editoriale di zaireeka

Vi devo dire la verità.
Temo che nel fondo della mia mente stia per cadere un tabù.

E' successo sentendo poche parole ad un tg, quelle di una signora veneta, vittima come tante dell'ultima alluvione che ha martoriato il nord-est un po' di giorni fa.
"Basta, non vogliamo più essere presi in giro da Berlusconi e Bossi!".
"Ma come?" faceva l'intervistatore "Anche Bossi? Ma lui difende i vostri interessi, lui vuole la Padania!!"
"Non è vero" ribatteva la signora "pure lui è un mangia mangia che passa tutto il tempo a Roma Ladrona. Basta, secessione!!!" si lamentava.
"Basta, secessione!!!" faceva eco un tipo intervistato più meno nello stesso giorno da un altro tg, questa volta nelle campagne alluvionate del salernitano.

Che vi devo dire, a dispetto della pioggia che si impegna tanto per unirci tutti, anche io comincio a convincermi che quella sia la strada giusta, ed è paradossale che mi succeda nel 150esimo anniversario dell'unità d'Italia.

Ed ecco qui la mia proposta, che cerca di salvare capra e cavoli.
Tanto per cominciare creiamo una federazione "light" di stati sovrani ed indipendenti.

Cosa accomuna, nello statuto fondativo di questa federazione, tutti questi stati?
Potremmo dire che è la lingua, quella italiana, ma, attenzione, solo come seconda lingua, dato che i dialetti sono molto più pratici per parlare fra gente dello stesso posto.
Insomma, solo questo, niente altro, un po' di italiano imparato a scuola giusto per parlarsi ogni tanto per telefono per sapere come è il tempo dall'altra parte.
Niente istruzione ("per me Masaniello era un grande, altro che quell'omm' e merd' di Mazzini"), niente sanità (che se ne frega uno che vive sulle montagne piemontesi dell'anemia mediterranea), niente difesa ("se a te i libici stanno sulle palle, non è un mio problema, per me sono brava gente").

Un beneficio collaterale che potremmo ottenere dal basare solennemente quel che rimane dell'unità nazionale solo sulla lingua italiana è che la nuova federazione potrebbe invocare in suo nome (della lingua) l'annessione del Canton Ticino, di San Marino e del Vaticano, tutti posti in cui la lingua italiana va per la maggiore, e non solo come seconda lingua.

Poi forse, più in là, a questa federazione potrebbero unirsi anche altri staterelli di lingua italiana, tipo Antigua, e tanti altri, anche di poche centinaia di persone, vaganti e sparsi per il mondo, anche singoli quartieri, tipo Little Italy a New York.
Sarebbe una bella Patria questa, vero?

Una patria molto romantica, all'antica.

L'unico problema è questo.
Saremmo davvero disposti fra qualche anno a farci deportare in massa in un lager cinese o serbo pur di riavere indietro una terra tutta per noi quando in fondo l'abbiamo già?

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editoriale di Bartleboom

Se ripenso agli anni ’80 – e mi capita ogni volta che ascolto musica anni ’80, oppure quando mi vendono per nuovo il sound di soggetti come LaRoux, che, a parte il nome, non ha poi nulla di così diverso e originale dalla musica di trent’anni fa – ho spesso la sensazione che i miei anni ’80 si siano fermati
alla primavera del 1983. Non mi è successo niente di particolare, nel 1983; però, è l’anno di cui ho più foto, più testimonianze, più ricordi, e quindi l’anno che mi condanno a rivivere ogni volta che incrocio quelle foto, nelle rare occasioni in cui mi oramai mi capita.

Nel tardo inverno del 1983, assieme ai miei, abbiamo fatto una gita in montagna, per vedere l’ultima neve della stagione, assieme alle cime imbiancate di montagne più suggestive nella stagione fredda che d’estate. Come tutti i cittadini persi in un gita fuori porta, non eravamo organizzati; nessuno di noi era lì per sciare, con doposci-berretti-guanti-maglioni-pantaloni-imbottiti: mio padre veniva dal mare, dire collina era come dire montagna nella sua infanzia, a scalare un cavalcavia ti sentivi un campione di ciclismo, gli sci, nel suo mondo, erano un passatempo per ricchi. Quella montagna, raggiunta nell’inverno dell’83, era il suo esotismo, il suo Everest.

L’unica cosa che avevamo, con noi, giacche pesanti a parte, era la macchina fotografica.

All’uscita della funivia, a duemila metri, mio padre mi disse di mettermi sopra un mucchio di terra ricoperto dalla neve, per farmi una foto, riprendendomi dal basso: da ventisette e passa sono inchiodato lì, con le braccia spalancate, tutto il bianco della neve attorno, ed uno spicchio di azzurro dietro di me. Chi riveda oggi quelle braccia spalancate, potrebbe credere che io stessi simulando il volo, all’altezza delle aquile e a duemila metri sopra il mare: io so invece che quel gesto simulava una pubblicità con Mike Bongiorno e la sua “allegria” in cima al Cervino. Ma taccio, e lascio che chi vede ora creda davvero nell’illusione del volo di un me bambino.

Mi dicono che sabato nevica, e che quella montagna sarà sicuramente sotto la neve.

Rivedo il mio sorriso nella foto, la mia allegria presa in prestito dalla pubblicità di un prodotto che i miei non hanno probabilmente mai comprato, e che non mi sono mai sognato di restituire a  Mike. Rivedo tutto il bianco attorno.

Non c’è nulla che dia l’idea dell’infinito, e del possibile, come il bianco, sia esso uno spazio da riempire con un disegno o una frase, una notte da passare persi nei pensieri nell’attesa di un sonno che non verrà prima dell’alba, un muro su cui appendere un poster o la tua foto. Nulla che assorba tutte le forme che possiamo inventarci, verosimili, probabili ed improbabili, così come il bianco è l’assenza di ogni colore, l’attesa di ogni cosa a venire, un momento senza dimensioni, senza spazio e senza tempo, senza limiti capaci di segnare il prima ed il dopo, il dentro ed il fuori.

Melville vede nel bianco l’infinito di un dio inconoscibile, la prova del mistero che non possiamo svelare. Poe descrive la fine di Gordon Pym perso nel bianco glaciale in cui l’infinito dell’orizzonte marino si incontra con l’infinito del cielo, e l’ignoto si manifesta in tutta la sua vastità. Per Kieslowski il bianco è la somma dei contrari, di ciò che si è dato ed avuto, quell’infinito che per alcuni matematici tende allo zero, all’annullamento delle differenze, del dritto e del rovescio, del sopra e del sotto, del giusto e dell’ingiusto, e, forse, anche del bene e del male. Quella stessa LaRoux di cui scrivevo poco sopra – prima di consumare il bianco residuo del mio foglio word – gira nel suo piccolo un video in cui ogni possibile forma geometrica scaturisce dal bianco e dal vuoto, un vuoto dove il 1983 è accaduto esattamente oggi, mentre me la immagino sul palco di Discoring o in finale al Festivalbar.

Nel mio spazio bianco mi accontento di dare l’illusione di un volo che forse non è mai spiccato, conservando il senso dell’allegria che solo il senso di uno spazio aperto può realmente darti, in quella bianca età che sembra ai più fortunati l’infanzia, in cui tutto è da scrivere e nulla è ancora accaduto.

Sabato nevica, e le catene sono l’ultimo dei miei pensieri.

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editoriale di zaireeka

Nel mondo sconosciuto ai più della "filosofia informatica", o della "informatica filosofica" che dir si voglia, esiste un problema cardine noto con il nome de "Il problema della fermata".

In cosa consiste questo problema?

Il concetto è semplice semplice e posso spiegarlo con un esempio.

Prendete un qualsiasi brano mp3 che giace in questo preciso istante sul vostro disco fisso, cambiate la sua estensione da .mp3 a .exe.

Fatto?

Bene, il vostro povero file mp3 è stato testé trasformato in una piccola "applicazioncina software" nuova di zecca.

Ora, prima di fare un bellissimo doppio click con il tasto destro del mouse sullo stesso file per lanciare la vostra nuova applicazione e vedere che succede, fatevi una domanda.

E' possibile trovare in internet un freeware, uno shareware, o un checcosanesoware che, lanciato nel modo giusto e con il giusto input (ad esempio lo stesso mio bel programmino ed il modello del mio laptop), mi dica se il mio bel programmino prima o poi si bloccherà oppure mi manderà il computer in loop e l'unica cosa da fare per fermarlo sarà staccare brutalmente la spina?
E che (questo è veramente importante) sia in grado di rispondere alla stessa domanda per tutti gli altri programmini che posso immaginare di costruire nella stessa maniera?

Pensate di si?

Risposta sbagliata.

In internet si può trovare di tutto, il programma per calcolare la quantità di goccia di pioggia che cadono da una nuvola in base alla sua forma e colore, il numero di cazzate che scriverò dato il numero di bicchieri di vino in eccesso bevuti prima di mettermi alla scrivania (bugia, sono praticamente astemio), e tanto altro.

Questo programma "magico" però non lo troverete mai, doveste anche cercarlo in eterno.
E per il semplice fatto che questo programma non può esistere.

Invero, se questo programma esistesse, è incredibile cosa potremmo sapere e cosa potremmo fare, cose che "voi umani non potete neanche immaginare" (Gnagnera, sto solo scherzando, eh...).

Che c'entra tutto questo con l'amore, vi domanderete?
Ecco, diciamo così, non esiste - alla stessa maniera - un "programma", una regola universale che, dato un cuore, il vostro, ed una qualsiasi persona che nel vostro cuore pensate di far girare, vi dica se il girotondo una volta avviato continuerà per sempre o se un bel giorno si fermerà lasciandovi il cuore in panne (e senza neanche staccare la spina)…

E' una brutta notizia?
Ma no, anche perché, a parte la tematica assurdamente filosofica, non è tanto nuova.

In fondo lo dicevano già Mogol-Battisti tanti anni fa ...


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editoriale di kosmogabri

"‪I Modey Lemon irrompono nel tuo stereo, nella tua casa, nelle tue orecchie, nella tua testa. Non ti chiedono il permesso, non ti danno il tempo di prepararti, vanno dritti al punto. La traccia iniziale, "Big Bang", è esattamente quello che ti puoi aspettare dal titolo: un'improvvisa esplosione.
Se questa fosse stata la colonna sonora dell'origine dell'universo sono sicura che il mondo sarebbe un posto migliore.‬
"

(Modey Lemon‬ - s/t (2001), recensione di Trellheim)

... ci manchi.

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editoriale di ilfreddo

In un indefinito e spero lontano futuro starò con tutta probabilità in una bara.

Belle corone di fiori da chissà quanti euro ai piedi dell’altare. Poco importa che in vita il solo pensare di essere, assieme ai miei miliardi di fratelli, il prodotto di un’entità perfetta mi avesse sempre fatto ridere. E non per mancanza di rispetto verso chi crede. Ma perché dal mio punto di vista bastava guardarsi in giro per realizzare che, nel caso di creazione superiore, doveva essere stata davvero una giornataccia: di quelle da 3/10 ai liberi! Invidiavo davvero chi credeva alle favole e talvolta avrei voluto provarci anch’io. Immaginavo infatti che potesse essere una formidabile stampella alla quale poggiarsi quando le cose non andavano lì, nella giusta direzione. Ciò non toglie che quando pensavo al dopo la morte per quanto mi sforzassi vedevo solo vermi che uscivano dalle orbite. E sapete una cosa? Avevo ragione.

In questa chiesa, dove per quel giorno sarò il piatto forte, tutto sarà al suo posto. Lacrime, occhiali ed abiti scuri. Dopo un’ora costruita per regalare un’appagante e falso ricordo di ciò che non sono mai stato uscirò sulle spalle di amici colpiti da un vero dolore. Che voglio immaginare essere silenzioso. Fin qui tutto bene. Ma poco prima di finire nella macchina arriverà anche quel terrificante rumore ed è di questo che voglio parlare.

A piccole dosi sarà anche utile, ma oramai è presente ovunque. Se fosse sterco, sarebbe merda di elefante stitico quella che riempie la nostra vita. La politica potrebbe tranquillamente cambiare nome in retorica, la televisione con rare eccezioni pure. Film e scritti ne sono spesso pieni per non parlare del fare quotidiano. Anche queste righe che ho cercato di strizzare più volte ne contengono.

Io quindi posso accettare tranquillamente in una situazione del genere i fiori ed i pensieri al miele poggiati sul legno cerato, il finire in una chiesa pur non credendo per contentare parenti, i racconti revival strappalacrime, il trasformare per un’ora la mia esistenza nel ricordo di un uomo esemplare che mancherà davvero alla comunità. Posso perfino far finta di credere ai visi scuri di gente semi sconosciuta che dietro quella maschera da attore di serie B penserà all’appuntamento saltato con l’amante nel pomeriggio. Ma a tutto c’è un limite.

Mi dispiace quindi solo che in quel momento non potrò essere Lazzaro. Per poter insultare pesantemente tutti coloro che, non paghi, si spelleranno pure le mani con forza.

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editoriale di fosca

Ormai un anno fa e oltre, mi fu chiesto un contributo per apportare il punto di vista femminile a questo spazio. Differenza di percezione e reazione, modus vivendi o che altro? Punti di vista. Bene.
Allora oggi parlerò di una cosa a te, uomo, sconosciuta, ma che noi donne conosciamo fin troppo bene.
Hai presente un mal di testa che ti prende di colpo e ti regala la magnifica sensazione di avere due morsetti con tanto di vite ai lati delle tempie che manco Frankenstein? E al contempo la presenza di uno scellerato che ogni minuto della giornata e sottolineo ogni, si diverte a girarti le due viti stringendone le ganasce? Se mi si allungasse la testa come un melone, non me ne stupirei.
Ecco, questa è la splendida sensazione che ogni mese, per due giorni di fila e continuativamente, ci attanaglia grazie al fatto di essere donne e avere le ovaie al posto delle tue gonadi.
E non c'è analgesico, droga o scusa che tenga. Lui è lì. Fisso, impettito, puntuale e tenace. Non molla.
A te schizza la testa per tutte le pareti di casa e ufficio e lui niente, impavido che preme sempre di più.
E in più i simpatici ometti che ti frullano intorno, e che te la sfrullano, ti sfottono pure: "Ah quatzo, voi donne in questi giorni siete intrattabili!". Prova tu, ad esempio, a stare col morsetto alle tempie per 48 ore di fila ogni mese e intanto fare la donna, il che vuol dire pensare ed essere multi-tasking e un po’ frenetica, con pause durante l’intera giornata (il cui termine avviene quando svieni sul divano non prima delle ore 22), che non durano mai più di tre minuti (che è giusto il tempo per riuscire a non orinare dentro le calze di nylon, che poi con l'effetto guaina non ti dico).

E sto parlando solo della famosa e temuta sindrome PRE, tre piccole lettere che messe insieme sortiscono l'effetto di una Bomba H in pieno centro a Manhattan alla vigilia del Santo Natale.
Ed è solo l'inizio, perché dopo il pre arriva anche il resto fino al post, con tutto il suo carico di disagio, dolore e corse in bagno che nemmeno Mennea. E parliamo di parità dei diritti?

Non ci sarà mai parità dei diritti finché non proverai anche tu, “Rocky”, la sensazione spettacolare di avere uno sfilatino di cotone inter coscia per tutta la settimana mentre, stando male, nel frattempo porti avanti la tua vita e mentre qualcuno, in contemporanea, ti sfrantega la uallera per un'infinità di motivi.
Voi uomini ed il vostro “dramma del raffreddore”.

Rassegnatevi, il nostro fisico è stato progettato per partorire e per sopportare una sofferenza che a voi resterà sempre sconosciuta: non ci sono artifici di anni di palestra che tengano, il nostro fisico (e quindi anche la nostra “centrale operativa”) è una macchina più efficiente della vostra. Comunque.
E almeno per un 70% del popolo femminile, raramente le nostre lamentele sono vane e senza fondamento. Quanto meno quelle fisiche.
E' bene che tu sappia, uomo, che probabilmente il vero personaggio che ha ispirato Rambo era donna, e che sicuramente, aveva le mestruazioni.

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editoriale di ilfreddo

Mi piace la peperonata, ma non la digerisco molto bene la sera. Il fatto è che me ne pento solo dopo.

Lo spunto nasce da una considerazione apparentemente banale, ma per nulla stupida, fatta da un de-utente poco tempo fa. Riassumendo brutalmente la sua spremuta di polpo: “La qualità della vita è tendenzialmente cresciuta nei secoli e millenni“. In effetti devo ammettere che rispetto a quando eravamo molto più bassi, gobbi e pelosi ne abbiamo fatti di chilometri. Diciamo pure che ci hanno tirato un bel calcio in culo e che questo ci ha proiettati sempre più in alto.

Ma il punto di vista che vorrei proporre è un altro. Ritenete che sarà sempre così e che il 2... o il 3... sarà un posto migliore rispetto a quello attuale? E soprattutto credete che alla maggior parte di questi miliardi di bipedi attuali (compreso chi scrive ovviamente) gliene freghi qualcosa del futuro che non vedranno mai?

A parole, a differenza dei secoli scorsi, di sicuro ci teniamo. Un casino.

Lo sviluppo sostenibile è la definizione più “in” dalla seconda metà dell’ultimo secolo. Un commando di parole accuratamente studiate e ben assortite per dire, in modo fumoso, opinabile e rivoltabile come un calzino, che ci deve essere una generica ottica di lungo periodo nello stile di vita attuale per poter instaurare un idilliaco ed onesto rapporto intergenerazionale. Cosa voglia dire in atti pratici non si sa, ma poi si continua sostenendo che non siamo i proprietari delle risorse planetarie e bla bla bla. Sotto il muschio della retorica, tra le umidi radici di meeting tra i leader più potenti del globo, ecco quindi spuntare termini meravigliosi e radiosi quali finanza sostenibile, turismo sostenibile, lotta al cambiamento climatico, consumo sostenibile, etica nella politica, guerra senza quartiere al razzismo e a qualsiasi tipo di discriminazione. Pace nel mondo e volemose bene.

Non conosco una persona che mi abbia mai detto seriamente: “sì, sono razzista“. Però più di pochi e meno di molti, inerpicandosi su una strada lunga e densa di tornanti a U, mi hanno snocciolato negli anni discorsi il cui riassunto, limato di diversi paraculi incisi, è più o meno il seguente. “Io non ho nessun pregiudizio, sia ben chiaro. Tutti per me sono uguali, ci mancherebbe, ma se mia figlia si sposasse un "negro"/se mio figlio diventasse frocio …”.
Pii paesani vanno a messa vestiti bene ogni domenica in fila indiana. Si vede che è vera fede quella che fa raspare sonoramente le suole del mio ex compagno di classe. Finita la funzione mette in pratica con fervore l'omelia con alzate di gomiti nel bar dietro l’abside con due bestemmie a frase. Una per aprirla, e l’altra per chiuderla: ci vuole una certa prassi, una certa metodologia. Nel linguaggio, intendo.
In Italia non c’è lavoro, mi informa mio zio 72enne che non vuole andare ancora in pensione. Forse lo farà quando diventerà vecchio, mi dice. Adesso deve pur vivere e prendersi il suo stipendio che candidamente afferma non essere male e che così, ad occhio e croce, guardando il vestiario dovrebbe far ingrassare almeno cinque neo laureati. Per lei invece, quella che da quando è andata in pensione lavora in nero per tutti i capelli delle signore del paese, il vero problema dell’Italia è che nessuno paga le tasse. Però anche l’ambiente è da tutelare, mi ammonisce l’altro che subito dopo decanta la bellezza della giornata a Parigi testé trascorsa con un low cost andata e ritorno in poche ore. Un bel pugno di anidride carbonica sicuramente ben speso: le foto, cazzo, parlano chiaro.

Ora potrei chiudere dicendo che tutti noi possiamo, anzi dobbiamo, fare qualcosa per cambiare questo status aggiungendo pure un pizzico di enfasi con il tremendo l’avverbio veramente posto subito prima del punto. Ma io dalla finestra asini tra le nuvole non li vedo proprio scalciare e librarsi nell‘aria. Saranno gli occhiali sporchi, non so. Piove e quella che scende e pungola il mio braccio, ora ben steso, parrebbe proprio acqua fredda: gocce di cioccolato non ne scruto e non credo nemmeno che ne scenderanno mai.

Invece di assimilare, rendere proprie o anche solo accettare passivamente mendaci buoni propositi e definizioni da Babbo Natale non sarebbe meglio stare in silenzio? Ammettere con la lingua immobile imprigionata dai denti che il presente che ci fa tanto schifo siamo soliti spiegarlo/giustificarlo nello stesso ignobile modo che ho fatto io poche righe fa? Un frutto marcio dell’operato stronzo del vicino, dello sconosciuto, della massa, ma anche dell’amico, del parente o di chi è già concime per i vermi da tempo; comunque sia non nostro. Ammettiamo con le labbra cucite che, con ogni probabilità, avremo l'immeritata fortuna di pagare in minima parte dei comportamenti personali riconducibili alla nostra generazione e che quindi, per quanto questo possa sembrare una battuta non riuscita capace di ghiacciare una serata festaiola, ci è andata perfino di lusso. Perché la forza di quel calcio in culo di cui vi ho parlato all'inizio sta scemando e si sta per scendere. Quello che lasceremo in eredità proviamo a guardarlo: vi sembra un cielo azzurro? E allora stiamo almeno zitti.

Ma forse sono solo un mucchio fumante di cazzate senza capo né coda e quindi non scagliatevi troppo su di me. La colpa non è mia: ma della peperonata, sia ben inteso.

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editoriale di zaireeka

Non mi illudo che quello che sto per scrivere possa essere compreso fino in fondo.

Che quello che la maggioranza leggerà come un mio giudizio su due programmi televisivi, sicuramente a mio avviso di valore culturale opposto, possa non essere letto come il nucleo narrativo di questo scritto.

Non mi illudo, ma ci provo. Il vittimismo sterile non fà per me.

E così, nel sessantesimo anno circa dell'era televisiva italiana, mi impongo ora di scrivere riguardo ad una sfida memorabile che si è consumata ad inizio settimana (oggi, mentre scrivo, è il 12 novembre 2010) fra un (se non il) campione assoluto dell'etere del Bel Paese, "Il Grande Fratello" (della coppia Marcuzzi-Signorini), e lo sfidante "Vieni via con me" (del duo Fazio-Saviano).

Sfida che, come forse alcuni di voi già sanno, i sondaggi dicono essersi conclusa con una vittoria schiacciante del programma di RAI3.

E' stata una piccola cosa in fondo, ma mi ha fatto pensare a tutto quel gran dire riguardo allo scarso valore del popolo italiano, al fatto che in fondo certi governanti ce li siamo scelti noi, li ha scelti la gente.

Che in fondo rappresentano l'Italia e il valore etico, morale, culturale degli italiani.

Tutto vero, per carità. Ma il tutto mi ha fatto venire un'idea balzana.

E se al posto delle elezioni "in chiaro", con tanto di manifesti sui muri di gente che promette meno tasse per tutti e sogni di cartone di vario tipo, e poi solo due minuti pigri e distratti in una cabina elettorale, si facessero delle elezioni "al buio", con la gente che vota senza saperlo?
Chessò, un bell'annuncio del telegiornale di Telenapoli in edizione straordinaria:

"Vi annuncio che ben duemila persone sono andate ad assistere, a San Giorgio a Cremano, allo spettacolo in piazza di Roberto Benigni, interamente dedicato dall'attore toscano a Massimo Troisi, mentre solo cinquecento scarse hanno partecipato all'inaugurazione della "Iperdiscoteca della Libertà (Passata, Presente e Futura)", sita nei pressi di Piazza del Plebiscito, per cui l'incarico di nuovo sindaco della nostra città per i prossimi quattro anni va a Roberto Saviano, scrittore noto per la sua denuncia del potere camorristico e particolarmente stimato dall'attore toscano, assistito da Claudio Abbado quale assessore speciale alla cultura …"

L'Italia ha speranze e dolori nascosti, desideri più veri e sogni più grandi di quello che spesso emerge dal "buio" delle cabine elettorali.
Solo che non siamo capaci di vivere questa idea davvero, per ottenere un'Italia migliore.

Ma chissà che un giorno, così, "come una distrazione, come un dovere", qualcosa possa cambiare.

Ad maiora.

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editoriale di Bartleboom

Da qualche tempo penso sempre più spesso alla paternità.
Non che abbia tutta ‘sta fretta di avere a che fare con notti insonni, pannolini farciti di nutella radioattiva e piogge acide di rigurgito post pappina. E’ solo che ad un certo punto le cose intorno a te cambiano: le tue ex si sposano, i tuoi amici pure, incontri dopo anni il capellone del liceo ed è più pelato di un pomodoro San Marzano e ti ritrovi a chiederti quand’è che la tua vita ha iniziato ad assomigliare pericolosamente ad un film di Muccino.

Sorvolando su questioni di cui mi frega tutto sommato poco (maschio o femmina? Come lo chiamiamo?), questioni a cui, ora come ora, non voglio nemmeno pensare (come lo mantengo? E se nasce con qualche malattia?), e questioni troppo grandi per me (il mondo è un posto troppo brutto etc.), ciò che mi fa davvero paura è la quotidianità.

Se mio figlio sarà un maschio, c’è il 50% di possibilità che si ritrovi vittima di atti di bullismo fin dalla tenera età. La soluzione potrebbe essere quella di mandarlo a lezione di arti marziali appena tolto il pannolone: forse, così, non sarà vittima delle baby gang di quinta elementare che vogliono buttargli i Gormiti nella turca. Ma a quel punto ci sarebbe il 75% di possibilità che sia lui uno dei bulli della scuola.
Oddio, se proprio dovessi scegliere, preferirei che fosse uno di quelli che le dà, piuttosto che uno di quelli che le prende, però anche l’idea di un figlio rissoso e cafonazzo non mi fa uscire matto.
Senza contare che, in quel caso, nel giro di una decina d’anni, pure io rischierei di prendere un sacco di legnate se solo mi azzardassi a rifiutargli l’acquisto dello scooter più fico del momento.

Se sarà femmina, c’è il 20-30% di possibilità che tra una quindicina d’anni mi ritrovi per casa una escort in erba, con i pantaloni a pelo di figa e il taglio delle chiappe bene in vista, la cicca in bocca anche di notte e il trucco di Moira Orfei.
Certo, può sempre capitare che per allora non esistano più i cellulari, le videocamere, internet, il peer to peer e pure Piersilvio Berlusconi e il suo stracazzo di digitale terrestre di Mediaset Premium. Così - forse - non correrò il rischio di imbattermi in un video che la vede protagonista di una gang bang con la nazionale australiana di bowling. Ma chissà perché la vedo un’eventualità un po’ remota.

Non so.
E’ come se guardassi i bambini di oggi e ne fossi intimorito.
Penso alla mia infanzia e mi ricordo giangiulone e babbazzo: estasiato dalle prodezze grafiche di un Commodore 64, incredulo mentre il mio compagno di banco mi racconta l’ultima puntata di Colpo Grosso, terrorizzato all’idea di un ceffone di mia madre o di una nota della maestra.
Guardo i bambini di oggi e li trovo sgamatissimi e un po’ figli di puttana: a 9 anni hanno l’I-Phone, sono top uploader su Xhamster (sempre sia lodato), e se provi a sgridarli ti mandano affanculo in italiano, francese ed inglese (peraltro con un discreto accento).
Al telegiornale dicono è sbagliato e che è colpa dei genitori assenti e incoscienti.
Io, ad essere sincero, non ho ancora capito se tutto ciò è un male o un bene.

Mi ripeto che è una ruota che gira, che un figlio è (quasi) sempre una gioia, che ci sono passati tutti, che il mestiere di genitore è da sempre quello più difficile, che i momenti belli (si spera) alla fine ti fanno dimenticare quelli brutti e che, in ogni caso, “ne vale la pena”.
Qualche volta mi basta.
Tutte le altre no.

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editoriale di fosca

Per il ponte della festività di Ognissanti ho avuto il piacere di fare un breve viaggio verso una delle capitali europee più affascinanti e ricche di spunti storici, antropologici e culturali del nostro continente. Sono stata per la prima volta a Berlino. Terra controversa, patria di storiche nefandezze studiate da tutti, e contrassegnata dalla moderna e recente riscossa civica, che la pone attualmente tra le città col migliore tenore di vita ed un ottimo standard qualitativo.
Standard riscontrabile e respirabile già passeggiando per le strade come turista, potendone osservare ed ammirare l’urbanistica intelligente ed attenta ai bisogni di tutti, dalle autovetture ai pedoni, ai ciclisti, che ovunque, anche nelle strade a tre corsie a veloce scorrimento urbano e nel centro, possono usufruire di corsie preferenziali solo a loro dedicate, e guai a camminarci distrattamente. Oppure i mezzi pubblici, puliti, puntuali anche di notte, sui quali si sale facendo la fila e non sorpassando a gomitate il vicino di marciapiede, e sui quali non si può più salire quando la capienza al suo interno raggiunge i sessanta centimetri di vicinanza dalle porte, che devono essere sempre libere per quel raggio, pena la mancata ripresa del percorso ed il cazziatone del conducente.

Ultimamente ho avuto la fortuna di viaggiare (per diletto) abbastanza per l’Europa, meta al momento da me privilegiata, e l’atmosfera che ho potuto respirare è sempre la stessa: civiltà, decoro, funzionalità.

Mentre ero a Berlino, mi sono (fortunatamente) persa le ultime puntate della telenovela tutta italiana del carosello dei “nostri” politici, l’ennesimo scandalo (ma dai che parolone!!) del “nostro” esimio Presidente del Consiglio che attraverso l’abuso di potere e lo scavalcamento di ogni rigore legislativo, ancora non si è reso conto di cosa in teoria egli dovrebbe incarnare e rappresentare per il Popolo Italiano (sempre più rimbecillito e vergognoso), e la performance cimiteriale del nostro sindaco milanese, che - visto l’andazzo - ha pensato bene di farsi un po’ di propaganda “cattura voti” offrendo, fuori dai cimiteri, té e pasticcini (pagati dai contribuenti) alle famiglie in visita ai loro cari defunti, nella speranza che - non potendo ottenere più i voti dei morti - almeno si possa ancora assicurare quelli dei parenti impressionati da cotanta generosità. E mi viene in mente un ottimo editoriale di Appestato, di un anno fa, che diceva “Io i miei morti, me li porto dentro”.

Ecco, a prescindere da quelli che io porterò sempre dentro di me, il primo pensiero che ho avuto al mio rientro in Patria, una volta messa a conoscenza di questi ultimi fatti italioti, è stato che avrei voluto prendere immediatamente un altro aereo e volarmene via, il più lontano possibile, in un posto qualunque sulla cartina, anche invero a pochi km da noi.
Un posto in cui le parole Dignità e Rispetto abbiano ancora uno straccio di senso.

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editoriale di geenoo

La grottesca grezzeria del nostro Presidente la conosciamo tutti, fin da troppi anni e, da sempre, il nostro è stato difeso a spada tratta da schiere di suoi seguaci. E' il nostro "uomo del fare" sporchi comunisti, che volete??
E lui giù battute su pm matti, sulla Bindi brutta, sulle donne disoccupate che dovrebbero sposare il figlio, sui paragoni coi kapò, sui condannati all'ergastolo eroi, sugli immigrati che non sono benvenuti ma le belle ragazze possono restare.... sempre gli aficionados: vai Silvio sei tutti noi!

Ho sempre pensato, fin dal 1994, che tutto quello che dicesse fosse stato studiato a tavolino per colpire alla pancia della gente.
Senza offesa, per colpire sulla massa che si beve il Grande Fratello, che si ciuccia una telenovela di mezzodì, che non legge un libro dalla prima elementare, che non sopporta le regole, che se ne fotte del semaforo rosso come di pagare le tasse, che vuole fare la vita del ricco, godere e straffottersene. E soprattutto tutti i beceri che "odiano i negri", gli immigrati, i gay, i rom, gli stranieri, l'altro, il diverso, fosse comunista o idealista.
Da qualche tempo è sbracato sulla "gnocca" (come descrive lui le donne), vedi la diciottenne Noemi, la prostituta Nadia, la D'Addario, le ministre, le varie gieffine nelle sue ville...
Evvia i suoi lecca-lecca ad affermare che: "embé? Magari io! Che sei froscio?".

Siamo arrivati ad oggi.
Il Nostro fa due telefonate alla Questura di Milano affinché una minorenne marocchina in stato di fermo per furto, una certa nipote di Mubarak, sia affidata alla sua igienista dentale.
Sappiamo la storia.
Il giorno dopo in Sicilia esce fuori l'ennesima escort che parla di festini a base di droga.
A questo punto, qualcuno dei suoi lustra-scarpe, si è rotto sinceramente i coglioni: giornalisti dalla sua parte, suoi elettori sul sito forzasilvio.it, onorevoli del Pdl, eletti del Pdl... quando è troppo è troppo.
E lui? Lui ci rimugina due giorni e, ad un festival di motori, la spara ancora più grande: "Meglio essere appassionati di belle donne che gay" Tah! Una bella mattonata sulle palle a tutti.
Ed anche stavolta ha colpito nel segno i suoi elettori. Ha studiato, sa benissimo che i gay mai e poi mai lo voteranno (c'è Vendola) e soprattutto sono percentualmente insignificanti, che i suoi elettori sono come lui (sennò perché lo hanno votato?), e quindi giù una bella battuta schifosamente razzista ed omofoba. Come diceva giustamente Bocchino ieri a Ballarò: "Avrà voluto dire: meglio un figlio puttaniere che froscio".
Eccola l'Italia com'è ridotta. Sputtanata, svergognata, violentata, aggredita ed umiliata, atterrita, dilaniata e derisa in mezzo mondo per questa specie di succo inacidito di ultra-italiano-medio-pecoreccio che corrisponde più o meno al suo elettorato.

Siamo alla fine?
Non credo. Non vuole lasciare. Si sente braccato. I processi a suo carico sono pericolosamente sospesi sul suo capoccione e sa benissimo che deve fare una bella legge per scapparne. L'unica sua salvezza potrebbe essere rivincere le elezioni e ricominciare a spadroneggiare, sempre più abbrutito. Ce la farà? Io non mi giocherei nemmeno 50 cent sulla sua sconfitta. Perché? Perché ha i suoi amati elettori che lui sa benissimo come eccitare.

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editoriale di fosca

Piedi, piedi, piedi.
Da dove sono io ne vedo migliaia ogni giorno e di tutti i tipi; calzare scarpe alla moda, in saldo, di lusso, del mercato, stringate o scamosciate, con tacchi vertiginosi o raso terra, contenenti passi di ogni lunghezza e andatura. E tutti sempre contraddistinti dalla fretta.
Da dove sto io, ogni giorno passano centinaia di persone e ognuna dura solo un attimo, il tempo di una frazione di secondo, di un respiro, e subito sparisce alla mia vista. Quasi nessuno si ferma, mai, se non brevemente per poi scavalcarmi, passarmi oltre, e raramente regalarmi una moneta.
Ma in ognuno leggo puntualmente qualcosa: a volte il disprezzo, a volte la pena, altre, la paura, e solo raramente la comprensione.
E sì che un tempo ero anch’io come loro: affaccendato in mille cose, avevo una casa, un lavoro, perfino degli affetti ed una vita privata, una vita che loro ovviamente ora definirebbero (e definiscono) normale, scandita da riti e ritmi incessanti spesso decisi da altri, quindi imposti.
Avevo bottiglie di buon rosso a cena, maglioni di lana morbida e calda contro il freddo ed ero spesso insoddisfatto di quanto avessi fino a quel momento ottenuto dalla vita che allora mi sembrava tanto ovvia e scontata.
Perciò un po’ noiosa, prevedibile, sempre uguale.

A volte basta un intoppo, il semplice mancato pagamento di un paio di forniture importanti, la mancanza di liquidità, il non essere previdenti, l’inaspettato caso che non concede preavviso, un investimento non riuscito, una frode, la sfiga, un banale incidente. Oppure la scelta libera ed incosciente di mandare tutto a puttane, un giorno, per una goccia in più, per il vaso pieno.

Ora non c’è più ansia, non c’è più incertezza né disperazione, perché anche l’essere disperati sottintende che si abbia ancora qualcosa da perdere, fosse anche solo la paura di poter essere ulteriormente defraudato.

Ed io li osservo mentre mi passano sopra e accanto, mentre si affannano in lunghe telefonate che vogliono fare sapere a tutti quelli che li circondano quanto siano professionali e importanti e rido di loro e delle loro premure, mentre controllano che la macchina non venga graffiata o che il vestito non venga sgualcito, sporcato, facendoli passare inosservati, rendendoli invisibili a quelli come me, che dormono per terra.

Rido della loro ricchezza che in realtà è schiavitù e mi sento libero di fronte ai loro legami e vincoli, io che posso morire da un momento all’altro anche ora, senza che per questo crolli il mondo né per me, né per alcuno.


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editoriale di zaireeka

L'altro giorno, girovagando per i canali televisivi finiti su internet, mi sono imbattuto in un intervista di Daria Bignardi all'erede al trono leghista, Renzo Bossi, detto "la trota".

Simpatico personaggio, devo dire.

Mi ricorda tanto (lo dico per scherzare, eh!!) quel simpaticone di Adolf Hitler nei giorni in cui "aveva trovato la sua strada" dopo i suoi mille, disperati e reiterati tentativi di essere ammesso all'Accademia di Belle Arti del suo paese.

Tutta colpa di quei professori prevenuti, e per giunta ebrei e comunisti (però, onestamente i suoi quadri non erano tanto male, i professori potevano evitarci tutto quello che è venuto dopo).

Ha parlato tanto Renzo Bossi, quasi faceva tenerezza, anche quando diceva che a lui i romani stanno tanto simpatici, in particolare i tassisti, ... più o meno come a me stanno simpatiche le scimmie che scorazzano nelle praterie "sconfinate" dello zoo safari di Fasano (BR).

Ora cambiamo argomento, ma mica tanto.

Esiste un personaggio nel nord d'Italia che è nato e vive dalle parti di Renzo Bossi, ed è un Poeta, e si chiama Davide Bernasconi, alias Davide Van De Sfroos (a proposito, a quanto pare è parente di una debaseriana "storica").

Si vede spesso dalle mie parti, e non per lanciarci le noccioline, ma per suonare e cantare.

Scrive in dialetto laghee, e nonostante tutto noi lo "capiamo".

Scrive versi come questi:

"E diciamo tutti che ormai è tardi, e diciamo tutti che è troppo presto.
E diciamo tutti che è presto, è tardi, ma nessuno sa per che cosa.
E diciamo tutti che eravamo angeli che però ci hanno dirottato.
E abbiamo le ali stropicciate e ripiegate sotto il cappotto
".

Per me è lui il più degno "erede" di Fabrizio De André, come la "trota" lo è di Umberto Bossi.

Ma il mio parere non conta niente, non sono mica il leader di un partito politico.

E nessuno ne parla.

E così in questi giorni, in maniera simile, dell'altra sponda dell'Italia, delle mie parti, non si fa altro che raccontare di Avetrana, di istinti omicidi caratteristici di "certe popolazioni", di avvocati esibizionisti, di Ordini degli Avvocati esibizionisti (della serie: "quando ci capita più?").

Mentre un altro personaggio come Mimmo Cavallo, nato a due passi da Avetrana, anche lui un Poeta, solo meno lirico e molto più incazzato, giace completamente dimenticato insieme a questi suoi versi di una trentina di anni fa, sicuramente non tanto poetici ma molto "profetici":

"Siamo meridionali
e abbiamo stati tutti quanti abituati male
sospettate di noi, sospettate
fate fate pure, fate come vi pare
"

Viva, comunque e sempre, l'Italia che non si vede.


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editoriale di kosmogabri

1. Non provare nemmeno a scusarti per una tua opinione.

2. Quattrocento parole va bene. Ottocento, no.

3. Molti musicisti sono persone orribili.

4. L’industria musicale non è tua amica. A meno che tu non scelga di fartela amica.

5. Metti del valore in ciò che fai. Se non lo fai tu, perché dovrebbero vedercelo gli altri?

6. Il fatto che tu sia in grado di alzare al massimo il volume di un amplificatore non ti rende necessariamente una persona interessante.

7. I Rolling Stones hanno rovinato la musica. Parliamone.

8. Un aggettivo è più che sufficiente.

9. Fare ricerche è una cosa. Scimmiottare un comunicato stampa è un’altra.

10. A nessuno frega niente della tua opinione. Fattene una ragione.

11. I tuoi princìpi non significano niente, se non ne hai.

12. Dieci parole va bene. Cinquanta, no.

13. Non provare nemmeno a descrivere la musica.

14. Se per scrivere hai bisogno di fare delle liste, forse dovresti fare delle liste e non dovresti scrivere.

15. Non deve fregartene nulla. Almeno, non in pubblico.

16. Le case discografiche e i promoter non dicono sempre la verità.

17. Non scrivere per giornali che non leggi.

18. A nessuno frega niente di sapere perché sei arrivato in ritardo al concerto.

19. A nessuno frega niente di sapere i singoli nomi e cognomi di ogni singolo componente della band.

20. Scrivi perché devi, non perché il tuo capo ti ha detto che devi.

21. Se non sai perché lo stai facendo, non farlo.

22. Scrivere di musica non è sexy. Non è di moda. E di sicuro non ti farà acquistare prestigio con l’altro sesso.

23. Parole da evitare: “davvero”, “completamente”, “seminale”, “incredibile”, “trascendentale”, “penso che”, “mi sembra di”.

24. Non è finita. Non è mai finita.

25. Affanculo le virgolette. E affanculo pure gli apostrofi, già che ci siamo. Sii diretto, divertente, informativo.

26. Ti sembra che questo gruppo assomigli a un altro gruppo? Beh, probabilmente hai ragione. Quindi?

27. Lo strumento (la scrittura) è molto più importante del critico.

28. Non fidarti mai di uno scrittore senza agenda.

29. Il tuo rispetto delle scadenze per la consegna di un pezzo sarà sempre tenuto in maggior considerazione della tua prosa fiorita.

30. Bello che la gente ti mandi la roba gratis, vero? Ok, basta, l’hai già detto.

31. Dieci minuti di chiacchiere al telefono il giorno dell’uscita del disco non assomigliano nemmeno lontanamente a un’intervista.

32. Non è che tutti i gruppi tranquilli somiglino per forza agli Young Marble Giants.

33. Non è che tutti i gruppi caciaroni somiglino per forza ai Sonic Youth.

34. A nessuno frega niente di sapere che una volta hai fatto sesso ascoltando una B-Side degli Smashing Pumpkins.

35. Il fatto che tu sappia usare la tastiera di un computer non ti rende automaticamente uno scrittore. Vedi punto 6.

36. Non approfittare della nostra ospitalità: grazie tante, e buonanotte.

37. La gente legge quello che hai scritto perché ci cerca la musica, non “quello che hai scritto”.

38. Hai scritto una frase che non capisci? Non sarai il solo a non capirla.

39. Essersi sbronzati e avere passato una buona serata non sempre si equivalgono.

40. I Radiohead hanno smesso di fare dei bei dischi. Fattene una ragione.

41. Hai come questa urgenza di leggere un’altra recensione dello stesso disco prima di scrivere la tua? Lascia perdere.

42. L’Età dell’Oro della Critica Musicale non è mai esistita. Fattene una ragione

43. Se ti stai annoiando, annoierai i tuoi lettori.

44. Kurt Coabin è morto. Fattene una ragione.

45. Sii candido. Sii te stesso. Sii consapevole. Sii te stesso. Sii divertente. Sii te stesso.

46. Quanti critici musicali ci vogliono per cambiare il mondo? Ecco.

47. Il tuo vicino che domattina non dovrà scrivere di questo concerto si sta divertendo molto più di te.

48. Frègatene delle persone che non conosci.

49. A nessuno frega niente dei tuoi vinili di Nick Cave.

50. Non ci farai dei soldi. Fìdati di me.

(fonte: http://www.collapseboard.com/my-advice-for-aspiring-music-critics)

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editoriale di kosmogabri

Con il downloading, si dice, possiamo finalmente ascoltare quello che vogliamo e quindi scegliere a ragion veduta cosa eventualmente acquistare. (…) Ci sono però aspetti psicologici, nel meccanismo formativo di qualunque scelta, che non andrebbero sottovalutati; se la nostra predisposizione verso una forma d'arte o l'altra (o nessuna) è probabilmente innata, non lo sono però i nostri gusti specifici, che nascono da visioni, ascolti, letture e contatti di mille tipi diversi, cambiano col passare del tempo e maturano con l’accumularsi dell'esperienza.

Eppure non potrò mai ringraziare abbastanza Federico Guglielmi che nel 1980 mi fece comprare "Fresh Fruit For Rotting Vegetables" dei Dead Kennedys, un disco che appena sentito mi parve così cacofonico e registrato da cani da escogitare rito voodoo per punire il dannato giornalista; o lo sconosciuto (probabilmente Red Ronnie) che nello stesso anno sulle pagine di Rockstar, scriveva: "…qualche etto di paranoia purissima in scatola di alluminio... ascoltare è una tentazione, non ascoltare è meglio..." a proposito del " Metal Box" dei Public Image Ltd: mi sembrò che il vinile fosse sbilenco e difettoso e quella che suonava solo una parente povera dell'odiata discomusic.
Lì lasciai entrambi a marcire per qualche mese nella sezione più alta del mio armadietto, quella che lo sgabello teneva a debita distanza dall'ascolto facile.

Ogni tanto però li riprendevo tra le mani, anche perché ne avevo così pochi, di dischi, che ero quasi obbligato; cercavo tra le parole delle recensioni il motivo di tanto entusiasmo e puntualmente li riponevo, nonostante ci fossero sempre dei dettagli che si aggiungevano e un quadro che da vago e indistinto si metteva lentamente sempre più a fuoco: la voce sardonica di Jello Biafra, quella sfasata di John Lydon, le chitarre che - come era possibile? - non facevano nessun assolo, i ritmi assolutamente frenetici o assolutamente monolitici...
Puntualmente ci tornavo sopra e puntualmente li riponevo; ma sempre più in basso, poi andò come andò.

Se a diciannove anni avessi avuto a disposizione milioni di altri dischi non avrei mai più riascoltato né "Fresh Fruit" né "Metal Box", mi sarei dedicato esclusivamente a quello che passava il convento delle radio "libere" - libere un cazzo, diciamolo una volta tanto: al 98% trasmettevano musica di merda.

"Con il downloading posso ascoltare tutta la musica che mi piace e evitare quella che non mi piace". Così facendo non avrai mai incertezze, dubbi, ripensamenti, nessuna trappola ti costringerà a restare ingabbiato in percorsi laterali, strani, difficili, minoritari, diversi da te.


tratto da: Blow Up, Giugno 2010, di Stefano I. Bianchi


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editoriale di Gallagher87

Poca gente, poca vita nell'arco di dieci metri. Una fredda serata nel centro di Taranto è anche, soprattutto questo. La solita compagnia, le solite abitudini, la solita vita.
Questa serata però ha un suo perché speciale, molto speciale. Quando sei concentrato a scrutare il nulla, difficilmente ti accorgi di tutto ciò che ti circonda, ma in questo caso la scena è agghiacciante; una coppia seduta su una panca, lei seduta, e lui, e ripeto lui, seduto sulle gambe di lei che l'abbracciava. Scambio di ruoli. Potrebbe finire così il mio editoriale e non avrebbe neanche senso di esistere, ma questo non è detto che debba essere interpretato come un semplice scambio di ruoli, non è una casualità e non è nemmeno una coincidenza, a mio parere è un sintomo di degenerazione sociale.

La mia funambolica mente elabora subito un connubio, errato per dir si voglia, ma creo comunque un collegamento: coppietta di teenager che 'confonde' i ruoli sta alla società moderna come i Tokio Hotel stanno alla musica, alle mode, alla confusione. Ho preso il quartetto di teenager tedeschi soltanto come esempio, ma il quadro è ben più ampio, e coinvolge la televisione, le radio, i giornali e tanto altro.
Quindici anni fa nessun ragazzino di dodici anni avrebbe avuto la triste idea di trascorrere anche una sola ora della sua giornata davanti alle trasmissioni pomeridiane che la TV di oggi ci propone, tra bambocci pieni di lacca, e donne svendute al marketing televisivo.

Tornando all'universo musicale, sono rammaricato quando ricordo che ad esempio, qualche anno fa qualcuno lì a Seattle ha cercato per l'ennesima volta di cambiare il mondo. E sempre pensando alla città del Nord America e tornando alla musica, ricordo i Soundgarden come ricordo gli Alice In Chains, i Nirvana e i Pearl Jam. Credo che ora anche loro (tra vivi e defunti) si chiedano cosa abbiamo fatto, cosa stiamo facendo, dove stiamo andando e perché la star 'pop'-pante Justin Bieber a 16 anni abbia presentato i Grammy Awards del 2010, salito sullo stesso palco dove è salita gente come Frank Sinatra e Stevie Wonder, John Lennon e Phil Collins.

Credo che come noi, loro si chiedano cosa stia accadendo e cosa non stiamo capendo e perché nel decennio 2000-2010 la musica non ha visto la nascita di nessun fenomeno di massa, come mai accaduto nella sua storia. Si pensi ai Beatles, ai Rolling Stones, ai Led Zeppelin e a tanto tanto altro, e poi si pensi ad oggi, a Mtv, al commercio. Ebbene si, i problemi della società di oggi vanno oltre la droga e l'abuso di alcool, riguardano il male più forte e silenzioso che il periodo storico contemporaneo abbia mai potuto creare, l'iniezione massiccia di veleno psicologico con una inevitabile prostituzione dell'essere 'io'. Questa frase che può sembrare apocalittica ed esagerata è la sintesi del moto perverso che ormai ha preso piede, che ha distrutto tutti i paletti della società creando nuove false icone e nuovi falsi miti.

L'uomo seduto sulle gambe della donna, i ragazzini che non giocano più a calcio in mezzo alla strada perché la sera prima hanno assunto ecstasy, io ho collegato tutto... ma nonostante ciò, ci credo ancora.
"WHAT THE FUCK IS THIS WORLD RUNNING TO?"
(Pearl Jam - Porch, 1991)

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editoriale di zaireeka

Se me lo permettete, vorrei raccontarvi una storia "magica".
La storia comincia così, con due semplici fatti su cui dovremmo essere tutti d'accordo.

Se troviamo una cosa per strada che la ragione ci dice essere impossibile, per definizione la chiamiamo un' illusione.
Al contrario, se troviamo una cosa che la ragione ci dice essere inevitabile e scontata, per definizione la chiamiamo una cosa normale.

Qualche esempio.

Una mattina, girando l'angolo di casa mia, mi trovo davanti Noemi Campbell ( o chessò, Brad Pitt, per le donne).
La chiamo subito una illusione, non c'è che dire.

Girando per i canali televisivi, trovo una ex concorrente de "Il gioco delle coppie" che sta a polemizzare con fare arrogante con uno dei giudici che ogni giorno rischiano la vita in Calabria nella lotta contro la' 'ndrangheta.
La chiamo anche in questo, per fortuna, un'illusione.

E' scontato (per favore, non mi dite che non lo è ...).

Al contrario, vivo in una grande città, uscendo la mattina per andare al lavoro, mi faccio una coda di un'ora prima di arrivare a destinazione.
La chiamo una cosa normale, purtroppo, non c'è che dire.

Ed ora ecco a voi la magia.

Nel mondo matematico esistono delle cose che si chiamano "numeri reali".
Esistono in particolari due tipi interessanti di numeri reali: i "numeri casuali" ed i "numeri razionali" .

Dei primi praticamente ne conosciamo (forse) solo uno (omega), e sono quasi impossibili da trovare,
Dei secondi i matematici (dilettanti e professionisti) ne hanno piene le tasche.

La magia è ora questa.
I numeri "casuali" sono invero infinitamente di più di quelli "razionali".

Se uno con uno spillo affilatissimo punta su un punto qualsiasi dell'insieme totale dei numeri reali, i matematici che vivono al di la dello specchio ci dicono che ha praticamente possibilità zero di beccare un numero razionale ("normale") e praticamente possibilità pari ad uno (la certezza) di beccare un numero casuale ("impossibile").

Insomma, almeno girando nel mondo matemico "astratto", è praticamente sicuro incontrare Noemi Campbell (o Brad Pitt) girato l'angolo di casa ed impossibile rimanere invischiati nella solita fila sul raccordo anulare recandosi al lavoro.

E chi se ne frega se è solo uno sguardo buttato al di là dello specchio.

E poi dicono che la matematica è una materia arida.

Per me, almeno in questo caso, è la materia dei Sogni

Non trovate?

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editoriale di kosmogabri

Hai presente quella menata che "se esiste un paradiso del rock, di sicuro hanno un gruppo della madonna?". Be', non crederci, amico mio. Tutto il talento è finito dritto all'inferno. Proprio tutto. Qui le attrazioni più grandi sono Jim Croce, Karen Carpenter, Cass Elliot e - soprattutto - Bobby Bloom!
E' un incubo! Cazzo, se mi tocca riascoltare un'altra volta "Montego Bay" mi suicid... (ecco, vedi, me lo dimentico sempre).

Ad ogni modo, faccio domanda di ammissione all'inferno ogni sei mesi ma continuano a respingermela, perché secondo loro - beccati questa - sono troppo buono!
Scrivigli e spiegagli un po' come stanno le cose, per favore. Digli che razza di stronzo so essere quando voglio, dì alla Uhelszki di farlo anche lei. E a Marcus. (A proposito, mettilo al corrente di quanto apprezzo che si stia scervellando su tutti i miei vecchi arzigogoli)

Appena arrivato ho conosciuto Dio. Gli ho chiesto perché. Sai com'é, a soli 33 anni, eccetera. Ha detto solo "Mtv". Non voleva che mi toccasse sciropparmela, di qualsiasi cosa si tratti.

Devo scappare. Sul serio. Sta arrivando un altro armento di anziani apprendisti arpeggiatori. Che suonano "Stairway" degli Zep, naturalmente. In 'sta città del cazzo è l'inno nazionale. Non c'è nessuno che conosce gli Elgins, non capisco perché.

Dammi retta, Dave. Il paradiso era Detroit, nel Michigan. Chi l'avrebbe mai detto?

Tuo per l'eternità,
Bangs.

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editoriale di Appestato mantrico

Continua a filmare. Non smettere d'inquadrarla. Fissala. Stringi il campo. Gli occhi! Non farti sfuggire gli occhi! Dobbiamo essere pronti a immortalare l'attimo in cui quello che stiamo per dirle scalfirà il suo volto di cera impassibile. Dobbiamo far vedere tutto al pubblico a casa (è gente esigente, e ha sete d'emozioni). Continua a filmare: ne abbiamo il diritto! Abbiamo il diritto di sapere! Che tutti sappiano! Signora, purtroppo sua figlia è morta... strangolata - ora, stringi sugli occhi! Quella luce... E il suo assassino ne ha violentato il cadavere. Avete capito bene, carissimi telespettatori: la signora ha appena scoperto di avere perso sua figlia, a causa dei deliri della mente di un pazzo! La sua bambina, signora! Quell'uomo è un mostro, senza dubbio (filma, dannazione! Filma tutto!)!. E' terribile. Le voleva molto bene, a sua figlia? Capisco la rabbia che sente, le sono vicina, davvero - credo che stasera lo share sarà stratosferico... Ma si sente bene, cara? Possiamo smettere quando vuole. Dobbiamo fermare il programma? La trovo molto pallida, signora. Un bicchiere d'acqua, presto! Ha bisogno di aria, signora? Se la sente di continuare? Se la sente di continuare? Se la sente di continuare?

Ci scusiamo con il nostro gentile pubblico, ma questo è un momento di grandissimo dolore per la nostra ospite e spero saranno comprensivi se dobbiamo fermarci ora nel mezzo di questa intervista esclusiva. Ci stringiamo in un grande abbraccio con lei e condividiamo il suo cordoglio, sperando che ci torni a trovare presto per raccontarci la sua sofferenza.

In realtà, quella donna era nuda.

Ma tu, continua a filmare.


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editoriale di enbar77

Fine settembre, inizio ottobre. E’ tempo di vendemmia e per chi ha terreni a coltivazione vitivinicola inizia la raccolta del nettare degli Dei. Io mi ritrovo figlio acquisito di persone antiche, ossia, nate e cresciute con una particolare cultura, quella della terra che aveva un valore pari alla Reggia di Versailles, quando si campava naturalmente con vino e olio non trattati e non si moriva di tumore grazie ai veleni artificiali del millennio. Sono entrato, quindi, a far parte della confraternita dell’uva, ritenendo sia una delle cose più belle che ancora questa vita di merda ci può regalare. Un’ esperienza particolare, un appuntamento con un mondo assolutamente nuovo, ricco di neologismi e strategici modus operandi.

La confraternita è composta dalla madre, che ha chiesto il permesso alla sartoria per disertare qualche giorno, dal padre, che carica il trattore tra un viaggio col pulmino della scuola e un motore di motosega da rigenerare, dal figlio, ribelle e scapocchione, io, il novizio e il nonno partigiano, l’ineguagliabile Grande Capo.

Il pezzo di terra non è molto grande ma neanche tanto piccolo. “Quasi ‘nu muojo”, un moggio. Quest’ultimo è un’unità di misura composta da 33 are. Un’ara è pari a 100 mq e la terra in oggetto essendo “quasi”, ne conta 30. 3000 mq di terreno capace di una decina di filari, divisi in settori, da almeno 200 metri lineari ognuno. Coltivati ad aglianico, falanghina, sangiovese e coda di volpe e “coracavallo”. Bellissimo. Mentre i primi tre vini sono abbastanza diffusi e conosciuti, non rammento l’esistenza degli ultimi due. E’ necessaria un’integrazione culturale. La “Coda di volpe” è un vitigno particolare, rosso, dal caratteristico grappolo, pardon (!) pigna corta, gonfia in alto, carica di acini e man mano che scende si assottiglia fino a terminare a punta. Come la coda di una volpe, appunto. “Coracavallo” non è altro che coda di cavallo senza pause. Simile alla precedente immagino. No. Nel coracavallo la particolarità non è nella pigna, bianca, ma nell’acino. Stretto e lungo.

Con una tuta da meccanico, guanti da lavoro rinforzati da un paio in lattice “sinò te faje ‘e ‘ddeta nere”, scarpe da battaglia e forbici a molla, inizia la grande avventura. Le casse in plastica da frutta diventano “gabbiette” e si dispongono lungo il filare sotto ogni settore. Si afferra il grappolo che diventa “pigna”, si cerca l’estremità, si taglia e si deposita. Quest’anno l’uva è tanta, carica, e una cassa piena a settore è sinonimo di gran raccolto. Mi piazzo a non più di due spanne dal nonno che oltre a illuminarmi di nozioni su una buona raccolta, fa scappare qualche nostalgico aneddoto sulle lotte contro crucchi e fascisti tra le colline impervie verso Cusano all’ombra dei calanchi del ponte “Sprecamugliere”. “Guagliò ‘è pigne malamente le devi mettere sotto. Chelle ‘bbone sopra accussì in cantina nun se n’accorgono e nun facimmo figure e ‘mmerda!”. Esperienza. “Nanò! Addò ‘e fatt ‘o militare?” E lui con l’orgoglio a petto esposto quasi con i lucciconi: “A L’Aquila! Caserma De Amicìs”. Notare l’accento. Storia. “Nanò! Comm’erano i tedeschi?” E lui con uno sguardo da lupo ferito. Stringe la dentiera: “Fetienti! E gli americani erano pure peggio!”. Saggezza.

Le gabbiette sono piene e il vecchio Carraro ruggisce impavido tra i filari vuoti. La terra è bagnata a causa di una leggera pioggia mattutina. Il figlio scapocchione carica il carrello noncurante del fango che lambisce le cassette. La madre sorride e il padre s’incazza. “Strunz’! ‘O vvuò dice che ‘o carrello tocca ‘nterra? L’uva se fa ‘na chiavica! Che te pozzano accide!”. Il figlio ci mette il carico da unici e urlando come uno strillone invita il padre ad accelerare i tempi per sopravvenuto appetito.

Resoconto della mattinata: 4 ore di lavoro, 65 gabbiette, 150 quintali d’uva alla valutazione oscena di 30 centesimi al grappolo, 3 bestemmie, una ventina di imprecazioni goliardiche, tante risate, nessun canto dialettale scansafatiche e le scarpe infangate che pesano un quintale. Morale ottimo.


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