editoriale di zaireeka

Ciao papà, ciao mamma.

Visto che è un po’ che non parliamo più volevo raccontarvi quello che è successo da queste parti negli ultimi tempi.

Allora vediamo, Papa Francesco avete avuto modo di conoscerlo a sufficienza, per cui possiamo evitare di parlarne.

Ah, ecco, ora che ci penso quello che sicuramente non avete avuto il piacere di conoscere, sicuramente non come Presidente degli Stati Uniti, e’ un signore con i capelli rossi finti e con la faccia da Stanlio, ma molto meno divertente, che porta il nome di Donald Trump.

Questo signore negli ultimi tempi è diventato il soggetto preferito di un altro signore con la faccia paffuta, ed il corpo anche, da cicciobello che ha mangiato troppi pasticcini, chiamato Kim jong-un, che lo provoca continuamente minacciandolo, un giorno sì e un giorno no, di buttargli addosso i suoi missili a testata nucleare preferiti.

Così, giusto per vederne la reazione.

Insomma, nel Mondo la situazione è tragica, ma non seria.

In Europa la situazione non è migliore.

In Spagna la Catalogna ha appena dichiarato una secessione perentoria, ma anche sospesa, dalla Spagna, anche in questo caso giusto per vederne la reazione.

Il governo centrale spagnolo, nella figura del premier Rajoy, ha duramente risposto: “Ma vi dobbiamo prendere sul serio o state scherzando?”

Insomma, che dire, la situazione in Europa e’ tragica, ma non seria.

E in Italia?

In Italia la notizia del giorno, quella veramente importante, e’ che il 28 ottobre prossimo ci sarà il remake di un evento spettacolare del passato: La Marcia su Roma.

Pare che sarà un grande spettacolo, dopo 95 anni da quella prima indimenticabile manifestazione.

Il partigiani hanno minacciato di riprendere le armi se il Re non interverrà.

Insomma, anche in Italia, la situazione e’ tragica, ma non seria.

E lì, la situazione come è?

Spero più seria, come diceva Totò.

Non ho altro da raccontarvi.

Semplicemente mi mancate.

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editoriale di musicanidi

Agosto 2017, Calabria, famiglia, vacanze.

Arriviamo distrutti dopo tante ore di autostrada. Il posto è bello, il sole splende, siamo a duecento scalini dal mare, un’oasi di silenzio nella campagna.

Ci sono le valigie da scaricare, spetta al babbo, tocca a me. La mia macchina è dentro al piccolo parcheggio del B&B, è in mezzo alle palle ma non c’è nessuno a cui romperle. O meglio...

Le dà fastidio l’auto? No, assolutamente mi dice un distinto e gentile signore di circa 40 anni accompagnato dal padre e dalla sorella/fidanzata/amica/moglie (?!?). Ce ne andiamo subito, continua. Io nel frattempo scarico, fa un caldo cane e sono stanco, non sono lucido per niente.

Arriva il gestore del B&B. All’improvviso il quarantenne inizia a urlare, inveisce pesantamente contro il gestore. “Tu si un-ommemmerda, troia a chi, bastardo ommemmerda”. Iniziano a cedrarsi violentemente, due animali sembrano. Si scaraventano contro le auto parcheggiate, pugni in faccia, sangue che cola dai nasi, mani alla gola del gestore.

Il gestore mi guarda e implora il mio aiuto. Non so cosa fare, sembra una lite per una donna. E’ il caso d’intervenire? E se mi arriva un bel destro sul naso? Addio vacanza. Non so cosa fare, mi guardo in giro e vedo altri ospiti del B&B che osservano beatamente la scena. Forse è il caso di lasciar stare, penso. Io, flaccido lombardo, posso dividere due calabresi incazzati all’ennesima potenza? E se spuntasse una pistola? Sono in Calabria, l’ ’ndrangheta è forse solo un'invenzione giornalistica? Nel dubbio mi tengo da parte. All’improvviso tutto finisce, riescono ad allontanarsi fra insulti e improperi. Torna la pace.

Rimango solo con me stesso. Sei uno sfigato, mi dico, un coniglio. E’ così che s’aiuta il prossimo? No, certo, ma se il prossimo è un coglione? E chi aveva ragione? Ma serve una ragione per dividere due persone che sembravano ammazzarsi l'un l'altro? Mi sento il protagonista del classico articoletto da quotidiano: “Rissa fuori dalla discoteca, ci scappa il morto, nessuno interviene”. Mi sento un debole. Sono un codardo?

Ancora oggi me lo chiedo. Ancora oggi non riesco a darmi una risposta.

p.s.

Ho saputo poi la verità. Il gestore aveva dato della troia alla moglie del quarantenne. La povera aveva avuto la malsana idea di attaccarsi alle sette del mattino al campanello del B&B perchè, durante la notte, l'autoclave aveva fatto un casino della madonna. Mai svegliare un gestore calabro alle sette del mattino e mai, soprattutto, dare della troia alla moglie di un calabro.

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editoriale di lector

-Papà! Papà!

Le manine protese, la vocina implorante (ed insopportabilmente stridula).

Sudo. Sudo e bestemmio.

-Aspetta. Ancora un momento. Forse ci sono, forse….

MALEDETTI!

Hai mai provato a montare quei giochini di merda che escono da quegli schifosissimi ovetti?

-Papà! Papà!

Ma come cazzo li fanno?

Pezzettini piccolissimi, assemblati da minuscole manine di bimbi indocinesi, incastri farlocchi e fraudolenti, istruzioni illeggibili e beffarde, meccanismi assurdi. Colori immondi.

E questo? Che cazzo di %divinità a piacere fusa con animale ributtante% dovrebbe essere?

-Papà! Papà!

MALEDETTI!

Perché lo fanno apposta. Mica crederai che è tutto un caso. C’è un piano, un piano ben preciso. Più quella vocina pigolante mi trapana il cranio (e rompe pure il cazzo, diciamoci la verità), più mi figuro i soldi che spenderò in psicologi e terapeuti. Perché lo sai che se fallisci un’altra volta la pagherai (e la pagherai cara) in futuro. Non sarai più quello di prima. Mai più quello che ha ritrovato il pupazzetto di Sam il pompiere perduto sotto la credenza, né quello che conosce i nomi di tutti gli animali (pure inventandoseli).

No: “Dottore, mio padre era un incapace ed un millantatore”. Ecco cosa mi aspetta.

C’è dietro la lobby degli psicologi?

O quella delle agenzie di viaggio? (Papà, vado in India a cercare me stesso. Tu sei una merda. Ho bisogno di figure di riferimento forti)

O i cartelli della droga?

O la Chiesa?

Le lobby del tabacco? Dei liquori? Del porno? L’Isis? I sette savi di Sion? Le sette sorelle?

-Papà! Papà!

Come ho fatto a cascarci di nuovo! Non lo ha voluto, chiaramente, per quel cioccolato di merda unito a quello schifoso strato di robaccia bianca che neanche loro hanno il coraggio di chiamare cioccolato bianco, questo fottutissimo ovetto! No, lui voleva la stronzissima sorpresina, che ci avrà pure tre anni ma, a ‘sto punto, mi pare già avviato verso un futuro da coglione.

Ma sarà proprio figlio mio? Si, cazzo: è proprio tale e quale al suo babbo….

MALEDETTI!

Papà! Papà!

E faccio l’errore di incontrare il suo sguardo.

Lo riconosco quello sguardo: è lo stesso di sua madre quando ci portammo a casa il tavolino “notreciakkof”.

Svedese? No! E’ l’acronimo di “NOn Ti REsta Che Imparare A Cantare Come Farinelli”.

Bastardi!

E tu continui a dire che non c’è dietro un piano? Un sottile, raffinato, diabolico piano.

Un tempo si andava in camporella (tutti abbiamo uno zio ex fico che ci racconta le cose di “un tempo”) e, dopo aver limonato duro come se non ci fosse un domani, capitava – alle volte – che la vecchia 127, o altro macinino a scelta, vuoi per gli acciacchi dell’età, vuoi perché era un ammasso di ferraglia, facesse le bizze e sbuffasse in preda ad un attacco di catarro.

Allora, un tempo, si apriva il cofano, si dava una pulitina alle candele, si stringeva qualche vite, si soffiava sul carburatore e il vecchio macinino ripartiva.

E lei ti guardava come l’eroe invincibile che l’aveva salvata dai pericoli del mondo.

E magari si ricominciava a limonare.

Che c’entra? Niente: ormai sono andato.

Sarà una lunga notte.

MALEDETTI!

-Papà! Papà!

Ma vaffanculo!

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editoriale di luludia

1)

Son le dieci di mattina…

E, nell’aria quasi tiepida, passa la classica famigliola dei boschi. E son rarissime le famigliole dei boschi...rarissime…

Lo sapete vero, quali sono le famigliole dei boschi? Son quelle in preda, nientemeno, che all’armonia universale. Quelle che spaccano, sfilano…O sfilano e spaccano...

E questa è assolutamente fantastica: culo portentoso e faccia buffa lei... e pure lui, oh si si, pure lui è sul buffo andante.

Poi a comporre il trittico perfetto (o magico trio che dir si voglia) non manca il bimbetto saltellante d’ordinanza.

Apparizione? Buon auspicio? Magic moment?

Sia quel che sia, culo dei principianti oppure che la prima è dei bambini, l’inizio promette bene.

Senza contare che il sole, pur quasi accecante, lascia all’aria qualcosa di frescolino e questo significa che è l’ottobre, ovvero il mese mio.

E poi, qui al bar Emilia, fanno il miglior caffè della città, bene…bene bene bene...anche perché tra i molti sintomi della decadenza dell’oggi vi è certo il fatto che il caffè sia il più delle volte una oscura brodaglia.

Per non parlare del cappuccino…

2)

Ma ok, si parte...si va a Casola, e Casola è una favola...ed è anche il paesino delle erbe officinali...ma è pure Tolintesac, che, se voi permettete, significa prendila nel sacco, cioè a dire: in culo. Ed è stato uno scrittore pizzaiolo (o pizzaiolo scrittore) a chiamarla così.

Almeno credo...

E comunque sia, ditemi voi, vi è forse un luogo al mondo che non meriti di appellarsi così? Non sto neanche ad ascoltare la risposta...

Ecco, si, si parte…

In macchina, ascoltiamo i Belle and Sebastian, davvero perfetti per questa luce d’autunno. Il loro “The boy with the arab strap” è il nostro disco da gita.

In questo caso addirittura gita domenicale…

Oddio, in una gita domenicale di quelle dei tempi miei (di quelle, intendo, che a un certo punto c’era la cedrata Tassoni al bar) si sarebbe partiti nel primo pomeriggio. Che, la mattina, la mamma (moglie zdora) era impegnata con l’arrosto.

Non è il nostro caso, miss Luludia l’arrosto lo compra alla coop…

E, a proposito di miss Luludia, ecco, miss Luludia è li che canticchia…

Li conoscete i Belle and Sebastian, vero?... quella bella robina a metà tra il Nick Drake di Bryter later e il miglior pop che possiate immaginare…una di quelle faccende molto molto happy/sad…

Per alcuni troppo la la la, ma non certo per me...

Che poi qui ad un certo punto, credo proprio nella canzone che da il titolo all’album, il cantante dice una cosa del tipo: “faccio l’elenco delle mie migliori dieci masturbazioni”…e siccome quell’elenco ogni tanto lo faccio anch’io…

3)

Sulla strada, che è strada d’autunno e quindi strada di colori, appare l’incongruità di una enorme mela a forma di cuore, una roba pubblicitaria...è orrenda, ovviamente, ma serve a far sorridere l’orsetto interiore di miss Luludia, uno che è meglio tenersi buono…

Per cui ok alla mela a forma di cuore.

Poi ecco, con la meraviglia della sua facciata romanica e l’austerità contadina delle retrovie (un tempo abitazione di certi monaci benedettini), ecco l’abbazia di San Giovanni.

Ci fermiamo, che essendo domenica, è aperta…

Un codazzo di gente ascolta un cicerone e a noi non so perché ci vien da uscire, miss Luludia coinvolta dalla semplicitò del tutto, io un po’seccato, che la mia tirchieria mi ha impedito di acquistare a euro dieci un libercolo sulla storia dell’abbazia.

Prendo solo qualche depliant...

Risaliamo in macchina e poco dopo si passa dalla casa natale di Alfredo Oriani, quello della bicicletta

“La bicicletta è la trascrizione dell’energia in equilibrio, l’immagine visibile del vento...si può dire di lei quel che si dice del violino, ha raggiunto la sua perfezione per sempre”…

3)

Poi ecco Casola…ed ecco, inaspettato, il vento...

Parcheggiamo lontano, che oggi c’è la sagra dei frutti dimenticati…

Troppo facile dir melograni e nespole…che qui è faccenda di pere volpine, corbezzoli, cornioli, azzeruole...nomi bellissimi, bellissimi colori…

E mentre miss Luludia fa la pipì, ascolto lo speaker che annuncia il programma della giornata...ma a noi frega niente, noi andiamo a naso, e conoscendoci mi sa che faremo solo un breve assaggio…

E ci incamminiamo: bancarelle con rametti di bacche rosse, pere piccole piccole, mele più piccole ancora, marmellate...profumo di castagne…

Che oggi è anche la festa delle castagne…

E i caldarrostari sembran quasi soffiare fumo su tutta Casola.

Così, mentre dalla piazza la strada sale verso l’azzurro, le bancarelle, col vento che le sommerge di sole e di fumo, sembran come sospese. Le bancarelle e tutto il resto.

E, a tratti, è tutto un dolcissimo tremolio…

4)

Poi ci fermiamo davanti a una porticciola di legno dove sono affissi tre bellissimi disegni in bianco e nero. Non so, potrebbe sembrare la porta di un artigiano, ma è chiusa e non c’è nessuno. Solo quei tre disegni.

Uno ritrae un viso di donna. Una sorta di Gioconda del popolo, un mezzo sorriso e il dolce e raccolto mistero degli occhi. Niente di esoterico però, solo e soltanto una donna qualunque in un attimo non qualunque.

Una zdora, in fondo...

E scatta qualcosa, io non lo so il perché, ma scatta.

E quel disegno mi fa venire in mente Rosa cuore d’oro, una mitologica prostituta che, nel dopoguerra, stazionava davanti all’osteria della pace a Imola.

“Perché la chiamano cuore d’oro, nonno?”

“Perché è molto generosa con tutti.”

Ah ripeto, non lo so il perché...ma quella è Rosa cuore d’oro…anzi Rosa cuore d’oro “dalle guanciotte rosse e viso color cipria”…e il virgolettato vien da un libro di ricordi di una vecchia signora

Io li adoro i libri di ricordi. E tutti quei personaggi…tipo quella matta, sempre imolese, che andava a lavare le mutande nell’acquasantiera.

In ogni caso son proprio felice d'aver dato un volto a Rosa cuore d’oro…

5)

Andiamo avanti e, dopo l’assenza di vento del vicolo stretto, torniamo in piazza.

Ed entriamo in un qualcosa tipo mostra.

Nella sala grande ci stanno i frutti lucidati in bella vista, in quella piccola ci son delle fotografie. Mi tuffo in quella piccola e li un foglio illustrativo racconta la storia di un signore che da bambino guardava la forme delle nuvole, le macchie sui muri, le striature dei sassi.

(BELLO, LO FACEVO ANCH’IO!!!)

(ANZI LO FACCIO ANCORA)

(E IMMAGINO ANCHE VOI)

La mostra raccoglie delle foto ingrandite e ritoccate di una fontana nelle diverse stagioni e nelle diverse ore del giorno.

Il concetto è sempre quello delle macchie sul muro: osservando si vedono cose e, ingrandendo e ritoccando, quelle stesse cose si accentuano e finiscono per prendere in modo sempre più chiaro la forma che avevi intravisto.

Le opere però, onestamente, mica mi piacciono. Meglio, molto meglio la storia che c’è dietro.

E allora faccio per uscire. Ma il fotografo mi abbranca, e comincia a chiedermi se mi è piaciuto quel che ho visto. Io gli rispondo che, soprattutto, mi è piaciuto lo scritto.

E comincia a raccontarmi. Mi dice che ora fotografa farfalle…“Le farfalle scappano, ma se stai un venti minuti le puoi prendere tra le dita”

Poi cominciamo a parlare delle macchie sui muri e qui viene il bello…

“Se vuole la porto a vedere una macchia incredibile, è proprio qui vicino”

“Va bene”

Miss Luludia già da un po’ stava fuori ad aspettarmi.

“Devo andare con questo signore a vedere una macchia sul muro”

“Cosa?”

“Si è qui vicino”

E così anche miss Luludia, non so se più stupita o più divertita, alla fine viene con noi.

Non facciamo molta strada.

La macchia non è proprio una macchia, ma una specie di screpolatura. Che dire, nonostante pure io sia propenso, a me non dice niente. Invece lui ci ha visto roba, la spirale universale di qualcosa, l’inconscio, cose così...

“Le restituisco il suo fidanzato, signorina” Poi ci stringe la mano e se ne va. Fantastico.

Dovremmo mangiare, ma c’è troppa fila ovunque. Allora, visto che è la festa dei frutti dimenticati, ci prendiamo un etto di corniole.

Sanno di marmellata andata a male. Ma chi se ne frega…

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editoriale di Stanlio

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« Tutto mi dà ispirazione... Tutto ciò che accade nella vita... »

La Winehouse tentò il suicidio a nove anni, in Libero Quotidiano.

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- Amy Jade Winehouse nasce il 14 settembre 1983 a Enfield, Middlesex, Inghilterra, un borough (borgo) della Londra esterna, in una famiglia ebraica (il padre tassista e la madre farmacista).

- Amy è stata una cantautrice, stilista, produttrice discografica e chitarrista britannica.

- All'età di dieci anni fonda un gruppo rap amatoriale chiamato Sweet 'n' Sour.

- A dodici anni frequenta la Sylvia Young Theatre School, severo istituto con regole altrettanto severe che stentava a rispettare.

- Amy si forò un buco al naso da sola per mettersi un piercing.

- Amy riceve la sua prima chitarra a tredici anni.

- A sedici ann entra alla National Youth Jazz Orchestra e canta per la prima volta come professionista.

- Nel 2002 (a diciott’anni) firma con l'etichetta discografica Island/Universal.

- Il suo album di esordio, Frank, viene pubblicato il 20 ottobre 2003.

- Nel 2004 riceve due dischi di platino e vende in totale 1 milione e mezzo di copie.

- Il 27 ottobre 2006 viene pubblicato a livello mondiale l'album Back to Black.

- Il singolo apripista ad aver anticipato l'uscita dell'album è Rehab, pubblicato il 23 ottobre 2006 e diviene un tormentone mondiale, questa canzone parla del suo rifiuto di disintossicarsi dall'alcol.

- Amy perde quattro taglie tra la pubblicazione del primo e del secondo album, dichiara alla stampa britannica (interessata al fatto) che è stato a causa dei commenti che facevano sul suo peso e nell'ottobre 2006, ammette di aver sofferto di disordini alimentari: "un po' di anoressia, un po' di bulimia. Non sono del tutto a posto ma credo che nessuna donna lo sia".

- Nei mesi seguenti Amy è presente sui tabloid britannici per problemi legati all'alcool, tra cui un'esibizione in stato di ubriachezza al The Charlotte Church Show, e l'interruzione del discorso del leader degli U2, Bono,l e vengono chieste opinioni sulla violenza e l'alcool e risponde: «mi diverto molto certe notti ma poi esagero e rovino la serata col mio ragazzo. Sono veramente un'ubriacona».

- Il 16 novembre 2006 appare al Never Mind The Buzzcocks visibilmente alterata e fa commenti sul presentatore.

- Il 14 febbraio 2007, agli Elle Style Awards, la cantante viene vista con dei tagli e cicatrici su di un braccio; il portavoce della Winehouse attribuisce la colpa ad una caduta per strada.

- Il 1º novembre 2007, in occasione degli MTV Europe Music Awards, per due volte Amy inglese sale sul palco in apparente stato confusionale: al ritiro del premio Artist Choice Award, consegnatole da Michael Stipe, non pronuncia il tradizionale discorso di ringraziamento ai fan, mostrandosi invece immobile e spaesata; poco dopo, chiamata a esibirsi, canta con qualche difficoltà.

- Il 21 gennaio 2008 comincia a circolare un video dove Amy fuma crack e ammette di avere preso «sei valium per calmarsi».

- Durante il 2008, partecipa a Rock in Rio; al quale si presenta completamente senza voce: Amy si giustifica del suo stato dicendo che ha avuto alcuni problemi respiratori.

- Il 27 giugno 2008, due giorni dopo l'uscita da una clinica nella quale era entrata per un enfisema polmonare, canta di fronte a oltre 46 000 spettatori giunti a Hyde Park a Londra per festeggiare i 90 anni di Nelson Mandela, La serata ha visto la presenza di artisti quali Annie Lennox, i Simple Minds, Joan Baez, Queen + Paul Rodgers e (sic!) Zucchero

- Dopo le vicende inerenti alla sua salute, affrontate all'inizio dell'estate 2008, Amy Winehouse rimane in cura per poter tornare a casa dei suoi genitori.

- Alcune foto che la ritraggono dopo il ricovero la mostrano decisamente migliorata rispetto a poche settimane prima.

- L'8 ottobre 2008, si esibisce al CityBurlesque, un bar di Londra, dimostrandosi sobria al pubblico.

- Il chitarrista dei Rolling Stones Keith Richards ha dato consigli alla Winehouse e a Pete Doherty per smettere di drogarsi nell'ottobre 2010 (dopo averle già detto nel marzo 2008 di non permettere che la droga stroncasse la sua vita e la sua carriera).

- Nel novembre 2010 Amy annuncia un suo ritorno sulle scene musicali, con concerti previsti in Brasile, Italia, Serbia, Turchia e Romania.

- Alle 15:53 del 23 luglio 2011, Amy Jade Winehouse viene trovata morta nel letto della sua casa al numero 30 di Camden Square.

- La morte è sopraggiunta prima della pubblicazione del suo terzo disco, pubblicato postumo soltanto il 5 dicembre 2011 dalla Universal.

- https://youtu.be/nxKgRsmTPTI

n.b. Tutti i dati sono tratti dalla mia enciclopedia online preferita (Wikipedia) & da YouTube che ringrazio!

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editoriale di Homburg

Quando inizia l’autunno divento più solitario e di conseguenza passo meno tempo in giro e torno più presto a casa, a meno che la serata non sia davvero formidabile. Il rapporto amoroso con l’alcol è sempre il medesimo ma più concentrato e di conseguenza più nefasto e così quando sono solo è peggio che d’estate.
L’altro giorno mi sono messo a fare un po’ d’ordine tra le mie cose e non ero nel migliore dei mood. Riguardo certi volumi di Magnus e penso a quanto sia stato importante per me.
Penso al suo “Cerchio”. Io lo chiamo così. Se avete letto qualche volume avete presente di sicuro quella specie di riflettore che rivela i suoi personaggi e li illumina nelle loro azioni. Più che i protagonisti delle vignette, il Cerchio mette in rilievo il nero circostante. Il buio è la vera componente essenziale delle sue tavole ed è questo che fin da ragazzo mi ha sempre fatto preferire i suoi lavori rispetto ad altri lavori “neri”, come Diabolik, ben più noto oggi al grande pubblico di Kriminal o Satanik.
Credo ancora che sia il segno più rappresentativo ed emblematico degli anni ’60-’70 nostrani (tolto Pazienza per il ’77). Del resto non si parla certo di anni luminosi. In mezzo a povertà, oscurantismo (ma pure liberazione e conquiste non durature) e vicende tra le meno chiare dell’intera storia d’Italia, nessuno se l’è passata davvero bene. Per la gioia di qualcuno perfino i borghesi sono apparsi alquanto…zoppicanti.

Oggi il fumetto, come la società, non è esattamente come in quegli anni. In questi giorni, tolte le sbandate nipponiche di qualcuno (a me sempre sconosciute), credo non possiate trovare nessun personaggio dirompente anche solo la metà di un Zanardi. Il vuoto interiore che sento dentro me stesso e altri non può più (per fortuna?) cadere nella banalità del simbolico e ci si consola con la roba underground, spesso pretenziosa e intellettualistica. In questa desolazione non c’è niente di più rassicurante di quell’incerta, inquietante, vasta stesura di china nera di Magnus, perché nel suo Cerchio, nonostante l’amarcord, non posso più ritornare, come quando, da bimbetto, correvo in edicola ad accaparrarmi Skorpio e Alan Ford. Così mi trovo ancora nella banalità di parteggiare per il Lato Oscuro, come un fanciullesco metallaro con in odio Platone e cristiani, gnostici compresi. Ma qui non c’entra niente il fascino del Male e stronzate del genere. Più semplicemente è che nella Luce c’è quel che c’è e “avrai quello che dai”, come insegnano giudei e Colle Der Fomento. Il Buio invece è tutta un’altra storia.
Forse non c’è niente.
Forse c’è qualcosa.
Non vedo l’ora che torni la nebbia delle mie parti, quella fitta come un muro di cemento, in cui non vedi un cazzo e non sai se avere paura o essere eccitato di non sapere come stai messo sulla strada; di fianco i fossi.

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editoriale di sotomayor

Quanti di voi guardano un film porno dall'inizio alla fine?

Va bene. Facciamo che guardare un film di un'ora oppure un'ora e mezza di questo tipo e data la finalità, si suppone che per ragioni fisiologiche l'interesse primario vada scemando dopo quello che possiamo definire l'happening. Il momento decisivo.

Cioè magari a 13-14 anni te lo guardi pure cinque volte di fila. Ma quello è normale.

Io sto parlando di altro.

Effettivamente mi rendo conto ora che questa mia introduzione potrebbe essere o comunque apparire nei contenuti rivolta a un pubblico esclusivamente maschile. Ma chiaramente non è così.

Diciamo che per ragioni facciamo 'strutturali' mi viene più facili rivolgermi alle mie determinate e specifiche procedure operative. Ma va detto che pure al riguardo e senza distinzione di sesso, ciascuno ha le sue preferenze.

Mi sono tuttavia reso conto che da questo punto di vista le cose hanno subito un cambiamento.

Una prima obiezione a questa osservazione potrebbe essere: 'Chiaro che ci sia stato un cambiamento. Sei invecchiato.'

Che significa che non mi tira più come una volta probabilmente.

Ma non vorrei parlare di questo. A parte che questa argomentazione potrebbe anche essere discussa, ma non è questo il punto.

Sapete come funzionano i siti di pornografia in streaming?

La risposta è sì.

Adesso cambio la domanda che ho fatto all'inizio: quanti di voi si masturbano in maniera diciamo 'regolare' scegliendo senza perdere tempo un determina filmato e guardando sempre questo senza 'cambiare canale' dall'inizio alla fine?

Per 'fine' in questo caso possiamo anche benissimo intendere il raggiungimento dell'orgasmo. Del resto i film porno non hanno bisogno di nessuna fase emozionale e dopo essersi soddisfatti ci si può benissimo dedicare ad altro senza nessun coinvolgimento emotivo.

Voglio dire che quando di parla di porno-dipendenza secondo me si pensa quasi sempre a fenomeni estremi. O si pensa che questo sia necessariamente lo stesso della dipendenza dal sesso (a proposito, se non lo avete fatto, guardatevi 'Shame' e convincetevi che Michael Fassbender sia effettivamente il più bravo attore in circolazione).

Una questione di libidine.

Ma non è solo così.

Poiché non ho nessun pudore spiego io come uso questi siti di pornografia online quando le mie esigenze lo richiedono.

Accedo al sito in questione e comincio ad aprire dieci, venti pagine e ciascuna con un filmato diverso. Quello che voglio dire è che mi trovo davanti a una offerta così vasta che la mia testa dimentica quale sia la ragione principale per cui io voglia adoperare quel servizio (cioè semplice godimento) e viene bombardata da una serie di immagini che hanno chiaramente e in quella situazione mia emotiva specifica una presa particolare.

Naturalmente mentre fai tutto questo ti masturbi, si suppone, dato che non sei un semplice documentarista ma un normalissimo soggetto con la necessità di soddisfare un suo bisogno.

Ma è una masturbazione convulsiva e che ti comporta uno stato di stress e di alterazione emotiva che non ha nulla a che fare con il sesso.

Potrei persino definirla ansia.

Chiaramente mentre ti masturbi non smetti mai di passare da un filmato all'altro, sei bombardato da sempre nuove immagini, continui a cambiare e aprire nuove schede compulsivamente e ci continuamente finché alla fine inevitabile raggiungi comunque l'orgasmo.

Sensazioni post-coito: secondo me soddisfazione poca. Molto stress. Ti manca quella sensazione di leggerezza e di scarico di tensione che contraddistingue o dovrebbe contraddistinguere questa fase specifica del nostro ritmo biologico.

I siti di pornografia in streaming, ben vengano, sono stati una vera rivoluzione e il loro successo inevitabile, ma funzionano esattamente come l'assunzione di sostanze che alterano il tuo organismo come del resto tutto quello che può e viene usato in maniera sregolata e compulsiva. Ma questi siti sono specificamente nati a questo scopo.

Non voglio certo parlare di teorie del complotto oppure essere un moralista e dire 'Basta pornografia!' oppure ancora ergermi dall'alto di una formazione storica e critica come in vecchio 'barbuto' e dire che la pornografia è 'oppio dei popoli'. Ma sapete a volte quando accedo a uno di questi siti come mi sento? Come se mi 'schizzassero' in faccia decine e decine di messaggi spam e io fossi vittima di una gang bang a cui sono stato invitato a partecipare come 'ospite d'onore' attratto con l'inganno.

Penso che si sia parlato molto negli anni, a partire dagli anni sessanta, di sesso e autonomia, autodeterminazione e consapevolezza. In particolare una volta lo facevano le donne (oggi non lo so, ho avuto poche donne, ma ne ho conosciute tante e non ci capisco molto) perché chiaramente tutto questo aveva a che fare con il processo di emancipazione.

Ma davanti a una cosa di questo tipo, a parte la componente legata allo stress e alle dipendenze (comprovata da studi diversi e qualche volta attendibili, qualche volta no), possiamo parlare veramente di consapevolezza?

Io dico che ci vuole una nuova rivoluzione sessuale con dei metodi e delle finalità proposte diverse per forza da quelle che abbiamo considerato fino ad oggi.

La parità dei sessi, il rispetto per la donna sono temi che dovrebbero essere trascendentali: sono regole di rispetto e di civiltà. Qualche cosa di basico come il rispetto della dignità dell'essere umano.

Non sto dicendo che non se ne debba parlare: la società in cui viviamo è chiaramente ancora arretrata da questo punto di vista.

Ma quarte argomentazioni quanto hanno poi sul piano concreto veramente presa nei rapporti tra le persone di sesso opposto oppure dello stesso sesso.

Quando parli di sesso sembra sempre che stai parlando di sport. Parli di prestazioni, competizioni. È una gara. Ma non c'è un premio a chi arriva primo. Mentre gli ultimi oppure le ultime restano perplessi o in determinati casi frustrati da una sensazione di incapacità di fondo.

Allora forse non è solo la pornografia in streaming che è stressante. Quella è una conseguenza e come quando ti fai perché la tua vita è una merda. Io dico che l'equazione seghe=solitudine oppure per esempio 'sfiga' non regge. Badate bene: non lo dico per 'difendermi'. Se mi dite che sono solo e/oppure uno sfigato dico 'Va bene.'

Chi se ne frega.

Quello che mi interessa è capire in che razza di mondo viviamo, creare una collettività sana e basata sul libero confronto, voglio capire se aprire una sola scheda per volta del proprio browser sia un passaggio che tutti insieme come società possiamo riuscire a fare oppure no.

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editoriale di perfect element

Venerdì il sei di ottobre nel 2017. La luna cala, la pressione scende, l'asciutto qui non è consono.

L'uomo diritto segue solo ciò che per se stesso ha.

Privilegia la vita innanzi al pensiero o all'azione.

L'uomo diritto segue solo ciò che gli passa per la testa.

...E nemmeno...e per davvero guarda a tutto e sceglie a poco di quel che ha.

L'uomo dritto sa già prima di fare e sa ciò che farà.

L'uomo diritto non sbaglia perchè segue lo Spirito e la sua anima è amica e collabora al disegno.

I.

Aeroporto.

Periferica futurista, strada logistica del niente, simulazione d'uccello, ma che vola molto più veloce.

Indaffarato in giacca e paltò...

- Senta, subito in Piazza delle Questioni...al 12...lato alto, è in centro, le pago io la multa...ho molta fretta.

Il taxi non è una scelta, come poco nella vita, è un sentimento o, forse, qualcosa in più, la strada che sei obbligato a seguire perchè non ci si può nascondere da sé stessi e da ciò che Qualcuno ha pensato che sia il destino.

Il taxista:

- Non è una questione di soldi, tantomeno di principio, ma Lei, quanta fretta ha?

- Ho la fretta del diavolo e non sono qui per fare della filosofia!

- Ce ne scampi Iddio dalla filosofia! Io posso arrivare dove Lei deve arrivare nel tempo che Lei ha da spendere. non so se mi capisce....

- Senta, questi sono 100 soldi per Lei se fa quello che dice.

- Vede...sa...non è per i soldi...Lei quanta fretta ha?

- Il mio Dio!! Ho già perso più tempo di quanto ne abbia a parlare con un tassista che non mi sta portando dove devo andare.... La saluto, ho molta fretta.

- Dove vuole andare non ci arriverà!...senta...in Piazza delle Questioni...siamo lì in dieci minuti, le costa solo 20 soldi, ma si calmi, Lei ha troppa fretta.

Chi sono questi due?

L'uomo diritto passa per la sua strada e, se può, fa il tassista...

- Lei! Mi scusi se mi permetto...sì, Lei! è un manager, un imprenditore o qualcosa del genere?

- Sì, sì, qualcosa del genere.

-Mi scusi se mi permetto...di che affari si occupa?

- Tratto di persone...in pratica devo avallare, come socio, un affare in cui si vende il lavoro di un terzo personale in affitto.

Pausa.

- Ho capito, Lei ha fretta perchè i suoi soci aspettano di lavorare...

- No, ho mille cose da fare, è per quello che ho fretta, gli operai si trovano sempre, c'è sempre bisogno di lavorare e per ogni cantiere e per ogni prezzo c'è il suo operaio!

- Sarà come dice Lei, ma tutta questa fretta non le farà male?

Non dice niente, anzi, si aggiusta il paltò, guarda fuori dal taxi e rimugina sul fatto che ha smesso di fumare e ancora si chiede il perchè.

Il tassista accorcia le distanze e annulla il tempo.

- Siamo in Piazza delle Questioni e credo anche che Lei sia in orario, ma....mi tolga una curiosità: io faccio il tassista e porto le persone dove devono andare, ma Lei! E' un bel ragazzo, è giovane, è più giovane di me...non ha famiglia, ma chi glielo fa fare? Questa città, nel mondo, ha sfumature e personalità che mai potrà rivedere!! Un giro turistico e si innamorerà dei luoghi e delle persone...

Non guarda neppure la maniglia della porta, scende, imbarca un panettoncemento del traffico limitato...si fa male...non lo dà a vedere, si rivolge al tassista e paga.

- Il dovuto!

Il tassista.

-Questo è il mio lavoro, Lei mi deve solo quello che deve pagare...io posso fare 100 corse gratis, ma per trovare un uomo sarei disposto a farne 1000 pagando!

Chiude lo sportello attento a non imbrigliare il paltò.

Parte veloce come se avesse fretta. Accende la radio. Rallenta dopo la prima via, la gente è proprio strana...testa di tassista...

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editoriale di musicomio

Ciao Gedrizz in poche righe ti puoi presentare ai nostri lettori? Chi sei, cosa fai da dove vieni?

Ciao a tutti, mi chiamo Goldfried Salvi e sono un musicista Italo-Brasiliano dalla provincia di Bologna, classe 1987.Mi occupo di diversi generi; funk, rock, world music ed elettronica. Nasco come bassista rock ma poi la passione per la musica mi ha permesso di sperimentare e spaziare in altri generi.

I tuoi inizi con la musica come sono stati?

Sin da bambino la musica mi ha sempre appassionato , vedevo mio padre suonare nelle proprie band e ciò mi stimolava a provare l'utilizzo di uno strumento, ne provai diversi fino a trovare nel basso elettrico il suono adatto alle mie esigenze. Con il basso imparai da autodidatta, e subito nel 2007 trovai una band di ragazzi coetanei che mi prese a suonare (Sweat floor) da li per i successivi 10 anni rimasi sempre con loro cambiando nome (teorema del delirio) fino a ridurre la formazione a tre elementi e suonando prog-rock (acrilico su tela). Nel 2015 insieme al batrerista Luca Bernardi creai un duo funky (Gedrizz&Perfect) che successivamente diventò un trio con l' aggiunta di Vincenzo Santoro nello stesso anno la passione per l' elettronica si fece sempre più forte tanto da coltivare un progetto solista (Gedrizz) e un duo (Red mustacho project) . In fine nel 2016 mi inserì in un trio punk-rock (Bujo) e iniziai la collaborazione con Maria Silvia Morlino in arte Maryblue nel progetto di musica elettronica pop-dance (Gedrizz feat Maryblue).

La musica elettronica ha sempre un che di magico… parlaci un po’ di cosa tratta.

Con la musica elettronica ho un bel rapporto sin dal ‘95 quando ascoltavo i Daftpunk in radio, ho sempre trovato questo grande genere musicale affascinante, dico grande genere perché quando si apre la “scatola” della musica elettronica si apre un mondo!

E ciò che più mi emoziona di questo genere e come una persona sola al giorno d'oggi con l' aiuto di un pc possa esprimere completamente tutto ciò che ha in mente tutta la propria emozione tramutata in musica.

Ho creato il duo con Maryblue per trattare di argomenti di vita quotidiana.

A che musicisti ti ispiri?

Sicuramente per la mia musica elettronica mi ispiro a band come, Sunsonica, Moby, Daftpunk, Alcazar, Planetfunk, justice tengo d' occhio anche artisti più commerciali del momento come keiza, edsheeran,burak yeten, sia ecc.

Obsoleto è il singolo che sta girando in radio in questo periodo e che vede la partecipazione di Maryblue. Ce ne parli?

Premetto che quando scrivo le parore per il progetto con Maryblue non parlo mai di storie realmente accadute, ma prendo situazioni reali e le riporto il storie inventate. In questo caso Obsoleto parla di una coppia convivente che ha smesso di amarsi e che va avanti solo grazie alla routine, ho paragonato un amore finito ad un vecchio sistema operativo, che anche se non aggiornato funziona ugualmente come può.

Come è nata la collaborazione con Maryblue?

Era da un po di tepo che volevo creare un progetto di musica pop-dance ma l' idea di utilizzare solo la mia voce non mi entusismava molto, allora mi misi a cercare una cantante, siccome nel mio paese (Vergato) è pieno di ragazzi che suonano e hanno a che fare con la musica, mi sono messo a chiedere in giro se ci fosse una cantante disponibile, dopo vari mesi trovai mary che si rivelò subito entusiasta del progetto.

Quali difficoltà incontrano i musicisti al giorno d’oggi?

Ma guarda in primis, per chi ha una band o comunque un progetto live, che sia cover o brani inediti, la difficoltà rimane sempre quella di poter suonare in giro, per tante ragioni che ora non sto a spiegare, e di conseguenza c'è anche la difficoltà di trovare un pubblico. Ma comunque penso che se ci si circonda di persone oneste con lo stesso obbiettivo, si può fare strada senza tante difficoltà.

I prossimi progetti?

Beh sicuramente lavorare molto a tracce nuove e a crescere artisticamente, poi cercheremo di fare molta musica dal vivo.

Grazie e in bocca al lupo!

Grazie a voi, crepi!!!

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editoriale di sotomayor

Parliamo di cose serie. Di cose concrete.

Cioè, mi potrei chiaramente ora mettere qui a inventare e raccontare una bella storia, magari una storia d'amore (ma tutte le storie in fondo sono storie d'amore), e sicuramente trovereste la cosa più interessante.

Però no.

Questa volta voglio parlare di una cosa che ho 'scoperto' negli ultimi tempi e cui non sono ancora riuscito a dare una sua dimensione.

Conseguentemente scriverne e poi magari avere un feedback nel merito (che significa anche acquisire ulteriori informazioni) ritengo possa essere una cosa utile per me e per tutti quanti.

Nell'ultimo periodo per diverse ragioni ho passato molto tempo a casa. Non ho la televisione e comunque per diverse ragioni non mi sentivo attratto dai miei interessi soliti come la musica oppure il cinema oppure la letteratura.

Facciamo che non mi andava veramente di fare nulla, va bene?

Adesso succede che per la prima volta in vita mia comincio letteralmente a 'navigare' in uno dei posti sicuramente più affollati del web e in un mare che però per quanto vasto mi sono reso conto fosse a me assolutamente sconosciuto.

Ma che cazzo succede su quel social? Se c'è un posto in particolare sul web dove mi sono reso conto di essere completamente fuori tempo e davanti a qualche cosa che non riesco ancora a inquadrare nella sua giusta dimensione, a parte i soliti siti porno ovviamente (ma ne parleremo), questo è YouTube.

Insomma io l'ho sempre usato per ricercarmi video musicali, magari spezzoni di film, trailer... Un utilizzo da semplice consumatore: del resto lo avevo sempre inteso in questo modo. Tu ci carichi dei video che condividi con gli altri alla stessa maniera dei software tipo quelli per la condivisione della musica.

E invece no.

Invece ho scoperto che la vera natura di YouTube è qualche cosa di completamente diverso.

Ci sono persone che usano YouTube alla stessa maniera che dieci anni fa avremmo inteso un blog (venti anni fa il giornalino della scuola, quaranta anni fa le radio libere) e questo fenomeno ha creato una vera e propria community italiana che ovviamente si aggiunge, costituisce una costola di una più vasta community internazionale.

Adesso, questi 'youtuber' hanno praticamente le età più disparate e si occupano in generale veramente di tutti gli argomenti possibili. Questa mi viene subito da pensare che è una cosa buona: un utilizzo intelligente di un social come mezzo più che di informazione, concetto sempre molto più relativo oramai, invece di vero e proprio confronto.

Solo che poi ho capito subito che insomma chi lo usa lo fa principalmente per garantirsi una qualche forma di guadagno.

Ora non so come funzioni esattamente. Probabilmente hai la possibilità di creare un tuo canale 'ufficiale' e di sottoscrivere contratti di sponsoring che facciano variare i tuoi introiti a seconda delle visualizzazioni oppure degli iscritti al tuo canale.

Del resto puoi dedicarti tu stesso alla promozione di qualche prodotto all'interno dei tuoi video: adoperare il tuo canale per far pubblicità a abbigliamento e/o cosmetici (come fanno le fashion blogger) oppure - quella che mi sembra essere la realtà più diffusa - videogiochi.

La maggior parte degli youtuber appartenenti alle ultime categorie, i cui canali sono quelli che ho chiaramente dal mio punto di vista trovato per niente interessanti, sono giovanissimi e hanno una età variabile tra i 12-13 anni e i 25 massimo 30.

Traccio un profilo generale diciamo.

Sono chiaramente i canali che ho trovato e che trovo meno interessanti anche per questioni anagrafiche.

Va detto che ci sono comunque in ogni caso anche youtuber che propongono argomenti di discussione interessanti e in una maniera diversa dalla solita informazione e dove la comunicazione visiva è più efficace, più umana, che quella che è la comunicazione scritta e per questo anche più performante.

Ci sono persone che non parlano solo e sempre di calcio ma propongono temi di attualità oppure culturali e di interesse comune. E ci sono anche persone che lo usano per pubblicizzare i propri lavori: penso ad artisti nel campo della grafica visuale e del disegno e che si affiancano ovviamente a chi fa musica oppure è un videomaker più o meno amatoriale.

Il fatto che ci guadagnino per le visualizzazioni al loro canale diciamo che è qualche cosa che mi rende perplesso ma che è comprensibile se consideriamo le stesse logiche che valgono per gli ascolti musicali ad esempio su Spotify.

Naturalmente per quanto mi riguarda, se devo esprimere un mio parere ideale, questa cosa non coincide esattamente con la mia idea di comunità. Ma va bene. Ci può stare.

Dove non riesco a farmi un'idea precisa nel merito è quando gli youtuber sono dei giovani oppure giovanissimi e/o quando i loro contenuti siano rivolti a giovani e/o giovanissimi.

Non voglio fare il bacchettone e il moralista, ma mi pare evidente che ci troviamo a qualche cosa che ci costringe a misurarci con una nuova realtà che riguarda i nostri ragazzi e che ci pone davanti a quesiti di natura etica.

Questi youtuber trattano per la maggior parte tematiche che interessano i ragazzini, come videogiochi oppure abbigliamento e/o prodotti di bellezza, ma a un certo punto acquisita una certa popolarità (posso dire che ci sono youtuber che hanno migliaia e migliaia di iscritti ai loro canali) possono praticamente postare di tutto perché hanno creato un vero e proprio personaggio. Quello che diventa allo stesso tempo sia una guida che un vero e proprio modello di comportamento per tutti gli altri ragazzini.

Del resto, guardate, funziona esattamente come le seghe: diventi uno youtuber perché c'è qualcun altro che fa lo youtuber e allora tu capisci che puoi farlo.

Naturalmente su migliaia, milioni di youtuber, chi raggiunge la 'celebrità' è solo uno: pochi riescono a fare di questa attività un vero e proprio business. Creare indotti commerciali creati alla propria figura, diventare così popolari da essere invitati o organizzare essi stessi eventi.

La domanda finale è: questo è un modello sano di comunità?

È una domanda che ci dobbiamo fare per forza.

Ci hanno raccontato per anni la cazzata che la vera libertà di espressione era su internet.

Balle.

Su internet, se sei solo e se sei una minoranza continui a essere dopo comunque solo e parte di una minoranza, e poiché semplicemente i tempi sono cambiati, la maniera di veicolare determinati messaggi che non sono neppure subliminali, dato che avviene tutto alla luce del sole, è diventata più rapida ed efficace. Molto più illusoria che la televisione dove sapevi che non potevi accedere perché quel mondo era riservato solo a chi aveva veramente troppo talento oppure era 'raccomandato' e queste due cose, per quanto limitanti sul piano psicologico, costringevano a stare con i piedi per terra. A parte che ovviamente per fortuna c'è sempre stato anche chi di finire in televisione se ne sbatteva e se ne sbatte ancora oggi le palle.

Ma con questi social, e YouTube mi ha dato da questo punto di vista delle manifestazioni così evidenti come poco altro, non ci vuole niente a fotterti la testa e generare nell'ordine malesseri come frustrazione e/oppure ansia. Senza considerare quello che può riguardare quelli che ce l'hanno fatta.

Qui sarebbe più interessante avere un parere diretto da parte di chi ha un figlio. Cosa pensereste di vostro figlio sedicenne se questi guadagnasse soldi postando su YouTube dei video in cui gioca a un videogame (incassando immagino royalties da YouTube e pagato come sponsoring dalla stessa casa che ha prodotto il videogioco) per sponsorizzarlo a un pubblico di ragazzini che magari non hanno neppure dieci anni.

Posso pensare che c'è qualche cosa in tutto questo che è sbagliato o solo veramente a soli trentatré anni già così vecchio da non capire?

Sa non riuscire a comprendere qualche cosa che evidentemente costituisce la normalità.

Quello che penso tuttavia, voglio concludere con un messaggio e un pensiero positivo, è che se io non posso capire, al contrario chi abbia dieci-quindici anni meno di me, sappia molto meglio di me e esattamente di che cosa sto parlando. E nascono, sono nati bambini che subito hanno avuto a che fare con questa realtà come un dato di fatto.

Questo mi lascia pensare che in qualche maniera siano e/o saranno a tempo debito (senza il bisogno di dovere aspettare la maggiore età) vaccinati contro questo tipo di cose. Le considereranno semplicemente per quello che sono: pubblicità o comunque spazzatura.

Esattamente allo stesso modo con cui io posso avere considerato ad esempio 'Non è la Rai' quando ero bambino.

Naturalmente tutto sta nel seguirli. Il punto infatti non è internet, la televisione, la radio, i fumetti, il grammofono... ma sempre la formazione della individualità a possedere un senso critico che lo sappia porre in una posizione di vantaggio davanti a tutte le situazioni della vita.

C'è però un dato di fatto: l'esistenza concreta (per quanto virtuale) di nuove tipologie di comunità. Oggi come ieri è fondamentale che i nostri ragazzi riescano a prenderne parte in maniera attiva e magari proprio adoperando quel senso critico a cui mi riferivo poc'anzi. Questo in definitiva non può essere esclusivo ma costruire un mezzo, uno strumento, una specie di 'grimaldello' per entrare in queste comunità e riuscire a autodeterminarsi come individuo ma anche a stare in maniera proficua assieme agli altri. Se no è tutto inutile.

A quanto pare i tempi sono cambiati e cambieranno ancora ma non è mai tempo per i genitori di abdicare dalle loro responsabilità e dal loro ruolo di guida.

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editoriale di ColCorpoCapisco

Il mio primo editoriale ha anche un testo, ed ora scriverò delle cose a casaccio per vedere che effetto fa.

Il mio primo editoriale è stato previsto, niente di nuovo insomma.

Il mio primo editoriale ha anche un'immagine:

Le songe d'une clé de nuit | Man Ray

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editoriale di HOPELESS

“Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto... Il sorriso del barista si allargò ancora di più. La sua bruttezza era leggendaria. In un'epoca in cui la bellezza era alla portata di tutte le tasche, c'era qualcosa di nobiliare nel fatto che a lui mancasse." (William Gibson, NEUROMANTE 1984)

Non ricordo o non riesco a ricordare come sono finito qui. Sono ancora assonnato dal viaggio. Tutto di giorno, sole filtrato da una cappa @fosca. Entro in ascensori che portano in alto. Con me c'è qualcuno nella cabina, ma non so chi sia. Non ci parlo, non ci incrocio lo sguardo.
Gli ascensori sono scatole di metallo parallelepipedali che salgono, poi scendono. Sono male illuminati, sporchi e pieni di grasso. Inquieti e scuri. Nel passaggio da un ascensore ad un altro riesco a vedere la struttura immensa in cui si muovono. Una specie di aeroporto africano, sudicio, metallico e non organizzato. Caos primordiale e gente distratta in viaggio. In qualche modo questi ascensori portano su, ma non so dove. Verso il tetto, altissimo.

Prima di scendere, in modalità a me sconosciute, percepisco la voce ed il consiglio di @Flo, l'editor. Mi avverte che c'è stato un guasto precedente all'ascensore, per cui all'arrivo esso non sarà stabile, traballerà e non combacerà col bordo del tetto, dovrò fare attenzione a saltare bene e a non cadere di sotto.

Superato il tetto mi ritrovo tra gente che va e che viene su una piattaforma gigantesca in mezzo ad un mare. Di fianco a me c'è un mio amico melomane, comparso da poco. Come sempre si guarda intorno circospetto. Gli spiego come se sapessi dove mi trovo che una volta questa piattaforma, tanto immensa, ha ospitato sulla sua superficie una nave gigante, intera. Un Fitzcarraldo o una Costa Concordia differenti. Siamo in mezzo al mare e tutto intorno vedo solo acqua e mastodontiche navi merce in orizzonti lontanissimi. Sono disperso, ammutinato? Ad un tratto mi rigiro sulla mia destra. Appare, ora e qui, un paesaggio arido e desertico e nel frattempo mi si affiancano altri conoscenti che prima non so dove fossero. Mi restano dietro. Mi addentro sulla terra ferma e faccio qualche passo. Scopro una specie di cratere smisurato, in erba. Sul suo fondo giace, immacolato e perfetto, un campo di calcio vuoto in manto sintetico. Le gradinate, anch'esse di prato, salgono su fino al livello zero del suolo su cui ho i piedi. Rimango sorpreso e meravigliato. Torno indietro e chiamo i miei accompagnatori. Gli dico di venire a vedere questa strana meraviglia. Titubano, ma poi mi seguono. Restano a bocca aperta anche loro. Li invito a scendere giù con me per guardare il campo da vicino. Mi seguono ed ad un certo punto escono dei calciatori dagli spogliatoi. Sono disponibili e gentili. Gli chiedo chi gioca in quello stadio, mi rispondono che anche la squadra della mia città calca quei terreni. Mi volto dall'amico melomane anche pallonaro, gli chiedo se è vero, che lui sappia. Mi dice di non averne avuta mai notizia. Risalgo in superficie.

Sono di nuovo solo. Mi rigiro il posto che adesso è fornito di un entroterra che prima non c'era. Entro nei suoi vicoli fumosi, vaporosi e lerci. Ci sono diversi supermercati, sweat shop e bar. Niente musica nell'aria colma di veleno. Solo rumori di fondo sfocati in lontananza che la mia distanza rende ovattati. Scorgo ragazzi stesi in vestaglia che prendono il sole. Mi siedo di fianco a loro per carpire qualche informazione, ma sembrano tutti molto restii a farmi partecipe di certi segreti. L'unico nome che riconosco è @nes, in vestaglia verde, steso sulla sdraio. Taglio anni 90 castano chiaro, occhialini tondi, barba rasa. Non parla, qualcuno mi sussura che è lui. Si alza senza guardare nessuno e si dirige verso il supermarket. Riesco ad intravedere un grosso tatuaggio sulla sua schiena. Nes è indubbiamente bello e penso che da poco ha compiuto gli anni, come me, sullo stesso asse. Qui, in questo luogo e in questo tempo sembra molto più bello di me.

Gli astanti rimasti con me sul Solarium mi chiedono chi sia io. Diffidente gli do un altro nick e cominciano a guardarmi con sospetto, gli confesso allora di essere @HOPELESS, ma non hanno intenzione di credermi o fidarsi. Allora gli mostro i miei dati di accesso sul sito dal telefono cellulare e loro con sorrisi enigmatici mi fanno segno di aver accertato. Facce che mi sembra di riconoscere, gente con capelli rasati in camicie hawaiane e occhiali da sole coi lacci che li assicurano ai loro colli. Gli chiedo dove siamo e come si fa a raggiungere quel luogo... Sono vaghi ma mi dicono che da Caserta si può prendere un traghetto che giunge a Roma e da lì entro sei ore potrei essere sul posto. Riprendo il cammino.

Passando tra i vicoli stretti della città espansa concentrata ad un certo punto mi arrampico su una rampa di scale di una palazzina in degrado e mi trovo in uno stanzone adibito, mi sembra, a museo, non so di cosa. Oggetti sparsi su un unico bancone, il resto è uno spazio vuoto malmesso e malodoroso. Una specie di teatrino bombardato come quello della prigione di Manhattan di Snake Plissken. Gli oggetti non so cosa siano. Adagiati su piccole basi di legno improvvisate munite di calamite che li trattengono in maniera incerta a sé. Senza forme precise, sembrano più schegge frammentate di vecchia robaglia che cose finite. Guardo queste reliquie e cerco di scegliere per tinta e forma quale dovrò prelevare, forse rubandola, per portarla con me come testimonianza di questo passaggio nel mondo reale, perchè questo inusuale è così surreale. Ma sarà questo poi uno dei possibili mondi? Il mondo reale? Ad un certo punto sull'estremità destra del bancone vedo un cellulare, uno di quei vecchi modelli che servivano solo a telefonare e mai e poi mai per farsi barba o caffè. Lo impugno e lo scruto un po', ma ci passerò dopo, adesso ritorno sulla scelta del testimone che vorrò portare con me. Ma appena mi giro un cigolio di una porta mi fredda il sangue. La porta è sulla stessa estremità del bancone di cui parlavo, non l'avevo notata. Una luce rotta si accende ad intermittenza, avvisto una scimmia grigia che preleva il cellulare, lo custodisce e se ne va lasciando che quella porta si richiuda in se stessa. Tutto molto rapido, ma tempo sufficiente per ricordarsi bene. Adesso sono spaventato e guadagno più velocemente che posso l'uscita, la testimonianza del passaggio la lascio li dov'è senza scegliere.

Sono di nuovo in strada, tra i vicoli color pastello-catrame-sbiadito che batte su gialli sgranati e rossi usurati dal tempo e strade quasi sterrate con rimasugli di asfalto. Ho la sensazione di stare percorrendo la Tangeri del "Pasto Nudo", affascinante, esotica, stonata, malata, sensuale e decadente.
"Cucina Trascendentale, Città di Interzona: Sulla città aleggiano odori di cucina di tutti i paesi, Yage, odore di giungla e d'acque salmastre, di fiumi putrescenti, di escrementi secchi, di sudore e genitali". (W.S. Burroughs, PASTO NUDO 1959).
Ma la paura dell'episodio di poco prima ce l'ho ancora addosso e sottopelle. Qualcuno in lontananza, da un portoncino, sembra aizzare due scimmie adolescenti grigie e malefiche anch'esse contro di me. Queste cominciano a correre in mia direzione ed io, sorpreso da un qualche orrore, mi sollecito a fuggire intimorito. Alla svolta del vicolo mi raggiungono, sono più veloci. Mi affiancano. Terrorizzato.. Mi superano. Vanno per la loro strada non curandosi minimamente di me. Provo sollievo e rallento.

Ora risalgo a piedi sul tetto della piattaforma. Guadagno un interno giorno.
Dentro, bar per niente sporchi, ma anzi moderni e ben sistemati ed arredati. Un po' kitsch. Scopro un mio amico che mangia tranquillo in un locale. Lo avvicino e per un momento i nervi mi si acquietano. Mangia sereno, evidentemente alterato dolcemente dall'area. Pacifico come un Oceano in certi giorni dell'anno, nel frattempo segue qualche evento sulla tv a muro del locale. Lo lascio lì, continuo il movimento e passo avanti. Adesso sono fuori sul piano più alto della piattaforma. Vedo una specie di bacheca improvvisata su un muro imbastito male. Il muro è bianco. Tutti leggono ma non c'è nulla da leggere. Il muro è bianco e cemento. Mi avvicino e sento qualcuno bisbigliare che quello è il modo di @G per tenere tutto sotto controllo. Erro e stamattina era il 1894. Io non capisco e cerco di proseguire, ma una ragazza mi ferma e si presenta. Ha un berretto estivo, bikini, jeans tagliati a gamba, infradito, Ray Ban Aviator a specchio. Mi sorride, ha poco seno e sembra felice, mi dice di essere @Pin Pin (deadlink_neverborn) ed ha le sembianze di @LauraCamp (con la quale non ho scambiato la minima parola sul sito). Le dico che non sapevo che Pin Pin fosse una ragazza. Lei mi pare infastidita e se ne va.

Allora io noto una specie di banco centrale con sopra un sacco di opuscoli, buste, riviste e cose varie. Mi avvicino. Quello che c'è sul piano stracolmo è materiale informativo del sito, adesivi promozionali e gadget vari. I ragazzi che gironzolano mi porgono diverse riviste da sfogliare e mi spiegano come vanno le cose da quelle parti, come debbo utilizzare tale materiale informativo. Tra le varie cose sul piano noto confezioni rettangolari di plastica trasparente con fondo nero, divise in due sezioni. All'interno grossi chicchi gialli all'esterno e bianchi all'interno. Non so cosa siano. Una ragazza mi spiega che è zenzero (zero:zen) e che va usato con cautela, soprattutto quando ci si fa il bagno in vasca, perchè le bolle che rilasciano sono miliardi e spumeggianti. Accetto il consiglio e vedo i ragazzi intorno a me cordiali e amichevoli, adesso. Riappare un amico melomane circospetto al mio fianco, gli dico che è un bel posto e che ci dobbiamo ritornare, ma come si fa a ritornarci? Mi riprometto di farlo... Ma ritornare dove? Mi allontano. Adesso inspiegabilmente sono sulla riva ingiallita e verdognola di una spiaggia visibilmente deturpata e probabilmente radioattiva. Le onde che arrivano a riva sono basse pochi centimetri, meno di otto-dieci. Il terreno che sottostà mi ricorda quello desertico che mi si era parato davanti prima all'improvviso. Sono scalzo. Comincio a rendermi conto che dev'essere un sogno lucido bianco, ma non cerco di guidarlo, cerco soltanto di restarci dentro. Voglio restare ma non ci riesco.

Ore 00:15 di un Martedì, 31 Maggio 2016. Mi risveglio dal sonno e mi ridesto dal sogno.
Nel dormiveglia cerco di ritornare su quella specie d'isola, ma evidentemente adesso l'ingresso mi è interdetto. Svanisce e sfuma chiudendosi in una nuvola che si risacca inversa contro l'interno delle palpebre. Di fianco a me dorme la mia ragazza e quasi provo alleggerimento e felicità per essere tornato nel mondo reale. Ma quale realtà? Ma quale reale?
Chissà se quella città proibita, micromondo potenzialmente ciclopico e mostruoso, spiegherà mai più le sue porte. Chissà se potrò mai ritornarci e ritradurmici.
Onironautica. Argonauti del Pacifico Occidentale. Le sequenze e le frequenze. La lingua Quechua. Ghost Writers e il romanticismo disperato e neuromantico di Blade Runner. A Scanner Darkly è un oscuro scrutare. Zoroastro e zero astri. Nessuna umana pietà. Bronislaw. Sud-Ovest. Arizona. Circumnavigazione.
Temo che non avrò mai più i permessi e la possibilità di accesso. Ho visto questo. Poi non ho visto più niente. Sveglio adesso. Transumanza. Penso ad una Hollywood in Memoriam.

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[Zsuta: La notte che bruciammo (google) Chrome aka l'editoriale che fece crashare gli editoriali]

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editoriale di lector

Se c’è una cosa di cui è ancora lecito stupirsi è che in certe giornate, ubriache di sole primaverile, tutto può diventare bello: anche le erbacce che spuntano tra i marciapiedi come peli dal naso o dalle orecchie, anche le carrozzerie brilluccicanti delle macchine parcheggiate e persino questo orribile casermone che si erge per cinque piani qui a vicolo Scassacocchi, tra i rifiuti lasciati ad essiccare ed il piscio dei cani.
Una luce violenta e vitale penetra e stravolge gli anfratti, trasfigura le sagome e le cose e, i muri, denudati dal sole, si mostrano impudicamente all’occhio con gioiosa vitalità.

Allora diventa plausibile che persino questo lurido appartamentino, ricavato in un angolo del secondo piano, a qualcuno possa sembrare una casa dove poter vivere e che stranieri o studenti siano qui fuori a far la fila per entrare - come dice il padrone di casa - e che ci sia addirittura un cinese che ci vuol portare tutta la famiglia, moglie, figli e suoceri a carico, e che pagherebbe ben più di quel paio di centinaia di euro che, oltretutto, Ernesto non paga già da qualche mese.

Brutto vizio, quando si è lavoratori precari, il voler continuare a vivere, mangiare almeno una volta al giorno, vestirsi e voler avere finanche un tetto sulla testa. Anche quando il proprio contratto atipico è ormai scaduto già da un po’ e non si è neppure poi così giovani.
Eppure, forse rapito dal colore di quella luce straniante che, invadendo la stanza dall’unica finestra, illumina tutto quel luogo fino a poco prima così grigio, portando con sé un odore di fresco e di pulito, Ernesto si sente invaso da una strana calma.

Non si può odiare in una giornata così splendida di primavera.
Non si può continuare a piagnucolare quando la vita esplode tutt’intorno.

Perciò Ernesto prende una decisione: diventerà un supereroe.

A tutti piacciono i supereroi, anche a Ernesto piacciono i supereroi. Soprattutto gli piacciono i cattivi, perché li riconosci, lo vedi che sono cattivi: si vestono da cattivi, parlano da cattivi.

Beato il mondo che non ha bisogno di eroi, ma questo mondo fa schifo, fa così schifo che altro che eroi: ci vogliono i super eroi!

Quando hanno cominciato a piacerci così tanto i supereroi?
Semplice: quando hanno smesso di piacerci le idee.

Anche io quando ero giovane amavo le idee: erano belle, erano rotonde, erano lucenti le idee! Ed era cosi facile distinguere le idee buone da quelle cattive.
Le idee cattive si vestivano da cattive, parlavano da cattive, si capiva subito che erano cattive.

Poi le cose hanno cominciato a diventare complicate: belle idee producevano figli cattivi e altri figli cattivi facevano cose buone che poi diventavano cattive e dai semi di rose nascevano solo spine.

I supereroi non lo vogliono cambiare il mondo, sono le idee che si sono messe in testa di cambiarlo.
I supereroi – biff, pùm, spack. tong – picchiano i cattivi e, poi , tutto rimane come prima in attesa che arrivi un altro cattivo e, alla fine, è meglio così.

La verità è che un mondo migliore non fa per me: io finirei subito in galera in un Mondo Migliore.

Un tempo le idee erano un lusso che potevano permettersi solo i giovani, adesso sono un passatempo ozioso per i vecchi.

Ma a Ernesto tutto questo non interessa, lui pensa: “perché no? perché io no?”
Basta con le recriminazioni, l’odio, l’autocommiserazione, tutto questo non serve, tanto le cose non cambiano, bisogna offrirsi al mondo, agire, combattere il male, difendere e salvare la Vita.
Sì anche quella di quello stronzo del padrone di casa o di quelle ragazze così belle, i cui sguardi ti attraversano come se tu non fossi niente e che si chiederanno chi sia quell’eroe che le ha salvate e sogneranno di baciarlo, senza sospettare che dietro quella maschera ci sia quel tizio, strano e taciturno, che vive in una stanzetta di quell’orribile casermone a vicolo Scassacocchi.

Così, mentre strappa, ritaglia e cuce pezzi di vecchi abiti malmessi cercando di farsi un costume, a Ernesto - dopo tanto tempo - gli viene pure voglia di cantare.

Adesso che è pronto, così intabarrato, Ernesto si sente finalmente un altro.

Ora si tratta di arrivare in cima al tetto senza essere visto: sarebbe imperdonabile farsi scoprire proprio la prima volta.
Poi Ernesto sorride di sé: già da tempo sa di essere invisibile.
Così si inerpica con ostentata tranquillità su per le scale e gli androni di quel palazzone che tra sottoscala e superfetazioni è quasi un mostruoso formicaio, monumento all’abuso edilizio. Nessuno lo vede, tranne Aniello, il bambino del quarto piano che gioca, come sempre, sul pianerottolo dove la madre, che lavora di notte, lo deposita ogni mattina per poter dormire un po’.
Aniello lo guarda con uno strano sorriso, poi torna a giocare.

Ora è sul tetto, può vedere i barbaglii delle onde di quello spicchio di mare che si riesce a sbirciare al di là di tutte quelle case che si mangiano l’orizzonte.

Che giornata splendida!

Per un attimo i rumori si acquietano e si riesce a percepire il suono di una brezza leggera e sentire l’odore lontano di un qualcosa che non c’è più. Una consapevolezza gli trafigge il cervello: la bellezza avrebbe potuto salvarci.

Ma è un attimo.

Adesso è tardi, c’è altro da fare.

Ernesto si calca la maschera sul viso, flette i muscoli, prende un profondo respiro e si lancia nel vuoto.

Libero.

Finalmente libero.


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editoriale di odradek

Sto dalla parte dei vecchi, specie se acidi e rompicoglioni, che si lamentano e imprecano per le scritte sui muri.

Hanno finito da poco di riverniciare e il muro sembra nuovo di zecca, spicca come un segno di speranza tra la rassegnazione smoggata dei palazzi intorno, come una sfida all'inesorabile, o anche come un patetico maquillage su un volto attraversato dai segni implacabili del tempo, fate voi.
La luminosità di quella superficie intonsa non durerà, sarà presto sfregiata da mani rapaci, da giovani col sardonico ghigno di chi deflora un corpo inanimato, per poi vantarsene con i propri simili.

Sto dalla parte dei vecchi, acidi rompicoglioni (che con buona probabilità voi detestate, come tutti, suppongo) per ragioni diverse dalle loro. Non è mio il muro, non mi stupisce il vandalismo, non nutrivo grandi speranza intorno alla riconquistata verginità di quella superficie.
E' la sciatta e arrogante imposizione di sé che mi disturba e mi disgusta. Caratteri più o meno originali, sigle e sgorbi che intendono manifestare la presenza di un "writer", marcare un territorio, sfoggiare uno "stile", testimoniare ad un mondo insensibile l'"urgenza" di "comunicare" sa il cazzo cosa.

E non parliamo di quei gaglioffi che si affannano a rilasciare patenti di artisticità, paraculi nefasti, assessori alla cultura o critici prezzolati senza spina dorsale.
Non è solo questione di gusto (la stragrande maggioranza degli sgorbi ne è assolutamente priva, quel che resta il più delle volte è ripetitivo) anche se un po' di gusto non potrebbe guastare oltre. E' proprio la convinzione che quella superficie sia lì per te, per la tua insopprimibile bramosia di "dire".
Convinzione che ne presume un'altra, cioè che tu abbia qualcosa da dire.
E un'altra ancora, che tutto il mondo non veda l'ora di conoscerla, questa cosa che credi di dire con le tue bombolettine.

Ma non è un problema loro, non è altro che retorica da vecchi, questo affannarsi sul senso delle cose e il rispetto di quelle comuni o altrui. Lo danno per scontato, i writers: sono artisti, sono giovani, liberi e coraggiosi, il mio sguardo infastidito è quello di un annicchilito urbano che dovrebbe essere grato di tanta grazia ricevuta.
Ma vadano affanculo, brufolosi egocentici arroganti.

Epperò...

Qualche volta ne vedo alcune, di scritte, defilate, anonime, inattese e folgoranti e sono grato alla mano sconosciuta che le ha tracciate.
Non stanno sfoggiando un presunto stile, non appartengono al vasto mondo paraistituzionalizzato delle opere d'arte urbana: son solo "le scritte sui muri" roba dell'altro secolo e di quello prima.

Quella della foto è su un muretto non distante dal posto dove lavoro, le passo spesso vicino andandoci, al lavoro.
Non so se l'autore si rivolgesse a qualcuno in particolare, magari residente di fronte, costretto ogni giorno a riflettere sulla propria condizione, o se invece abbia voluto ricordare, a noi, passanti distratti, qualcosa che tediamo a obliare.

Un paio di giorni dopo che l'ho fotografata qualcuno ha tappezzato il muretto con piccole locandine accostate l'una all'altra sino ad occultarla completamente.
Mi ha fatto sorridere osservare la piccola teoria di locandine, e mi ha fatto piacere constatare che la vista della scritta si sia dimostrata insopportabile.

E' insopportabile alla vista perché è insopportabile alla coscienza.
Sprigiona la semplice potenza di un memento mori, ma nel suo rovescio: sinché non sarà il momento ti tocca vivere, è tuo onere e onore, e dovresti farlo al meglio. In fondo di un "memento vivere" si tratta.

Ed è una sintesi che non consente rifugio nella distrazione, nel "far finta di niente".
Poteva chiudersi perfettamente con "...merda", ma quel "... e tu lo sai", implacabile, ti investe di un'autorità, nei tuoi stessi confronti, che non ti consente scampo.
Certo, è drastica e definitiva, un po' troppo assertiva, forse, non tiene conto delle sfumature...

Non so voi, che suppongo per lo più giovani e "in progress", sufficientemente soddisfatti delle vostre esistenze o comunque intenti a indirizzarle verso l'orizzonte dei vostri desideri, che non avete ragione di leggervi quanto vi leggo io.
Ma io lo ringrazio, quello scrittore sui muri (writer ci sarà tua sorella) che, con la sua spietata sintesi, mi obbliga a ricordare lo squisito che è in me, e il dovere di riportarlo alla luce.

Vi amo, tutti voi che siete in questo bar.



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editoriale di Hank Monk

“Credo di avere terminato l'età della post adolescenza lunga, sai? È un po' che affronto la vita con così tanta gioia che ho quasi il terrore del tempo che scorre”.
Si aggiusta il ciuffo spettinato, e con fare solenne riabbottona la camicetta.

La ragazza continua ad abbracciarsi le ginocchia, accarezzata dalla brezza tiepida. Assorta nello scrutare l'orizzonte bagnato dal mare chiede:

“Che bisogno c'era di tuffarsi? È l'una del mattino!”
“Senti, non so cosa mi è preso... mi sento una frenesia nelle vene! Sono felice di essere al mondo, ecco.”

Ancora mezzo bagnato Holden si siede di fianco alla ragazza. Le scocca un bacio sulla guancia, e la abbraccia. Appoggia la testa sulla sua spalla:

“Non condividi il mio entusiasmo? Mi sembra di avere bevuto; di essere ubriaco!”
“Dai, non starmi addosso... sei ancora bagnato. E se poi prendo un raffreddore?”
“Ci saranno almeno 30 gradi, amore! Non cominciare a fissarti!” le dice mentre le aggiusta una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

La ragazza accenna un sorriso. Si volta un attimo e continua a fissare quel lieve movimento di luce che riflette tra cielo e mare.

“Non mi è piaciuto tanto lo spettacolo. Un po' macabro, non trovi?”

Sul lungo mare avevano improvvisato una commedia drammatica. Terminava con un monologo in cui il protagonista tenendo in mano il suo cuore, tentava di essere divertente.

“Persy... era patetico. Non macabro! Ma sai una cosa? Mentre lo guardavo pensavo... quell'idiota non ha in mano un cuore! Ha in mano un pezzo di gomma che sembra un cuore.”
“Hai detto sembra, in corsivo?” ride Persy.
“Sì ho detto sembra! In corsivo” e le si avvicina al viso fino a sfiorarle il naso. Con aria trionfale e leggermente ebete continua, calcando ancora di più il corsivo:

“Sembrava! Ma dimmi un po': ti pare che abbiamo bisogno di qualcosa che sembra un cuore? O forse che un cuore, uno vero dico, non ce lo abbiamo già in petto? Batte come un martello!”
Persy ghigna nella penombra: “Siediti, dai. Che poi ti agiti troppo!”
“Ma che agito! Sono felice! Inebriato! Ti amo!”
“Davvero?” Lo guarda tra divertita e stupita.
“Ma sì lo sai...per una volta che non mi lamento!”
“Ti lamenti sempre!”
“Non oggi! Non adesso! Sono qui ed ora. Cavolo Persy...baciami dai!”

La sabbia sembrava un tappeto: soffice, compatta, calda. Pareva un abbraccio. Un rifugio. Ancora mezzo intorpidito Holden si stiracchia lasciando l'impronta sulla sabbia. Lo sciabordio del mare ritmava il tempo del risveglio. Ancora con gli occhi chiusi cerca il fianco di Persy; lo abbraccia e le si fa vicino.

Una corsa veloce, leggera, gli fa aprire gli occhi di colpo. Alla prima corsetta si uniscono altri passettini: leggeri leggeri. Una moltitudine ormai. Un coro cristallino, un mormorio, un singhiozzo flebile e acuto si pronuncia: “In piedi forza!” Un profilo esile, non più alto di un metro si oscura in controluce: “Cosa fate qui?” Persy con un sussulto si rizza a sedere e stropicciandosi ancora gli occhi: “Bambini, per favore...”

“No, hanno ragione. Forza! Siamo già invecchiati abbastanza su questa spiaggia avanti!”

Persy si alza e prende per mano Holden.



Immagine di copertina: "Night swimming" by Jesse Glenn


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editoriale di Danny The Kid

Mi propongo in questa inedita veste di editorialista un po' per scommessa e un po' per capriccio: qui troverete un po' di testa ma anche tanta pancia, spero che questi elementi riescano a combinarsi nel miglior modo possibile, e starà a voi giudicare. Partiamo dal piccolo per arrivare poi al "grande": una delle mie passioni è sicuramente il motorsport, sia a 2 che a 4 ruote, e la domenica appena trascorsa (3 aprile 2016) è stata uno dei rari "all-in" in cui si sovrappongono Mondiale Superbike, Formula 1 e Motomondiale. E ciò mi ha, mio malgrado, esposto ad una dose massiccia di giornalismo televisivo da bassissima macelleria, su cui appunto vorrei spendere qualche parola.

Nel mondiale delle derivate di serie il campione del mondo in carica Jonathan Rea colleziona un secondo e un terzo posto , lamenta evidenti problemi di messa a punto della moto, ma riesce comunque a collezionare punti preziosissimi per il suo campionato, di cui è tuttora saldamente in testa nonchè favorito per la riconferma; ovviamente, come tutti i vincenti che si rispettino, non è assolutamente contento di tale risultato e non fà nulla per nasconderlo. Per gli "illuminati" cantastorie di Mediaset ovviamente il campione soffre la classica "pressione psicologica" per aver, a detta loro, perso il confronto con il compagno di box Tom Sykes (un secondo e un terzo posto per entrambi, quindi "battaglia" terminata in assoluta parità). Cercare di creare "casi" basati sul nulla assoluto per aumentare l'appetiblità mediatica di un prodotto (la SBK) che non ne avrebbe assolutamente bisogno; al mediocre conclamato (ma italiano) Davide Giugliano, lui sì "distrutto" non solo nel confronto con il compagno di team Chaz Davies ma anche di un buon mestierante con moto privata come Xavi Forès invece vengono trovate giustificazioni di ogni genere. "Eh, ma negli ultimi giri era veloce quasi come i primi...". Vogliamo poi parlare dell'immonda presenza di DJ Ringo di Virgin Radio a bordopista con le sue gustosissime annotazioni tecniche? Facciamolo pure, ma solo una riga scarsa, di più non merita.

Dalla padella alla brace, ecco a voi Sky(fo) e il Motomondiale (si, sono uno dei pochi romantici che ancora usa questa denominazione tradizionale invece dell'ormai più comune "la motogippì"). Alla corte di Murdoch il livello di "cantastorie" e "pignonisti" era già oscenamente basso l'anno scorso, e con gli arcinoti fatti di Sepang e Valencia si sono raggiunti picchi di faziosità e mistificazione della realtà a dir poco rivoltanti, e il trend continua imperterrito, tra marchette e totale mancanza di una minima parvenza di dignità. Moto3: alla caduta all'ultimo giro del pilota malese Adam Norrodin (fino a quel moneto meritatamente terzo) il giullare di turno (Mauro Sanchini) cela a stento una malcelata esultanza per il possibile podio di Andrea Locatelli, altro mediocre prodotto del mostro vivaio. "I nostri itagliani, i nostri itagliani, i nostri itagliani..." un refrain ripetuto in ogni occasione possibile, fino alla nausea, ovviamente sempre per compiacere un determinato tipo di pubblico. Ci sono italiani più "nostri" e altri un po' meno "nostri", quelli con la moto blu e nera con il logo sky(fo) in bella evidenza sono ovviamente più nostri, poco importa se trattasi di tamarretti iperpompati ben oltre l'effettivo valore, ad immagine e somiglianza di chi il gestisce, ma con meno di un decimo del talento.

La MotoGP sembra proprio non poter andare avanti senza psicodrammi, e gli psicodrammi sono la "merda" per eccellenza su cui si posano le "mosche": questa volta sotto le luci delle ribalta è finito Andrea Iannone che, con una manovra da PlayStation, stende all'ultima curva il compagno di squadra Andrea Dovizioso, dimostrando, per l'ennesima volta, la stessa sagacia e intelligenza tattica di un calamaro di Humboldt. Eppure è tutto un florilegio di giustificazioni, di "si, ma...", è colpa di Stoner collaudatore che mette pressione, è colpa di Lorenzo che arriverà (forse, speriamo) l'anno prossimo; dal canto suo Dovizioso riesce ad arrivare al traguardo spingendo la sua moto fino alla linea d'arrivo, prendendo comuque qualche punto iridato. Giusto ricordare che, con gli ipotetici venti punti del secondo posto, sarebbe stato ad una sola lunghezza di distanza dall'attuale leader Marc Marquez. "Si, ha spinto la moto, come a molti di noi (eeehhh!?) è capitato in autostrada", Meda dixit. Chi segue le corse in maniera un po' più approfondita saprà sicuramente che il Dovi, non un campione ma professionista serissimo e affidabile, ha poco appeal mediatico e non ha mai fatto parte dalla cerchia dei sodali del pilota senza cognome, a differenza del compagno di box.

Ora veniamo al punto: il punto è che viviamo in una società in cui la televendita è uno dei pilastri fondanti e il potere dei mass-media deve, necessariamente, essere drasticamente ridimensionato. Come? Non ne ho idea, ma và fatto, in qualche modo: ho portato l'esempio di una "sciocchezza", come viene commentato un certo tipo di sport: slogan, personaggi, doppiopesismi vari, e soprattutto un pubblico visto come una semplice massa acritica da plasmare. Da Guido Meda fino al presidente del consiglio la strategia è sempre quella, basta cambiare nomi e situazioni, e lor signori sappiano che c'è anche chi una mentalità indipendente è riuscito a conservarla. L'allarme terrorismo, l'allarme migranti, la paura di Donald Trump, scandali che non lasciano mai un segno vero che sia uno, psicosi assortite, quando c'è il delitto di turno mettiamoci dentro pure quello: ragazzi, io non ci sto, io boicotto. Ho detto cose trite e ritrite, pure un po' "populiste"? Sicuramente, uno più uno meno, tanto... ho detto sciocchezze? Forse, ma io non conto niente e non influenzo nessuno, nessuno mi ha pagato per dirle, di altri non si può dire lo stesso.


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editoriale di Anonimo

Alzarsi la mattina già stanco per non aver chiuso occhio.

Iniziare il nuovo giorno con la consapevolezza di dover ancora una volta affrontare i tuoi demoni interiori.

Aver paura di fare qualsiasi cosa, anche la più semplice.

Lottare, cercare di resistere, sapendo già di aver poche speranze di "vittoria".

Panico, paura, stati d'ansia che mi perseguitano da anni e che ciclicamente riaffiorano, facendomi malissimo;

Sei solo, ad un centimetro dal baratro e stai cercando di non fare un altro passo fatale.

Devi per forza, e per fortuna, trovare l'appoggio ed il sostegno degli affetti più cari: la mia compagna e mia figlia che SEMPRE mi aiuteranno.

Sto tremando e faccio fatica a proseguire.

Un senso di vuoto che ti distrugge.

Dovrò ricominciare con gli odiati psicofarmaci ma non ho scelta.

Tornerò a frequentare lo studio della mia cara ed amica psicologa.

Lacrime, lacrime...tante ancora una volta.

La mia Musica mi offrirà un altro fondamentale aiuto.

Ho finito.


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editoriale di Ancora D'Oro

Celeste, la conobbi all’Università.

Un bel viso, contornato da capelli a spaghetto, neri come la pece, su un corpicino esile e dai fianchi stretti. Ci laureammo nella stessa sessione e spesso, prima degli esami, provavamo ad interrogarci dopo le ore passate sui libri e a chiacchierare dei piccoli e dei grandi sistemi.
Imparammo a conoscerci grazie alla sincerità di entrambi e compresi quanto basta del suo carattere per farmi l’idea che fosse, già allora, una ragazza dalla mentalità molto aperta e disponibile.

Dopo la laurea, lei si trasferì nel viterbese a lavorare con il padre separato e io me ne restai in Veneto.
Da allora non la vidi più e dopo qualche cartolina, qualche lettera e qualche telefonata, finimmo anche per perdere le tracce l’uno dell’altra.

Sapevo che nel periodo natalizio solitamente tornava dalla madre, ma per un motivo o per un altro non riuscimmo più ad incontrarci.
Quasi mi dimenticai di lei.

La scorsa notte di capodanno, c’era una festicciola nella piazza del nostro paese, un po’ riluttante mi recai a fare due salti e il brindisi con un paio di vecchi amici. A pochi passi da me, seduta sul bordo di un muretto, vidi una signora con capelli a spaghetto, neri come la pece. Immediatamente pensai a Celeste.
Poteva esserlo e poteva non esserlo, la osservai per qualche minuto. Aveva attorno a sé diversi ragazzi e ragazze, che la coinvolgevano in maniera molto allegra e ridanciana. Due di questi ragazzi erano chiaramente omosessuali e amoreggiavano, baciandosi e strofinandosi, in modo piuttosto esibizionista e volgare.
Celeste li guardava e quando loro la guardavano sorrideva. Solo il tempo di far sciogliere il sorriso e il viso diveniva cupo e pensieroso, quasi mesto. Poi un altro sguardo e poi un altro sorriso. Un breve lampo e di lei si impadroniva ancora un velo di tristezza, che appariva profonda e indelebile.

Poi mi vide.
Urlando mi corse incontro, mi abbracciò e mi baciò sulle labbra con un trasporto che mi parve persino anomalo. Ne erano passati di anni, più di venti. Brevemente mi raccontò della sua tribolata vita, di guai legali lunghi, ma risolti, di una vita sentimentale sostanzialmente inesistente e di avere avuto tre figli da tre padri diversi.
Li chiamò e me li presentò, così realizzai che il maschio, il più grande dei tre, era proprio uno dei due omosessuali visti prima.

“È triste”, mi disse “ma, da mamma, per quanto di mentalità aperta e di larghe vedute, messa di fronte al problema reale, già da oltre un anno, so che non arriverò mai ad accettare completamente e nel profondo il fatto. Ci sarà sempre qualcosa che mi farà fare buon viso a cattivo gioco e non potrò più essere me stessa nei confronti di mio figlio.”

Poi i ragazzi la trascinarono nelle danze, si allontanò gridandomi: “Sono da mia mamma, chiamami.”


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editoriale di SydBarrett96

“Terra mia, comm'è bello a la penzà'. Terra mia, comm'è bello a la guardà.”

L’urlo liberatorio di un uomo che vaga, erra, cerca incessantemente qualcosa che è nascosto dentro di sé. Urla, evoca ardentemente ciò che lo circonda. Non fa rumore però, lo dice sommessamente, in modo pacato, quasi sussurra quattro parole su due accordi di chitarra arpeggiati.

“Terra mia, tu si' chiena 'e libbertà. Terra mia, i' mò sento 'a libbertà.”

Anni settanta. Un giovane ragazzo con la mania per il Rock americano e la canzone melodica partenopea gira per le viuzze della sua città.
Ma non si tratta di una città qualunque: stiamo parlando di Napoli. Una metropoli particolare, affollata, variopinta, ricca di mille colori, colma di etnie, culture e religioni diverse.
Azzarderei l’aggettivo “fumosa”.

Il ragazzo, dai lunghi capelli ricci, gira con in mano una vecchia chitarra acustica, di quelle “vecchio modello”.
A prima impressione ci sembrerebbe un ragazzo come tanti, ma all’apparenza notiamo un qualcosa di diverso dagli altri. Nei suoi occhi c’è la voglia di fare, la determinazione; i suoi polmoni sono pieni di profumo di mare, perché chi tene 'o mare 'o ssaje, nun tene niente; il suo cuore è innamorato della musica, quella che senti alle radio o sugli antichi ellepì, quella che fuoriesce da ogni finestra, da ogni portone, quella che evapora dai meandri più nascosti delle stradine di periferia (la musica musica, è tutto quel che ho si sarebbe detto). Il ragazzo ha piena consapevolezza che un giorno diventerà qualcuno.

Ecco Pino, mi piacerebbe pensare che fosse andata veramente così. Mi sembra ancora di vederti, insieme a James, Tony ed agli altri, nel pieno degli anni ottanta ad aprire il concerto di Bob Marley a San Siro, oppure in Svizzera dove ti immortalasti con un Live favoloso che è rimasto negli annali. Dico “vederti” in senso metaforico ma significativo, perché quelli della mia generazione non hanno avuto il privilegio di assistere alle tue performance dal vivo quando eri nel pieno dei tuoi anni. Ma utilizzo il presente perché per quelli come noi (e mi sia lasciato passare anche il riferimento allo splendido pezzo di Claudio Lolli), innamorati della Napoli Vera, non quella pizza e mandolino che tutti conoscono, ma quella Autentica, quella dei vagiti progressive-psichedelici del giovanissimo Alan Sorrenti, del Rock n’ Roll politicizzato ed incazzato di Eduardo Bennato, di “Palepoli” degli Osanna e di “Ys” del Balletto di Bronzo, dei mitici Napoli Centrale del tuo grandissimo amico James Senese, per noi sei stato e continui ad essere un tassello fondamentale, uno vero fino in fondo, insomma. Il primo ad esportare il dialetto napoletano nella sua totalità, a coglierne le svariate sfumature, a renderlo addirittura una lingua universale, ed uno dei primissimi a stravolgere la figura del cantautore italiano, tutt’altro che solo “poesia e chitarra”, ed ad ampliarla, a far si che anche la musica sia considerata fondamentale per il giusto assetto del “formato canzone”. Tu, come i tuoi altri illustri colleghi che ho citato poc’anzi, siete stati i veri cantori di Napoli, di ‘na carta sporca e di cui nisciuno se ne importa, anche se sotto sotto a sape tutti ‘o munno, ma nun sanno a verità.

Ma Pino, tu lo sai meglio di me. Quanno chiove l’acqua te ‘nfonne e va, ed anche se l’aria sadda cagnà, capita che a volte l’appocundria me scoppia ‘mpietto, e si ha tanto bisogno di alleria. Oggi il cielo non è “Nero a Metà”, come tu dicevi, e convenga che ogni riferimento a Mario Musella sia considerato vano.

Oggi il cielo è tutto Nero. Il Re non c’è più. “E’ muorto ‘o ‘rrè, viva ‘o rrè!”

Te ne sei andato, senza un avviso o un messaggio. Sei volato via, a bordo della tua Gibson nera, lì tra le nuvole, forse alla ricerca del tuo amico Massimo Troisi, oppure con la voglia di farci un bello scherzo, da buontempone il quale sei. Il fatto è che per noi lo scherzo è durato fin troppo, e ci sono molti che stanno prendendo sul serio la faccenda. Non dobbiamo piangere, non lo vorresti.

Non ti ricordi anche tu? Lo dicevi in un pezzo di qualche anno fa, assieme a O’ Zulù dei 99 Posse: “dice ca 'o rre' è muòrto, ma nuje nun c'amma amareggià”.

Ed allora siamo scesi, anche se con la tristezza nel cuore, a farti un ultimo omaggio. Ci abbiamo pensato noi a ricordarti, a Piazza del Plebiscito. Eravamo in centomila, e forse ne staremmo stati anche di più se avessimo potuto, a gridarlo ad alta voce. Se ascolti bene da lassù, forse ci senti. “E’ muorto ‘o ‘rrè, viva ‘o rrè!”

Anno duemila quattordici. Un giovane ragazzo, con le cuffie nelle orecchie, sta tornando da scuola. Fischietta un motivetto: putesse essere allero cu nu spinello 'mmocca, cu ' e mmane dint'a sacca. Poi continua a cantare tra sé: putesse essere allero cu na parola sola, ca me desse calore senza me fà' sunnà'. Lo nasconde, lì sotto i capelli ricci, ma ha quasi gli occhi lucidi.

“Uè, Massimù!”
“Pinù, ma si tu?”
“Dinte a nuttata m’ha fatto male ‘o core, aggio avuto paura assaje. Poi all’improvviso è frnute tutte cose e m’aggio sentuto liggiero liggiero, comme a n’auciello purtato do viento e so arrivato cà.”
“Che ce vuò fa, Pinù. O ssaje comme fa ‘o core.”

Ciao Pinù. Sona mo’!


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editoriale di enbar77

La confraternita dell’olio, ovvero un campionario semi-rurale di allegrie e tristezze. Fine ottobre, inizio novembre. Terminata la raccolta dell’uva, si passa a quella delle olive che, forse ha un valore ancora maggiore rispetto alla prima. Il famigerato “oro verde”. Per i lettori, dal momento che si tratta di un contesto estremamente volgo-familiare, mi vedo costretto a riportare dialoghi in dialetto locale. Seguirà traduzione per i non campani assicurando che leggere le frasi in dialetto, è molto divertente, efficace sia per i termini bizzarri che per le assonanze. Ho amici friulani che si sganasciano dalle risate quando mi fanno leggere ad ogni buona occasione il monito goliardico stampato sulle etichette in tiratura numerata della “Sgnape dal Checo”, quindi…

Stessa famiglia di persone antiche, madre sarta che a causa della crisi non ha dovuto richiedere giorni di ferie approfittandone quindi di uno di magra, padre sempre alle prese con il pulmino della scuola con qualche milione di chilometri in più sulla testata, figlio ribelle e scapocchione 2.0, il nonno partigiano, un invidiabile, energico fascio di nervi novantenne ed io, non più novizio ma neanche navigato, raccoglitore manuale.

La terra è diversa. L’estensione è più o meno la stessa, quasi un moggio, ossia circa 33 are, meno di 4.000 metri quadrati per più di un centinaio di piante. Né poco né molto, considerando che un ettaro è pari a circa 100 are.
Protagoniste della raccolta, tre qualità di olive. Le "ortici", conosciute anche come “coglioni di gallo”, per via della forma quasi sferica, la superficie raggrinzita e di piccole dimensioni, presumendo quindi che siano simili ai gioielli familiari del pennuto crestato. Poi le "racioppelle", dalla superficie liscia, pregiate pur non essendo molto redditizie nella spremitura. In compenso, crescendo a grappoli, sono numerosissime e la resa può considerarsi comunque interessante. Infine le "melelle", molto simili alle olive presenti nelle gastronomie. Polpose, croccanti, con una resa discreta se consideriamo che 90 su 100 finiscono per abbellire il desco negli antipasti.

Armamento individuale: setaccio, bacinella e pinze per la madre, abbacchiatore a benzina ed aria compressa per padre e figlio, io e il nonno partigiano a mani nude. Al massimo il rastrello di plastica, simile a quelli che fanno parte del kit da spiaggia per i bambini. Quelli che, l’uomo non verrà mai superato dalla macchina! I teli, le casse da 60 litri per la raccolta preliminare, i cassoni da 500 per quella definitiva e il cesto per il pranzo, gelosamente custoditi sul carrello del vecchio trattore Carraro che ruggisce ancora nonostante il decorso temporale di almeno tre generazioni.
La mattina è fresca, il cielo ancora terso ed in lontananza si ode qualche colpo di fucile dei cacciatori in ritirata. Dopo aver steso tutti i teli si potrebbe procedere alla raccolta ma l’abbacchiatore non parte. Manca la benzina ed il padre si rivolge con delicatezza al figlio, testa di bossolo 2.0: ”Guagliò chi era purtà ‘a benzina? T’ann appenn’ a te e stu cos’ che tien’ semp mman! Ma addò a tien’ sta capa? Torna ‘a casa e và a piglià ‘a tanica! Nu juorno e chist’ te faccio nà rotta d’osse a te e stu fesebbumm!” (1) E sulle note di questo teatro inizia la raccolta delle olive, Anno Domini 2015.

Il nonno sghignazza, attorciglia le maniche della camicia a righe fino ai gomiti, scoprendo due braccia nodose come i tronchi degli ulivi da spogliare. “Facite cu ‘e mman! Stu cos’ fa cchiù dann che at’! A ffuria è sbatt’, i ram cchiù fin’ se spezzano e nu creschene cchiù!” (2). Parole sagge.
Il nonno avvolge i tronchi con i teli, li chiude con le pinze per evitare che le olive cadano sul terreno e comincia a sgranare i rami più bassi. Poi si rivolge a me ricordandomi che le estremità dei teli devono essere necessariamente sovrapposte al fine di concentrare tutte le olive sull’ultimo telo steso, prima di gettarle nel setaccio. Quest’ultimo, artigianalmente costruito, consiste in una rete rettangolare in metallo, capace a far filtrare le olive, delle dimensioni di un metro per cinquanta ad occhio e croce.  A farle da cornice, quattro assi lignee rafforzate da un fermo inchiodato su uno dei lati lunghi. Il setaccio verrà poi appoggiato su tre casse unite che una volta riempite confluiranno nel cassone.  

La benzina arriva, il compressore parte e gli abbacchiatori cominciano a flagellare le piante fortunatamente floride. Come operaio manovale, mi aggrappo alla corteccia del nonno che sgretola con cura i grappoli di racioppe. E gli aneddoti sulle azioni antifasciste non tardano ad arrivare. Mi fa sempre un certo effetto immaginare che questa terra che sto calpestando per una “banale” raccolta di olive, in quegli anni terribili nascondeva sotto una epidermide farinosa qualche pistola rubata ai crucchi o qualche doppietta presa in prestito da qualche cacciatore. E all’epoca non esistevano altisonanti nomi di battaglia come gli eroici guerriglieri dell’appennino centro-settentrionale. In una piccola realtà, ad indossare l’uniforme da partigiano era il barbiere della piazza principale, il contadino della terra accanto, il medico di famiglia o l’unico bottegaio. I più abbienti, ma anche abbietti, ricoprivano naturalmente le cariche della gerarchia fascista locale e tutti, in entrambi i lati della trincea, avevano un “contronome” affibbiatogli dai compaesani più fantasiosi.
Il nonno, d’orgoglio fervente, racconta: “…au ’43, int’a stà terra venevamo a nasconne e ppistole pè fa fore i tedeschi… ‘cca ‘u podestà era l’avvocato, Vicienz Sittantun’ (non è il cognome ma appunto il contronome. Il numero 71 nella smorfia napoletana è “L’uomo di merda”, valutate voi la considerazione che aveva questa persona in paese, nda) che comm’ verette a mala apparata, che vuttava malacqua, aizatt’ ncuoll’ e se ne fujette! Buono pè isso sinò feneva a carte ‘e quarantotto! (3) Nuje venevamo cca ‘e notte, io, Ettoruccio Sausicchiello, Giuvann’ Uocchie ‘e Brigant’ e Pascalotto ‘u Chianchiere. Pigliavamo da sott ‘a terra chelle quatt’ scassunette che manc’ sparavano e ce ne fujavamo pe coppa ‘e muntagne! (3bis) Il racconto venne interrotto da una lunga, singhiozzante e contagiosa risata: “Io tenevo nù fierro viecchio che s’encagliava una continuazione e ogni vota, pè sparà aera caricà. Quanno caricavo ‘u carrello fischiava e po’ sparava…pareva ‘a notte e Capudann’, nù fischio e nà botta, nù fischio e nà botta!” (4)

Geniale.

E’ ora di pranzo e tutti abbandonano ogni mansione per collegarsi a reti unificate alla tovaglietta da osteria a quadri rossi e bianchi, adagiata su un gruppo di cassette necessariamente capovolte. Altre cassette possono fungere da sedie, purché ci si segga solo sulle giunture, al fine di evitare rovinosi sfondamenti dai risvolti comici.
La pausa non può protrarsi molto, fa notte presto e prima che il sole passi le consegne alla luna bisogna riempire almeno due cassoni per evitare magri risultati al frantoio. Quest’anno ha piovuto abbastanza, c’è stata anche l’alluvione e molte olive sono cariche d’acqua. Si spera di poterne vendere qualche quintale che a 8/10 euro al litro non è mai da buttare.

E quanto prima sentire quel piacevole raschio, tra l’acidulo e il piccante, solleticarti la gola. 

 

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(1) Ragazzo, chi doveva portare la benzina? Ti devono appendere a te e questo coso (uno smartphone) che tieni sempre in mano! Ma dove hai la testa? Torna a casa e vai a prendere la tanica! Un giorno di questi ti devo frantumare le ossa a te e questo Facebook!
(2) Fate con le mani! Questo coso fa più danni che altro! A furia di sbattere, i rami più sottili si spezzano e non crescono più!
(3) “…nel ’43 in questa terra venivamo a nascondere le pistole per fare fuori i tedeschi…qui il podestà era l’avvocato, Vincenzo Settantuno, che come capì che le cose si mettevano male (“mala apparata” e “vuttava malacqua”, letteralmente “brutta parata” e “buttava cattiva acqua”, due modi per dire che la situazione sta prendendo una brutta piega. Mentre “aizatt’ ncuoll’”, letteralmente “alzò addosso-tirò sulle spalle”, è un modo per dire che caricò i bagagli. Nda) se ne scappò! Buon per lui altrimenti finiva molto male (“a carte ‘e quarantotto” per l’appunto. Nda).
(3bis) Noi venivamo qui di notte, io, Ettoruccio il salsicciotto, (evidentemente trattasi di persona corpulenta, nda) Giovanni occhi di brigante (non oso immaginare perché chiamato così, nda) e Pasqualotto il macellaio (il bottegaio del paese, probabilmente di costituzione tarchiata vista l’etimologia del nome, nda). Prendavamo da sotto la terra quelle quattro cose scassate che neanche sparavano e ce ne scappavamo su per le montagne!
(4) Io avevo un ferro vecchio che si inceppava continuamente e ogni volta per sparare dovevo caricare. Quando caricavo il carrello fischiava e poi sparava…sembrava la notte di Capodanno, un fischio e un colpo, un fischio e un colpo! 

Immagine: Vincent Van Goh - Olive Grove with Picking Figures (1889)

 

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