editoriale di emofiliaco

"L’impegno per la preservazione di figure che sono importanti per la storia del calcio e dello sport italiano deve essere serissimo da parte di chi, per esempio come noi, orienta l’opinione pubblica."
(Andrea Monti, Direttore della Gazzetta dello Sport)

Premessa A: Della frase sopra m'interessa solo “orienta l'opinione pubblica” e il fatto che a dirla sia stato un giornalista.
Premessa B: Una Lex ad Personam può essere fatta per favorire qualcuno ma anche per danneggiarlo.

Nel 1988 Pedro Delgado vinse il Tour de France. Nella stessa competizione venne trovato positivo al Probenecid (un diuretico che al tempo veniva associato a pratiche dopanti in quanto agente coprente degli steroidi anabolizzanti) ma non venne squalificato perché quel principio attivo era illegale per il CIO ma non per l'UCI (e a dire il vero lo sarebbe diventato una quindicina di giorni dopo: ma non in seguito alla positività del ciclista spagnolo ma per un calendario deciso mesi prima dalla federazione ciclistica)

Nel 1996 Bjarne Riis vinse il Tour de France, nel 2007 indisse una conferenza stampa in cui ammise pratiche dopanti (tra il '93 ed il '98) e si disse disposto a rinunciare al suo nome nel palmarès. Praticamente subito gli organizzatori del Tour lo cancellarono ma dovettero (a malincuore immagino) reinserirlo perché il reato era coperto da prescrizione (dieci anni: qui chi è malizioso può pensare che il buon Bjarne ne fosse consapevole, evidentemente gli organizzatori della Grande Boucle e l'UCI no).

Dal 1999 al 2005 Lance Armstrong vinse sette Tour consecutivi passando indenne cinquecento test antidoping (si parla di un costo di mille euro a controllo quindi circa cinquecentomila euro buttati al vento: forse la WADA prima di cantar vittoria dovrebbe riflettere su questo).
Ora sembra che grazie ad un dossier del USADA (mille pagine circa che lo inchioderebbero soprattutto grazie a testimonianze di “pentiti”, e già qui... ma uso il condizionale perché potrebbe uscire che prove concrete ce ne siano) gli verranno tolti (quindi io non ho capito se l' UCI ha modificato la regola dei dieci anni, ma sembra di no e comunque mi correggerete voi, o lettori, se sbaglio se ancora non sa che esiste o se semplicemente farà una legge ad personam perché in caso contrario almeno quattro Tour sono “intoccabili”).

Ora non mi è mai piaciuto Armstrong (neanche prima della malattia e ricordo come uno dei giorni tecnicamente più poveri del ciclismo la sua vittoria mondiale del 1993) per vari motivi: per le frequentazioni con Conconi e Ferrari (che peraltro lui non nascondeva), per il modo da “pistolero” di gestire la squadra e i rapporti del potere, per quell'essere testimonial/padrone di un Tour da manifesto pubblicitario, eccetera...

Non mi è mai piaciuto ma mi sta abbastanza antipatico che nessuno ancora abbia fornito all'opinione pubblica (quella che va orientata secondo il direttore della GdS) delle circostanze concrete oltre a delle sensazioni di qualcuno o qualcosa che sembra preoccupato più che altro a distruggere un personaggio diventato improvvisamente ingombrante proprio nel momento che non serve più.
Prevengo chi potrebbe fare parallelismi con il caso Pantani ricordando che il ciclista romagnolo non fu mai squalificato ma semplicemente fermato per quindici giorni in via cautelativa (motivi di salute riguardanti il tasso di ematocrito troppo alto) ed il resto fu un inferno che si costruì (quasi, perché a essere onesti i Media ci misero del loro) da solo.
Ma a parte questo qualcuno (magari l' UCI tramite chi orienta l'opinione pubblica) ci può dire come e soprattutto perché abbia potuto farla franca, fino ad adesso, visto che moltissimi altri suoi contemporanei furono beccati "in diretta"?

Una cosa positiva c'è: quei Tour (se revocati) non verranno riassegnati.
Qualche federazione (non ciclistica) sportiva dovrebbe rifletterci su.

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editoriale di Hank Monk

Biologicamente parlando intendo: che senso ha vivere? Non mi sono risposto. Mi sono tuffato nella carne; convulsioni. Un fiotto caldo, un sussurro: non ho risolto nulla. Ho un problema con il sesso: troppo poco per essere ruggito sotto le stelle. Troppo per avere la dignità di raggomitolarsi in un angolo. Violento o nolente uno ha pur bisogno delle sue radici: che senso ha vivere? Biologicamente parlando intendo.

E allora di nuovo a capofitto in un vortice di membra, che non ti danno il diritto di parlarne, che non ti presentano mai il conto. Che non fanno certo di te un uomo migliore. Che uno poi si chiede il perché. Ma il perché lo conosciamo, o perlomeno io lo conosco. O perlomeno così mi han sempre fatto credere.

Che poi uno se ne esce con gli amici. Magari se la ride anche eh. Magari uno si sente anche a posto con la coscienza. Ma magari è sempre il solito sacco di merda. Che se uno fosse veramente a posto, io penso che non ne avrebbe neanche il bisogno. Che non vorrebbe nemmeno sentirne parlare.

E poi: io me ne vado! Questo paese non mi merita! Che sarà anche vero, per la miseria. Ma nemmeno tu meriti un posto migliore. Che una volta la dignità era spaccarsi la schiena; farsi tutta una guerra mondiale in prima linea; riuscire nonostante tutto a crescere dei figli normali. Che almeno uno aveva la possibilità di dimostrare quello che valeva, vero? Di prendere una posizione. Ora non ci resta nemmeno più quello?

La plastica è finita; ora son cazzi.

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editoriale di Gallagher87

Ora più che mai rivedendo l'immagine di Ian Watkins in concerto con la t-shirt con scritto "I Make Dirty Love!" fa un po' paura, e fa tanto schifo.

Occorre precisare che fino a conclusione dell'indagine tutto sia da verificare ma gli indizi pare portino tutti verso una conclusione: Ian Watkins leader del gruppo gallese Lostprophets, è accusato di tentata violenza sessuale ai danni di un minore, anzi ancora peggio (ove in questi contesti possa esistere davvero un qualcosa di peggiore rispetto a qualcos'altro) di una piccolissima bambina di solo un anno. A dovere di cronaca c'è da dire che "La polizia, dopo aver eseguito il fermo del cantante, ha compiuto dei controlli anche sul portatile, trovando file di materiale pornografico. L‘accusa per il frontman è di cospirazione finalizzata allo stupro di una bambina sotto i tredici anni di età e, considerata la gravità, Watkins è già comparso davanti al giudice per la prima udienza preliminare, e, naturalmente, l’imputato ha respinto qualsiasi genere di attacco, dichiarandosi assolutamente innocente." come riportato da fonti giornalistiche. C'è poco da dire, e se il reato verrà confermato c'è tanto da condannare, in quanto si suppone a rigor di logica, che il cantante abbia già compiuto tale schifo in passato. Se si può parlare di musica in questo contesto, è inutile dire che la carriera dei Lostprophets, almeno così come la conosciamo, è praticamente terminata.

Su Twitter il loro ultimo messaggio è il seguente; "A message from Jamie, Lee, Luke, Mike and Stu > http://www.lostprophets.com" e il link al sito riporta un unico, univoco e freddo messaggio, tradotto: "Dopo aver appreso delle accuse e dell’arresto, avvenuto oggi, di Ian Watkins, ci ritroviamo in stato di shock. Stiamo cercando di conoscere i dettagli delle indagini, come voi. E’ un momento difficile per noi e per le nostre famiglie e vogliamo ringraziare i nostri fan per il loro supporto, mentre cerchiamo di trovare risposte.”.

Si scatenano intanto le accuse di tutti. Di diversi fan che tentano di trovare correlazioni di tali azioni coi testi delle sue canzoni, e dei giornali che nel Regno Unito non fanno che parlare d'altro. Tutti contro Watkins, che da sempre destava dubbi sulla sua presunta omosessualità, mai correlabile però ad azioni infamanti come quelle a cui è stato obbligato a rispondere.

Attendendo gli esiti di questa bruttissima storia, la prima perplessità che mi sento di esternare è legata semplicemente a come i soldi a volte, diano fottutamente alla testa. Nessuno potrà mai confermare se questa affermazione sia verità assoluta, oppure se tale "indole innata" si sarebbe comunque esternata indipendentemente dal successo e dalla vita estrema da Rockstar. Fatto sta che Ian Watkins era, almeno in UK, una sorta di divo per le teenager 'alternative'.

Una cosa però è certa; farò la parte del moralista, ma a sentenza terminata andrò a ripescare la maglietta della band comprata qualche anno fa (che non è la stessa indossata live dal cantante) nascosta non so dove in qualche armadio e, schifato la butterò via.
Quando questo editoriale verrà pubblicato, potrebbero essere sorti aggiornamenti importanti su questo caso, in attesa di ciò, dico "a non rivederci" ai Profeti Perduti.

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editoriale di geenoo

Mi sveglio, mi alzo in un silenzio di tomba.
E’ il primo gennaio 2013. Sono le 8 del mattino, mi lavo la faccia con l’acqua fredda, mi rado, mi vesto. Scosto un po’ la tenda della finestra e fuori sta sorgendo un sole freddo. Nessuno si muove, niente.

Scendo in garage, metto in moto ed esco. Sono le 8,30.
Mi fermo a fare il pieno ed il benzinaio, con un sorrisetto, mi fa la prima battuta dell’anno “ Ma dove va, oggi, a quest’ora del mattino?”.
Incrocio lo sguardo di una bellissima ragazza, ha ancora rimmel pesante e lustrini intorno agli occhi, si intravvede un vestito nero ed elegante.
Ma a quest’ora è fuori luogo e contesto.

Il sole sta salendo, io ho imboccato un’autostrada deserta e gelata.
140 km/h verso l’ospedale Sant’Orsola di Bologna. Esco a Bologna-San Lazzaro. Faccio qualche chilometro di una tangenziale morta. Arrivo al parcheggio dell’ospedale. Metto l’auto nella piazzola. Mi metto il giubbino, entro dall’ingresso principale.
Fuori c’è un signore con un tubicino infilato nel naso che fuma, mi sorride e mi augura buon anno.

Salgo l’ascensore, infilo il primo corridoio, il secondo ed eccola lì.
La abbraccio, due parole. Parliamo.
Scendo di nuovo al bar. Faccio un pranzo freddo ed indigesto.
Torno su, altre parole, poi arriva il momento dei saluti.
Due baci, due occhi neri, un grande sorriso con denti che sembrano troppo grandi.

Un veloce e feroce flash-back: io grande e lei piccina che ci rincorriamo in bici in una strada assolata.

Dentro sono freddo. Pago il biglietto del parcheggio. Risalgo in auto, tangenziale e sono in autostrada.
E’ sempre il primo gennaio. Sono le 15,30, adesso la gente che si è divertita si sta svegliando tra i postumi di una bella sbornia.
Io guido con il mare nero a sinistra ed un tramonto giallastro a destra e la solita domanda stronza e, oramai l’ho capito, senza alcun senso, riaffiora come un caimano da acque torbide e nere: perché a soffrire è chi non ha nessuna colpa?
Perché soffre un bambino?
Perché si muore giovani e senza alcun motivo?

La risposta, desolata, arcigna, secca, algida, mostruosa è sempre quella: perché si.

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editoriale di De Lorenzo

Gentili utenti, faccio il mio esordio in qualità di editorialista su Debaser per gentile sollecitazione e pressione di molti di voi, che spesse volte mi hanno contattato nei mesi scorsi, per un saluto, per alcuni suggerimenti, per una diagnosi della politica e dell’economia in un’epoca di profondi e per certi versi inattesi cambiamenti.

Avverto quindi l’utenza meno avvezza all’approfondimento, ed adusa a sfruttare gli editoriali per le proprie personali narrazioni sentimentali - filtro soggettivo per proporre una visione del mondo incomunicabile agli altri se non nella sua espressione estetica - che in questo editoriale (come pure nei prossimi che mi auguro di poter redigere) ci concentreremo sulla sostanza e non sulla forma, sull’esperienza comune e sulle relazioni possibili piuttosto che sugli slanci solipsistici da riservare ad altri momenti.

Venendo all’oggetto della mia dissertazione, vorrei approfondire la problematica della post-democrazia on line, che attualmente trova il suo supporto materico, se non la sua stessa causa, nel web e nelle sue molteplici piattaforma e comunità: sono recenti, e certamente note a tutti voi, le vicende in cui le nuove tecnologie sono state utilizzate in termini innovativi per proporre candidati, proposte, ed ottenere indici di gradimento o voti che dir si voglia.
Sarebbe tuttavia riduttivo limitare il fenomeno al solo movimento nostrano, dato che la e-democracy rappresenta un tema che trascende lo stretto confine patrio: forme di democrazia diretta mediante fora in cui formulare proposte o giudizi politici (gli eredi virtuali dell’antico forum), forme di comunicazione politica attraverso comunità del tipo facebook, forme di auto-promozione professionale-politica mediante linkedin o quant’altro danno una chiara idea della complessità del problema.

Visto con l’occhio disinteressato dell’osservatore esterno e del notista politico, il fenomeno presenta almeno un paio di costanti: il linguaggio ed il modo con cui si presenta una persona, o si rappresenta una proposta politica, resta essenziale, anche in chiave retorica; la dimensione retorica è propria di ogni mezzo di comunicazione, per cui anche video, documenti, musica e quant’altro si inseriscono in una retorica multimediale finalizzata alla persuasione o al convincimento del ricevente, più che alla ricerca della verità o alla promozione di valori; l’espressione del consenso o del dissenso rispetto alla proposta ha invece mezzi tendenzialmente limitati all’espressione di un gradimento in codice alfanumerico, alla formulazione di giudizi tendenzialmente ristretti a poche centinaia di caratteri, privilegiando così l’efficacia della risposta nelle forme della polemica e dell’invettiva, anziché attraverso una proposta costruttiva o un confronto franco.
Prevale la velocità della comunicazione, l’appeal delle proprie idee, la capacità di rappresentarsi e rappresentare: tutti valori che nell’antichità classica sarebbero stati riconducibili alla protezione del dio Ermes, il messaggero degli dei, o, in termini più laici, archetipo del modello di comunicazione binaria e rapida che si esprime tramite sms, twitter, “mi piace, non mi piace”, stellette o palline: abbiano ad oggetto una canzone, un ristorante, il rating economico-finanziario dell’impresa per cui lavorate o del paese in cui vivete.

Possono esservi certamente delle eccezioni, ma questi appaiono di norma i confini del “mezzo”, che non è forse il “messaggio” nei termini di McLuhan o di tanto post-modernismo, ma appare certamente come un mezzo capace di condizionare l’articolazione del messaggio. Non escludo che i romanzieri russi del XIX sec., viventi oggi, aprirebbero un blog, anziché attardarsi nella stesura di un Karamazov o di un Oblomov.
A ciò vorrei aggiungere un’ulteriore osservazione: il mezzo ed il messaggio hanno un singolare effetto di “mimesi” nei confronti dell’uditorio, che tenderà a reagire nei confronti del messaggio attraverso un imitazione degli stessi stilemi e degli stessi meccanismi di comunicazione, come del resto pare comprovato da recenti ricerche in tema di “neuroni specchio”.
Ad sms o twitter polemico si risponde con sms o twitter polemico; ironico con ironico; ad attribuzione di punteggi o di rating con altri punteggi ed altri rating volti e via dicendo.

Gli utenti più attenti e serii hanno certamente inteso ed anticipato il prossimo passaggio della mia analisi cogliendo significative analogie fra l’atteggiarsi di una comunità politica on line e l’atteggiarsi di una comunità che, più innocuamente, si occupa di arti musicali, visive, video ludiche o letterarie come Debaser.
A ben guardare, mezzo di trasmissione del messaggio, qualità del messaggio, effetto mimetico, rivelano impressionanti analogie strutturali: muta semplicemente l’oggetto della discussione, laddove l’ars politica resta sotto la salda protezione della dea Atena, mentre l’ars ludica debaseriana vaga fra la protezione di Apollo, Afrodite e Dioniso, a seconda delle arti e degli interessi degli utenti.

Chiudendo con una possibile esemplificazione del mio discorso e lasciando spazio ai suggerimenti dell’utenza: se un’utente si iscrivesse a Debaser attivando una identità contraddistinta da un richiamo al comunismo (es. Berjia Jr), con una de-scheda con chiare allusioni a simboli comunisti (es. un parata di carrarmati nella piazza Rossa), o con una biografia che solletica parallelismi con altri comunisti conosciuti dall’utente (es. trascorsi da camallo o metalmeccanico) la reazione preventivabile dell’utente medio potrebbe essere identica nello stile e nel linguaggio, ossia nello schema mentale di fondo, ancorché rivolta a confutarne gli assunti. Ma lo stesso potrebbe dirsi nel caso di un fake in senso proprio.

Ed il giudizio complessivo nei confronti di questo utente sarebbe espresso nello stesso modo in cui egli giudica libri, opere cinematografiche o musicali: cinque palline, o cinque stelle, non tanto come sintesi di un modo di pensare, ma come un nuovo modo di pensare sia nel privato che nel politico.

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editoriale di kosmogabri

Da piccolo mi hanno insegnato a non aver paura della morte.
Crescendo mi son reso conto che averne paura era giusto, voglio dire, a non averne paura quasi si afferma che non ci cambierebbe nulla morire. E invece cambia.
In situazione estrema, dove la fine è quasi certa, uno (auguratamente normale) avrebbe tutto il diritto di pensare cose del tipo "Così è la vita…", "Non ci posso fare niente e non rimpiango niente." eccetera eccetera. Ma in cuor suo dubito non pensi, piuttosto, frasi più simili a "Siamo sicuri che non ci siano alternative?", "Non voglio…", "Ho paura…".
E non si smette mai d'aver paura, finché avercene diventa concretamente impossibile.

Nasciamo impauriti e moriamo impauriti.

Cresciamo sempre con una sorta di rispetto, di timore reverenziale anzi, nei confronti della morte. Questa, sempre stata l'unica in grado di sensibilizzare chiunque, poiché unica certezza.
Al momento, ho appreso da terzi che la morte pare essere l'unica soluzione infallibile ad ogni problema. Che sia auto-inflitta o provocata, s'intende. E al contempo, ha smesso di sensibilizzare.
Nell'era moderna ogni giorno ad ogni minuto di ogni ora ci ricordano di come essa non faccia sconti e faccia pagare tutti. Ma ormai accade tanto spesso affinché sembri una questione più ordinaria di prima. Normale amministrazione, azzarderei.
Ogni giorno sentiamo di almeno un morto nuovo. C'è chi s'è impiccato, chi s'è sparato, chi ha ucciso tal dei tali, e chi dopo aver ucciso tal dei tali s'è tolto la sua stessa vita. Al punto che, laddove prima incuteva timore, ora non ci si fa neanche più caso, da quant'è saturo il "mercato".
Piuttosto, si prende parecchio alla leggera, come se fosse cosa da nulla. E ultimamente è più lampante che mai.

Le ragioni che sentiamo, per cui uno dovrebbe togliersi/togliere la vita sono sempre più delle stronzate. Preferirei non sindacare troppo sulle scelte di chi commette suicidio, dipende estremamente dalla sensibilità personale e la propria soglia di accettazione; nonostante non possa nascondere che, ogni tanto, mi vien spontaneo un "E questo s'ammazza per una stronzata simile?".
Togliendo la S apostrofata, lo stesso discorso potrei farlo per chi infierisce sulla vita altrui. Oramai ogni minimo impedimento, ogni minimo scazzo, ogni minima questione sembra trovare via di fuga in questo modo. Se una persona ti arreca fastidio, facile: uccidila.
A tal proposito m'è venuta in mente la notizia che lessi ben tre anni fa, di un tale che uccise la moglie (durante la separazione) in quanto su Facebook s'era segnata come "single" nella situazione sentimentale. Di esempi ce ne sono tanti, nonostante questo sia - forse - il più idiota.

Non so se forse è colpa mia, ancorato a una sensibilità verso la questione piuttosto datata, dove ancora la morte non si prendeva alla leggera, dove ancora la morte era una fase in cui quella persona non sarebbe tornata più indietro (mica cazzi, per dirla rasoterra). Non so nemmeno da dov'è partita né quando, questa assurda escalation, ma ricordo che anche solo fino a non troppi anni fa era diverso, non esasperato. Adesso il massacro è anche mediatico, dove tutto è notizia, tutto è cibo per sciacalli. E adesso sui massacri non si sta più zitti come si dovrebbe.

"Perché non c'è nulla d'intelligente da dire su un massacro." (Kurt Vonnegut - Mattatoio n. 5)


(Questo testo è interamente scritto in memoria, e con dedica, per un vecchio amico di cui ho appreso solamente poco fa della sua scomparsa. Altri scopi - perlomeno dichiarati - non ne ha.)

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editoriale di Talkin' Meat

E dunque entro in un piccolo ufficio, il professore mi fa sedere e mi chiede perché sono lì, ma onestamente non lo so neanche io. Siede su una sedia a rotelle, parla a bassa voce e lentamente, la testa gli ciondola da una parte ed è come mossa da piccoli, irrefrenabili tic.

Mi dice che la vita precede l'uomo, che la morale è provvisoria, che l'esistenza non ha scopo e che sebbene la vita renda vivo un individuo quest'individuo non si riproduce per realizzare la vita, e mi dice che la natura umana (e la natura stessa) non è naturale, che l'idea di diversità è possibile se si ha un'idea di identità e che la libertà conta poco perché ciò che conta è difendere la diversità: che se obbligassimo un'intera generazione a leggere libri, a leggere libri e non fare altro, quest'ipotetica generazione non saprebbe cosa sia un libro.

Mi appunto tutto sul blocco-note, dopodiché lo saluto, lui bisbiglia qualcosa che interpreto come un saluto (o un congedo) mentre continua a muovere la testa in tanti piccoli sì - la testa inclinata sulla spalla, appoggiata alla scapola. Soffre di SLA, o qualcosa del genere. A lezione è sempre ripiegato su se stesso e ora afferra la mano destra con la sinistra e sdraia la destra sul tavolo.

Ci stringiamo la mano.

Poi esco, e uscito da lì penso a quanta poca importanza siamo soliti dare a certe cose che consideriamo dovute o scontate, di cui non abbiamo nemmeno coscienza, cose tipo camminare, farsi la doccia da soli, mangiare senza il bavaglino. E penso a questo cose, a quanto a volte sia davvero un attimo perderle, a quanto facilmente e con quanta spontaneità la vita riesca a spezzare una persona fino a renderla inerme di fronte a sé stessa. E ripenso alla crocifissione, a Cristo in mezzo ai due ladroni, alla Grazia che non può giungere senza il respiro del peccato: e accanto a me passano altri studenti, altre persone incuranti di tutto, coi libri in mano & borse a tracolla, studenti che salgono le scale della facoltà o si fermano a parlare nei corridoi, e improvvisamente mi rendo conto che sto camminando anch'io, ed è una consapevolezza che non avevo mai avuto prima ed è come se mi afferrasse e mi rendesse cosciente di me stesso, e finalmente sono grato di tutto questo e su tutto giace come un'assurda e alienante Bellezza.

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editoriale di zaireeka

Ieri sera ero seduto insieme a mia figlia sul divano di casa a vedere la televisione, quando lei si volta verso di me pensierosa e mi fa:
“Papà, ho letto una cosa non bella su internet su quello che ha scritto Alice nel paese delle meraviglie, come si chiama?”
“Lewis Carroll.” faccio io.
“Si, lui”.
“Cosa hai letto?” ribatto, già sapendo a cosa lei voglia alludere.
“Una cosa non bella. Era scritto che era un pedofilo. E’ vero?”

Ecco, queste sono le domande dei figli a cui un padre responsabile e dalla mentalità aperta, amante dell’arte e della creatività umana in qualunque forma e attraverso qualunque percorso essa si manifesti, deve essere ben pronto a dare una risposta adeguata.
Io ieri sera non lo ero.
Potevo forse dire che si, era un pedofilo, e che è una cosa terribile, doverosa di condanna e disprezzo da parte dell’umanità, e che in fondo il suo libro non merita di essere tanto osannato da scienziati e letterati, e che in fondo non ci tengo tanto che anche lei ne diventi un’appassionata?
Non era cosa, ammesso pure che fosse un pedofilo, troppo semplicistico e troppo ipocrita.

Potevo forse citare il Vangelo di Giuda e spiegare che in fondo colui che ha commesso il più empio dei peccati, il Traditore per antonomasia, e come tale condannato ad essere disprezzato nei secoli dei secoli, è stato, a ben pensarci, come certe eresie sostengono, il vero artefice della nostra salvezza avendo permesso il sacrificio di Nostro Signore e di conseguenza la nostra salvezza? Mi sembrava davvero troppo impegnativo per la sua età.
Insomma, mi sono trovato in totale impasse.

Il problema comunque è generale ed è questo: E’ giusto distinguere, nel giudizio, l’opera d’arte dalla vita del suo autore?
Esiste poi un altro problema connesso: E’ davvero necessario per un artista avere una vita problematica per arrivare a produrre arte degna di questo nome?

Veniamo, ordinatamente, come nei migliori trattati noiosofici, al primo punto.
Senza voler sembrare troppo bigotti o conformisti (avendo figli bisogna anche un po' esserlo, ogni tanto), non si può negare che spesso le vite di coloro che hanno lasciato qualcosa di importante all’umanità sono tutt’altro che fulgidi esempi illuminanti di come la vita umana vada vissuta. Restando in campo artistico, lasciando da parte coloro che, innumerevoli, si sono auto-imposti la morte, è giusto ad esempio perdonare ai grandi scrittori, musicisti, eccetera, eventuali loro comportamenti contrari alla morale condivisa, ed in particolare contrari a quello che ai bambini è insegnato come il giusto modo di comportarsi nei confronti della società, in nome di quello che riescono a dare all’umanità in termini di bellezza?

Venendo al secondo punto, tutto ciò è proprio necessario?
Io personalmente ho sempre pensato a loro (non tutti, ma sicuramente la maggioranza) come a dei martiri che si sacrificano per il bene dell’umanità.
Posso citare, visto che ultimamente lo sto ascoltando parecchio insieme ai Beatles, John Lennon? Ho letto ultimamente da qualche parte le parole di disprezzo da parte del primo figlio, Julian, sul modo in cui il Beatle ha ricoperto, nei suoi confronti, il ruolo di padre. O della prima moglie Cynthia sul suo ruolo di fidanzato e marito. Per non parlare poi della sua morte violenta.
Gli stessi Beatles, visti come un tutt’uno, ho scoperto oggi in un bellissimo speciale di RAI Storia (che potete trovare a questo link), hanno prodotto i loro grandi capolavori (da Rubber Soul in poi, per intenderci) proprio nel momento in cui i rapporti fra i componenti del gruppo hanno cominciato a degenerare fino a essere completamente conflittuali, arrivando quasi alla violenza, al tempo della pubblicazione del bellissimo White Album. Per arrivare poi ad Abbey Road ed al loro “suicidio”, un po’ come Nick Drake dopo la pubblicazione di Pink Moon

Ripensandoci, io alla fine con mia figlia avrei potuto cavarmela dicendo: “Lo sai che tutti dicono che quel cantante, quello che quando eri piccola cantava 'M'innamorerò sempre di te' e che ora è l’autore della colonna sonora di quasi tutte le puntate di C’è posta per te, è diventato un ottimo padre di famiglia, addirittura nonno, non bestemmia mai, non litiga mai con nessuno, e soprattutto non ha mai letto un libro di Lewis Carroll?”

Lei, ne sono sicuro, mi avrebbe risposto:
“Ok papà, ho capito, dai pedofili, se sarà necessario, saprò come guardarmi io. Intanto mi dici dove hai messo Alice?”.

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editoriale di emofiliaco

Seance… Lock Free Time. Feel the Power!” (The Addams Family)

Se c’è una caratteristica di cui non sono dotato è l’essere proibizionista.

Spesso provocando ho affermato che se fosse per me droghe pesanti come eroina o cocaina troverebbero aperta la strada della liberalizzazione (qui potrebbe nascere l’eterno dilemma che germoglia dal contrasto tra i concetti opposti di “legalizzazione” e “tolleranza” e su che ruolo lo Stato dovrebbe assumere scelto uno dei due contesti ma non è di questo che voglio parlare quindi...) ma in realtà non era neanche una boutade fine a se stessa.

Sostanzialmente penso che le persone dovrebbero essere messe in grado di fare ciò che pare loro (sempre all’interno di un sistema che protegga i terzi incolpevoli dei danni causati dalle dipendenze altrui e di uno Stato di Diritto) compreso il rovinarsi la vita attraverso un buco o una sniffata (e parlo da persona abbastanza intollerante verso le varie dipendenze).

E’ ovvio che potreste sollevarmi un casino di obiezioni (i costi sociali sono le prime che mi vengono in mente ma son sicuro che voi me ne elencherete altre) ma è altrettanto lapalissiano che il mio non è desiderio di anarchia ma la voglia di vivere in una società meno ipocrita e in uno stato che responsabilizzi invece di criminalizzare.

Lasciando discorsi troppo ampi dove ognuno potrebbe sbizzarrirsi sembra che la vera Droga del momento (quella “In” per intendersi) sia il business delle varie sale da gioco/bar/locali di vario tipo dotate delle famigerate macchinette mangiasoldi (videopoker, “caterine”, video roulette, eccetera) dove lo Stato Italiano non pare esser poi così proibizionista (come lo è con le droghe “leggere” per dire) o severo (con il tabacco) in una spirale poco virtuosa di “una mano lava l’altra” simile a quello che succede con le bevande alcooliche.

Non sto qui ad elencare le cifre del giro d’affari perché essendo povero e tartassato dalle tasse poi dovrei prendermi un protettore gastrico ma si sa che sono “importanti”. Talmente importanti che ad una liberalizzazione selvaggia nel ’95 seguì una legalizzazione “controllata” qualche anno più tardi. Per proteggere i cittadini si disse ma non mi hanno mai convinto.
Poi se si citano lotterie varie, gratta & vinci, scommesse, siti per poker o casinò on line, tv “tematiche” si può dire che essenzialmente viviamo in uno Stato-bisca.

Detto tutto questo e pensandoci anche a lungo, non riesco a scandalizzarmi e ci sono solo tre cose che m’infastidiscono (ed è dura turbarmi… non c’è riuscita nemmeno la Marchi con la truffa della sabbia anni fa: più che per quella io l’avrei messa in galera perché è gradevole come una pigna su per…)

A) Come detto l’ipocrisia di uno stato moralista e moralizzatore a fasi alterne.
B) L’inevitabile intrusione della criminalità (più o meno) organizzata e/o (più o meno) istituzionale nel giro d’affari.
Ma soprattutto...
C) La progressiva estinzione dei flipper dai bar italiani a causa della distruzione del proprio habitat provocata da una nuova specie di parassita.

Probabilmente molti di voi proveranno lo stesso dolore perché con i flipper stanno sparendo anche i videogiochi “tradizionali” e non sto parlando degli enormi macchinari che occupano le sale giochi odierne ma di quelli alla Double Dragon per intendersi.
Ebbene sappiate che ogni volta che qualcuno mette cinque euro in un videopoker da qualche parte del mondo un FunHouse sta morendo. Ogni volta che qualcuno si gioca la pensione della nonna in una slot… Wonderboy piange. Ogni volta che invece di ciliegie escono banane lassù gli Space Invaders devono scappare più che avanzare.

Perciò ricordatevi: giocate sempre responsabilmente.

Per me uno può anche rapinare una banca: basta che lo faccia con educazione” (D.Z.)

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editoriale di zaireeka

Ieri sera mi sono messo a girovagare su youtube alla ricerca di qualcosa di interessante, o almeno di non noioso. Fra l’immenso patrimonio di filmati e filmatini completamente inutili mi è capitato lo sguardo su uno che recitava “Brasil 1982 - The 11 Greatest Goals (4Dfoot)“. “Perché no, una botta di nostalgia non fa mai male” ho pensato.
Un click e via, allora, anzi, guardatelo con me, ma prima leggete di seguito quanto ho da dirVi.

Dunque, voglio spiegare a quelli che allora non erano ancora nati o comunque non in “età da televisione” (praticamente il 70% degli utenti di DeB), che cosa era il Brasile dei mondiali dell’82.

Il Brasile allora era, ed in particolare quello che capitò di fronte all’Italia in un caldissimo luglio spagnolo di quell’anno, la più bella donna di cui ci si possa follemente innamorare.

Il Brasile di allora era la donna più bella (ok, gentil sesso di DeB, voi immaginatelo, se volete, come l’uomo più bello), quella dei tuoi sogni, con cui un giorno decidi di provarci sapendo benissimo che non ti può andare bene.

Il Brasile dell’82 era la vittoria inesorabile delle cose belle su tutte le altre.

Il Brasile di allora era Zico (il dribbling di Dio), Falcao (il tacco di Dio), Socrates (il tunnel di Dio), “Torpedo” Eder (il tiro di Dio).

Il Brasile di allora sembrava, quella sera, un destino ineludibile, una sconfitta sicura.

Il Brasile di allora era, soprattutto, io a diciassette anni, un grandissimo appassionato di calcio, come ormai non lo sono più da almeno diciassette anni.

Ora, tutta questa nostalgia potrebbe essere fine a se stessa, se non fosse per un piccolo particolare. Noi, cara Italia, quel Brasile, quella gioiosa macchina da guerra, meravigliosa portatrice di un destino triste ed inesorabile, lo abbiamo sconfitto.
Per cui nonostante i politici corrotti, nonostante la cura da cavallo di Monti, nonostante “prima o poi faremo la fine della Grecia”, nonostante la Merkel, ricordiamoci che ce la possiamo ancora fare.
Del resto, mi si perdoni la banalità e la battuta quasi Berlusconiana, credete a me.

Angèla, oltre ad essere meno bella, non vale nemmeno un quarto di una punizione di Zico.

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editoriale di K.

" Bella la bandiera / la più bella che ci sia / cara, la bandiera / la più bella che ci sia…" (Edoardo Bennato - La Bandiera da "I Buoni e i Cattivi" 1974)

Bandiera Bianca cantava un cantautore musone che preferiva l'insalata a Sinatra, oppure Bandiera Gialla "rigorosamente riservata ai giovanissimi, ripeto, ai giovanissimi, tutti gli altri sono pregati quindi di spegnere la radio…".
Il gioco della bandiera che ci si strappava di mano da piccoli e la bandiera d'armi che s'innalza durante i giochi da grandi.
Le bandiere slanciate in aria dagli alfieri nei cortei in costume e l'antica bandiera con le teste di moro della Sardegna.
Le bandiere delle squadre di calcio sventolate nel mare dello stadio e le bandiere sugli alberi delle navi per comunicare a distanza sull'oceano...

La bandiera dei pirati e di Pippi Calzelunghe, teschio e tibie.
La bandiera delle brigate rosse o nere o con la piuma.
La bandiera del Papa con le Chiavi di Santiddio.
La bandiera con la svastica emblema del Demonio.
La bandiera falce e martello… "bandiera rossa la trionferà!".
La bandiera e le sorelle "fatti più in là".
La bandiera universale su cui tutti spariamo a zero.
La bandiera con il faccione del Che, del Gandhi, del Martin Luther, dello Steve Jobs...

La bandiera con la Mezzaluna.
La bandiera con le Stelle.
La bandiera con l'Arcobaleno.

E infine la Bandiera d'Italia nella home.

"Basilico mozzarella pomodoro". Come raccontò T. a I. e lei ci credette.

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editoriale di Precisino

Il sogno di chiunque!
La compilation perfetta.

Divago un attimo e poi ritorno: Io amo l’italiano. Ma non per orgoglio o per vanagloriosa dignità di lignaggio. Ma semplicemente perché è una lingua bellissima.
Variegata, complicata, equivoca. Semplicemente ricca. “Vocabolaria”, multipla, ma anche povera d’intenti dialettali. Grassa. Umida al punto giusto.
L’inglese, invece, è secco. Non suda mai. E’ come un clima nervoso. Ma d’un nervosismo asciutto. Come i tendini di uno stambecco, abbarbicato (traducete questo) su di una roccia spigolosa.
Ma questo (compilation) è uno dei pochi casi in cui una parola in inglese non abbia una traduzione reale. O, almeno, una traduzione efficace.
Forse è perché vengo da un’altra era (e qui ritorno al punto). Un’era in cui, quando conoscevi una fanciulla (ed eri un appassionato di musica) e t’innamoravi, pensavi che, per conquistarla, dovevi farle una compilation.

Un’era in cui la musica era linguaggio.
E il supporto, cazzo!

TDK C90 (E, come direbbe Peppino...)
Quelle grigie, non ancora inutilmente trasparenti (l’interno non mi è congeniale. Qualcuno, addirittura, dice che se disegni da bambino uomini trasparenti, con gli organi interni visibili, sei un potenziale Serial Killer! “Potenza della lirica…”). Quelle che, a dispetto del colore, erano perfette. Ne ho ancora diverse funzionanti, dopo anni di fottuto, onesto, lavoro.

Penso di aver perso più tempo a fare compilation che a dire davvero alle dirette interessate quello che provavo.
E ancora oggi, la cerco.
Lei...
La compilation perfetta.

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editoriale di emofiliaco

Una leggenda metropolitana fa derivare la parola “snob” dalla contrazione della locuzione latina “sine nobilitate” e originalmente (il Treccani mi viene in aiuto) significava di “basso ceto” e (“copia incollando” sempre dal dizionario) si riferisce a “chi ammira e imita ciò che è o crede sia caratteristico o distintivo di ambienti più elevati; chi ostenta modi aristocratici, raffinati, eccentrici, e talora di altezza, superiorità. ”.

Nata in Inghilterra a metà ‘800 per definire una “persona non fine, non adeguata a un ambiente colto e raffinato” ha attraversato più di centocinquanta anni cambiando decisamente significato ed adattandosi ad esigenze culturali decisamente modificate.

Però a rileggere bene le definizioni devo correggermi: il senso del termine in un certo modo è rimasto lo stesso, a cambiare è stata l’ampiezza del raggio di provenienza. Se in epoca vittoriana era probabilmente usata in ambienti per lo più nobiliari ora il suo uso è trasversale. Gode di un’ubiquità talmente imbarazzante da essere usata come rimedio universale (una sorta di panacea linguistica in caso di difficoltà dialettiche) anche in discussioni sorte davanti al bancone della più bieca bettola della bassa.

Si capisce che in tali condizioni la variabilità del contesto rischia di far subire a qualcuno (persino a un “nazionalpopolare” come il sottoscritto) l’epiteto in modo “randomicamente” selvaggio.

Per prevenire qualsiasi obiezione la grande mamma “internettiana” Wikipedia mi suggerisce di non confonderla con la l’espressione “Radical Chic” che è “semanticamente il suo contrario” (giuro che son mesi che ci penso senza riuscire a scovare l’inghippo) mentre il buon senso mi suggerisce di tenermi lontano pure da quella bellissima parola che è “hipster” (purtroppo nonostante credessi, e sperassi, di esserlo ultimamente mi han convinto che non lo sono, ancora: ci sto lavorando).

Una storia che assomiglia a quella della parola greca “βάρβαρος” (un’onomatopeica che stava per “balbuziente” termine con cui i greci antichi indicavano chi parlava male la lingua quindi gli stranieri) passata agli antichi romani nel senso di contrapposizione tra loro (civili) e i popoli non romani da civilizzare con la differenza che alla fine (citando ancora wikipedia) il "barbaro" era uno strumento essenziale che i popoli greci, prima, e romani, poi, utilizzavano per definire sé stessi, prendendolo come pietra di paragone, in quanto "anormale" rispetto agli standard, per poter definire la "normalità".

In un certo senso si potrebbe dire che chiunque a questo mondo usa il termine “snob” per giustificare se stesso (le sue attitudini, i gusti, la professione, le vicende personali) non accorgendosi che è proprio questo tracciare confini che è terribilmente snob (o almeno potrebbe sembrarlo ai più). Per fare un esempio e parlando di affinità musicali è molto divertente pensare che concreto è il rischio che una conversazione tra appassionati di Punk (ma metteteci qualsiasi genere di matrice Pop-Rock: ho scelto il primo che mi è venuto in mente) rischi di diventare snob tanto quanto una tra appassionati di Classica…

Insomma, chi/cos’è che nel 2012 E.V. può essere definito snob? E’ più snob un ministro della repubblica che raccomanda ai giovani di non esser troppo “choosy” (mentre lei due figli li ha già bei che piazzati al posto “giusto”)? Chi del termine (“choosy” dico) comincia a farne abuso? O chi si lamenta di chi ne abusa (e scusate il gioco di parole)?

“Alternativo” e “Indie” sono parole, atteggiamenti, modi di vivere snob?Sarebbe simpatico chiudere dicendo che ”snob è chi snob lo fa” oppure con una bella lista di dieci atteggiamenti “snob” ma preferisco suggerire di immaginarvi in un’orda di snob provenienti dalle steppe della supposta superiorità intellettuale mentre invadete l’Impero degli Alternativi Indie. Al grido di “Sine Nobilitate”!

Giuro che il prossimo vi apparirà meno snob.

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editoriale di Hank Monk

Un vasto oceano di luce rifletteva dall’ancora più vasto oceano fluttuante. Le increspature e gli sfavillii si mescolavano generando un caos cristallino, dinamico e plasmabile, meraviglioso nella sua placidità. Tutta questa luce infastidiva l’uomo disteso sulla riva lambito dalle onde.
Erano anni ormai che ogni notte si distendeva sulla spiaggia lasciandosi bagnare dall’oceano ed erano anni che ogni mattina malediceva tutta quella luce.
Si rizzò in piedi di soprassalto e si diresse verso la sua abitazione; se è vero che i suoi risvegli erano sempre bruschi era però altrettanto vero che i suoi sonni erano deliziosamente tranquilli. Almeno fino a quel giorno: per tutta la notte era stato perseguitato da visioni e sensazioni di malessere.

Un peschereccio affondava lentamente in una lamina d’acqua grigia come l’acciaio, un totem volante incombeva sull’equipaggio congelato in posizioni innaturali e che sembrava non avere la minima intenzione di abbandonare la nave. Improvvisamente un lembo di terra colpiva l’imbarcazione mescolando cielo e terra: il totem assumeva proporzioni ciclopiche e si tingeva di cremisi. Un calore infernale evaporava l’oceano riscoprendo un fondale di velluti screziati e tardivamente rassicuranti.

Imboccando il sentiero di casa, rimuginando su quanto lo aveva turbato durante la notte, l’uomo venne colpito dallo strano frutto che pendeva dai rami della quercia ombreggiante la sua dimora. Il peso del frutto piegava il ramo che, inchinato, pareva invitare a coglierlo.

L’uomo corse in casa, ne uscì con un lungo coltello e recise di netto la corda che abbracciava l’esile collo e lo assicurava all’imponente pianta. La pelle d’avorio del corpo illuminato dall’impetuosa luce mattutina pareva avere una consistenza fluorescente; i capelli corvini disegnavano sulle sue spalle un labirinto di segni incomprensibili.
L’uomo trasportò il corpo con devozione e lo stese delicatamente sul tavolo di acciaio del giardino sul retro. In preda a un fervore quasi religioso colse calle, fiordalisi, gelsomini e biancospini e ricoprì il corpo di quella santa visione lasciandone trasparire solo gli occhi, ancora aperti e così profondi.

Pianse; e pianse tutte le lacrime che fino a quel giorno non aveva mai versato.

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editoriale di emofiliaco

Se avrete l'occasione di vedere una fotografia di fine Ottocento che immortala qualche piazza o via non potrete fare a meno di notare un particolare: nonostante l'ambientazione sia diurna la città appare inabitata. Non un essere umano o animale risulta presente dando l'effetto di un apparente deserto urbano.

Questo capitava per i lunghissimi tempi d'esposizione che venivano richiesti (almeno otto minuti all'epoca) per catturare l'immagine (e, per inciso, era il motivo per cui i ritratti fotografici all'epoca non avevano così gran successo e per cui i “soggetti” preferiti dai fotografi erano i grandi paesaggi “selvaggi” all'aperto).

Se vi capita di passare per Urbino non potete lasciarvi scappare la visita alla Galleria Nazionale delle Marche (Palazzo Ducale). Tra i vari capolavori presenti c'è quello che viene considerato come uno dei massimi simboli del Rinascimento Italiano: “La Veduta di Città Ideale” (di autore ignoto ma negli ultimi tempi si predilige il Laurana e databile attorno al 1480). Di chiara influenza “albertiana” (“Copia et Varietas”) avrà la particolarità (se avrete il tempo necessario di rimanere a contemplare: per citare Daverio, il miglior modo per guardare un dipinto è guardarlo a lungo) di stupirvi per la rinuncia a ritrarre oggetti animati di vita propria.

In entrambi i casi “segnali” di vita sono presenti: per esempio finestre aperte che lasciano intravvedere appartamenti dove qualche essere vivente è “passato” (piante, tende scostate, panni appesi eccetera) non solo per costruire la città ma anche “viverla” ma di esso rimangono appunto solo echi che appaiono, nel momento della contemplazione, distanti.

In una delle più significative opere a fumetti di sempre (“Watchmen”) uno dei personaggi, ad un certo punto, parlando della “Vita” (intesa come evento biologico) dice:

Secondo me è un fenomeno estremamente sopravvalutato. Marte se la cava perfettamente senza nemmeno un microorganismo. Sotto di noi si trova il Polo Sud... Niente vita. Solo gigantesche terrazze alte trenta metri, modellate dal vento e dalla sabbia secondo una mappa topografica sempre mutevole, scorrono attorno al polo a ondate, a intervalli di diecimila anni ciascuna. Dimmi. Un oleodotto le migliorerebbe?

Ovviamente alla “fine” (anche se nulla ha mai fine) cambierà idea.

Uso l'avverbio “ovviamente” perché anni fa (la prima volta che visitai Berlino) ebbi un/una preludio/sorta di Sindrome di Stendhal: in un luogo altamente improbabile cioè nel bel mezzo del Lustgarten (Mitte) “ammirando” il Dom davanti a me e l'Altes Museum alla mia sinistra (per dire non un luogo che riporta evenienze architettoniche che normalmente mi fanno “impazzire”).
In mezzo ad una moltitudine di persone intente a varie cose (più o meno culturalmente rilevanti) ebbi una fortissima sensazione di disagio: una difficoltà quasi a respirare e delle vertigini causate dalla sensazione di manchevole solennità (forse colsi quell'incompiutezza che regna sovrana a Berlino e che ne è la caratteristica più affascinante) del luogo. Per un attimo le persone attorno a me sparirono e mi ritrovai solo in un luogo che in quel momento mi sembrava “ideale” così tanto da poterci rimanere per sempre e abbandonare la mia essenza terrena e biologica.

In un certo senso l'esperienza del “Deserto” in uno dei luoghi più affollati al mondo.

Qualcosa ti manca quando non ce l'hai più. Scopri l'importanza dell'aria quando stai soffocando. Potrei continuare a lungo con i luoghi comuni ma, c'è un ma…
Non so se è possibile sentire la mancanza della vita quando non c'è più (perché implicherebbe discorsi metafisici che trovo inutili) solo che ora mi è chiaro che la vita da il meglio di se in quello che lascia indietro e per capirlo bisogna, in un certo senso, rinunciarci e attraversarla come se fosse un luogo desolato. Con il rischio di morirci.

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editoriale di kosmogabri

C’era il fatto che diversi anni fa, trenta e passa, mio padre doveva prendere il diploma di scuole medie in ritardo di molti anni rispetto ai coetanei, perché nel secondo dopoguerra i soldi per andare all’avviamento non c’erano, mio nonno lo mandò dallo zio falegname per imparare un mestiere a aiutare a mantenere i fratelli. Ma non è del lavoro di mio padre che devo scrivere.

C’era il fatto che mio padre finiva di lavorare in anticipo, andava all’istituto serale dove era comunque il più grande della classe, la parte restante essendo composta da qualche ripetente prestato al lavoro, da qualche lavoratore nelle stesse condizioni di mio padre trent’anni prima e via così. Ma non è della classe di mio padre che devo scrivere.

C’era il fatto che nel programma delle scuole medie serali c’era anche la voce “lingua straniera” e mio padre al momento dell’iscrizione sbarrò la scritta su “tedesco”, mica perché fosse il più facile, mica perché fosse il più utile, mica perché avesse interesse a leggersi in lingua originale Achim von Arnim, Brentano, Novalis o altre cose che suppongo mio padre abbia orecchiato leggendo il supplemento domenicale del giornale o qualche settimanale. Ma non è delle conoscenze linguistiche o relativi skill(s) che devo scrivere.

C’era il fatto che mio padre conosceva soltanto il tedesco per aver vissuto qualche anno in Svizzera - ai tempi di “non si affitta agli italiani” - e che mio padre in Svizzera non aveva soltanto trovato lavoro e affitto, ma aveva anche imparato un poco di tedesco, giusto per non passare tutta la giornata in silenzio in fabbrica e giusto per capire cosa stava scritto sulle pagine dei giornali. Ma non è di mio padre e del suo tedesco che devo scrivere.

C’era il fatto che per ripassare il tedesco in vista delle tardiva licenza media mio padre si appoggiava al nostro vicino di casa, quello che stava al piano di sotto con la moglie ed i figli, quello che i figli erano miei amici, ed il figlio maschio quello con cui sono cresciuto assieme, quello con cui ho imparato che sin da piccoli le amicizie fra maschi implicano una stretta di mano ed un pugno, a giorni alterni e senza grandi risentimenti. Ma non è degli amici di infanzia che devo scrivere.

C’è il fatto che il vicino di casa faceva il professore di tedesco, aveva studiato il tedesco all’Università non so che di Napoli ed aveva la faccia di Eduardo de Filippo giovane, del figlio di Eduardo de Filippo giovane, del nipote di Eduardo, se assomiglia al nonno e al padre ed adesso è in qualche modo giovane. Ma non è di Eduardo e del fatto che molti campani gli somiglino che devo scrivere.

C’era il fatto che con il Professore - anche se a volte era sbruffone, anche se fumava troppo, anche se voleva aver sempre ragione nelle riunioni condominiali - eravamo tutti amici, si andava a cena assieme, un anno di è festeggiata anche la vigilia di Natale, se non erro la volta che regalarono sia a me che al figlio i primi Masters di una collezione terminata attorno all’ottantotto. Ma non è dei giocattoli, e dei videogiochi che hanno preso il loro posto, che devo scrivere.

C’era il fatto che il Professore aveva una taverna dove dipingeva quadri nel tempo libero, e che molti di questi quadri li regalava a mio padre, e sono tutti finiti alle pareti di casa, alcuni con i paesaggi dell’Irpinia e le donne col velo, altre con quelle dei laghi e delle montagne dov’era stato trasferito nei primi anni in cui insegnava tedesco, un altro ancora con un bosco ed una strada che sfumava a portava chissà dove. Ma non è dei quadri e delle domande attorno alle strade e a dove portano - strade che ancora percorro ogni tanto - che devo scrivere.

C’era il fatto che a un certo punto negli anni ’80 abbiamo cambiato casa, con il Professore la moglie e i figli ci siamo visti qualche volta e poi sempre meno, l’ultima nel giugno del novantotto ai tempi dei Mondiali in Francia, restava poco da dire salvo qualche battuta e il fatto che Zidane era forte, ma Maradona meglio, il Napoli meglio. Ma non è del Napoli di Maradona che devo scrivere, non è di Sampdoria 1 - Napoli 2 del campionato ’86-‘87 vista assieme al Professore che vi devo raccontare, anche se posso farvi vedere il servizio della televisione.

C’era il fatto che qualche volta sono tornato al parco davanti alla vecchia casa ma non ho mai suonato al campanello del Professore per paura di non essere riconosciuto, perché erano passati gli anni, ma non la mia memoria, eppure temevo di fare la figura del nostalgico e di tornare in un posto in cui non c’era più niente da dire, nemmeno del Napoli. Ma non è dei certi fantasmi che devo scrivere, per quelli è meglio leggersi Eduardo, quello che somigliava al Professore.

C’è il fatto che questa mattina ricevo un messaggio. Hanno trovato il cognato del Professore per strada e gli hanno chiesto come stavano i parenti.
Il Professore è morto da qualche anno in casa di riposo, stava molto male, la moglie si è trasferita via dalla figlia, l’altro figlio pure ha cambiato casa, e l’appartamento al piano di sotto resta in vendita, com’era in vendita il mio tanti anni fa.

Resta il fatto che ho una casa piena di quadri del Professore, strade da percorrere ed un corso serale di inglese da iniziare fra venti minuti: ma non è di quadri, strade e lingue straniere che riesco a scrivere.

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editoriale di emofiliaco

In quel tempo Gesù venne avvicinato da alcuni farisei che per metterlo alla prova chiesero: “Cesare vuole imporci di rinunciare al Sabato, che cosa dobbiamo fare, rabbì, seguire la volontà di Dio o di Roma?”. Allora egli si rivolse a loro e raccontò questa parabola: “Un uomo possedeva alcune vigne, un giorno radunò i suoi servi e disse loro che avrebbero dovuto sorvegliarle anche durante la notte, gli uomini accolsero con disprezzo le sue volontà, solo uno disse ‘se egli vuole questo non dobbiamo discutere fratelli, anche se pensiamo che non serva: non preoccupatevi cercherò di stare sveglio io più notti possibili’ ma quando il padrone disse che avrebbe diviso parte della vendemmia tra i servi a seconda di chi avrebbe vegliato di più loro presero il servo fedele lo uccisero e lo seppellirono nella vigna.”
(Vangelo apocrifo di Omreon, 11: 26-30)

L’altro giorno la mia cassiera preferita (del mio supermercato preferito) era parecchio arrabbiata, siccome sono un po’ in confidenza le ho chiesto nel mio consueto modo affabile “Giuditta, qualcosa che non va?”.
Chiesto questo l’amabile signora si è sciolta (per fortuna non c’era nessun altro in coda) e ha riversato una serie di improperi (il più divertente paragonava la sua categoria al fitoplancton in un’ipotetica catena alimentare del mondo del lavoro) contro le liberalizzazioni che prevedono l’apertura domenicale dei supermercati…

Li per li non ho potuto che consolarla e dirle che non aveva tutti i torti però, poi, caricando la mia auto di frutta, verdura e novellini, ho pensato a varie cose: che in un paese civile le “liberalizzazioni” degli orari dovrebbero riguardare prima di tutto gli uffici pubblici e qualche ente privato particolarmente “protetto” (le banche per esempio?), che, tutto sommato, se lo stato facesse una legge che imponesse ai supermercati, che optano per l’allargamento dell’orario, delle ulteriori assunzioni (e magari con contratti non atipici) o almeno che andasse a detassare pesantemente il lavoro straordinario la cosa potrebbe anche non essere così controversa, che forse con una maggiore disponibilità di aperture ci sarebbero meno code alle casse con conseguenza cassiere meno nervose (tranne la mia preferita sempre impeccabile) e comportamenti più civili da parte dell’utenza…

Queste è altre amenità ma non vi nascondo che tornando a casa ascoltando “‪People Have the Power‬” della Smith l’unica cosa che continuava a rimbalzarmi in testa era lo schema della piramide alimentare lavorativa: non comodo il posto del Fitoplancton.

Lavorare meno, lavorare tutti!
(A-La Sora Lella; B-Beppe Grillo; C-Lapo Elkann; D-Maurizio Landini; E-Gianni U.)

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editoriale di emofiliaco

"Fino all'anno scorso avevo un solo difetto. Ero presuntuoso."
(Woody Allen)


Chi ha esperienza di guida enduro/fuoristrada, mountain bike, arrampicata (libera o non) et similia sa che spesso la volontà di arrivare ad un punto Z da uno A viene limitata dalla conformazione del substrato che si sta percorrendo: il tracciato è quasi sempre predestinato anche quando il senso della vista non lo percepisce (per fare un esempio, in Alpinismo, basti a pensare al concetto di “via aperta da…” ) salvo la prerogativa di persone dotate dell’abilità di intravedere “strade” nuove e/o alternative ad altre.


Nella lingua scritta vige qualcosa di simile celato sia dietro ai fondamentali (Grammatica, Sintassi) sia dietro gli strumenti dialettici. Tali predestinazioni fanno si che (troppo) spesso, soprattutto in un idioma fortemente conservativo (ad eccezione del risvolto lessicale) come il nostro, quando qualcuno vuole passare da A a Z[1] si trova stretto (a meno che non sia dotato del dono della sintesi tipo Steve Harris che con un titolo come “British Lion” riassume in due parole tutto quello che c’è da sapere su di lui) tra il rischio di dar per scontati passaggi necessari per la comprensione di molti e quello di citarli tutti rischiando di stancare il lettore dopo tre righe (e si sa che l’indice di attenzione medio spesso non va oltre).


Qualche tempo fa, pochi giorni dopo la pubblicazione in questo Sito dell’editoriale “Il Caso Sara T.” dove io scrissi la parte che essenzialmente parlava di farfalle, intrapresi una piccola escursione (un 190 km circa) “motorettata” nell’Alta Lessinia e mentre percorrevo un lungo tratto di sterrato abbastanza impegnativo (dove ho scattato la foto, a corredo di questo editoriale, che mi vede in compagnia di un simpatico bovino: io sono quello brutto) ebbi un’illuminazione (non sono caduto, tranquilli: non ero sulla via per Damasco) sul fatto che in quello scritto m’ero allegramente buttato in un burrone perché tra metafore gastronomiche ed esempi tratti dalla cronaca “rosa/boccaccesca” avevo evitato si un masso grande come un cocomero ma dalla parte sbagliata.


Ora, senza tornare su quel topic particolare (do solo un indizio: andate a vedere quante volte ho citato la parola “Porno” in quel pezzo) come nel romanzo di Matheson “I Am Legend” devo arrendermi al fatto che “l’anomalia genetica” è solamente causa mia [2] come il fatto che un mio sproloquio su come gli squali predino gli squali (e che spesso lo si diventi anche contro la propria volontà) sia stato preso come un sermone moralista contro il Porno, un’arringa di difesa contro la “povera” Sara eccetera.

In un certo senso ci sono cascato ancora perché ho preso il rischio di inserire il quarto paragrafo (per spiegare il meccanismo mentale che mi ha portato a scrivere tutte queste scemenze) che può deviare l’attenzione, nuovamente, del lettore verso i lidi del Porno, della Cronaca e della Pastasciutta quando invece voglio solo annoiarlo con banali considerazioni sui confini della lingua scritta.


Se ora mi chiedessi se effettivamente era meglio continuare a parlare di porno probabilmente il burrone diventerebbe abisso (e non fate facile ironia…) quindi la chiudo qui.


Note


[1] Detto questo bisogna anche dire che uno dei trucchi più efficaci per nascondere mancanza di argomenti è ricorrere ad un linguaggio criptico, ermetico e ricco di metafore (spesso usate a caso). Un altro consta nell'usare argomentazioni talmente "popolarpopuliste" che riescono, non solo, a non irritare nessuno ma spesso a riscuotere successo da parte di target precisi di ascolto (e si sa che son meglio due feriti che un morto). Un altro ancora, diametralmente opposto, usa l'asso della provocazione (spesso fine a se stessa) così da scuotere animi e coscienze.' Ovvio è che gli stessi, e altri, che non ho citato, metodi possono essere usati per altri scopi quindi non solo per dissimulare eventuali carenze dialettiche: per rompere le balle a qualcuno, per mero divertimento, per ammazzare il tempo o banalmente per "professione".


[2] Ovviamente non mi riferisco anche all’altra metà dell’editoriale cui, indegnamente, la mia è stata accostata: cosa che mi ha fatto piacere tra le altre cose, nonostante il topic non fosse proprio lo stesso, perché, ad occhio e croce, l’autore di quella deve essere un bell’uomo.

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editoriale di isidax

Poi mi alzo di notte vado in bagno e alla luce dello specchio mi guardo le mani, le cicatrici sul palmo destro, conto i punti sul pollice sinistro; penso, penso alla prima volta che mi sono infortunato lavorando.
Le mani, le mani mi hanno aiutato a essere come sono.

A cinque anni volevano amputarmi il pollice destro, mia madre non poteva concepire il fatto che, magari, non avrei mai potuto scrivere mi portava ogni giorno a medicazione... tre corriere per andare tre corriere per tornare, così tutti i giorni per sei mesi.
Due ore ad andare due ore per tornare, le medicazioni, le fasciature, l'attenzione continua, tutto per salvarmi queste mani.
Queste mani che sanno solo lavorare.

Allora di notte mi alzo in silenzio e nel bagno, seduto sul water penso e guardo le mie mani... La linea della vita, la linea dell'amore, osservo l'anulare sinistro e l'impronta digitale portata via da una pressa, il pollice destro deformato dall'esplosione di un filtro, i dieci punti sul palmo destro, gli altri sette sul dorso sinistro.
E penso di nuovo a mia madre, ai viaggi verso l'ospedale e le sue preoccupazioni nel volermi dare un'infanzia normale.
Allora torno silenziosamente a letto, la TV accesa, il volume lo tengo basso, il respiro della donna che amo e aspetto.
Aspetto che suoni la sveglia per tornare a far faticare queste mie mani.

Poi magari un giorno mi faranno sapere che il mio lavoro non serve più, che le mie mani sono inutili, sono come foglie appassite spazzate dalla strada.
Quel giorno penserò a quando avevo cinque anni.

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editoriale di kosmogabri

Antefatto
Oramai su Facebook ci sono tutti. Cani e porci… "antilopi e giaguari, sciacalli e lapin". (Rino Gaetano).
Penso che conosciate tutti questo famosissimo social network vero? Non si parla di altro. Dai, non fate finta, perlomeno lo conoscete per sentito dire… quanti tra di voi che hanno l'account fb e quanti invece si rifiutano categoricamente di accedervi? In effetti quando si tratta di Facebook è tutto o bianco o nero.
Ma non è della creatura malefica di tale Zuckenberg e accoliti che vorrei parlare.

Tre notti fa su Facebook in tanti utenti abbiamo assistito a una discussione in diretta, che è durata - tra botta e risposta con inoltre diversi interventi esterni ai contendenti - da sera inoltrata fino all'alba. Ciò tra "due musicisti tra i più notori della scena wave italiana durante gli anni d'oro degli '80": Faust'O e Garbo.

(Ora per inciso premetto che per ambedue spasimavo quando ero una ragazzina e vivevo in diretta le loro uscite discografiche nonché li vedevo in televisione in quelle mitiche trasmissioni italiane musicali tuttifrutti e pomeridiane che hanno tirato su noi quasi cinquantenni… Chiudo qua la parentesi.).

Tema originario della discussione (il topic thread come si dice oggi). Sentite sentite! I Beatles o meglio il Paul McCartney. Argomento appassionante no? Macché. Diciamocelo!
Difatti quello che invece ha appassionato tutti gli astanti non è stato il tema ma sono stati i "toni". Ossia di come si è svolta la discussione tra i due artisti.

I toni della discussione tra i due nonchedimeno Garbo e Faust'O (all'anagrafe Renato Abate e Fausto Rossi... ma nemmeno un Ammaniti se li inventerebbe dei nomi così appropriati) son stati in "bianco o nero". Colori di un pianoforte scordato. In contrasto e dissonante. Ci sono voluti pochissimi messaggi reciproci che i due son passati subito dall'insulto - non specifico chi ha cominciato, non ha importanza in questa sede - a in men che si dica all' "appuntamento per strada". Cioè il "lancio del guanto". Ahahah! Delirio. Ho un déjà vu. E come grande finalone si è arrivati al "tu sei un fascista" versus "tu sei un catto-comunista"… Estasi.

E' un riassunto breve, non entro nei dettagli pittoreschi… non servono.
Noi debaseridioti sappiamo bene di che si sto parlando, vero?
La "tonalità" delle discussioni (ops… forums) sui social networks ego-catalizzatori, giusto? Siamo vaccinati. Anzi forse dovrei dire che è' la nostra droga.
Lo è, lo è. Noi ci godiamo.

La tonalità costituisce l'insieme dei principi armonici e melodici che regolano i relativi legami tra accordi e/o note in un brano musicale.

A dare un senso musicale a quella discussione tra Faust'O e Garbo definirei l'attitudine post-punk/noise con una venatura electroclash e qualche sfuriata screamo. Tutt'altro di quello che ambedue hanno mai o stanno producendo attualmente! Tuttavia è stato uno scambio a muso duro che ho ritenuto molto creativo tra insulti e pacificatori goffi tentativi di pacche sulle spalle. Ho riso molto leggendoli e avevo come questa latente impressione di assistere ad una di quelle megalitigate su Debaser, come quelle di anni fa, come quelle di oggi. Quelle sfogate che prima o poi devono scoppiare perché nell'aria da tanto tempo. Anche anni. Decenni. Ere. Poi arriva l'internet. E allora "Apriti Sesamo".
Ovviamente pure io - in diretta - c'ho mollato il mio commentazzo tanto per marcare il terreno (e qui rido troppo di me, che cogliona che sono.).
Noi debaseridioti sappiamo bene di che si sto parlando vero?

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Lo scazzo tra Garbo e Faust'O è successo tre giorni fa e la notizia ora sta prendendo piede. Sul social network più famoso del mondo ho notato diversi morbosi accenni su questo accappigliamento virtuale svoltosi tra i "due musicisti tra i più notori della scena wave italiana durante gli anni d'oro degli '80". Anche su Twitter ci sono alcuni riscontri. 'Sta faccenda è ora una "notizia" che viaggia via tam-tam, raccontata ogni dove, con tanto di video Youtube a corredo secondo la partigianeria.
Equiparerei la cosa alla notizia di sei-sette mesi fa quando il Capovilla (Paolo) decise con clamore di uscire definitivamente dal Feisbuk con tanto di comunicato stampa ufficiale su alcune riviste specializzate.
Epperò loro due - il Garbo e il Faust'O - sono stati più spontanei e fulminanti nella loro coscienza di essere (ancora) animali pubblici. Meravigliosi. Umani. Veri.
Due veri "stronzoni".

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