Mi capitava, ogni tanto, quando passeggiavo vicino a casa mia, di imbattermi in una curiosa figura, un tizio alto, pallido, sempre vestito di eleganti abiti scuri che camminava, flessuoso e morbido, di un passo sfaccendato, come un gatto diventato chissà come umano.
Di spettrale bellezza, sembrava avere un cerchio intorno a sé destinato ad allontanare gli altri e dico sembrava perché, in realtà, gli altri gli si avvicinavano eccome, ma, come avevo già da un pezzo notato, si trattava sempre di tizi male in arnese. Non lo vedevi mai parlare con un tal dei tali qualunque, che con gente simile il cerchio funzionava benissimo.
Un giorno, mentre ero seduto su una panchina e lui stava camminando a pochi passi da me, fu fermato da una vecchietta, di quelle che hanno un calzino bianco e uno blu,
“L'unico modo per far le cose pari è lasciarle dispari.” disse lei. Lui rispose “Questa l'ho sentita in un vecchio blues.” “E cusel e blues?” “Sono io quando mi ricorderò di te.”
Poi la vecchietta lo salutò. Stupito, memorizzai la conversazione e arrivato a casa la scrissi subito in un quadernino .
Un giorno ascoltando, per caso, dei miei vicini parlare di lui appresi che da giovane si era bendato completamente il viso per qualche mese, poiché non voleva essere visto dagli altri e che ai tempi delle superiori era solito camminare sui tetti della scuola.
“E' sempre stato un tipo strano e pensa che le donne gli morivano dietro” aveva poi detto uno dei vicini con evidente invidia.
Una sera andai nel bar vicino casa per vedere una partita di calcio e con mio sorpresa (nulla lasciava pensare che potesse interessarsene) c'era anche lui. Gli sedetti accanto. Le due squadre stavano facendo una squallida partita difensiva e allora dissi parlando tra me e me “Un po' di coraggio, no? Sorpresa su sorpresa, mi rispose “E' la tattica del pipistrello con gli undici giocatori attaccati alla traversa.”
“Questa non è male.”
“Non è una frase mia, ma di un giocatore sudamericano, non ricordo più quale.”
Durante il resto della partita non parlammo più, ma dopo mi offrì da bere e ebbe inizio così la prima delle nostre serate alcoliche. “Il calcio è un gioco magico perché si usano i piedi e non fosse altro che per questo per me è pura poesia. E quando va bene è una specie di mondo alla rovescia dove una specie di nano quasi deforme nasconde la palla ai giganti. Oggi è sempre più raro vedere giocar bene e funziona solo la tattica del pipistrello che ti dicevo prima. E, credimi, è quasi più divertente veder giocare i ragazzini”
Sfondava una porta aperta con me, che, se vedevo dei ragazzini giocare, mi fermavo sempre.
Parlammo poi dell'odore dell'erba, della sensazione magica di veder correre sulla fascia, del suono della palla accarezzata dal piede, dei calciatori brasiliani di un tempo che giocavano addormentati, di un certo Tabanelli a cui io non riuscivo mai a rubare la palla quando ero ragazzo. Alla fine il vampiro citò una frase di Eduardo Galeano a proposito dello squallore del calcio moderno: “I più vincono senza magia, senza sorpresa, né bellezza, ma così è peggio che perdere.” E credo che queste parole spieghino molto bene il motivo per cui il suo cerchio protettivo lasciasse passare solo i folli e gli sconfitti. Chi vinceva senza bellezza non lo interessava, e credo di non aver mai conosciuto nella mia vita un uomo che nutrisse un odio così profondo per la normalità.
E per quel che riguarda i folli, erano loro ad avvicinarsi a lui e non lui a loro. E da parte sua non c'era nessuna posa alla Stavrogin. E' solo che i folli hanno bisogno, si dice, di guardare negli occhi la naturalità della bestia per riposarsi dall'umano almeno per un attimo. E io credo che con lui le cose funzionassero proprio così e in questo senso era davvero un gatto o un vampiro. Già perché io lo chiamavo così, vampiro, e anzi vampiro con un dente solo a significare che non lo era proprio del tutto
E girando con lui ho quindi finito per imbattermi in dolci e strani personaggi.
Giuseppina, grande giocatrice di beccacino e tabagista terminale che era convinta, tra le altre cose, di essere stata da bambina il monello di Charlot, (“Ero così bellina, sapessi!!”).
Nello che passava le sue giornate a raccattare cose vecchie, e comprava quasi ogni giorno un orologio da pochi euro o cellulari giocattolo solo per il piacere di smontarli.
Pierino che aveva un borsello pieno di fogli riempiti di una grafia dolcemente psichiatrica che leggeva con un eloquio lento e smozzicato, difficilissimo da comprendere e, una parola ogni dieci secondi, si componevano frasi come “Amore mio sincero come una sirena, amore che sei un lembo della mia vita”, con il vampiro che lo aiutava a leggere perché delle volte Pierino non ci riusciva.
O il vecchietto che diceva “Strenz e cul e ten bota” ( che si, significa proprio stringi il culo e tieni botta) e che girava con un motorino scassato, si faceva parecchi bianchini e sorrideva sempre.
Che a me veniva da pensare: altro che quel cazzone di Virgilio, son tipi come il vampiro che dovrebbero accompagnarti per l'inferno, in quei luoghi terrificanti dove c'è solo la paura che quello che c'è dentro di te sgomenti scandalizzi, crei raccapriccio. E dove è meglio vomitare tutto e subito o sbattere in faccia agli altri con una violenza assurda il proprio male, piuttosto che credere che quel pensiero che ti aveva sfiorato e cioè l'idea di essere qualcosa di bello e di buono possa avere anche solo un minimo di realtà.
Il vampiro mi ricordava il mago. La stessa solitudine. E anche la stessa eloquenza bislacca, specie quando in preda a una dolce tenerezza alcolica partiva con delle vere e proprie filippiche cariche di un santissimo odio.
“L'umanità dovrebbe suicidarsi - diceva - Madre terra ha bisogno di respirare. E da brava dea benevola potrebbe far cessare con un battito di ciglia quella sottospecie di ipnosi chiamata istinto di sopravvivenza. Un suicidio di massa risulterebbe molto più pratico rispetto alla eventuale realizzazione di alcune idee carine che l'uomo ha indubbiamente avuto nel corso della sua lunga storia, tipo radere al suolo i quartieri dormitorio, spostare le opere d'arte dai musei ai bar o smettere di considerare gli individui come mere funzioni economiche. Tali idee risultano infatti, per una ragione o per l'altra, del tutto improbabili anche se sensatissime. Meglio quindi ricominciare da zero tra un milione di anni. Si fotta quindi l'istinto di sopravvivenza che forse è un dio di cui non siamo degni, che tutto è semplice in realtà e davvero dovrebbe morire chi non riesce a vivere. E chi è ridicolo dovrebbe esserlo con gioia che sarebbe bello sputtanarsi sempre e completamente, che da li parte tutto (almeno per quelli come me), che a essere ridicoli ci si guadagna e nessuno può coglierti in castagna. Che la castagna è il tuo angelo custode, il tuo chi se ne fotte. Ed esibire il proprio male è la sola forma di cura e gli psichiatri son solo dei gendarmi appena appena più colti e infinitamente più stronzi, anche se non lo fanno apposta. Sputtanamento quindi, sputtanamento sempre e comunque, ma non bisogna farlo ad arte a meno che l'arte non sia vera, mica uno sputtanamento rococò o uno sputtanamento d'avanguardia. Lo sputtanamento deve essere totale, cazzo, che dopo se vuoi puoi essere anche un artista,un guerriero, un santo, ma prima viene lo sputtanamento...a meno che non si sia perfetti, o lietamente imperfetti, non perfettini o perfettine del cazzo. Perfetti o lietamente imperfetti ripeto, che ne ho conosciuti...pochi certo, ma ne ho conosciuti. Che poi anche li è solo questione di culo. Che è una sontuosa scoreggia ad annunciare il paradiso, anche se Chopin sarebbe meglio. Ma non è il caso. Che la felicità è terra terra, focaccia al rosmarino o bacio.”
Disse proprio così: “Focaccia al rosmarino o bacio”.
“Dovrebbe morire chi non riesce a vivere, vampiro? Anche i tuoi amici folli?”
“Ma non sono loro quelli che non riescono a vivere.”
“No?”
“Sono gli altri, i fottutissimi altri... e la follia dei miei amici, perlomeno quella che procura sofferenza, nasce dal disonore dei fottutissimi altri”
“Quale disonore?”
“Quello di non rinsavire perché non riescono a essere pazzi. E' merda al di sotto del biologico, che una cellula malata non finge di essere sana. Loro invece sono solo milioni di cellule che fingono.
“Però vampiro, io ho sempre in mente quello che diceva la nonna di Bob Dylan...”
“La nonna di Bob Dylan?”
“Si, la nonna di Bob Dylan.”
“E che diceva?”
“Diceva che bisogna essere gentili con tutti, perché tutti devono lottare per vivere.”
“Beh, mia nonna era tutta un altro tipo. Eh, senti...”
“Si?”
“Mi ricordo quando ero piccolo. Sognavo una banda, una lega segreta, oggi direi per fottere il mondo, oppure guardarlo per la prima volta. In quella banda c'erano gli eroi dei film per bambini, un mio compagno figo, mio nonno. Eh si Bob Dylan la nonna, io il nonno. Oggi ci sarebbero anche Nello, Giuseppina, Pierino, il vecchietto sorridente con la loro follia finalmente dolce e non manicomiale a disseminare per il mondo un po' di divino buon senso o di dialetto delle streghe.”
“Un po' già lo fanno. E anche tu lo fai.”
“Io non faccio assolutamente nulla, se non fottere le mogli di chi mi prendeva per il culo da piccolo.”
“ Non mi sembra poco vampiro.”
In quanto a scoparsi le mogli di chi lo prendeva per il culo da piccolo (oltre a tutta una serie di soggetti che non sopportava), il vampiro non scherzava affatto, anzi era una cosa che faceva in modo incredibilmente metodico tenendo persino un diario delle sue conquiste.
Mi è capitato di leggerlo quel diario e che documento straordinario era!!! Diviso per capitoli, ognuno con un cornuto diverso e relativa donna conquistata, con la descrizione in tono sarcastico e irridente dell'omuncolo di turno e la fredda elencazione numerica delle pratiche sessuali effettuate Un vero e proprio concentrato d'odio e senza mai alcuna tenerezza nei confronti di tutte quelle signore, che, del resto, anche parlando con me, chiamava con disprezzo ”troiame assortito” o “vaccume senza capo ne coda”
In ogni caso, quello che mi divertiva nel suo diario era proprio la crudeltà e anche lo stridente contrasto tra le descrizioni mirabolanti dei cornuti e il freddo elenco delle pratiche sessuali. Era come unire Boccaccio (uno che conosceva l'arte del ridicolizzare) e Rimbaud (uno che conosceva l'odio) allo stile asettico di un killer seriale. Puro humour nero. Con quei mariti il cui volto si muoveva a scatti come quello di un tacchino e i cui corpi avvolti di ispido pelo urticante mandavano nell'aria un brivido di calzino sporco. E oltre quel bestiario fantastico c'era il puro orgoglio vampiresco per la culona biondo cenere che sputava sulla foto del marito mentre veniva presa da dietro o per le telefonate sotto amplesso fatte al cornuto, telefonate grazie alle quali le rappresentanti di quel vaccume senza capo, ne coda provavano poi alla fine, senza eccezione alcuna, un piacere infinito, molto più interessante di un banale orgasmo.
E questo garbuglio di sesso seriale, e certamente malato, andava avanti da anni e non riuscivo a spiegarmi come non potesse finire, anche se l'odio è un carburante nobile come dice una bella canzoncina.
Però insomma, mi ricordo di un racconto dove un tale, martoriato da piccolo dalle angherie di una faccia di merda, sta facendo un viaggio in treno. E dove sta andando? Proprio a casa della faccia di merda, che dopo tanti anni di ricerche ha scoperto dove abita. E durante tutto il viaggio non fa altro che pensare a come mettere in atto la sua vendetta. E poi alla fine, per farla breve, arriva alla casa del nemico. Suona e la faccia di merda apre la porta e...e...e...
...è un nano... un nano capite!!! Allora il nostro eroe si fa una gran risata e se ne va, mica si mette in testa di scopare la moglie di quel tipo, posto che ne avesse avuta una.
Insomma quello che voglio dire è che il vampiro era un gigante e gli altri nani e questo forse sarebbe dovuto bastargli.
E' che lui aveva proprio il gusto di certe cose e, ad esempio, gli piacevano moltissimo le novelle popolari di stampo boccaccesco, robette che si sono tramandate oralmente per secoli e che lui conosceva grazie ad alcuni graziosi libercoli scritti da uno stravagante antropologo. La sua preferita era quella che raccontava della prima notte di nozze di un contadino idiota ed inesperto che pensa che il buchetto da esplorare sia l'ombelico e non quello un pochino più giù di cui ignora l'esistenza. E nonostante per tutta la notte la sventurata moglie provi a dirgli che non è quella la strada, lui insiste e insiste senza ovviamente cavare un ragno dal buco. Al mattino va da un suo amico fabbro per spiegargli la situazione e chiedere se magari con un qualche arnese si poteva fare qualcosa per allargare quel buco tanto stretto. “Qualcosa si può fare, certo.”
“E' venuto il fabbro e il buco me l'ha scavato un po' più giù.” dirà poi la moglie al tenero cornuto. “Accidenti con tutti i posti che ci sono te l'ha scavato proprio li dove c'è tutto quel pelo!!!” Ecco non avete idea di quante volte il vampiro tornasse su quella storia, e spesso con tutta una serie di sugose varianti inventate della sua fantasia sovraeccitata.
Le vendette seriali del vampiro avevano però delle pause. Gli capitava infatti di innamorarsi davvero. Anche se mai di strafighe, genere già fin troppo presente nel troiame assortito e nel vaccume senza capo, ne coda, ma piuttosto (per riprendere le insolite categorie di quel noto busker dagli occhi da furetto) di ragazze commedia, fanciulle uccellino o pastello, quando non di assurde ed improbabili bariste grasse, virago muscolose e tatuate, scheletriche vampire dagli occhi invasati. Che gli occhi erano importanti e dovevano essere calmi come una giornata perfetta o vivi e guizzanti come quelli di un bimbo zingaro, e in ogni caso contenere perlomeno il mondo intero, sofferenza compresa. Un po' come diceva il favoloso Iggy Pop a proposito della musica selvaggia dei suoi anni giovani: “La terra tremava, si apriva e ingoiava la sofferenza tutta intera...” e tutto con l'ausilio di stupide chitarre hawaiane e bidoni di benzina vuoti, non certo strumenti strafighi. Ecco che anche il vampiro, con quelle donne il più delle volte assurde, trovava una musica del genere. Una musica che partendo dagli occhi femminei e i suoi di gatto vibrava come impazzita.
“Io non voglio dei pezzi di vetro o di legno, non voglio tailleur o biondine passate in candeggina, io voglio sentire l'energia che scorre e scoparle guardandole negli occhi, ma voglio anche ridere, parlare e bere il vino. Io non sopporto il genere maschile, a parte te mio principe e a parte i folli. Quindi le donne sono il mio amico e la mia amica. E anche il mio bambino. E se mi innamoro voglio star con loro giorno e notte. E quando finisce, finisce. Aveva ragione il tuo caro mago su quella faccenda del romanticismo estremo e tenerissimo, che si concede di durare anche poco, o al massimo quanto serve. Io, in fondo, credo di essere abbastanza bravo nell'annusare donne poco inclini al fotoromanzo. Ma purtroppo è impossibile non spezzare qualche cuore e in quei casi allora una lucina dovrebbe avvertirti prima e tu come un perfetto mago (chissà se il tuo ci ha mai pensato) dovresti visitarle solo in sogno, che i sogni i cuori non li spezzano.”
Durante quegli amori, a cui si dedicava anima e corpo, spariva completamente dalla circolazione. E non so se a farlo riemergere fosse più l'istinto del killer seriale (e quindi il bisogno di nuove vittime) o la naturale consunzione di relazioni così intense. Quello che so è che erano le due facce della stessa medaglia e aveva bisogno di entrambe, che senza l'una o senza l'altra sarebbe senza dubbio impazzito. E non crediate che per lui una parte fosse buona e l'altra cattiva, che di entrambe si nutriva con la stessa fame. E la fame non è certo filosofia.
Certo devo ammettere che gli amori seriali e vendicativi mi davano i brividi, ma al tempo stesso, in un certo senso, invidiavo quel suo atteggiamento talebano, perché chi è che ha la fortuna di poter sviscerare completamente sia l'odio che l'amore e di mangiar la ricotta sia col miele, sia col sale.
Per quel che riguarda il sale, c'erano due immagini dell'immaginario blues che citava sempre e che facevano parte per così dire della sua mitologia: il backdoor man, l'amante nero che fugge dalla porta sul retro; e quel delizioso insettino parassita di cui non ricordo il nome che ai tempi del blues del delta devastava le piantagioni dei bianchi come il più perfetto dei vendicatori neri.
Per quel che riguarda il miele invece pensate a qualsiasi canzone di Nick Drake.
Unitelo poi questo sale e questo miele e avrete il suo ritratto più perfetto.
Ma c'è ancora una cosa che devo dirvi. Ci sono stati dei periodi in cui ho sospettato nelle ombre seriali del vampiro una colossale e fantasmagorica invenzione. Se dei suoi amori luminosi avevo infatti delle prove ben certe, rispetto a quelli seriali non avevo visto che un diario. E, a parte la lettura di quel documento favoloso, non ricordo che qualche suo vago accenno sull'argomento, unito tuttalpiù ad ancor più vaghe considerazioni che avrebbero dovuto suggerire un imbarazzo che equivaleva ad una chiusura a doppia mandata. E se tale ritrosia, visto quello di cui parlavamo, era in qualche modo comprensibile, il fatto che in qualche occasione mi avesse risposto stizzito “insomma, è tutto scritto nel diario!!” lo era un po' meno, anche perché solitamente era la persona più cordiale del mondo. Quello che mi dicevo in questi momenti di dubbio era che, in fondo, la credibilità di questa storia stava tutta nell'aderenza che aveva con il suo personaggio. Non era infatti forse la sua bellezza abbacinante, non era forse placido, sornione e ipnotico il suo modo di fare, non era forse quasi animalesca la sua sicurezza (quella di un gatto appunto)? E che sforzo sarebbe mai stato per lui stregare qualsiasi donna, strafighe e ritrose comprese? E quel personaggio non si sposava forse perfettamente col suo odio? Sia come sia, anche se vi sembrerà strano, le cose rimarrebbero esattamente le stesse. Inventare o vivere una cosa è appunto la stessa cosa, almeno per me. Il bisogno è lo stesso. La fame è la stessa. Che mi importa se è pieno di pazzi che vivono la loro vita immaginaria e che quando possono abbandonare la merda sociale anche solo per un attimo (al cesso o nel balcone dove una stronzissima moglie li spedisce a fumarsi la sigaretta) son presi dall'ardore di fingersi chissà chi? Innanzi tutto quei pazzi non sono il vampiro. E poi quel fingersi chissà chi essendo la parte più vera non finirebbe per essere anche la migliore, o perlomeno sua stretta parente? Il fatto è che questi sogni nessuno, a parte i bambini, li rivela o li fa passare per realtà. Questa sarebbe la prova che il vampiro non ha inventato nulla. Ma ripeto, sia come sia. La questione è secondaria.
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