenti, a titolo esemplificativo, ne ho scelte due in particolare che vi sottopongo in calce a questo editoriale. La prima (a titolo esemplificativo) è di un mittente anonimo e destinata a Tommaso di Savoia, capitano di vascello e luogotenente del Regno durante gli anni della guerra in cui Vittorio Emanuele II si traferì al fronte. La seconda invece è sempre di un mittente anonimo ma non ha un destinatario specifico ed è una delle cose più belle io abbia letto negli ultimi tempi e che voglio condividere su queste pagine.

Buona lettura.

[Anonimo] a Tommaso di Savoia
Napoli(NA), 6 giugno 1917

A Sua Altezza Reale
Tommaso di Savoia
Luogotenente di S.M. il Re- Roma
[1] I cenci vanno sempre in'aria, Altezza in Russia e
successo il contrario, e i signori governandti avrebbero dovute
farne tesoro di tale insegnamente.
In Italia quando si tratta di dissanguare maggiormente le
masse lavoratrice, subito si fa con decreto legge; ma quando
ai lavoratori si dovrebbe dare qualche miglioramente gli si
promette ma mai tale promesse si mantengono.
[2] Sembra però che i dormiente si stiano destante e vedremo,
Vedrete!
Anche per i dissanguatori delle masse, i grandi ed eterni
sfruttatori dell'umanità ci dovrebbe essere un limite…
Vuole S.A. imporla? o vuole che si ribellano i lavoratori
per fame?
In certi casi si sà dove s'incomincia, ma non si sà
dove ha fine le risolte di popolo
Avviso a chi tocca
Gli operai Napoletani
Napoli 6-6-1917

Missiva autografa.
(*Napoli 6.6.17) allegati: Pref. di Napoli 15 agosto 1917.

[Anonimo] a [anonimo]
[s.l.], 25 dicembre 1917

[…] 25 Dicembre 1917
[2] vita il infelice,
la notte sono solo à
mia luna, come sei alta
aiuta mi. dove sei? à
sono in uno scoglio in
mezzo al mare. è
vedo un pesce grosso,
che mi vuol mangiare
chi tia portato ali?
e dove sei nato?
io sono nato in un altro
scoglio più alto e cera
unaltro scon pesci
che mia veva tirato
una volta ma non
mia pigliato, e cosi
mene sono venuto qui?
matu ai paura di morire
e vero?
nò nò, opaura per una
sola cosa che moio in
mezo all'ingnoranza.
percio aiutami, domani sera
ci vediamo allora ti
saluto il tuo amico, ignora
nte[…]

Al Statut[…] di Roma
Italia

Missiva autografa.
(Galveston 26.12.17 - (Genova posta estera) Roma 31.1.18) allegati:(?)

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editoriale di ALFAMA

Capitolo 12

VORREI UCCIDERTI

Capitolo 9

Nel silenzioso Buio dei miei pensieri, l'interferenza sul rumore di fondo della mia mente. Invisibile, la scintilla di un pensiero inafferrabile, non esisti ma sempre presente.

Ti sento nel cuore. Macchia di sangue. Quante vite hai succhiato? Quanti silenzi hai interrotto ? Sei un ronzio nella mente,un peso sull'anima.

Capitolo 7

Non pensare di essere inutile. Devi esistere per essere spiaccicata su una bianca pagina di un libro senza una storia da raccontare.

Di te rimane solo una macchia di inutili parole, parole da inventare, parole che non esistono.

Capitolo 1

Eppure ti vengo a cercare.

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editoriale di sotomayor

Secondo una determinata visione della vita, esisterebbe non solo ciò che vediamo attraverso i nostri occhi ma anche tutto ciò che riusciamo a immaginare. Questo pensiero è in parte comprensibile e può essere spiegato con un semplice esercizio di logica: se lo spazio è infinito, allora può esistere qualsiasi cosa. Qualsiasi. Voglio dire che in questo caso tutti gli studi relativi la ricerca di altre forme di vita partono da presupposti sbagliati perché queste possono eventualmente esistere secondo modalità che noi non abbiamo neppure la facoltà di comprendere.

Ciononostante, secondo me ci sono alcune cose che al di là di quelle che possono essere prove inconfutabili, non esistono veramente.

Non voglio andare troppo lontano e ritornare nello spazio. Restiamo invece con i piedi per terra e sulla Terra facendo esempi di natura pratica.

Prendiamo la giraffa per esempio.

Brevemente: la giraffa, alla pari dell’elefante e del leone, è un animale che non esiste.

Questo non significa chiaramente che la giraffa non sia mai esistita, abbiamo infatti i fossili, le testimonianze storiche, ma è facilmente dimostrabile che questa oggi non esista più.

Non possiamo negare del resto che non solo in epoca preistorica ma nel corso della intera storia e anche solo negli ultimi centocinquanta anni si siano estinte più specie animali. Direi che anzi si siano verificati fenomeni di gran lunga peggiori. Opere scientifiche di genocidio di massa che hanno comportato la scomparsa di intere popolazioni e culture. L’esempio più grande, senza tirare in ballo gli orrori della prima metà del secolo scorso in particolare, potrebbe benissimo essere quello degli indiani d’America.

Qualcuno potrebbe menzionare allora le riserve, così come nel caso della giraffa si potrebbe fare riferimento agli zoo. Ma che cosa sono gli indiani nelle loro riserve e le giraffe negli zoo se non semplicemente il segno manifesto della loro fine. Una evidente manifestazione di impotenza. Una specie di coitus interruptus.

Così vi domando: avete mai visto veramente una giraffa? La sapreste descrivere minuziosamente in ogni suo particolare? Facciamo un esercizio. Chiudete gli occhi per venti-trenta secondi, concentratevi e immaginate una giraffa. Fatto? Che cosa avete visto? Io ho visto una giraffa diciamo di stazza media. L’ho visualizzata come all’interno di un contesto fotografico. Una fotografia verticale sbiadita, scattata probabilmente quando io ero piccolo nella seconda metà degli anni ottanta. La giraffa è da sola circondata da pochissimo verde. Sullo sfondo ci sono delle montagne che si intravedono in lontananza e l’azzurro colore del cielo. Le sue tipiche chiazze sono indistinte e quasi si mescolano in questo giallo ocra, mentre la testa è senza nessuna ragione fasciata con delle strisce nere. Magari non c’ha neppure le corna caratteristiche. È stata disegnata male.

È sicuramente una giraffa molto naif.

Questo è tutto quello che riesco a immaginare: una giraffa ‘povera’, come del resto tutto mi appare povero nelle fotografie di quegli anni. Guardo e conservo con piacere solo quelle di mio fratello quando era piccolo (ne ho un altro ancora più piccolo, ma sarebbe nato dopo, all’inizio degli anni novanta e anche se lui per me sarà sempre piccolo, conservo effettivamente anche le sue) e quelle di mia madre da giovane. Una di queste che risale a molti anni prima, quando lei aveva quattordici oppure quindici anni la porto sempre con me.

Ma la giraffa? È chiaro che se essa appaia idealmente sbiadita e inanimata già nei miei ricordi di trenta anni fa, questa debba per forza oggi non esistere più. Ho visualizzato quella che è una idea di giraffa, ma non un animale vero e proprio. In ogni caso qualcosa che è praticamente immobile e incapace di reagire a un processo di decadimento che ha coinvolto se stessa oltre che il suo habitat naturale.

Non ricordo inoltre di avere mai visto da vicino una giraffa.

Oppure: qualcuno di voi saprebbe farne il verso? Tutti saprebbero imitare l’abbaiare di un cane, il ruggito del leone, persino il barrito dell’elefante. La giraffa no.

Da bambino sono stato allo zoo ma non ricordo la giraffa. Eppure, voglio dire, non può esistere uno zoo senza una giraffa. Forse il punto è che pure se questa c’è, sta dentro un recinto e tu non la puoi toccare e allora come fai a dire che esiste veramente, se non la puoi toccare con mano. Magari quella che ti dicono che è una giraffa è tutta una montatura: una grossa fregatura. Solo una proiezione mentale dettata da determinati input che ti hanno inculcato sin da bambino. Ma questo non significa niente. La giraffa esiste tanto quanto potrebbe esistere oggi un Tyrannosaurus Rex.

Del resto la giraffa è sempre stata qualche cosa di più che un semplice animale: essa è stata infatti sin dalle prime testimonianze che sono arrivate fino ai giorni nostri, una specie di animale mitologico. La storia ci racconta che questi animali furono a lungo circondati da un alone di mistero: abbiamo così poche testimonianze scritte. Nel passato, centinaia di anni fa, per incontrare una giraffa non avevi scelta: dovevi attraversare il Mare Mediterraneo e poi quella incredibile barriera naturale che è costituita dal deserto del Sahara, un ostacolo che fermò persino l’avanzare dell’Impero Romano. Parliamo di una impresa sovrumana e che ancora oggi costituisce un fattore in quella parte del mondo.

Sicuramente sin dall’antichità si dovette convenire sul fatto che spingersi oltre era troppo complicato. Eppure fu proprio in quegli anni che a quanto pare si videro per la prima volta in Europa delle giraffe, a Roma, alla corte degli Imperatori.

Dopo sarebbero dovuti passare centinaia di anni, quando una di queste fu condotta alla corte di Lorenzo de’ Medici e raffigurata in dipinti di autori come Giorgio Vasari oppure Francesco Botticini oppure Piero di Cosimo, in affreschi e celebrata in poesie. Si trattò di una pagina rilevante nella storia di questo animale in Europa e un evento che come nessun altro ci offre ancora oggi spunti culturali e sociali di rilievo che provino la sua esistenza in carne ed ossa. Per la prima volta abbiamo delle immagini.

Quante giraffe ci saranno nella mia città, in Italia, in tutta Europa e nel mondo. Sicuramente troppo poche da giustificare e determinare la loro esistenza. Non si tratta tanto di portare avanti una qualche causa animalista. Devo dire che pure apprezzando chi si adoperi a tale scopo, in questo caso specifico scrivo solo perché mi rendo semplicemente conto che sto raccontando di qualche cosa che probabilmente c’era e che adesso non c’è più e tutto questo mi è venuto in mente all’improvviso anche se ora capisco di avere sempre saputo la verità.

Niente e nessuno potrà far rivivere la giraffa e non ci resta che attaccarci ai nostri ricordi sbiaditi oppure alle opere ‘magnifiche’ su menzionate e che vollero celebrare un mito che ha faticosamente resistito fino ai giorni nostri per ricordarci vagamente o idealmente come fosse effettivamente fatto questo animale.

È così alla fine che come il mammut oppure la tigre con i denti a sciabola e come fiere leggendarie come il drago oppure il grifone, la giraffa scompare ma la sua leggenda resta e questa cammina idealmente ancora a testa alta in mezzo a noi.

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editoriale di mrbluesky

Ho un ragno in casa

se ne stà li da mesi

Certamente da quest'estate quando le finestre erano sempre aperte,eppure lui non se n'è mai andato

Non è uno di quelli schifosi e corpulenti,se no lo avrei gia spiaccicato,no!

Ha tante zampette lunghe e sottili,quasi trasparenti,a dir la verità non mi fa nemmeno tanto schifo

Se ne sta li fermo in un angolo,a volte per giorni e giorni,fino a quando non si stufa e decide di spostarsi da un altra parte

L'altro giorno osservandolo pensavo:ma cosa mangia? di che cosa vive?

Già perche lui non fa la tela e comunque non catturerebbe nulla stando dentro casa mia

Eppure la libertà è li a due passi

A volte mi sento un po come quel ragno

Ma tanto uno di questi giorni lo farò a pezzettini

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editoriale di zaireeka

Oggi sono stato, come ogni sabato, al cimitero a trovare mio padre e mia madre.

Forse sono ancora uno dei pochi che ci crede, era una nevrosi collettiva, ora forse è solo mia e di pochi altri, a giudicare dalla poca gente (viva) che si vede in giro.

All’uscita ho trovato un tipo con cui ho avuto a che fare tempo fa per faccende sempre legate a mio padre e mia madre ora che sono qui, in questo posto.

Era depresso, si lamentava dell’Italia, così ha esordito, tanto per essere originale.

Poi ho capito subito perché.

Tempo fa un altro addetto mi aveva raccontato di come non ci sia più il due novembre di un tempo.

Con traffico nei pressi del cimitero e ai banchi dei fiorai.

Che ormai le inumazioni sono una cosa che sta passando di moda, le sepolture diminuiscono, e quindi i visitatori del cimitero.

Nell’era materialista in cui l’uomo non è altro che il suo corpo e l’anima non esiste, il suo corpo ha perso qualunque valore.

Tutti vogliono essere cremati.

Un’urna cineraria da tenere a casa, accanto al televisore.

Niente più viali alberati con pietre marmoree con sopra foto e nomi di sconosciuti, da osservare, da leggere, da incontrare, sempre quelli, per abitudine una volta a settimana, una volta al mese, una volta all’anno, che divengono familiari pur rimanendo estranei come succede con i vivi nella vita reale, su cui immaginare storie aiutati dagli epitaffi, come Totò o Edgar Lee Masters.

Niente più la voglia ed il bisogno per i congiunti di lasciare alla memoria degli altri un’immagine, anche se solo di un umile netturbino, su cui mettere un fiore, passeggiando su un viale alberato.

Niente più il bisogno di scrivere il ricordo di un amore perduto su una lapide in un campo fiorito sotto i raggi del sole e gli occhi degli altri.

L’ultima vittima di Internet.

Era lasciare una traccia del nostro passaggio e di quello dei nostri cari, sul suolo terrestre, sotto gli occhi di tutti, uno dei più intimi bisogni umani, in attesa del giorno del giudizio dell’Altissimo e della resurrezione dei morti dalle loro tombe.

Ora non più.

“Ed il giorno del giudizio l’ultimo Internauta prenderà le migliori nostre vite prese dal web e da whatsap, ci scriverà un romanzo pieno di citazioni, e il mondo avrà un nuovo inizio”.

La nuova resurrezione dei morti.

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editoriale di sotomayor

Dopo aver letto una recensione su questo sito relativamente l'ultima pubblicazione de gli Stone Temple Pilots, incuriosito dai suoi contenuti e sulla discussione che è seguita, mi sono documentato brevemente sul conto di questo gruppo che conosco ma che non ha mai storicamente fatto parte dei miei ascolti. In particolare ovviamente più che sui contenuti della loro musica, mi sono interessato alle vicende che hanno riguardato i diversi cambi di line-up dal 2015 ad oggi e che hanno scatenato una specie di dibattito in merito alle scelte operate dal nucleo storico de gli STP composto dai fratelli DeLeo e il batterista Eric Kretz. Fatti che proverò a commentare dalla posizione privilegiata di non essere uno storico ascoltatore della band e quindi pertanto privo di qualsiasi tipo di coinvolgimento emotivo relativamente i fatti.

I fatti sono che nel 2015 Scott Weiland, che morirà alla fine di quell'anno mentre è un tour con la sua nuova band, veniva praticamente 'licenziato' dagli altri componenti della band, che peraltro vincevano anche una causa nei suoi confronti relativa alcuni diritti come l'utilizzo del nome. Contemporaneamente lo sostituiscono, in via provvisoria, con il frontman dei Linkin Park, Chester Bennington e poi, recentemente, con Jeff Gutt.

Nel commentare la vicenda trascurerei, se possibile, tutta la parte relativa la question dei diritti. I cosiddetti aspetti legali. Non che questi abbiano un carattere secondario ma non incidono in ogni caso (se non in maniera negativa) su possibili riflessioni relative le scelte del gruppo in merito alla posizione di Scott Weiland e l'opportunità di continuare il progetto STP senza la sua presenza.

Non considererei altresì ogni possibile giudizio su Jeff Gutt che mi sembra di capire sia emerso come concorrente di un programma televisivo, qualche cosa che come tale sicuramente lo marchia in maniera negativa e indelebile presso i fan storici e più duri e puri della band.

Mi concentrerei invero solo su se e come valutare la scelta di portare avanti il progetto STP senza un elemento fondamentale come Scott Weiland e dopo la sua morte, consdierando che questi abbia contribuito in maniera pesante alla storia della band (più o meno di altri non lo so, ma non è rilevante) e che comunque di questa egli costituiva in qualche maniera il simbolo, perché era sempre e comunque il frontman di una band sicuramente popolare (penso di non sbaglaire se dico che gli STP siano una band che abbia un rapporto forte, praticamente viscerale con il proprio pubblico) e in cui il seguito in qualche maniera si identifica perché immediatamente riconoscibile in maniera simbolica e anche se vogliamo 'iconografica'.

Adesso la storia della musica è piena di esempi di situazioni che possono essere comparate a questa che menzionarle tutte è impossibile. Faccio tre esempi.

1. Brian Jones. Il suo contributo alla nascita e al suono dei Rolling Stones fu determinante. Eppure egli fu di fatto licenziato da Mick Jagger e Keith Richards. Poco dopo morì in circostanze mai del tutto chiarite. Con un certo cinismo gli Stones ritornano praticamente mai su questa questione che pure costituisce uno dei tanti motivi di critica (inevitabile) alla band più grande della storia del rock and roll.

2. Ian Curtis. Dopo il suo decesso Bernie e gli altri decidono di continuare comunque a suonare assieme e con Gillian Gilbert danno vita ai New Order, che via via si distaccheranno dal sound tipico dei Joy Division, facendo la storia della musica britannica negli anni ottanta. Anche loro hanno ricevuto comunque delle critiche negli anni: per avere continuato; per avere cambiato sound. Non hanno suonato le canzoni dei Joy Division per molti anni prima di ricominciare a farlo. Poi dopo che Bernie ha rotto con Peter Hook abbiamo adesso una ulteriore situazione di contrasto e che richiama le critiche dei fan storici del gruppo (oppure dei gruppi...) e in cui i New Order senza Peter Hook e questi da solo continuano a suonare sia le canzoni del repertorio Joy Division che quelle dei New Order.

3. Andrew Wood. Al suo decesso Stone Gossard e Jeff Ament sciolgono i Mother Love Bone e ricominciano da zero con i Pearl Jam.

A questo punto secondo me, senza andare ulteriormente avanti nella rappresentazione dei fatti, ci dobbiamo fare due domande fondamentali.

La prima domanda è: perché gli Stone Temple Pilots abbiano deciso di continuare a suonare e ritenuto di farlo continuando a adoperare lo stesso nome e senza fondare da zero un nuovo progetto.

Da una parte, è evidente, si potrebbero menzionare quelle che sono ragioni di opportunità a livello di visibilità e sul piano commerciale; dall'altra però, perché no, si potrebbe richiamare anche il forte legame emotivo a una storia o a una pagina di storia che evidentemetne non considerano chiusa nonostante la morte di Weiland. Quest'ultimo è un punto di vista che si può condividere oppure no. Considerare più o meno discutibile. Però, chi lo sa, immagino che come ci siano dei fan contrari al prosieguo di questa storia, ce ne siano anche altri che invece siano contenti di poter ancora vedere dal vivoo suonare gli STP.

La seconda domanda è tuttavia più importante e non riguarda tanto chi possa dire che cosa sia giusto o sbagliato fare in questi casi, ma fino a che punto le decisioni di questo tipo riguardino solo direttamente i membri del gruppo e non una 'comunità' più ampia e che comprenda anche i fan storici della band. Certo, sul piano della autodeterminazione e rivendicazione alla propria libertà personale (sacrosanta) e in termini puramente legali è ovvio che i fratelli DeLeo e Eric Kretz possano e debbano (tanto più dopo aver vinto una disputa giudiziaria) fare delle scelte in piena autonomia e secondo quello che è il loro sentire. Ma sul piano invece diciamo etico e morale, sul piano puramente emozionale, gli ascoltatori e i fan della band dovrebbero avere anche loro un ruolo in questa cosa oppure no? E se la risposta è 'Sì': in che misura?

Penso che rispondere in maniera netta a questa domanda sia difficile. Non riesco personalmente a quantificare quanto questa cosa possa essere rilevante, ma questo non c'entra niente con il caso specifico. Penso che quando fai della musica tu lo faccia per entrare in comunione con i tuoi ascoltatori e che quindi questi abbiano un ruolo fondamentale in quello che fai. D'altro canto questo può succedere se e solo se tu fai quello che senti di voler fare. Voglio dire che se uno suona tanto perché sia costretto a farlo alla fine te ne accorgi e in questo senso sarebbe forse o tendenzioso oppure fallace sostenere che ci siano esclusivamente ragioni di convenienza nel portare avanti questo progetto. Giudicare da fuori se sia moralmente giusto o sbagliato continuare dopo la morte di Weiland del resto non è possibile. Giudicare se invece questa cosa abbia 'storicamente' un senso può essere possibile, ma qui il giudizio di ciascuno è individuale tanto quanto quello dei diretti interessati.

Quanto ci appartengono veramente i presonaggi pubblici del mondo della musica e dello spettacolo. Persino della politica. Ma soprattutto, mi domando, se questi non facessero comunque delle scelte, come potrebbero essere definiti e considerati come tali. In qualche modo sono proprio le loro scelte e le loro decisioni e le reazioni del pubblico a tenere in piedi questo legame tra la band e i suoi ascoltatori in quello che si traduce in un vero e proprio show. Questo nel caso di una band conta tanto quanto i contenuti delle loro canzoni e un ascoltatore penso possa giudicare se le loro scelte siano più o meno giuste tanto quanto possa considerare se le sue canzoni siano più o meno buone. Perché funziona così: queste sono le regole del gioco.

Ma questo penso che gli STP lo sappiano benissimo. Lo sapeva anche Scott Weiland. La domanda è se noi che assistiamo a questo 'spettacolo' facendone comunque parte, siamo più o meno consapevoli di questa cosa. Forse, per quanto una scelta come questa ci possa in qualche modo toccare profondamente (perché no), la cosa più giusta è comunque relativizzare i fatti e considerarli nella loro giusta dimensione. Avere sostituito Scott Weiland con un nuovo cantante non è esattamente come profanare una tomba. Nessuno infatti in ogni caso ti potrà togliere quello che è il tuo vissuto e quelle che sono le emozioni che una certa musica ti ha dato e che potrà continuare a darti ieri come oggi ogni volta che la ascolterai.

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editoriale di lector

Non era mia intenzione distruggere l’equilibrio del giorno, in un luogo – oltretutto – dove non ero mai stato felice. E quelli battuti alla porta della sventura, sono stati ben più di quattro colpi secchi.

E’ che stamani mi sono svegliato dopo un sonno agitato ed ero trasformato.

Un enorme insetto splendente senza mele nel fianco, un immondo angelo della vendetta.

E poi è arrivata la nausea.

Perché, vedi, se nulla ha senso allora tutto è gratuito. Quando ti capita di rendertene conto, ti si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare.

Così ho cercato un posto che mi sembrasse adatto.

Una scuola, un supermercato, una sala da concerto, una piazza affollata.

Uno vale l’altro, poiché lo Spirito è a sé stesso dimora e può farsi del Cielo un Inferno e dell’Inferno un Cielo.

Così questo è il luogo, questa l’ora e questo il giorno!

Accarezzo la mia Uzi calibro 9 parabellum, fredda e fedele amica, ora sei libera di cantare il tuo canto d'odio. Il tuo canto di liberazione.

I primi se ne sono andati senza nemmeno accorgersene.

Poi l’incredulità, lo smarrimento, il caos, il terrore.

Chiamate il vostro Dio? Io potrei credere solo a un dio che sapesse danzare.

Volevate essere salvati? Io crederei all’esistenza del Salvatore se voi aveste una faccia da salvati.

E poi una di quelle facce mi insinua due occhi bistrati sulla punta delle mani. L’abitino della festa, le unghie dipinte coi colori della bandiera, i leziosi fermagli luccicanti fra i capelli.

Oggi ti aspettavi, forse, di rubare un bacio? O di riderne con le amiche?

E mi biascica insinuante, con rabbia lamentosa, la sua domanda: “perché?”

Interessante….

Cosa dovrei risponderle? Che bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante?

Ma davvero crede che ci sia un perché, un senso, una motivazione?

Questo non è mica un film dell’orrore, un banale b movie per adolescenti dove il Male appare sempre per un motivo ed agisce sempre secondo una sua logica, anche se assurda.

Questa è la realtà e il Male trova la sua ragion d’essere solo in sé stesso.

Il Male non è banale: è ottuso. E’ libero dalla prigione della logica.

Pape Satan, pape Satan aleppe.

L’Agnello ha infranto il Settimo Sigillo, le porte si sono aperte, presto si udranno le trombe dei Sette Messaggeri.

“Et vidi aliud signum in caelo magnum et mirabile angelos septem habentes plagas septem novissimas quoniam in illis consummata est ira Dei.”

Le porte, ormai, sono spalancate: psicopatici, terroristi, depressi, invasati religiosi, rivoluzionari, vittime, carnefici. Stanno arrivando, sono già qui, altri ne arriveranno.

Noi siamo la malattia, noi siamo la cura.

Saranno, poi, psicologi e sociologi, giornalisti, preti, politici ed esperti vari a doversi guadagnare il loro guiderdone. A doversi inventare un significato. Politico, religioso, psichiatrico, sociologico. A doversi sforzare di vederci un senso quale che sia, pur di non dover sopportare il peso della Verità.

In quanto a me, io indosso una corona.

“una corona degna è d'alti pensieri, ancor che splenda

su questo abisso di dolori. Oh, meglio

Re nell'inferno che vassallo in cielo!”

Ma come glielo spiego? Così le rispondo in fretta: “perché no?”

Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione.

Così la libero dal peso di un futuro fatto di rimpianti e di un matrimonio da poco. E poi faccio lo stesso dono ad un futuro avvocato. E poi pensionati, casalinghe, studenti, fiscalisti, disoccupati, stagnini, gelatai….

Intanto canticchio “Cease to Exist”.

Madri, e padri, figli, fratelli, amici, amanti. Di qualcuno.

Giudice, finalmente, arbitro in terra del bene e del male.

Ed Eric disse a Dylan: “cerchiamo di divertirci mentre lo facciamo”.

Laggiù a Columbine.

Poi, liberatorie, ho sentito le sirene.

Temevo che non mi bastassero le pallottole.

Stanno arrivando. Arrivano per me.

Peccato che non siano ancora le tre. Le tre è sempre troppo tardi o troppo presto per quello che si vuol fare. È la più stramba ora del pomeriggio.

Devo trovare il tempo di scrivere – da qualche parte – “Healter Skelter” (si, io lo so che è scritto male, non sono mica “Tex” Watson!).

Arrivano.

Finalmente.

Ora, perché tutto sia consumato, perché io mi senta meno solo, non mi resta che augurarmi che ci siano molti spettatori alla mia esecuzione.

E che mi accolgano con delle grida di odio.

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Campionamenti: “Lo straniero”; “La metamorfosi”; “Il processo”; “La nausea”; “Così parlò Zarathustra”; “Umano, troppo umano”; “La Divina Commedia”; “Apocalisse di S. Giovanni”; “The Paradise Lost”; “Cease To Exist” (Lie: The Love and Terror Cult); “Bowling a Columbine”; “Un Giudice” (Non al denaro, non all’amore né al cielo).

Solo un piccolo raccontino natalizio in questi giorni già pregni della futura atmosfera di festa.

Dedicato a Charles Manson e Leslie Van Houten (che non è la mamma di Milhouse).

Che brucino all’Inferno.

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editoriale di zaireeka

Dice Rovelli nel suo ultimo libro, e non e’ il primo, ed e’ convincente, che il tempo non esiste, quello fisico, quello assoluto, quello che passa uguale per tutti.

Che lo ha erroneamente legittimato Newton apposta per dare un senso alle sue leggi.

Esistono in verità solo misurazioni di quantità, di cambiamento dello stato di cose rispetto ad altre.

Numero di volte che hai visto per strada la donna della tua vita rispetto a battiti del cuore.

Battiti del cuore rispetto a numeri di passi inquieti nel corridoio aspettando che tua figlia rientri a casa.

Giri completi della lancetta delle ore rispetto a giri su se stessa della Terra.

In questa ottica io ho cinquantadue anni (quasi cinquantatrè...) ma in verità ho solo cinquantadue giri completi della terra intorno al sole.

Un anno sappiamo che è lungo, ma un giro della terra intorno al sole è solo un termine di confronto, senza dimensione, come tanti altri.

Come un viaggio di mia figlia nel Regno Unito, l’andata a un concerto dei Flaming Lips, un ascolto della settima di Beethoven, o un esplosione di felicità.

Conta solo il cinquantadue, che non è un numero altissimo.

Sono cinquantadue anche le carte di un mazzo di carte da poker.

Le conto in un attimo, non più di un minuto.

Un giro completo della lancetta dei secondi.

La mia vita è durata solo un giro completo della lancetta dei secondi.

Ricordando Il Miracolo Segreto di Borges, ora mi sento molto, ma molto, più giovane.

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editoriale di MikiNigagi

Ha perso l'allegra baldanza in tempo zero. Mi è bastato risponderle che fa freddo, oggi, che siamo soli, e siamo morti. Si è voltata perplessa verso l'uomo alla camera. Ha abbandonato il tono di sufficienza quando poi, interrotta mentre rinnovava l'aggressività della domanda, le ho fatto notare che in un mondo retto, una donna incravattata come lei, gli occhiali in tartaruga sul naso elegante adunco, la prima pagina di Tropico del Cancro avrebbe dovuto coglierla, anzi accoglierla con un brillìo, e di non provare a muoversi o mi sarei fatto brillare io lì sul posto, che avrei risposto alla sua domanda ma ci sarei arrivato a modo mio, e di continuare a filmare.

Risollevo la lampo del bomber, sorrido coi denti alla camera, dico che possiamo cominciare, allora.

Dico vedi, l'ultimo libro che ho letto è Memorie dal sottosuolo del povero Fedor Dostoevskij, semper laudetur, ma è passato tanto tempo. Smisi del tutto di leggere quando a otto anni vidi un'immagine di cui tra poco ti vorrei parlare, ti prego di concedermi un istante.

Lei tace, in preda a un percettibile tremito. Tiene il braccio teso davanti a sé, le dita dorate salde sul microfono, tanto salde da sembrare Raynaud. Ma Raynaud è una malattia e penso a Onder e a quanto sarebbe inopportuno se Onder, a un medico che sostiene la necessità di limitare il burro nella dieta per tenere nella norma il livello di colesterolo, rispondesse che lui mangia mezzo panetto di burro al giorno, a morsi, e non ha mai avuto problemi di colesterolemia, scopa come un bastardo, riesce a saltare due metri e mezzo in alto e infilare una serie di venti triple, quindi che sarebbe inopportuno e tendenzioso come accogliere le testimonianze di attrici mai molestate, mai stuprate in tent'anni di onorata carriera, mentre sul divanetto dello studio televisivo abbiamo questa donna che dice di essersi sentita paralizzata al contatto di quel piccolo pene venoso con la sua spalla: incredula lei, e impotente, figurarsi credibile agli occhi dei giurati. Che la soldatessa Jane è in realtà Demi Moore che è Diana Murphy in Proposta indecente, mi ritrovo a pensare.

Fa piuttosto due passi indietro per lasciarmi più spazio quando dalla tasca del bomber estraggo una busta di American Spirit giallo e con la calma del Cristo e fare ieratico mi infilo un filtro tra le labbra, mentre rivolgo un sorriso di mezza bocca ai suoi occhi carichi.

Ma sto ancora pensando alla per nulla clamorosa assenza del macellaio di fiducia di Rudolf Hess in qualità di testimone al processo di Norimberga, a dire che per quanto gli riguardava, il Landjäger glielo aveva sempre pagato, e il resto mancia. Che a un potere mediatico si faccia un processo mediatico, allora. E che il fine sia didattico, educativo: che si dica vacci piano con quel burro, Marlon Brando, come da Onder.

Il gelo di prima mattina le mangia la faccia e le crepa le mani. Quindi seleziono un ciuffo di tabacco, lo avvolgo in una Rizla arancione, quelle alla liquirizia, sfilo il filtro dalle labbra, mi schiarisco baritono la voce, e mentre rollo la sigaretta tengo ben ancorato lo sguardo sulla scritta SPQR, coperchio di un tombino, un paio di metri a sinistra delle sue creepers nere.

Quando accendo, hanno un sussulto. Ma le ginocchia sono troppo deboli adesso, sanno che neanche con uno scatto olimpico da centometrista potrebbero portarsi in salvo.
Dico state tranquilli che ne usciremo tutti vivi.
Insomma, era l'illustrazione di un ragazzino occhialuto che lasciava cadere un grosso libro, gli occhi sgranati e il cranio enorme spaccato, con cervella per aria, lettere e numeri. Aveva otto anni come me, e i suoi amici lo sfottevano: dicevano che un giorno gli sarebbe esploso quel testone che cresceva e cresceva, e ogni volta che leggeva un libro diventava più grande, fino a farlo somigliare a una piccola mongolfiera. Pensava che un giorno, come una mongolfiera, sarebbe volato via verso la Luna, e avrebbe trovato altri ragazzini che come lui leggevano tanto. Avrebbero potuto parlare di Jack London, e magari si sarebbe fatto la ragazza. Perciò continuò a leggere, recluso, i medici e i familiari rassegnati, finché la testa gli esplose.

[Immagine rubata a Thomas Ott, via Twitter: https://twitter.com/thomasott_tott]

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editoriale di CosmicJocker

La pagina bianca.

La sua perfezione, la sua infallibilità, la sua chiaroveggenza.

L'aroma che tesse.

Pura, incontaminata, regno del possibile.

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editoriale di ThorsProvoni

Sono stato in posta ieri, ci vado almeno una volta al mese per pagare i bollettini vari che sommergono le nostre esistenze e ci svuotano il portafoglio.

Naturalmente non funzionava niente o quasi e sono rimasto ad aspettare per una buona mezz'ora.
In questo tempo di attesa avevo intenzione di aprire il mio Cybook e immergermi nella lettura di qualcosa. Invece la mia testa ha cominciato a vagare, anche grazie ad una signora vicino a me che parlava della scomparsa in giovane età di una sua amica.

Questo mi ha fatto venire in mente un'usanza di alcune tribù tibetane del nord, che non so neanche dove ho letto o sentito: se c'è nel gruppo un malato, questo viene posto in una tenda al centro delle altre (che sono normalmente poste in cerchio) e qui resta fino alla guarigione o alla morte.

Ma la particolarità è che ogni giorno qualcuno lo va a visitare e gli porta un dono. Non qualcosa di particolare o di strano, ma semplicemente una radice, una foglia, una piuma d'uccello, qualcosa così, insomma. E il malato capisce, guardando questi oggetti, che non è solo nella sofferenza.
Quest'immagine mi ha fatto riflettere sull'importanza (o meno) che la nostra società dà alla persona malata, specie in fase terminale.
Io ho perso i miei genitori a distanza di 2 anni e mezzo, entrambi a causa di un tumore al fegato. Mio padre è stato ricoverato prima un paio di volte per poche ore al pronto soccorso nell'arco di 15-20 giorni; poi dopo l'ultimo ricovero la notte di ferragosto è rimasto in ospedale per una settimana ed è morto. In quei giorni è stato tartassato con prelievi quotidiani per controllare i valori del sangue, continue terapie con iniezioni e compresse (anche quando aveva difficoltà a deglutire), gli hanno messo una mascherina particolare per ossigenarlo, ecc. E la mattina che è morto era talmente stufo di tutto questo che, in stato semicosciente, ha strappato di mano all'infermiera l'ago con cui gli stava facendo l'ennesimo prelievo, sporcando di sangue tutto ciò che stava intorno. Dopo un paio di ore ha chiuso gli occhi. Gli stessi medici che l'hanno assistito avevano comunque detto che era destinato a spegnersi nel giro di pochi giorni.
Dopo quest'esperienza di accanimento nei confronti di mio padre, quando mia madre è arrivata allo stesso punto, ho preferito tenerla a casa, anche perché lei aveva sempre detto: "fatemi morire a casa mia". Naturalmente ha avuto tutta l'assistenza medica possibile, anche grazie ai medici di un associazione di volontariato che qui a Vercelli segue i malati in fase terminale. E mia madre è spirata tranquillamente, senza che prelievi e terapie varie le prolungassero l'agonia.
Davanti ad una persona che sta morendo, io penso, dobbiamo pensare anzitutto alla persona, non al nostro rapporto con lei. Mi spiego. Se pensiamo che stiamo perdendo un familiare probabilmente ci viene naturale dire (o gridare) dentro di noi: non voglio. Ma la morte è l'unica certezza della vita, si dice. E prima o poi dobbiamo morire tutti. Perciò ritengo che bisogna sempre chiedersi qual è la cosa migliore per la persona che si ha davanti, sia che questa stia bene sia che, a maggior ragione, stia male.
Chi arriva a quei momenti, normalmente, capisce che sta morendo e capisce pure, per quanto questa cosa possa procurargli dolore nell'animo, che è inevitabile. Perciò ritengo, forse a torto, che voglia soffrire il meno possibile.
Non voglio qui impelagarmi in discussione su eutanasia, accanimento terapeutico e cose di questo tipo, ma semplicemente ragionare sul far seguire alle cose il loro ritmo naturale.
Come quel tibetano nella tenda: alla fine morirà pure, ma ogni giorno potrà vedere dalla foglia e dalla radice che non è solo. E che tutti lo rispettano perché è ancora uno di loro, fino alla fine.

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editoriale di Flame

Ho trovato il modo per mandare in crash il modello spazio tempo di Einstein. Nei sogni, come tutti voi avrete sperimentato, credo, il tempo scorre più velocemente che nella realtà. Mi spiego meglio. Per notare con chiarezza il fenomeno di cui sto parlando occorre che si verifichino alcune cose. Occorre che ci si addormenti subito dopo aver controllato l’ora in quella che per semplicità chiameremo “esperienza reale”. Occorre poi una volta risvegliati, che ci si ricordi l’esperienza che si è appena vissuto in sogno. Occorre infine, per apprezzare meglio il fenomeno, che nell’esperienza reale sia passato relativamente poco tempo tra il momento in cui ci siamo addormentati e quello in cui ci siamo risvegliati. Diciamo che un quarto d’ora potrebbe essere il lasso di tempo ideale per prenderne meglio consapevolezza.

Di solito capita di accorgersi di questo fatto in frangenti simpatici tipo la mattina presto dopo una notte passata a cercare inutilmente di prendere sonno e a controllare continuamente l’orologio per vedere quanto tempo rimane prima di alzarci per andare al lavoro, e poi riuscire ad addormentarsi solo poco tempo prima che suoni la sveglia.

Quando succede tutto questo si potrà notare che gli avvenimenti che abbiamo vissuto nell’esperienza del sogno, sconclusionati fin che si vuole, questo aspetto non rileva ai fini della presente riflessione, non li avremmo potuti vivere nell’esperienza reale. Ci sarebbe mancato il tempo per farlo.

I dati empirici ci dicono quindi che al quarto d’ora dell’esperienza reale, da me proposto come unità di comparazione, corrisponde un lasso di tempo più lungo di vissuto nell’esperienza effettuata nel mondo dei sogni. Personalmente posso stimare questo lasso di tempo in almeno un’ora.

La prima cosa che sarebbe interessante verificare è se questo rapporto ts/tr è da considerarsi una costante o varia da persona a persona.

Ma la cosa più importante che va rilevata è che il processo di invecchiamento del nostro corpo segue sempre il tempo dell’esperienza reale, sia che noi stiamo vivendo quell’esperienza li, sia che stiamo vivendo quella nel mondo dei sogni. Questo non succede nelle teorie di Einstein, in cui il corpo invecchia sempre secondo il tempo dell’esperienza che sta vivendo la persona a cui quel corpo appartiene.

Il tempo esse per l’uomo è quindi una risorsa meno scarsa del tempo erre. Meno pregiata, se vogliamo.

Non è chiaramente utilizzabile per svolgere attività che richiedono un qualsiasi livello di manualità o l’interazione con altri individui, ma potrebbe essere utilizzabile per svolgere attività puramente intellettuali.

Una sfida dell’uomo moderno potrebbe quindi essere quella di trovare una tecnica che ci permetta di vivere un’esperienza intermedia tra sogno e realtà, per spostare consapevolmente parte delle attività intellettuali all’interno di un sistema in cui abbiamo più tempo per potercene occupare, e salvare tempo erre per attività che possono essere realizzate esclusivamente con il suo impiego, come nutrirsi, amarsi, scaccolarsi ecc...

Ad esempio il povero ingegnere a cui non basta mai il tempo per trovare le soluzioni ai problemi che gli pongono i suoi clienti, potrebbe impiegare tempo esse per l’attività di pura spremitura di meningi e avere quindi a disposizione maggiore tempo erre, che abbiamo visto essere risorsa maggiormente pregiata per lui.

Questa riflessione verrà certamente fatta oggetto di controinformazione oscurantista da parte di comunisti mangia bambini quali quelli del comitato centrale, Carlos e Perfect Element in testa. Cerea.

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editoriale di ALFAMA

La Verità.

Vi siete mai soffermati sul concetto di " Verità". ?

Pensate alla vostra immagine riflessa in uno specchio. Forse è vera ? Sempre uguale ma opposta. Una pellicola Super 8, la vedi controluce è una realtà,ma quando la giri sul vecchio proiettore è una nuova visione,una nuova "verità".

Ho aperto una latina di birra ,mi ha fatto pensare a quante volte ho ripetuto quel gesto. Un semplice gesto, come guardare l'orologio,vedere il tempo e sentirti insignificanti.

La Verità è che siamo insignificante.

Una nullita.Difficile da digerire,ma forse nullità e verità dopo una montagna russa di pensieri si abbracciano ?

Forse lo capisci la mattina quando hai l'acido in bocca della notte e l'immagini che si muovono nel teatro dei ricordi.

Scrivere,scrivere e scrivere,

Ma è così bello pensare che sia vero.?

Bello pensare sia vero quello che scrivi, uno specchio, una latina aperta, uno sguardo al vecchio orologio.

Forse la verità è guardare un vecchio orologio e spostare le lancette'?

Leggere i pensieri che volano come saette?

Esiste una macchina della verità, ecco penso che esisti ma spero di no.

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editoriale di sotomayor

Avevo molte cose da dire sull'ultimo editoriale di Hank Monk, così ho pensato di scriverne un altro in risposta al suo. Fermo restando che questo qui non è un editoriale in polemica con i contenuti del suo, che in poche parole (bravo) esprimeva una pluralità di concetti e quelli che sono dei dati di fatto inconfutabili. Al contrario gli riconosco di avere rilanciato, sotto una prospettiva diversa, un argomento, quello relativo il caso-Weinstein, che io per primo posso dire di avere portato su queste pagine.

Comincio con una premessa fondamentale per specificare una cosa sulla quale non ritornerò più nel corso di questo editoriale e che mi pare inutile di continuare anche a commentare nello specifico: non ho assolutamente cambiato il mio punto di vista. Allora mi sono espresso dichiarando il mio sostegno ad Asia Argento. Ribadisco la mia posizione nel merito, che so non essere condivisa da molti, ma il mio pensiero resta lo stesso. Penso che abbia avuto e stia avendo molto coraggio. E che certe critiche che riceve in maniera esagerata (al di là dei commenti più tipicamente maschilisti) non tengono conto della sua umanità e della sensibilità ferita di una persona che in questo momento ha messo in gioco tutto se stessa su una questione così grave. Così come ritengo che la presenza di un certo maschilismo imperante nella nostra società sia un dato di fatto.

Ma questa volta volevo affrontare l'argomento secondo una prospettiva diversa e che è stata introdotta in qualche modo dall'editoriale già richiamato di Hank e che riguarda un aspetto più relativo una prospettiva riguardante il rapporto tra l'informazione e chi vi accede. È chiaro del resto che il comportamento dei media e conseguentemente delle masse, in reazione a questa vicenda e al suo prolungarsi nel tempo andando a chiamare in causa anche soggetti diversi da Weinstein, sia diventato oltre che la ostentazione persino volgare e deprecabile di atteggiamenti e posizioni maschiliste inaccettabili, anche quello di scatenare e fomentare una certa caccia all'uomo nel mondo dello spettacolo.

Hank Monk nel suo editoriale si riferisce in maniera chiara a Kevin Spacey, facendo un parallelo tra l'attore di Hollywood e le sue vicende e quelle che in qualche maniera (assieme a molte e molte e molte altre) portarono poi a un processo mediatico e che si concluse con la fine (chi lo sa...) del 'berlusconismo'.

Il parallelo tra l'altro, ma questa è una osservazione di 'costume', è in qualche maniera caratteristicamente peculiare perché molti hanno sempre sostenuto che nel caso l'attore americano sarebbe stato perfetto per recitare la parte di Berlusconi in un film. Una osservazione che condivido, anche se personalmente ho sempre ritenuto molto più adatto al ruolo un attore più 'classico' come Leonardo Di Caprio. Ma questa è solo una osservazione diciamo di costume.

La verità è che il parallelo proposto in questi termini è interessante: quanti in Italia, se si dovesse presentare alle prossime elezioni, voterebbero ancora Berlusconi? E quanti ritengono che ieri (cioè pochi anni fa) si stesse molto meglio che oggi? La risposta alla prima domanda è facile: molti. La risposta alla seconda anche: tutti.

Questo succede chiaramente perché la gente tende sempre a ricordare in maniera nostalgica il tempo passato, qualunque esso sia: senza fare nessun plauso particolare alla attuale amministrazione, non mi pare del resto il caso di stare qui a rimarcare la situazione in cui era arrivato il nostro paese prima che si concludesse l'ultima esperienza governativa di Berlusconi e senza considerare il fatto che Berlusconi abbia di fatto governato o comunque inciso sulla politica del nostro maniera per un periodo lungo vent'anni. Sotto questo aspetto dissento molto probabilmente da quello che è il pensiero di Hank. Ma non penso sia questo il punto centrale della questione. Ad ogni modo per quanto riguarda Berlusconi tutto questo va considerato a prescindere poi della sua vita personale diciamo sopra le righe (senza considerare poi la consultazione diretta del parlamento che si inventò di sana pianta una nipote di Mubarak...) e molto spesso anche al di là di ogni regola e che si converrà quantomeno inadatta a un ruolo così importante come quello di guida di un paese civilizzato o presunto tale e che invece, guarda caso, si considera sia perfettamente adatta a una stella del cinema americano oppure a una star della musica rock o in ogni caso a una eminente e popolare figura dello spettacolo. Di conseguenza, perché no, anche ad un attore come Kevin Spacey.

Come partecipanti 'passivi' (questa definizione apparirà a tutti come una forzatura e forse effettivamente lo è) a quelle che sono le esistenze di queste celebrità, per cui si adopera non a caso una espressione, 'divi' e che in quanto tale rimandi a un immaginario appunto divino e ultraterreno, che non possiamo toccare, siamo portati da quella che si può ritenere propaganda oppure una consolidata forma mentis, a considerare che loro tutto sia concesso. Ogni forma possibile e estrema di manifestazione e in qualsiasi settore possibile.

Quando parliamo di queste 'star' e guardate, proprio allo scopo di chiamare me stesso in causa per primo, nomino come esempio quella che io personalmente considero come la rock'n'roll band più grande di tutti i tempi, cioè i Rolling Stones, non solo lo facciamo in una maniera che esprime la certezza di parlare di qualcuno cui tutto sia concesso, ma dove ci aspettiamo addirittura sempre qualche cosa di più. Tanto che alcuni soggetti poi non riescono a uscire da quella interpretrazione di quello che poi dovrebbe essere solo un 'personaggio' (ma come facciamo a tracciare una linea di separazione netta tra le due cose) e finiscono con il distruggere la loro stessa esistenza.

Perdoniamo in maniera inconsapevole e automatica tutto, persino comportamenti inaccettabili e fuorilegge e che sono lontanissimi dalla nostra cultura e formazione ideologica: perché alla fine si è radicata non a caso la convinzione che la loro stessa esistenza costituisca uno show. La accettazione di questa cosa porta a conseguenze che possono essere il già citato bersagliamento nei confronti di Asia Argento (fosse successo a vostra figlia, vostra sorella, vostra moglie, vostra madre, che avreste fatto, come vi sareste comportati, che giudizi avreste espresso) oppure alla caccia all'untore come nel caso di Kevin Spacey, che scopriamo all'improvviso avere una personalità fortemente traumatizzata da sue vicende personali, ma che nondimeno a quanto pare lo abbiano portato a compiere atti di molestie. È chiaro che la prima cosa secondo me vada comunque tenuta in conto nel giudizio all'uomo Kevin Spacey (come peraltro in qualsiasi altro caso), del resto come si dice, 'chi è senza peccato...', ma se ha commesso atti di molestie allo stesso tempo mi sembra giusto che come resta valido per tutti e in qualsiasi caso, questi vengano denunciati e nel caso discussi in tribunale e che lui sia processato. E penso che su questa cosa pochi abbiano da ridire.

Il fatto che sia già stato condannato dai media ancora prima di un processo vero e proprio, purtroppo, fa parte di quello stesso meccanismo che però allo stesso tempo può scatenare anche reazioni opposte. Come non considerare ad esempio la celebrazione e la unanime difesa del mondo dello spettacolo e dei media di Roman Polanski. Un attegiamento da parte di amici e colleghi che nel caso può essere anche comprensibile ove questi siano convinti della sua colpevolezza ma che se espresso pubblicamente diventa - secondo me - discutibile. Vedasi nel caso quello che sta succedendo adesso riguardo Tornatore e le pubbliche accuse di Miriana Trevisan. Chiamata a parlare sulla questione, Monica Bellucci ha giustamente (secondo il suo punto di vista) espresso sostegno al regista. Che magari con lei e che lei sappia ha sempre avuto comportamenti irreprensibili. Eppure magari in quel contesto... Non lo sappiamo. Possiamo solo attenerci alle dichiarazioni dei soggetti chiamati in causa e vedere se ci saranno sviluppi sul piano processuale e giudiziario.

Di nuovo richiamo a proposito le mie stesse prefereze, perché anche io come tutti, ho delle preferenze in campo musicale, cinematografico, letterario e sono evidentemente vittima di alcuni meccanismi. Uno dei miei attori preferiti di sempre infatti è Klaus Kinski. Io adoro Klaus Kinski: lo dichiaro apertamente. Rivendico personalmente di amare questo attore in una maniera significativa, importante e di anche essere affascinato dalla sua figura sotto e lontano dai riflettori. Eppure Klaus Kinski era, è stato da tutti i punti di vista possibili probabilmente quello che potremmo definire un mostro e questo è purtroppo innegabile: alcune vicende ci sono state raccontate direttamente dalle figlie. Ma in generale era risaputo che avesse un carattere quantomeno difficile e pare sussistano anche perizie psichiatriche che lo determinino come un soggetto socialmente pericoloso. Ma sapete in automatico quale processo compie il mio cervello pensando a lui: penso che era un mostro, ma che va bene così, perché voglio dire, in fondo era un genio... Ma questo è un pensiero chiaramente sbagliato. Klaus Kinski è stato un attore fantastico, persino sublime, ma è stato allo stesso tempo un uomo orribile e la prima cosa non giustifica la seconda né è giusto compiere una connessione e un collegamento tra le due cose!

Quello che sta accadendo a Kevin Spacey è sbagliato ed è qualche cosa di deviato perché è deviato il sistema dello star system e guardate che la denuncia fatta da Asia Argento e altri e altre rappresentanti del mondo dello spettacolo va anche in questa direzione: cioè quella di sradicare una determinata mentalità anche allo stesso tempo provando a intaccare questo 'privilegio' che noi abbiamo accordato a attori e registi, musicisti e cantanti, calciatori e alla fine persino personaggi del mondo della politica.

Tutte queste persone hanno un potere specifico all'interno della società e che è dato dalla loro posizione così come in primo luogo dalla propria situazione finanziaria e questa cosa difficilmente cambierà per quello che sta succedendo in questi giorni perché la deriva che si è voluta far prendere alla cosa sposta chiaramente il bersaglio di nuovo su noi stessi e che quindi di nuovo siamo soggetti passivi di tutto quello cui assistiamo, ma allo stesso tempo vi partecipiamo PER FORZA contribuendo ad alimentare determinati meccanismi.

Ci sto: non ha nessun senso fare un processo mediatico a Kevin Spacey come a Berlusconi oppure al primo assassino vero o presunto dei tanti casi di cronaca nera reclamizzati fino allo spasimo da televisione e giornali. Di queste cose per la verità, riguardando aspetti privati e come la maggioranza dei casi di cronaca nera, ci dovrebbe interessare zero: la colpevolezza di queste nefandezze dovrebbe nel caso riguardare solo la giustizia. Ma ci sta una mentalità che riguarda la intoccabilità di determinati soggetti e che sono guarda caso, soggetti 'pubblici', cui ci è stato 'insegnato' che tutto è concesso (ma non ci è stato insegnato del resto anche che tutto ci è concesso sulle nostre donne in generale...) oltre che su determinati temi (e qui si ritornerebbe sulla questione di partenza del mio precedente editoriale, cioè il supporto a una cerca causa contro una mentalità maschilista evidentemente dominante) che va messa in discussione.

Il problema come sempre sta nelle capacità critiche delle persone, ma cominciare a considerare che questi soggetti possono essere colpevoli di cose che voi per primi considerereste sbagliate, può essere un primo piccolo passo per diventare non giudici inflessibili censori ma parte attiva e protagonisti della nostra vita invece che solo spettatori (paganti) inconsapevoli.

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