editoriale di kosmogabri

Prendendo spunto da una discussione sorta altrove, propongo anche qui un dibattito che sinceramente mi sta abbastanza a cuore nonostante non sia una cosa per cui perdo il sonno la notte.
Oltre alle innumerevoli reunion di gruppi storici sorte anche soltanto quest'anno, di questi tempi sembra che stiamo vivendo una sorta di viaggio all'indietro e c'è stato un vero e proprio boom del passato anche nella proposta musicale, con tutti gli annessi e connessi.
Ristampe di dischi storici, concerti tipo il "Don't Look Back" - basati sulla intera riproposizione di capolavori del passato -, riciclaggio di cose vecchie trent'anni, il ritorno prepotente di formati fisici, quali vinili e musicassette, che non si può dire siano spariti totalmente fino all'altro ieri ma di certo non erano la prima scelta di un gruppo per incidere i propri lavori.

Ultimamente mi pare che i musicisti non si sbattano tanto a cercare nuove vie, magari queste sono finite chi lo sa? Però si rifugiano nella facilità di rielaborazioni che strizzano entrambi gli occhi al passato: portando avanti come esempio quello banale del filone indie di ultima generazione, capitanato da quei balordi degli Arcade Fire, che trova il suo presente e futuro nella riproposizione degli stilemi prettamente 80's e facendolo talvolta passare per un atto post-moderno.

Ora, sono il primo ad ammettere in tutta onestà che non so se le vie per l'innovazione musicale siano state interamente battute e che non c'è più niente da fare, oppure qualcosa c'è ma nessuno ha voglia di cercarla. Però, per quanto siano ottime molte proposte passatiste, sogno il giorno in cui, ascoltando un determinato disco, mi venga voglia di urlare al mondo "Buon 2012 ostia!" anziché un rassegnato "Viva il 1982 cribbio!".

Ora la domanda che vi pongo è questa: e se il vero futuro della nostra cultura musicale fosse veramente il passato?
La musica ha veramente finito il suo corso?
Il potenziale innovativo è definitivamente esaurito?
È davvero già stato detto tutto?

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editoriale di ilfreddo

Era un tipo strano, ma complessivamente a posto, che poteva vedere i numeri che per gli altri non esistevano. Non sapeva se fosse una gran cosa quella, e tutto sommato non gliene fregava poi molto. Come del calcio. Abitava nella Milano da bere, nell’era del bianco e nero, ed una squadra da cinque lettere o l’altra, sempre da cinque lettere, gli andava bene. Era strano. Ma dovreste ricordare, c’è scritto solo poche righe sopra, che era a anche un tipo a posto e agli amici piaceva la sua silente compagnia. Lo avevano convinto ed ora era pronto a farsi pure l’abbonamento. No, non per la bellezza dello stadio e tanto meno per l’atmosfera elettrica che caratterizza il prepartita, ma solo ed esclusivamente per quei fanali verdi con i quali si era incrociato. Li cercava ora, mentre prendeva posto, ma davanti a lui v'era solo una cascata di capelli. Apre la bocca da ebete, inclina il capo, mentre pensa a come avrebbe potuto avvicinarsi furtivo con fare finto casuale; una scusa, magari una scarpa da allacciare, per dirle: “ciao!”. Solo un punto esclamativo, perché con due avrebbe potuto pensare che fosse eccessivo, con tre immaginare si trattasse perfino di un potenziale serial killer. Ma con un solo punto esclamativo accompagnato da un bel sorriso da finto angioletto, era falso fino al midollo, forse avrebbe potuto offrirle una coca e poi giù il jolly. "Lo sai - come ti chiami a proposito? - che io vedo i numeri che per gli altri non esistono?" Lei si sarebbe sciolta come neve al sole, convinta di aver trovato quello che da tre lustri (la sua età) non sapeva nemmeno di cercare, ed allora avrebbe sgranato quella kriptonite verde. Avrebbe pure inclinato il visino per essere ancora più avvenente, non serviva, e poi…

Svegliati che è cominciata!” gli dicono gli amici, ridestandolo dolcemente con una gomitata nel costato. Come se quei quattro codici fiscali dai piedi sbilenchi potessero essere più importanti di quel sogno. Un sogno che non si sarebbe mai realizzato e che, proprio per questo, avrebbe voluto procrastinare ed allungare come la pasta per la pizza. Una zappata, che manco un ferro tre di un dilettante, con il cerchio di cuoio che termina un paio di porte da calcio sopra la testa di tutti i giocatori lo fa tornare ai suoi pensieri, ai suoi goffi progetti di conquista. Doveva attirare l’attenzione di quella ragazza, ma essendo timido, non trovò meglio da fare che imboccare la strada più facile ed affollata affidandosi quindi ai piani alti.

Dai stronzi!” prega convinto alzando gli occhi cielo ed invocando l’attenzione dell'inquilino delle nuvole “Fagli fare un gol! Così nella ressa mi potrò avvicinare e cercare di attirare la sua attenzione.".
"Mi dispiace, ma non ti posso proprio aiutare ragazzo, come vedi…" e fa sventolare una schedina "… ho messo 2 su questa!

Dai scarponi“, implora, mentre spinge con la testa una zappata di cross. Bello teso vola verso l’area e poi un’eclissi dai contorni di un enorme e liso giubbotto di pelle. Qualcuno sussurra gol e di sfuggita la vede prendere vita, la bianchissima rete.
Gooooaaaaallll!!!!”.
Uno di quei gridi talmente forti e pieni che sente provenire fuori dal suo corpo e poi eccole lì centinaia di retine. E anche le sue, verdissime, ora lo guardano. Quegli occhioni da urlo. Incazzati.

Che fantasia! Due squadre, entrambe da cinque pidocchiose lettere e pure con la stessa maglietta del cazzo a strisce verticali. Fanculo si dice, mentre lesto sfugge al tentativo di linciaggio della curva!
Fanculo, ripete, mentre sguscia tra decine di arti maligni e nodosi: non vedrò i colori ma i numeri che per voi non esistono, quelli sì!

E’ tutto relativo! Questo è quello che ne conclude mentre rincasa a passo veloce pensando a quegli occhi che forse, a ben pensare, manco erano verdi.

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editoriale di federock

Apri gli occhi in una delle tante giornate di quest'epoca indecifrabile. Accendi la tv e saltando un po' annoiato (già di primo mattino? non è bene) da un canale all'altro noti che se non sono film (sempre meno) o programmi di cucina, già si inizia a dibattere di politica o economia in trasmissioni che penseresti avere tutt'altro taglio. Giornalisti dalla sintomatica mascella e soubrettes che fino a ieri ancheggiavano ammiccanti in un reality o in una televendita, oggi conducono una finestra di attualità politica a tutte le ore. Eh sì perché anche nel pomeriggio la cosa va avanti, tra "programmi demenziali con tribune elettorali" e contenitori più vasti che comunque non si fanno mancare un approfondimento (reale?) politico, passando per tutti i telegiornali, le trasmissioni politiche successive fino ai veri e propri e "sacri" format politici di prima serata (ma anche di seconda), comunque circondati da trasmissioni d'inchiesta o di denuncia a buon mercato dove le notizie "strisciano" rapidamente tra "iene" d'assalto, tapiri e pupazzi rossi.
Tutti, insomma, rincorrono notizie e si rincorrono a vicenda nel darle, gareggiando tra chi "sgamma" per primo un politico affarista o uno approffittatore, un cittadino indignato o uno incazzato proprio. Tutti, ma proprio tutti, anche in trasmissioni, come dicevo, che penseresti avere altri argomenti da trattare o stile da seguire. Ovviamente i giornali non sono da meno e gettano benzina sul fuoco della denuncia con titoloni gonfiati l'un contro l'altro armati. Ogni testata è rigorosamente schierata e confeziona quelle che i propri lettori pagherebbero, e infatti pagano, per leggere.
In questo scenario bollente (in tutti i sensi), ormai anche d'estate - c'avete fatto caso? Prima la politica di questi tempi andava in vacanza, si staccava la spina, ma dall'anno scorso coi mastini del Giornale sguinzagliati sulla casa a Montecarlo di Fini non è più così, e allora giù con la crisi, lo spread, Monti e la Merkel - ovviamente non è da meno internet, anzi. Con la sua rapidità di circolazione divulga notizie a raffica su tutti e tutto, prontamente gettate in pasto ai blog dove cittadini super informati e consapevoli le addentano affamati e le masticano avidamente, bisognosi di sfogare coi denti dell'invettiva tutto lo stress da crisi che li attanaglia. Gente che aveva sempre seguito poco o nulla la politica ora gongola nello sparare a zero su ministri, sottosegretari, dirigenti e chi più ne ha più ne metta, pontifica di macroeconomia e di teoria politica e getta tutto l'astio di cui è capace su intere categorie di persone sull'onda della notizia calda del giorno che una di quelle persone ha appena infangato: politici appunto, ma anche immigrati (per la cronaca nera il discorso è lo stesso e l'isteria collettiva analoga), tassisti, operai, statali, comandanti di nave distratti in un inchino, folli omicidi e compagnia cantante.

La domanda che mi sovviene, e che mi ha suggerito questo editoriale, l'avrete a questo punto già capita: non sarà che in quest'epoca multimediale d'informazione in tempo reale alla fin fine si viva peggio di ieri? Non sarà che ci stiamo consumando e logorando lentamente in una patologica follia generale da troppa informazione? Non sarà che non abbiamo fatto altro che creare cittadini più impauriti e ansiosi e dunque rabbiosi e nevrotici piuttosto che liberi, informati e consapevoli? Viva internet, viva la libera informazione, la circolazione delle idee e viva la competizione tra fonti f'informazione diverse e di segno opposto. Viva tutto. Ma forse non eravamo pronti a maneggiare tutto questo così in fretta.
Forse la nostra vita interiore non è veloce quanto quella che ci circonda.
Forse abbiamo bisogno di quieta lentezza.
Non c'è proprio niente da correre...

"And you run and you run to catch up with the sun, but it's sinking
And racing around to come up behind you again
The sun is the same in the relative way, but you're older
Shorter of breath and one day closer to death…
"

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editoriale di ilfreddo

Una cosa positiva questa crisi l’ha portata: i Maya sono stati estinti dal palinsesto mediatico da un tipo cazzuto che all’anagrafe fa Spread di nome e ci ha garantito che il 2013 non solo ci sarà, ma sarà molto peggiore del 2012.

Un anno fa avevo scritto provocatoriamente che per uscire da questo immenso pantano ci sarebbe voluta una bella guerra: questo infatti è sempre stato il modo con il quale il genere umano ha fatto Ctrl+Alt+Canc per poter ripartire con rinnovato slancio. Quello che allora non avevo compreso è che eravamo già in guerra un anno fa: uno scontro subdolo che, pur senza l’odore del sangue ed il rumore dei bombardamenti, ci stava colpendo in maniera inesorabile e sempre più ficcante. La tecnologia bellica ha fatto in modo che un conflitto convenzionale, capace di coinvolgere le maggiori potenze mondiali, non sia più praticabile e che quindi vengano utilizzati nuovi strumenti: il mercato che con le sue fluttuazioni altro non sta facendo che arricchire gli speculatori ed impoverire chi, come noi, è in una posizione di svantaggio. Siamo in una guerra che probabilmente abbiamo già perso in partenza. La Cina da decenni sta attuando concorrenza sleale potendo praticare prezzi inferiori dei suoi prodotti grazie alla mancanza di tutela dei diritti dei lavoratori ed al loro sfruttamento. L’occidente avrebbe dovuto fare un blocco delle importazioni quando era ancora in una posizione di forza; ma ora che la Repubblica Popolare è il maggior creditore di USA e Occidente e che quindi ha il nostro scroto nella sua mano, non è possibile praticare queste ritorsioni per ovvi motivi. Una stretta farebbe molto male. E’ un lento declino, una guerra nella quale tutto è lecito ed ogni stato cerca di salvarsi o perdere il meno possibile.

In questo momento in Europa la parte del cattivo la sta giocando la Germania: sai che novità. Ma fossimo obiettivi dovremmo ammettere che se potessimo essere al suo posto ci comporteremmo nello stesso identico modo. Qualcuno mica crederà che essere membri dell’Unione Europea abbia in qualche modo accresciuto un senso di appartenenza comune e quindi di reciproca fratellanza? Mica siamo ai tempi del secondo dopoguerra con Schuman, Spinelli, Adenauer e Monnet! Gli Stati Uniti d’Europa non si formeranno mai: questi sessanta anni con il fallimento della Comunità Europea di Difesa, i poteri risibili di Commissione Europea, Parlamento, i perpetui veti nel Consiglio da parte degli ultimi arrivati, uniti ad una politica estera che generosamente si può definire frammentata ed una militare inesistente dovrebbero averci fatto capire che oltre l’interesse economico mai andremo. Non avremo rilevanza politico/militare. La guerra di indipendenza americana al confronto della storia millenaria del nostro continente è uno schiaffetto sulla guancia: la perdita di sovranità degli Stati è fuori discussione, quei confini e quei poteri nazionali si sono formati su decine di milioni di morti. Dovremmo capire che alla Germania in questo momento, oltre le solite frasi di circostanza, giustamente non gliene frega nulla della situazione dell'Italia e della Spagna. Eventuali e futuri ripensamenti saranno solo dovuti al calcolo del danno che un default italo-spagnolo potrebbe arrecare ai tedeschi.

Il debito dell’Italia è di circa duemila miliardi di euro; per dare un contorno a questo mare vi basti pensare che per estinguere questo bel mutuo del cazzo ci vorrebbero gli stipendi di tutti i lavoratori italiani per una quindicina di mesi. La domanda che ci dovremmo porre è come siamo arrivati a questa cifra? Vivendo come se il nostro paese fosse in una fase di continuo boom economico: la classe politica prometteva indebitandosi sempre più e il popolo votava. E’ tipico dell’italiano dare la colpa a qualche d’un altro, ma il nocciolo è comprendere perché siamo noi con la testa sotto l’acqua in questo momento e non quelli che utilizzano la mano sulla nuca del malcapitato. Davvero siamo così stupidi da credere che questo debito sia caduto dal cielo, si sia formato nella notte e abbia preso le sembianze di un mostro europeo chiamato Spread? Qualche persona sana di mente ritiene davvero che la colpa sia dell’Europa e dell’Euro? Anche la Germania ha un debito leggermente superiore al nostro, ma ci sono tre differenze sostanziali: ha una popolazione maggiore sul quale spalmare la cifra, ha un’economia che a differenza della nostra non è ferma da 20 anni e gran parte di quel debito l’ha accumulato per risollevare definitivamente la Germania dell’Est. Questo rende la sua economia più stabile, meno rischiosa e appetibile per finanziatori esteri. E’ più che lecito che la signora Merkel stia sfruttando la posizione di forza acquisita e, non garantendo per gli stati europei in difficoltà, permette allo stato tedesco di autofinanziare il suo debito a tassi irrisori. E’ la guerra e questo stato di cose non mi stupisce per nulla: lo trovo profondamente machiavellico e razionale come è la nostra storia. Quello che invece stento a comprendere è come possa la gente ridere in questo momento mentre ammette di non sapere cosa sia lo Spread, mentre si sfrega le mani all’uscita dell’I-Phone 5, si incazza per la cessione di un fottuto giocatore di calcio dimostrando di vivere in un mondo alieno e non capire cosa stia succedendo. E non sto parlando del vecchietto che pensa ancora alle lire, ma di quel numero enorme di adulti e giovani che non comprendono la drammatica unicità della congiuntura che stiamo vivendo e si preoccupano di cazzate pensando di vivere ancora nell'era del Boom.

Come era quella frase di Spiderman? “Grandi poteri significa grandi responsabilità”. Beh certe volte penso che il diritto di voto sia stato stuprato, violentato e calpestato in maniera ignobile in questi decenni. Sento spesso inveire contro la classe politica, ma ben pochi realizzare che chi siede in Parlamento e ci fa tanto schifo l’abbiamo eletto noi e non è certo stato frutto di brogli. Come delle meretrici, quindi, la maggior parte di noi o si è venduta per un tornaconto personale o, peggio, ha espletato il suo diritto e dovere di voto soppesando pro e contro nell’ignoranza totale. Tutto questo mi fa dire che il voto ha ripercussioni talmente enormi che trovo ingiusto possa essere espresso anche da chi vive fuori dalla realtà, da chi ignora dove siamo, dove stiamo andando, non ha un briciolo di ottica di lungo periodo e non realizza che quel cartoncino può definire l’esito della prossima guerra. Il popolo è una bestia, diceva così un filosofo oscuro e mezzo pazzo (Arthur Schopenhauer), e a ben pensarci non mi trovo molto in disaccordo con lui. Critichiamo chi ci governa dimenticando che per quanto possa fare male rispecchia le viscide caratteristiche del suo elettorato.

Inveiamo contro il governo tecnico dimostrando di avere una memoria cortissima. Lo Spread è un mostro che conosciamo da solo un anno; per gli anni di tranquilla permanenza nell’UE abbiamo potuto rifinanziare il nostro debito a tassi irrisori (è questo il motivo principale per cui siamo entrati!) e la nostra classe politica non ha fatto nessuna riforma strutturale che sarebbe stata necessaria e sostenibile, ma che avrebbe provocato una perdita di consenso elettorale. Questo procrastinare, questo dire "se ne occuperà qualche d'un altro" ha fatto sì che quanto non è stato fatto in decenni a tassi agevolati è stato imposto in fretta e furia da un governo tecnico con un tasso da brivido del 6/7 %.
Il popolo si incazza con il Governo tecnico che ci mette la faccia rischiando la rivolta sociale, ma se si ripresenterà alle elezioni il primo stronzo con lo slogan giusto, magari lo ri-voterà spellandosi le mani.

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editoriale di kosmogabri

Zaireeka > premessa
In questi giorni si parla molto della mia città, Taranto.
Come forse qualcuno sa, ma penso non abbastanza gente, Taranto a parte una delle maggiori, se non la maggiore, base navale del Mediterraneo, è, ancora per ora, la fortunata sede del centro siderurgico più grande d’Europa.
In questi giorni, dopo vari anni di lotte ecologiste a cura di una grandissima parte della cittadinanza, un PM del tribunale di Lecce si è deciso a mettere i sigilli agli impianti che si sono dimostrati, negli ultimi tempi, i maggiori responsabili del disastro ambientale che porta, in base alle statistiche, ogni anno circa ottanta persone (fra cui molti bambini) a morire di varie forme di tumori e affini, prevalentemente alle vie respiratorie. Come conseguenza una grandissima parte degli operai (circa diecimila persone) dell’“Area a caldo” (così è denominata l’area che contiene questi impianti) si sono riversati sulla città per protestare, con il beneplacito della proprietà dell’industria (il Gruppo Riva) e con il sostegno di tutti sindacati uniti (sic), contro il decreto giudiziario.
Ciò ha causato, e sta causando, disagi notevoli a tutta la cittadinanza, e non solo, sopratutto a causa del blocco attuato per buona parte della giornata praticamente di tutte le entrate alla città.
Voglio solo dirvi che oggi (27 luglio 2012) per tornare a casa dal lavoro da un quartiere periferico della città ci ho impiegato più di un ora quando di solito ci metto un quarto d’ora, e mi stavo perdendo per le campagne… e forse non avrei scritto questo editoriale che per qualcuno sarebbe stato meglio. Insomma qualcosa di davvero innovativo, Padroni e Sindacati insieme ai Lavoratori tutti insieme uniti contro un Giudice (chissà Silvio come gongola, non per niente è molto amico di Riva).
E la cittadinanza , anche quella che con l’ILVA non ha niente a che fare, se non aspirare solitamente i sui gas e le sue polveri di scarico, che ci va di mezzo.
Detto questo, tempo fa (novembre 2010) ebbi uno scambio epistolare con l’utente Fosca, in quanto mi piacque l’idea che una Milanese si interessasse, con tale passione, ad un problema di una città sfigata del quasi-profondissimo sud.

Zaireeka > 12 novembre 2010
Oggi ti voglio parlare dell'Ilva, e di tutte le industrie (raffinerie, ecc) che l'ilva (ex Italsider) rappresenta per la mia città. I primi ricordi che mi vengono in mente riguardano i viaggi di ritorno dalle vacanze che io e la mia famiglia facevamo in montagna, sulla Sila calabrese. I viaggi non erano particolarmente lunghi (circa 200 chilometri), ma sembravano lunghissimi, forse a causa della guida lenta di mio padre o delle continue soste. Ed era meraviglioso e fonte di sollievo, per me e mia sorella, quando all'orizzonte, maestose come un tramonto su marte, si vedevano sorgere le prime nuvole rosse fuoco dell'Italsider e delle sue sorelle sui cieli serali di Taranto.
Ne eravamo particolarmente affezionati, eravamo contenti di essere di nuovo a casa.
Una cosa che spesso mio padre mi raccontava quando ero piccolo, quasi con orgoglio, era che la superficie dell'ILVA fosse due volte e mezzo quella di Taranto(o qualcosa del genere).
In pratica Taranto, a ben pensarci, si poteva quasi definire il più grande quartiere dell'ILVA. Ora non so se sia ancora così (se mai davvero lo è stato). Questo perché l'ILVA, almeno a superficie, penso abbia smesso di crescere da un po’ di anni, a causa della crisi economica. Al contrario della "città dei due mari" in continua crescita in quanto a superficie, con nuovi quartieri il più possibile lontano dai suoi fumi (ma dal punto di vista demografico, c'è stata una decrescita in 25 anni di circa 100.000 unità, un po’ a causa del "respiro" dell'ILVA ... un po’ a causa della stessa crisi economica di cui sopra) ...
Una cosa particolare dell'ILVA (ma forse ancora più delle sue sorelle) è l'odore.
Un odore acre che i vecchi della mia città usano ancora per capire quando il vento è cambiato.
Che io ricordi l'Italsider è stata inaugurata da Aldo Moro nel mio anno di nascita, il 1965.
Ora ne sono passati 45 di anni, e forse fra poco chiuderà.
E chissà se sarà la volta buona in cui mi deciderò pure io a lasciare questa mia amatissima e odiatissima città.

Fosca > 30 luglio 2012
L'interesse della milanese che c'è in me per la splendida città di Taranto mi deriva dall'essere legata affettivamente non solo ad una persona, ma ad una intera famiglia di pugliesi da circa cinque anni ed è proprio attraverso loro che ho imparato a conoscerne la storia affascinante e disperante, così come la bellezza incredibile di una città, deturpata da decenni di mal'amministrazione ed interessi meramente privati, e del suo caloroso popolo. Amo la Puglia, amo Taranto e quello che l'ILVA ha fatto alla città e alla sua gente è un disastro non solo ambientale, ma sanitario, culturale e sociale di portata inimmaginabile.
Circa un anno e mezzo fa, nacque l'idea di un editoriale sull'ILVA  a quattro mani : una parte, come dire, romantica scritta da Zaireekaa e una parte polemica e di denuncia che avrei dovuto scrivere io.
Purtroppo ogni volta che ho provato a scrivere qualcosa su questo argomento scottante e che tanto mi sta a cuore, non ho mai concluso molto perché quello che ne derivava era sempre e comunque un "articolo monco", cui mancava ogni volta qualcosa.
Ma dopo avere a lungo tentennato, raccogliendo chilometri di articoli di giornale ed editoriali altrui on line, è finalmente arrivata la inimmaginabile notizia. Ora quel qualcosa che mancava è arrivato tramite la Magistratura, proprio in questi giorni, con mia somma gioia oltre che con grande ed innegabile preoccupazione.
Mi affiderò quindi alle parole di Antonello Caporale da un articolo su LA REPUBBLICA del 30/04/2012 per sintetizzare quello che avrei voluto scrivere io e che sta invece scrivendo la Magistratura per durare a lungo, molto più di quanto potrà un semplice editoriale.
Taranto è una balena spiaggiata, ansima ma non si scuote. Chiusa ad est dagli altiforni dell'Ilva, ad ovest dal nuovo porto della Marina militare, è una città bucata nel suo centro, i palazzi sono denti cariati, svuotati, con i tetti sfondati. Taranto è una città bellissima, ma non lo sa, non ci crede. Ha due mari che cingono un anfiteatro naturale, curva sull'orizzonte: isole davanti e uliveti alle spalle. Lo Jonio, il Mediterraneo, la civiltà dorica, i miti greci. La beltà può espandersi o inselvatichirsi fino a divenire irriconoscibile. I tarantini, probabilmente anche per loro merito, oggi piangono, sono cuori infranti. Va al voto la città che è stata la più indebitata d' Italia, con un default civile ed economico da paura. Dissesto di bilancio alla cifra record di quasi un miliardo di euro, livelli di inquinamento da diossina e benzopirene trai più alti di Europa, tasso di mortalità oltre la media nazionale. A Taranto muoiono all'anno circa trenta persone in più per neoplasie polmonari rispetto alla media del resto d' Italia: due tarantini al mese si arrendono alla vita senza curarsene troppo. "Che me ne fotte", hanno detto per anni. Inchiodati a quella frase, hanno atteso il conto. Che è stato salato, troppo.". >> leggi il resto

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editoriale di CACCAMO

Tutti i principi morali universali sono oziose fantasie. (Donatien Alphonse François de Sade)

Non si scappa mai dall'uniforme, dalla "macchina" (Stato). Fin troppo bene sappiamo che una volta tornati a casa il nostro dovere, la nostra macchina da produzione si farà sempre più sentire. Bisognerebbe essere cretini per non sentirla, ma dal momento che cretini non siamo (o fingiamo di esserlo), ogni giorno, 24 ore su 24 sentiamo la collettività, la sentiamo nella rivoluzione, nell'amore, nella voglia. Quindi si decide tutti insieme: basta con l'informazione, basta con l'odio, basta con la paura.
Ci si ritrova tutti al riparo a parlare con raccapriccianti censure della "grande omologazione". La grande omologazione, cos'è? E' la tua casa, sono i tuoi dubbi, è il tuo capo, è il tuo lavoro (quasi sempre sbagliato), disgraziatamente in alcuni casi è l'infanzia, ancora peggio è la maturità, il giudizio... La grande omologazione no?

Parafrasando Monos e Una e il loro colloquio, cercando disperatamente di portare ai giorni nostri (!?) quel momento di intimità tra quei due innamorati; ci sono stati anni, nei quali il vigoroso poeta - lo storpio, il genio - combatteva per principi ormai ovvi oggi alla nostra mente illusoriamente non condizionata. Resistenti e morenti nell'utilitarismo, questi uomini, proprio questi uomini - tipi strambi -, ebbero granché da piangere quando i bisogni della collettività non furono più semplici. Eravamo tutti caduti nel più triste dei nostri giorni tristi! L'arte aveva raggiunto un valore supremo stringendo catene intorno all'estetica e al turpiloquio intellettuale, e una sua parte divenne in qualche modo borghese. In quei giorni, l'uomo non era più in grado di ignorare la bellezza della vita, del lavoro, dei titoli, delle ambizioni, dell'eleganza. Esultò infantile. Purtroppo aveva raggiunto il predominio su tutte le ragioni.

Nel frattempo sorsero città fumose, le foglie verdi e gli alberi muoiono, non esiste più l'uomo nudo che senza vergogna si lascia andare all'impulso: esiste la macchina. La natura divenne deformata, e non poté più compensare la triste esecuzione delle arti, ma l'uomo non poteva sapere e purtroppo non poteva soccombere. Divenne ancora più stupido quando cercò di avvicinare i doveri a Dio, alle sedi e le istituzioni a suo nome. Qualcuno si accorse (Majakovskij?), che la collettività aveva provocato la distruzione del poeta bruttarello, lo aveva castrato e senza esitazione proseguì con il pervertimento del gusto. Nessun eccesso, nessuna anestesia del senso del dovere avrebbe fermato quel processo.
Arrivando a quasi mezzo secolo fa, benché si litigò abbastanza su cosa l'"etica" dovesse seguire tra la "meravigliosa castità" o la "santa incontinenza", il prete tagliava le pellicole non appena i due attori si baciavano. Andò bene fino alla fine degli anni '60, ma anni dopo l'utilitarismo si rifece sentire, a casa del nemico! La rivoluzione! I giovani contestano e si staccano dalla cultura, l'azione creata porta le armi del capitalismo di quegli anni, e l'uomo incredibilmente più stupido lo rafforza. Picchia, mena, protesta, spara, rapisce.

E la macchina? la macchina è ancora qui, perché non siamo malati, anzi, non siamo I malati (io mi sforzo di esserlo da sempre). La collettività adesso si riveste nella squalifica dell'individuo che non è più carne, che non è più sogni, che non è più istinto. Svalutazione. Svalutazione a scuola, svalutazione a casa, svalutazione a lavoro, svalutazione della carne, svalutazione delle ossa. Quindi, qualora un uomo abbia in mente una libertà, abbia in mente l'arte, dovrebbe essere affrancamento dalla collettività, e non produzione nella collettività! E anche la musica, con buona pace di von Leibniz, che la sottraeva alla coscienza, non è più la stessa.
Alcuni sono ancora vittimisti, alcuni sono ancora rimasti a esultare, alcuni evitano di piangere, alcuni hanno paura. Ma la carne è svalutata perché deve produrre, è troppo cara, e allora la carne infierisce sull'altra carne, la uccide per un parcheggio, la violenta fino a ridurla all'invalidità, diventa nera perché stanca, non dona ma sottrae momenti di gioia ai suoi simili, quando li prende per il culo a lavoro, quando umilia alla lavagna i più piccoli della specie, quando si riduce al sarcasmo, quando non è capace di slanci...

Forse dovremmo essere incontinenti, o impegnarci a esserlo.

immagine di René Magritte - The Murderer Threatened (1927)

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editoriale di kosmogabri

Tanti (ma proprio tanti) canuti "tetteschi ti germaniah" sostengono che non erano a conoscenza di quanto accadesse all'interno dei campi di "lavoro lacrime e sterminio". Questi nonnini e nonnine sono decisamente troppi per poter pensare che mentano tutti con la speranza di sciacquarsi la coscienza. Alcuni di questi sostengono tra l'altro che la loro ignoranza riguardo alla cosa sia in realtà un'aggravante e non una scusante.
Io sto con loro, ci credo che non sapessero nulla, e credo pure che questa ignoranza li renda complici dell'olocausto.

Ora una semplice domanda: che cosa ne sappiamo noi di quello che accade all'interno dei nostri centri di permanenza temporanea?

Olocausto 2.0 di sicuro no, però forse avremmo il diritto, e il dovere, di saperne di più.

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editoriale di turkish

[…] Chi ci va a letto a me fa pena, è come approfittarsi di uno che sta sulla carrozzina, come andare con con un malato. Chi va con la Tommasi ed è convinto di essere figo è il più grande sfigato della terra. Anzi se lo vedo gli darei uno schiaffo, lo prenderei a botte. Chi ha fatto il film con lei è vergognoso, perché è vergognoso fare soldi con lei.
(Fabrizio Corona)


La Spietata Logica delle Farfalle

by Emofiliaco (3 luglio 2012)


L'odio è un carburante nobile?


Mentre la pasta lessa nell'acqua bollente e preparo un condimento a base di olio extra vergine d'oliva, tonno, capperi, carote à la julienne, scorza e succo di limone in cui le farfalle una volta raffreddate verranno immerse e degustate alla radio passano "Let your Body Decide".

Ora io non conosco il testo di questa canzone ma il titolo, somma sintesi del potere del desiderio fisico, e l'analogia secondo cui ogni tipo di pasta necessita di un limitato raggio d'azione nella scelta di un condimento continuano a picchiarmi in testa da qualche giorno.


Nella mia mente birichina e un po' malvagia si fa strada il dubbio che, anche sorpassati archetipi alla Tersite, la forma in cui veniamo al mondo se ne sbatta del concetto di unità tra anima e corpo e finisca per dettare le regole.

Non voglio essere frainteso: non è la Kalokagathia il concetto che ho in mente. Se fosse così io dovrei essere la persona più buona, proba, pia e onesta di questo misero "T in O" ed invece mi trovo ogni giorno a convivere con il lato oscuro della Forza.


Più che altro sto pensando di come il corpo possa diventare una maledizione e mentre penso questo, con in sottofondo i The Ark e con un retrogusto al cappero, alcune mie amiche anarco-insurrezionaliste di stampo femminista mi invitano a prendere coscienza del caso "Sara Tommasi". Io non so come fosse questa ragazza prima che l'instabilità mentale prendesse possesso del suo corpo per donarlo agli sciacalli di turno e onestamente non mi interessa saperlo e so persino che al mondo probabilmente ci sono casi di sfruttamento peggiori. Sempre si possa porre una scala al peggio.


Quello che so è che, in un certo senso, questa ragazza, con tante altre meno famose certo, è stata lasciata sola: vittima di una spietata logica che fa del suo corpo la sua maledizione. Di un potere che se ne sbatte di tutti noi.


Ora rileggete la domanda iniziale, datevi una risposta, se potete, e perdonatemi la metafora del titolo.


Louder Than Love

by Bartleboom (11 luglio 2012)


Ho visto il video porno di Sara Tommasi.

Essenzialmente perché sono un porcellone. Poi, anche perché 'sta storia della Tommasi mi ha in qualche modo colpito.


Mi spiego. Non credo che Saretta nostra sia mai stata un fulmine di guerra, nonostante (o forse proprio a causa di) la tanto sbandierata laurea alla Bocconi. Ma allora avrebbe potuto fare la fine delle mille e una oche che affollano i palinsesti televisivi, finendo nel dimenticatoio o riciclandosi come testimonial di pentole, materassi, spremiagrumi e attrezzi improbabili per il cardio fitness.

E invece no.

Sinceramente non ricordo un’altra vicenda simile. Non ricordo un’altra parabola discendente tanto rapida. E tanto triste.


Comunque, dicevo: ho visto il video porno di Sara Tommasi.

E sono andato a leggere (quasi impossibile non farlo in questi giorni…) i commenti della gente su facebook, sui siti dei provider di posta elettronica, sulle versioni on line dei quotidiani. E ho trovato una cattiveria inaudita.
Magari è giusto così. Magari va bene che la Tommasi venga trattata come carne da macello, sfottuta, derisa, umiliata, esposta al pubblico ludibrio, senza appello, senza attenuanti, senza remore.

Ma magari sarebbe stato altrettanto giusto mostrare, chessò, forse soltanto un minimo di pietà per una ragazza che, evidentemente, sta male.


Ho visto il video porno di Sara Tommasi, dicevo. E mi ha fatto due palle così.

Se l’idea era quella di indurmi al di là di ogni ragionevole dubbio a procurarmi una sontuosa slogatura multipla da autostantuffamento alle articolazioni polso-gomito-spalla, beh… qualcosa, da qualche parte (magari anche nelle mie mutande) non ha funzionato.

La verità è che c’è troppo porno intorno a me. E sento che inizia ad esserci troppo porno anche dentro me. Su internet, in tv, nella testa della gente. Tutto è troppo esplicito, troppo esibito. E quindi, alla resa dei conti, scontato.

A 13 anni mi ammazzavo di pugne se intravedevo il reggipetto della mia compagnia di banco cessa. Oggi per 10 euro riesci a farti fare un pompino dall’insegnante di matematica.


Temo l’escalation, un processo distorto per cui un giorno non ci basterà più semplicemente “fare l’amore”, ma non avremo altra scelta che farci una “cazzo di scopata”. Perderemo il gusto di farlo con calma la domenica mattina, con gli occhi ancora stropicciati e l’alito cattivo, e ci ecciteremo solo se la webcam sarà accesa. E finiremo per essere comunque insoddisfatti. Perché non ci sarà più niente da immaginare e desiderare.


Ho visto il video porno di Sara Tommasi.

E quasi quasi rimpiango il catalogo del Postalmarket.


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editoriale di zaireeka

Sono giorni questi in cui mi prende la nostalgia del tempo che fu.

L’altro ieri ascoltavo Lucio Dalla, l’album con “Balla Balla Ballerino” e “Cara”.
Ricordo perfettamente quando lo comprai appena quindicenne, la sensazione che solitamente provavo quando tornavo verso casa con un vinilone nelle mani, assaporando il gusto del primo ascolto.
Quei soldi me li dava di solito mia nonna, a fine mese quando prendeva la pensione, se non ricordo male erano sempre cinquemila lire.
Ascoltando a metà album “Siamo Dei” mi è capitato di pensare che Lucio Dalla negli Ottanta aveva 37 anni.
Addirittura dieci in meno di quanti ne ho io ora.

Considerando in aggiunta che Dalla non è più fra noi, e che questi anni in fondo mi sembrano volati, mi sono reso conto, così, sbadatamente, che forse era il caso di fare il punto della situazione, di fare un resoconto degli anni trascorsi, ed in particolare, visto quello che si sente in giro, degli anni trascorsi da cittadino di questa amata (e amara) terra in cui mi è capitato di vivere da quando sono nato, l’Italia.
L’Italia, spinta dall’onda elastica dello spread BTP-BUND, sta finalmente cambiando, non ci sono dubbi.
Per cui, prima che mi giri e non la trovi più, mi dedico alle rimembranze.

Il problema è che nonostante, come molti, abbia spesso bestemmiato contro i difetti tipicamente italiani, gli sprechi, gli statali messi negli uffici per scaldare la sedia, il tira a campare istituzionalizzato, per molti anni della mia età adulta ed anche della mia adolescenza... in fondo la “mia vecchia” Italia già un po’ mi manca. Di quella Italia ora mi rendo conto di avere tanti ricordi.

Ricordo che da bambino, nei primi anni Settanta, il giorno della Befana io con mio padre e mia sorella eravamo soliti andare all’Ufficio Centrale delle Poste Italiane nella mia città, presso cui lavorava un fratello di mia madre, per ritirare il regalo che la vecchietta sulla scopa, assunta per quel giorno speciale dalle Poste, lasciava ai bambini meritevoli.
E fra i meritevoli c’erano anche tanti che non avevano né papà né mamma che lavoravano lì.

E poi c’era il figlio di un maresciallo del mio palazzo, anche esso marinaio di carriera, andato in pensione a metà anni ottanta, con buonauscita d’oro e con tanto di plauso della nazione intera, prima ancora che la nave su cui si era era imbarcato per assicurare la pace in Libano attraccasse a Beirut.
E poi c’era, anni fa, il nuovo Ente Nazionale per la cura delle Barbabietole assunto presso il figlio del Ministro dell’Agricoltura.
E po c’erano, qualche mese fa, i Ministeri del Nord.

Ora forse le cose stanno cambiando.

Si parla di tante cose, delle promesse di "Supermario" Monti, di diecimila statali in meno, di accorpamento delle province, di ospedali che non regalano più siringhe e medicine comprate a prezzi esorbitanti dall’azienda farmaceutica amica del Primario, "tanto paga papà"…
Sono sicuro che questa è la volta buona, e ne sono soddisfatto.

In fondo, se a breve i bambini dovranno portare alle Poste, il giorno della Befana, i regali avuti a Natale perché i genitori possano continuare a fare i postini, è solo un dettaglio.

Al massimo, se non sono d’accordo con il nuovo corso, potranno sempre emigrare con i loro genitori in un altro posto, come cantava il buon Bennato, quando ero piccolo e felice, al tempo dell’Impero del Bengodi.

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editoriale di enbar77

Ce ne ho messo di tempo per decidere. Dopo attente valutazioni che non ho voglia di evidenziare ho dovuto concludere con una necessaria separazione. 90 su 100 non frega un cazzo a nessuno ma sono convinto che una collaborazione non può durare troppo e per evitare che diventi stantia o si trascini affannosamente, ho pensato, non senza un certo dolore, che era meglio separarsi da un sito che, comunque, mi ha regalato delle emozioni.
Debaser è principalmente un sito dove si condividono emozioni musicali e il mio commiato sarà, per chi voglia contagiarsi, una volontaria esternazione delle stesse. Frammenti sonori, spesso trovate geniali, armonie che almeno una volta nella vita vanno a mio avviso vissute e che, personalmente, mi fanno emozionare ogni qualvolta le ascolto.

Dall'incursione metallica di Pensieri e Parole alle trombe ovattate nel finale di Non è Francesca; la formica di The Baby e gli "Io e te" di Italian Violence; i bambini della Tartaruga e i ragazzi che vogliono salvarsi dalla Magnifica Gente; il complesso bandistico del Re e l'abbrivio in sordina di Thougher Than The Rest; il pianoforte di She's a Rainbow e il commento per pianoforte, batteria e violoncello di Ruby Tuesday; il "na na na" di When The Night e la miscela elettrica del medley finale di Red Rose Speedway; l'ingresso a ottone battuto di chi ha Bucato La mia Vita e l'accompagnamento di Lago Rosso; il finale per pianoforte ed archi di Same Time Next Year e l'incursione circense di Cage.

Ancora, il finale dissolto per organo e basso di It's Just A Thought e quello inquietante per fiati e percussioni di Never Let Me Down Again; gli assoli di Till There Was You e di And I Love Her; l'abbrivio di West End Blues e le sirene di Star Spangled Banner percepite a Woodstock; l'inverno elettrico con ape regina dell'Ottico e le spoglie nelle bandiere sulla Collina; l'invito a guardarsi intorno del recente Meraviglioso e le percussioni clownesche di Renoir prima maniera; l'intermezzo per vibrazioni tedesche dell'Oceano Di Silenzio e l'accompagnamento in metallo del Mantello E La Spiga; l'abbrivio del Sgt. Pepper's e tutto ciò che gli ruota attorno.

Ancora, l'orchestra per fiati e polvere bruciata dal sole di Atom Heart Mother e la frase per violoncello di Yesterday; gli assoli dello zingaro belga chiedendomi come diavolo abbia fatto con una mano resa fasulla dal fuoco; l'organo rapido di In my life e l' "It was" dell'inizio della primavera; lo xilofono tribale di Stranizza D'Amuri e i ringraziamenti infiniti per archi della Valigia Dell'Attore; i drogati del Recitativo e i bambini nel Corale del re infelice.

Ancora, il finale per clarino e sax di Hemingway dove chissà perché immagino un lento tra Corso Salani e Licia Maglietta diretto da Kieslowski; i fiati con riverbero di Philip Glass e le colonne sonore di Alessandro Cicognini; le evocazioni dialettiche di Sidun e Creuza De Ma; i cori e l'ingresso per percussioni e magia di Hey Jude e quella volta che Ringo dimenticò le bacchette per creare l'abbrivio di Let It Be; il lamento battuto di The Doll Is Mine e quello in coda di For The Damaged; le dita strette di Ninnananinnanoè e il basso di Suonno D'Ajere; l'intermezzo di Appocundria e il profumo di mare di Donna Cuncetta; il pa pa pa di God Only Knows e il commento per fiati e calore di Maybe The People Would Be The Times Or Between Clark and Hilldale; l’assolo dell’Herald e gli archi orientali del Rising Sun; l’intermezzo corale della Prophet‘s Song e il Konomama Iko di Teo Torriatte; il “maybe this time” di Wanderlust e l’assolo di No More Lonely Nights, con gli ettolitri di lacrime al seguito.

Ancora. la chitarra delle Cinque Anatre e l'invito a raccontare altre storie del Vecchio E Il Bambino; lo strazio popolare di Saglie Saglie e la morte per tristezza dello Scapolo; White Summer registrata al Playhouse e il finale per organo elettrificato di Child Of Vision; quel pianoforte bianco che suona mentre la stanza viene illuminata dal sole mattutino e il "soooo free" di George; il wah-wah di Beware My Love e il tentativo di girarsi per chi Cerca 'e Me Capì; il finale di We Got Married registrato al Wembley e quello di Things We Said Today a Madrid; la fusione di voci di Goodbye Stranger e quella senza donne di She's My Kind Of Girl; il refrain per coro e fiati di Here Today e i pinguini di Tomorrow Never Knows…

E' difficile smettere, ma penso che possa bastare.

Un saluto ed un abbraccio fortissimo a tutti coloro che mi hanno sostenuto e de-amato, specialmente i fedelissimi. Un ringraziamento affettuoso a coloro che mi hanno criticato negativamente, ma con costtrutività: c'è sempre da imparare qualcosa. Un cordiale vaffanculo a coloro che mi hanno attaccato con protervia, violenza ed offese gratuite: con la speranza e qui è necessaria la formula dubitativa, che prima o poi capiscano che l'umiltà e la correttezza pagano sempre.

Grazie di tutto Deb! E chissà, magari a presto...

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editoriale di Geo@Geo

Forse non tutti sanno che nei primi quaranta giorni di vita l’embrione, indipendentemente dai cromosomi che possiede, è neutro: infatti sono presenti sia l’abbozzo dell’apparato genitale femminile, sia l’abbozzo dell’apparato genitale maschile. In poche parole niente patatina e niente pisellino.

Solo a partire dalla sesta settimana di gravidanza si incomincia a distinguere qualcosina, guidata dalla presenza o meno del cromosoma Y. Quello femminile, insomma, rappresenta il sesso “di partenza”, una specie di strada obbligata per lo sviluppo embrionale, perché l’embrione diventi maschio occorre l’attivazione e la presenza del cromosoma Y(e pure di un altro gene, ma questa non vuol essere una lezione di genetica).

Ci sarà già qualcuno che si chiede dove vuole arrivare lo scrivano, ebbene è semplicissimo: non gliene frega niente a nessuno sapere di che sesso sei, tanto conta solo avere un Y. Questa è l’unica cosa che conta, anche nel 2012.
Chissà quante XX si saranno sentite dire: “Bene, brava, fai questo proprio come un XY!”. No, belli, lo faccio perché lo so fare: non sono carini i termini di paragone e le capacità non si misurano con il pisellino (quello lo fanno già da soli, i maschietti!). Adesso che faccio memoria, questa frase me la sentii dire molti, molti anni fa e fu detta con l’intenzione di fare un complimento superlativo e doverosamente appagante: purtroppo oltre che una XX, sono geneticamente predefinita una stronza megagalattica e risposi come meglio potei per non scadere nella maleducazione.

Credo che si incominci a capire il titolo, ma non perché sia poi così criptico, no no, semplicemente perché è una domanda che mi sono dovuta riformulare pochi giorni fa e questa è la “vera” sorpresa: dopo più di trenta anni non abbiamo fatto alcun passo in avanti, care le mie XX, e per favore adesso non ditemi, cari i miei XY, che siamo le solite piagnone e femministe di m***a.

Insomma, è veramente l’Y che fa la differenza o è solo comodo che si pensi così?
Fermi tutti ho la risposta: la colpa è di mammà, che durante la gravidanza ha fumato, bevuto e straviziato, ma solo dopo l’ottava settimana, selezionando così quegli Y che nel futuro faranno la differenza!

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editoriale di Precisino

Per scrivere un editoriale, bisognerebbe aver qualcosa da dire.
Il problema è che io non ho nulla da dire.
O meglio: ne avrei di cose da dire.
Ma perché?
Oggi l’unica forma di comunicazione sta nel non detto.
Asciugare. Come un tempo la pasta al sole.
Tutti parlano di tutto. “A schiovere” (letteralmente “a spiovere”, significativamente “a cazzo di cane”), come si dice dalle mie parti di un'altra vita, sovente, senza cognizione di causa e, soprattutto, senza pudore.
Abbiamo perso il senso della foglia di fico.

Un mio amico filosofo, morto troppo vecchio per entrare nel mito e troppo giovane per passare alla storia, diceva che l’umanità si poteva salvare solo con un bel periodo di oscurantismo, una trentina d’anni almeno (ed erano appena gli anni ’80, sarebbero già finiti!). Il non sapere nulla di nulla. “Via dal tanfo, via dal tanfo e per le strade...”. L’inconsapevolezza leggera della vita. Il rendere evento il parto d’un maiale, o la moria di polli del tuo vicino. L’apprezzamento della stilla di sudore prodotta da un corpo affaticato, teso non allo scolpire addominale, ma al semplice faticare.
Ma attenzione: lui non era un luddista, come non lo sono io d’altronde, ma aveva i piedi ben piantati nella terra e, tra le rughe precoci, gli scorreva il mar Mediterraneo. Era un operaio, e amava gli Stones, che aveva visto dal vivo a Napoli nel 1982, carico di sogni suoi e “endovenati”. Vi dico questo solo per allontanare, eventualmente, l’immagine del Buddha de “noantri” o del JimMorrison “der Tufello”.

Un semplice uomo. Che errava (nel doppio senso del verbo) e pensava semplicemente col solo contenuto del suo cranio.
E oggi riderebbe, come vorrei essere in grado di farlo io, senza protervia perché non era roba sua, di tutto quello che si sente in giro.
Ma, d’altronde “oggi chiamano filosofi sé stessi, gli insegnanti di filosofia”… tre puntini sospensivi come da copione.

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editoriale di Geo@Geo

Ogni tanto - che sempre più spesso è “ogni sempre” - mi ritrovo inca***ta come dice il zelighiano Gioele Dix. Non ho l’aplomb e gli occhiali scuri del personaggio, ma i maroni in terra sì.

Linee Guida (LG) in ogni dove. Su Google ne trovi un’infinità con gli acronimi più fantasiosi: per il MIUR e l’INRAN, per una sana alimentazione, per l’SGSS e l’AIC, per il disaster recovery delle pubbliche amministrazioni(?), per il WCAG (queste riguardano il Web), per una sana alimentazione…
Dimenticavo: sapevate che esistono LG per la definizione delle terre e delle rocce da scavo?

Le Linee Guida in pratica sono un insieme di raccomandazioni messe su per cercare di rendere appropriato “un comportamento desiderato”.
Un comportamento desiderato? Ma allora stiamo parlando di buon senso, intuizione, esperienza, cultura, buona educazione, onestà intellettuale e morale.
Ah, ecco, adesso si capisce meglio, ma non le sopporto più lo stesso.
Comunque, non vi vorrei apparire così scriteriata e quindi vi propongo delle belle LG: vuoi mettere un pizzico di auto-ironia?

Ma sì, ma va bene, continuate con le LG, tanto chi ne è schiavo sino in fondo? Forse una categoria c’è: quella dei decerebrati , intesi come quelli che non hanno idee proprie, ma tanta voglia di “adeguarsi al pensiero comune e/o di tendenza”.

Vuoi vedere che codeste LG sono la cosa migliore che ci può capitare in questo mondo decerebrato di globalizzati? O era in questo mondo globalizzato di decerebrati? Non ricordo il primo pensiero, ma che differenza fa…
Facite Vobis.

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editoriale di kosmogabri

Ci sono dei fine settimana in cui mi capita di portare fuori il cane, dove stanno i miei. Immancabilmente, implacabile, mette il muso a terra appena uscito dal cancelletto di casa, scende la via per cinquanta metri, gira a destra, rasenta tutto il muro fino al viale. Poi attraversiamo il viale, e lui, sempre naso a terra, tenace, testardo, arriva fino al palo giallo della fermata del bus. Annusa, e piscia.

Linea 2 Bis. Il cane non lo sa che io la linea 2 Bis l’ho presa quasi ogni mattina, per otto anni, quando facevo le medie e le superiori; prima della sua nascita, prima della nascita dei suoi genitori e forse anche dei suoi nonni, insomma prima del suo pedigree. E non lo sa che il palo della linea 2 Bis era un traguardo ed un punto di partenza, ogni giorno, quando mi alzavo dieci minuti prima che arrivasse il bus, milavavomivestivofacevocolazioneecorrevodirettamenteinstradasenzaessermimessolozainoaddosso.

Per otto anni ho preso quasi ogni mattina il bus che mi portava a scuola e che arrivava alla mia fermata già pieno della gente del quartiere prima e del paese prima, così che io e i due tre della fermata – che non conoscevo, e con cui non parlavo perché ero sempre in ritardo – dovevamo salire a spintoni, stringerci sulle porte, e sperare che si chiudessero.

I giorni peggiori era quando pioveva, perché c’erano molte più persone, e di salire non se ne parlava nessuno, dovevi aspettare la prossima corsa che ti faceva arrivare in ritardo, o sperare nella pietà della vicina di casa che portava le figlie alle private e ti dava un passaggio in Mercedes, perché i Suv non li avevano ancora inventati e il Pajero lo usavano i mariti.

I giorni migliori era quando era bel tempo e si faceva primavera, c’era meno gente e si stava in piedi con un poco di spazio, ne vedevo e sentivo di tutti i colori, del tipo che senso ha che Piovanelli sia andato alla Juve, a me ed a mio papà il Trio che fa i "Promessi Sposi" ha sempre fatto ridere, oggi pomeriggio andiamo in sala giochi e cerchiamo di finire "Dragon Ninja", quanto costa la Best Company di tua sorella, le Lumberjack sono da sfigato meglio le Timberland e via dicendo.

Poi mi ricordo Serena, che stava sempre nel sedile in fondo e non sono mai riuscito a parlarle, finché si è saputo che d’estate aveva trovato uno in piscina e ogni illusione era finita; Paola che era decisamente più grande di me, tanto più grande che a un certo punto non si è più vista salire, e passava davanti alla fermata guidando il maggiolone bianco della madre; Stefania, che metteva i tacchi e un giorno si è messa a parlarmi di Dario Argento, e di quanto belli erano i suoi film, e che il suo preferito era "Inferno", e che sarebbe andata all’Università perché tutto le stava stretto, e che.

E poi c’era M. Metto solo l’iniziale perché i nomi alle altre li ho messi a caso, mi ricordo più i loro volti che come si chiamavano, o forse non ho mai avuto il coraggio di chiedere, o anche di sentire il loro nome vero.

M. invece la conoscevo, perché andavamo a scuola assieme e faceva la classe accanto alla mia, condividendo le ore di ginnastica e il bus. Di M. ricordo che aveva i capelli lunghi tutta la schiena, e biondi. E i pantaloni stretti e chiari. Lei a volte mi parlava, io stavo zitto, ma poi pensavo a lei nei giorni difficili, come il sabato e la domenica.

Una decina d’anni fa ho provato a cercarla su google, con la speranza vile di non trovare niente, che si fosse sposata con qualche imprenditore o qualcuno di successo o con qualche non so cosa, e fosse sparita: e invece faceva il medico in Bolivia, con le foto del progetto e con tutti i malati e i bambini attorno, con la richiesta di donazioni o di aiuto da parte dei giovani medici di tutto il mondo. E sono rimasto zitto, come stavo zitto sul bus.

Sto scrivendo questo editoriale su un treno di quelli belli – di quelli seri, tipo freccia – in un momento in cui ho il doppio o il triplo degli anni dei passeggeri della corsa 2 Bis della mattina presto, che nel frattempo continua il suo servizio mentre io, e gli altri, ci siamo dispersi altrove.

Vorrei scrivere che sono malinconico, che ricordo con nostalgia i tempi del 2 Bis, che nulla tornerà e che quando ho perso M. l’ho persa per sempre, e che M. non c’è più, oggi c’è un medico nel terzo mondo; che Serena e Paola sono diventate mamme e guidano finalmente i Suv o le utilitarie che costano come le Mercedes; che Stefania sicuramente fa l’aiuto regista a Parigi, o a Londra, o non fa nulla di tutto questo, magari si guarda nello specchio e accende un’altra sigaretta.

Vorrei dirvi tutto questo ma la verità è che non ho nulla da dire, oltre al fatto che per otto anni sono salito su un bus, prima di cominciare a salire sui treni.

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editoriale di enbar77

Dire che "Sono stato a Redipuglia" sembrerebbe un tantinello riduttivo. Ed in fondo lo è. Dà l'impressione di una frase buttata giù con la noia spavalda di un lattante che racconta una improbabile gita scolastica. Magari tra un morso al panino e uno sguardo velleitario alla belloccia della classe.
Questo abbrivio è stato inserito volutamente, per confrontarlo con un più meritevole "Ho annoverato nell'orgoglio la possibilità di aver visitato il Sacrario Militare di Redipuglia". Ecco, funziona molto meglio anche se macchinoso. Per lo meno è degno di ciò che la mia coscienza ha potuto percepire in una giornata fredda, dove il sole non riusciva a filtrare la corazza spessa di nembi minacciosi in stato d'allerta.

Quando vivi in un paese che ti permette di perdere senza sforzo quel poco di dignità o integrità morale strenuamente difese nel quotidiano, sono convinto che in posti come questo puoi ancora trovare qualcosa che dimostri il contrario.

"Non curiosità di vedere ma proposito di ispirarvi vi conduca.".

L’ingresso pretende silenzio e rispetto. Una mano dal cielo ti impone di liberare la mente da ogni cosa. Sono quasi solo, salvo qualche nostalgico e, con vivo stupore, qualche giovanissimo. La quiete del luogo è infastidita per un pugno di secondi dalle poche macchine in transito sulla strada che divide in due il riposo della gloria. Interessante sapere, di fronte alla prima tomba incontrata sul cammino, che il Duca d’Aosta, Emanuele Filiberto di Savoia, ordinò espressamente di essere tumulato accanto i propri uomini morti in battaglia. Oggi un suo infimo discendente omonimo non ha proprio un cazzo da fare.

Nomi, gradi, reparti, settori… in migliaia stampati con rilievo su un bronzo eterno. Vado alla ricerca, senza dissimulare uno stupido orgoglio, di almeno un soldato che portasse il mio stesso cognome, pur non essendo mai stato innestato nell’albero genealogico a cui appartengo. Ne conto quattro o cinque ed è per me un valore aggiunto. Magari bambinesco, ma vi garantisco che nel contesto può assumere una piccola soddisfazione d’acciaio. Continuo a percorrere la scalinata seguendo la linea di una serpentina che ha il potere di trainarti fino alla sommità. Man mano che percorro le pareti costellate di nomi, un senso di inquietudine mi limita il respiro. Un pizzico di commozione mi coglie nel leggere troppe volte, una sola lettera seguita da anonimi puntini.
Un povero dio che non può essere ricordato da nessuno. Potrebbe essere lui, ma il dubbio rimane. Delle sue spoglie resta solo l’iniziale del cognome o del nome, difficile da attribuire a qualcuno che, oltre alla sventura di morire in guerra è stato colto dall’implacabile mannaia dell’oblio. Ad un passo dal milite ignoto. Ne incontrerò a decine con i nomi morsicati dal tempo. Soldato F., Soldato M., Soldato G., che la sorte non impedisca ai posteri di ringraziarvi.

Su ogni gradone appare in rilievo la scritta "Presente”. Nell’insieme è suggestiva ma purtroppo offuscata da un sapore fascista che ritengo indegno. Non a caso il monumento è del 1938, l’anno in cui lo stesso pover’uomo che promulgò le leggi razziali, qualche anno dopo, sulla scia di un folle bruciò la meglio gioventù italiana nel velleitario tentativo di spezzare le reni alla Grecia di quella gran puttana della madre.

Giunto sul Golgota della Prima Guerra Mondiale c’è una cappella che raccoglie la gloria di oltre sessantamila soldati non identificati. Torno giù e prima di accedere al parco del Colle S. Elia situato di fronte, una scritta mi fa sinceramente rinvigorire:
"O viventi che uscite se non sentite più sereno e più gagliardo l’animo voi sarete qui venuti invano.".

Nel parco c’è la possibilità di entrare in trincea e vedere da vicino i mezzi con cui le uniche persone che possono fregiarsi del titolo di Patriota, hanno combattuto, con l’ausilio di unghie e denti per strappare un pezzo di terra all’Austria. I sentieri sono ornati da cumuli di pietre su cui sono apposte delle targhe che declamano atti eroici in versi colmi di puro orgoglio nazionale. Mi permetto di indicarne qualcuno ma sono tutti bellissimi.

Il Fante: "Passasti fra le genti come il piccolo Fante ed ora nella fossa rimbalzi a noi gigante.".

Le Pinze Tagliafili: "Se fur vane le pinze valsero i denti.".

Cappellano Militare: "Soldato della spada e della Croce anche nel sonno vigilo. La voce ascolta. Parlo a Dio, che i cuori ammalia. Dico: - Signore!, e tu rispondi: - Italia! ".

In queste frasi trovo una forza d’animo devastante. C’era sincerità, patriottismo, emozione. Gli stessi fattori che ho rilevato nelle lettere dei condannati a morte della resistenza, gli splendidi epitaffi degli ultimi patrioti raccolte dall’Einaudi. Quegli italiani ci credevano. Sissignore, ci credevano. Non oso immaginare cosa potrebbero pensare se vedessero cos’è l’Italia oggi. Mi guardo intorno, sono solo e mi vergogno.
Nel cuore ho riservato un palco d’onore ad una frase che vale tutta l’esperienza. Una piccola emozione che spero proviate tutti.

Soldato Ignoto: "Che t'importa il mio nome? Grida al vento Fante d'Italia e dormirò contento!" .


Ecco, carissimo amico ad un passo dal Milite Ignoto. La tua umiltà ha un valore immenso e tanto basta per essere stato giustamente rivendicato.
Ho pianto.

che fiko quest'editoriale, allora scrivilo anche tu!

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editoriale di Hank Monk

Si era tutti in fila, pronti per essere giudicati. Remissivi e docili non si pensava ad altro che al proprio turno; certo, si sapeva che non tutti saremmo stati idonei. Io, per conto mio, pensavo ad un mare limpido. Colori saturi e morbidi: l’azzurro di un flutto, una spiaggia dorata, bagnanti con cappelli di pagliuzze e costumi rossi. Mi ritrovavo invece immerso nel grigiore, e non era facile accettare di non essere uno dei protagonisti della mia fantasticheria. La realtà era costituita da colori sgualciti, l’autorità era una cultura austera e auto compiacente; anche un poco boriosa, per dirla tutta.

Io lo stavo accettando, ma non riuscivo più a viverlo con serenità. Tutto quello che desideravo era un bel luogo in cui passare la mia vita, una donna da amare e delle persone di cui prendermi cura. E invece ero lì in fila, sperando in un successo che mi proiettasse in un futuro in cui dovermi mettere costantemente alla prova, spendere le mie energie per un qualche tipo di gloria. Sembra che sia necessario dovere dimostrare di essere qualcuno, come se la nostra abilità in una qualche disciplina ci potesse fornire l’attestato del nostro valore.

Perché bisogna sempre agire? Perché non basta essere?

Stavo rimuginando sulla mia triste condizione quando venni urtato; una voce gentile mi chiese scusa e mi sorrise. Fui molto grato a quella voce sorridente, mi infuse una certa tranquillità.
Sarebbe bello poter godere dei momenti felici anche senza esserne coinvolti in prima persona; il punto è che una cosa non è bella se non ci riguarda, e quel sorriso non mi avrebbe dato nessuna serenità se fosse stato rivolto a qualcun altro. Venni scartato, con infamia tra l’altro; ma quell’occasione mi permise di conoscere la ragazza che si celava dietro a quella voce sorridente e riscoprii il gusto di essere amato.


Il bello di essere amati è che si è amati per quello che si è, non per quello che si fa. Questo comporta una notevole serenità a riguardo della propria persona e della sua funzione all’interno di questo universo. Ed è questa serenità che ci permette di guardare il mondo con sguardo più compiaciuto; di non additare impietosamente alla pochezza della nostra vita, ma di vederla piena anche se vissuta nella nebbia.
Abbandonata l’angoscia di dovere dimostrare, si trova la piena gioia dell’essere: in questo stato riusciamo a godere anche di una brumosa periferia, della compagnia di persone che prima ritenevamo insoddisfacenti e si smette di arrovellarsi nel cercare un senso.

Il senso tuttavia è semplice: è essere felici. Ma per esserlo abbiamo bisogno di qualcuno che ce ne dia il permesso, qualcuno che ci accetti in quanto esseri statici e che non sia interessato ai nostri successi più di quanto non lo sia a ciò che potrebbe accadere durante un ipotetico scontro tra buchi neri.

che fiko quest'editoriale, allora scrivilo anche tu!

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editoriale di kosmogabri

Ci sono cose, più di altre, che riescono a scatenare un fortissimo senso di appartenenza e un campanilismo fuori dal normale. E’ il caso dell’editoriale di tale Jan Fleischhauer, pubblicato sul settimanale on-line della quotata rivista tedesca Der-Spiegel.

Il senso dell’articolo è, più o meno, quello di denigrare l’italiano medio, identificabile in Schettino, il vile, incosciente, fannullone e pavido comandante della Costa Concordia, affondata sulle rive dell’isola del Giglio.

Secondo quel signore tedesco, dimentico di tutto ciò che di malvagio e quasi neppure citabile, la Germania ha fatto al mondo, ecco che se ne esce con frasi secondo le quali il comandante di quella nave non avrebbe potuto essere che italiano, non certo tedesco, non certo inglese.
Lungi da me, con questo scritto, prendere le difese del comandante, vorrei sottolineare come io - e presumo la stragrande maggioranza dell’uomo medio italiano - non abbia nulla di identificabile con quel personaggio, così negativo, unico e isolato nel suo gesto insulso.

Quindi, caro scribacchino tedesco, sappia che io posso essere considerato un italiano medio, uno che vive del proprio lavoro, che non truffa, non corrompe, non delinque, con una coscienza grazie alla quale tenta di fare il meglio della propria vita, senza voler strafare o pretendere l’impossibile. Capita, a volte, di voler fare qualche passetto un pelo più lungo delle gambe, ma sono solo attimi, stroncati dall’imperante crisi generalizzata.

Come italiano medio, prima della laurea, per mantenere i miei studi e prima di poter indirizzare tutte le mie forze nel mestiere che ho scelto per la mia vita, ho fatto un po’ di tutto: il barista, il cameriere, il muratore, il rappresentante e anche il bagnino. E’ proprio questo ultimo mestiere che mi fa ricordare un episodio nel quale un suo concittadino tedesco, decisamente incosciente e forse un po’ stupido, pensò di poter fare il bagno con un mare mosso ben al di là delle sue possibilità. Ebbene, a rischio della mia vita, lo salvai prima che la corrente lo facesse schiantare sulla scogliera. Le assicuro che la mia vita fu messa davvero a repentaglio per il gesto del tutto sconsiderato del suo connazionale. Be’, ora mi piace immaginare quell’uomo, allora sulla sessantina, come suo padre e pensare che se io non lo avessi salvato, lei non esisterebbe neppure e l’articolo, così sconcio, nei miei confronti e di tutti gli italiani medi, forse non lo avrebbe scritto nessuno.

Tutto questo pur comprendendo la filosofia del cittadino medio, già, perché quando in estate vediamo un tedesco dalla pelle bianchiccia, rotolarsi al sole, unto e bisunto di improbabili oli solari, con al suo fianco innumerevoli lattine di birra, e rivederlo verso sera praticamente ustionato, rincoglionito dal sole e dalle birre, passeggiare con la sua enorme pancia rossa e i suoi sandali in cuoio con i calzini, ecco, mi viene proprio da pensare che quello sia uno stupido e ottuso tedesco medio.

Forse innocuo, ma al quale non affiderei neppure il compito di farmi funzionare un frullatore.

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editoriale di fosca

Per varie ragioni, da qualche tempo alla mattina esco abbastanza prima del solito per recarmi al lavoro, e volendo variare un po’ la routine ho anche deciso di cambiare tragitto e quindi mezzi di trasporto. Più di uno, purtroppo. Il tempo che perdo in questa occasione è abbastanza considerevole ma lascia spazio a molte riflessioni, sempre che se ne abbia voglia già a quell’ora.
Abitando a Milano ed avendo un’affezione particolare per questo mezzo, la prima parte del tragitto (prima di inabissarmi in metropolitana) la passo sul tram, possibilmente in zona finestrino con musica in cuffia, anzi cuffiette, ci tengo a sottolineare: non sono fautrice del ritorno alle “cuffie dimensione Rischiatutto” per l’ascolto stradale. Ho quindi modo di osservare le persone che incrocio, quelle che mi si muovono intorno, a volte al fianco, o sui marciapiedi, habitués come me della fascia oraria di primissima colazione, quelli che a volte hanno ancora le righe del cuscino stampate sul volto, o i capelli schiacciati sotto il peso dei sogni. Mi piace sbirciare le espressioni, indovinare gli umori dalle rughe di queste, provare ad immaginare il tipo di lavoro dall’atteggiamento o dall’abbigliamento per quanto l’abito non faccia il monaco, specie nelle metropoli.

Certo, e nelle metropoli è abbastanza usuale che gli stati umorali e le espressioni facciali di cui sopra siano fin dalla mattina presto sull'incazzoso andante, specie in spazi di poco più di un metro quadro, da condividere con minimo altre nove persone ridotte a sardine, con le quali ci si riduce ad avere più intimità che coi propri cari la sera…

Quello che mi colpisce maggiormente è l’attività frenetica da formicaio degli addetti al lavoro di portineria nei palazzi condominiali, per signorili o modesti che siano.
A quell’ora li trovi già tutti fuori, sul marciapiede adiacente, rossi paonazzi per il freddo pungente del mattino invernale, con sempre le stesse giacche, con la loro canna dell’acqua che brandiscono stile frusta e la loro scopa a prova di asfalto, lì che puliscono e puliscono e puliscono ogni mattina gli stessi trecento centimetri quadri di androne, di marciapiede, di passo carraio con la stessa cura e gli stessi gesti di ogni mattina.
Passandogli a fianco quasi ti viene voglia di chiedere scusa per la tua invadenza e le tue suole non proprio monde che vanno a rendere del tutto vano lo stesso rito del giorno prima e di quello prima ancora.

Ed ogni volta non posso fare a meno di chiedermi che senso abbia (far) pulire l’asfalto non tanto ovviamente da tracce di urina umana e non, o a volte da bottiglie, cartacce e sputi, quanto piuttosto da quei pochi variopinti petali secchi volati da balconi striminziti, quelle poche foglie morte di dimensioni lillipuziane lasciate da alberi decennali che a dispetto del progresso affondano le loro radici nell’asfalto, contro ogni logica umana e buon senso, o da quelle centinaia di migliaia di passi che da anni solcano marciapiedi e vite umane, raccontando chissà quali storie di miseria o felicità, gioventù o decadenza, di parcheggi disperati e richiesta di elemosina, di capannelli di ragazzi davanti ai citofoni o all’aperitivo del bar a fianco.

Mi stupisce ancora questa ostinazione a fornire un decoro di facciata, proprio quando si sa che quello che si vorrebbe lustro e lindo non è il parquet del salotto buono ma il marciapiede di catrame antistante il portone condominiale, ma che proprio i condomini vogliono lindo. E quindi ogni mattina ed in ogni angolo della città, loro sono lì, caparbi e a decine, a condurre la loro battaglia personale e irrisolvibile contro l’asfalto, contro il perbenismo borghese e il bisogno altrui di avere sempre il controllo su tutto, perfino sull’assurdo.

Una di queste mattine lo faccio… ne fermo uno a caso e glielo dico: “Lascia stare, tra mezzora è come ieri. Piuttosto vatti a prendere un caffè al bar, ce l’hai proprio di fianco. Vedrai che non se ne accorge nessuno”.

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editoriale di Geo@Geo

Non so se sia permesso linkare in un Editoriale, ma questo è L'Editoriale per eccellenza: 25 Gennaio 2005. Non sono poi tanti gli anni che ci separano da quel fatidico giorno e non mi pare che nel frattempo le cose siano cambiate talmente tanto da far parlare di "DeBaser in procinto di morire…" (cit).

Gli ultimi cambiamenti, che hanno fatto storcere il naso ai conservatori, sono forse solo apparentemente "commerciali", in realtà movimentano il sito e permettono interscambi in diretta: esattamente come in una chat!

Chi, con queste novità, entra in chat dove il numero dei partecipanti è ovviamente limitato? Ma quando mai rinunceresti ad interloquire con chi vuoi, quando vuoi e dove vuoi? Ma perché mai rinunciare a quel pizzico (?) di esibizionismo, che ti permette di far vedere quanto sei figo (o fiko) a tutti i debaserioti connessi in quel preciso momento?
Non me ne frega una cippa se i lettori penseranno alla solita sviolinata da parte di Geo: sono adulta e vaccinata, e di sicuro non mi preoccupo di dire (o scrivere) quello che penso (qui ci vorrebbe una faccina impenitente!). Ohibò!

Arrivati a 'sto punto, ci si potrebbe chiedere (ma anche no), che c'entra il titolo; vi darò solo un piccolo indizio: quello che sembra, non sempre è, ed il film lo descrive bene!

PS: Come ha detto una mia amica, auguro a tutti "Buon Tempo e Tanta Forza.".

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