C’era il fatto che diversi anni fa, trenta e passa, mio padre doveva prendere il diploma di scuole medie in ritardo di molti anni rispetto ai coetanei, perché nel secondo dopoguerra i soldi per andare all’avviamento non c’erano, mio nonno lo mandò dallo zio falegname per imparare un mestiere a aiutare a mantenere i fratelli. Ma non è del lavoro di mio padre che devo scrivere.
C’era il fatto che mio padre finiva di lavorare in anticipo, andava all’istituto serale dove era comunque il più grande della classe, la parte restante essendo composta da qualche ripetente prestato al lavoro, da qualche lavoratore nelle stesse condizioni di mio padre trent’anni prima e via così. Ma non è della classe di mio padre che devo scrivere.
C’era il fatto che nel programma delle scuole medie serali c’era anche la voce “lingua straniera” e mio padre al momento dell’iscrizione sbarrò la scritta su “tedesco”, mica perché fosse il più facile, mica perché fosse il più utile, mica perché avesse interesse a leggersi in lingua originale Achim von Arnim, Brentano, Novalis o altre cose che suppongo mio padre abbia orecchiato leggendo il supplemento domenicale del giornale o qualche settimanale. Ma non è delle conoscenze linguistiche o relativi skill(s) che devo scrivere.
C’era il fatto che mio padre conosceva soltanto il tedesco per aver vissuto qualche anno in Svizzera - ai tempi di “non si affitta agli italiani” - e che mio padre in Svizzera non aveva soltanto trovato lavoro e affitto, ma aveva anche imparato un poco di tedesco, giusto per non passare tutta la giornata in silenzio in fabbrica e giusto per capire cosa stava scritto sulle pagine dei giornali. Ma non è di mio padre e del suo tedesco che devo scrivere.
C’era il fatto che per ripassare il tedesco in vista delle tardiva licenza media mio padre si appoggiava al nostro vicino di casa, quello che stava al piano di sotto con la moglie ed i figli, quello che i figli erano miei amici, ed il figlio maschio quello con cui sono cresciuto assieme, quello con cui ho imparato che sin da piccoli le amicizie fra maschi implicano una stretta di mano ed un pugno, a giorni alterni e senza grandi risentimenti. Ma non è degli amici di infanzia che devo scrivere.
C’è il fatto che il vicino di casa faceva il professore di tedesco, aveva studiato il tedesco all’Università non so che di Napoli ed aveva la faccia di Eduardo de Filippo giovane, del figlio di Eduardo de Filippo giovane, del nipote di Eduardo, se assomiglia al nonno e al padre ed adesso è in qualche modo giovane. Ma non è di Eduardo e del fatto che molti campani gli somiglino che devo scrivere.
C’era il fatto che con il Professore - anche se a volte era sbruffone, anche se fumava troppo, anche se voleva aver sempre ragione nelle riunioni condominiali - eravamo tutti amici, si andava a cena assieme, un anno di è festeggiata anche la vigilia di Natale, se non erro la volta che regalarono sia a me che al figlio i primi Masters di una collezione terminata attorno all’ottantotto. Ma non è dei giocattoli, e dei videogiochi che hanno preso il loro posto, che devo scrivere.
C’era il fatto che il Professore aveva una taverna dove dipingeva quadri nel tempo libero, e che molti di questi quadri li regalava a mio padre, e sono tutti finiti alle pareti di casa, alcuni con i paesaggi dell’Irpinia e le donne col velo, altre con quelle dei laghi e delle montagne dov’era stato trasferito nei primi anni in cui insegnava tedesco, un altro ancora con un bosco ed una strada che sfumava a portava chissà dove. Ma non è dei quadri e delle domande attorno alle strade e a dove portano - strade che ancora percorro ogni tanto - che devo scrivere.
C’era il fatto che a un certo punto negli anni ’80 abbiamo cambiato casa, con il Professore la moglie e i figli ci siamo visti qualche volta e poi sempre meno, l’ultima nel giugno del novantotto ai tempi dei Mondiali in Francia, restava poco da dire salvo qualche battuta e il fatto che Zidane era forte, ma Maradona meglio, il Napoli meglio. Ma non è del Napoli di Maradona che devo scrivere, non è di Sampdoria 1 - Napoli 2 del campionato ’86-‘87 vista assieme al Professore che vi devo raccontare, anche se posso farvi vedere il servizio della televisione.
C’era il fatto che qualche volta sono tornato al parco davanti alla vecchia casa ma non ho mai suonato al campanello del Professore per paura di non essere riconosciuto, perché erano passati gli anni, ma non la mia memoria, eppure temevo di fare la figura del nostalgico e di tornare in un posto in cui non c’era più niente da dire, nemmeno del Napoli. Ma non è dei certi fantasmi che devo scrivere, per quelli è meglio leggersi Eduardo, quello che somigliava al Professore.
C’è il fatto che questa mattina ricevo un messaggio. Hanno trovato il cognato del Professore per strada e gli hanno chiesto come stavano i parenti.
Il Professore è morto da qualche anno in casa di riposo, stava molto male, la moglie si è trasferita via dalla figlia, l’altro figlio pure ha cambiato casa, e l’appartamento al piano di sotto resta in vendita, com’era in vendita il mio tanti anni fa.
Resta il fatto che ho una casa piena di quadri del Professore, strade da percorrere ed un corso serale di inglese da iniziare fra venti minuti: ma non è di quadri, strade e lingue straniere che riesco a scrivere.
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