editoriale di zaireeka

Non mi illudo che quello che sto per scrivere possa essere compreso fino in fondo.

Che quello che la maggioranza leggerà come un mio giudizio su due programmi televisivi, sicuramente a mio avviso di valore culturale opposto, possa non essere letto come il nucleo narrativo di questo scritto.

Non mi illudo, ma ci provo. Il vittimismo sterile non fà per me.

E così, nel sessantesimo anno circa dell'era televisiva italiana, mi impongo ora di scrivere riguardo ad una sfida memorabile che si è consumata ad inizio settimana (oggi, mentre scrivo, è il 12 novembre 2010) fra un (se non il) campione assoluto dell'etere del Bel Paese, "Il Grande Fratello" (della coppia Marcuzzi-Signorini), e lo sfidante "Vieni via con me" (del duo Fazio-Saviano).

Sfida che, come forse alcuni di voi già sanno, i sondaggi dicono essersi conclusa con una vittoria schiacciante del programma di RAI3.

E' stata una piccola cosa in fondo, ma mi ha fatto pensare a tutto quel gran dire riguardo allo scarso valore del popolo italiano, al fatto che in fondo certi governanti ce li siamo scelti noi, li ha scelti la gente.

Che in fondo rappresentano l'Italia e il valore etico, morale, culturale degli italiani.

Tutto vero, per carità. Ma il tutto mi ha fatto venire un'idea balzana.

E se al posto delle elezioni "in chiaro", con tanto di manifesti sui muri di gente che promette meno tasse per tutti e sogni di cartone di vario tipo, e poi solo due minuti pigri e distratti in una cabina elettorale, si facessero delle elezioni "al buio", con la gente che vota senza saperlo?
Chessò, un bell'annuncio del telegiornale di Telenapoli in edizione straordinaria:

"Vi annuncio che ben duemila persone sono andate ad assistere, a San Giorgio a Cremano, allo spettacolo in piazza di Roberto Benigni, interamente dedicato dall'attore toscano a Massimo Troisi, mentre solo cinquecento scarse hanno partecipato all'inaugurazione della "Iperdiscoteca della Libertà (Passata, Presente e Futura)", sita nei pressi di Piazza del Plebiscito, per cui l'incarico di nuovo sindaco della nostra città per i prossimi quattro anni va a Roberto Saviano, scrittore noto per la sua denuncia del potere camorristico e particolarmente stimato dall'attore toscano, assistito da Claudio Abbado quale assessore speciale alla cultura …"

L'Italia ha speranze e dolori nascosti, desideri più veri e sogni più grandi di quello che spesso emerge dal "buio" delle cabine elettorali.
Solo che non siamo capaci di vivere questa idea davvero, per ottenere un'Italia migliore.

Ma chissà che un giorno, così, "come una distrazione, come un dovere", qualcosa possa cambiare.

Ad maiora.

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editoriale di Bartleboom

Da qualche tempo penso sempre più spesso alla paternità.
Non che abbia tutta ‘sta fretta di avere a che fare con notti insonni, pannolini farciti di nutella radioattiva e piogge acide di rigurgito post pappina. E’ solo che ad un certo punto le cose intorno a te cambiano: le tue ex si sposano, i tuoi amici pure, incontri dopo anni il capellone del liceo ed è più pelato di un pomodoro San Marzano e ti ritrovi a chiederti quand’è che la tua vita ha iniziato ad assomigliare pericolosamente ad un film di Muccino.

Sorvolando su questioni di cui mi frega tutto sommato poco (maschio o femmina? Come lo chiamiamo?), questioni a cui, ora come ora, non voglio nemmeno pensare (come lo mantengo? E se nasce con qualche malattia?), e questioni troppo grandi per me (il mondo è un posto troppo brutto etc.), ciò che mi fa davvero paura è la quotidianità.

Se mio figlio sarà un maschio, c’è il 50% di possibilità che si ritrovi vittima di atti di bullismo fin dalla tenera età. La soluzione potrebbe essere quella di mandarlo a lezione di arti marziali appena tolto il pannolone: forse, così, non sarà vittima delle baby gang di quinta elementare che vogliono buttargli i Gormiti nella turca. Ma a quel punto ci sarebbe il 75% di possibilità che sia lui uno dei bulli della scuola.
Oddio, se proprio dovessi scegliere, preferirei che fosse uno di quelli che le dà, piuttosto che uno di quelli che le prende, però anche l’idea di un figlio rissoso e cafonazzo non mi fa uscire matto.
Senza contare che, in quel caso, nel giro di una decina d’anni, pure io rischierei di prendere un sacco di legnate se solo mi azzardassi a rifiutargli l’acquisto dello scooter più fico del momento.

Se sarà femmina, c’è il 20-30% di possibilità che tra una quindicina d’anni mi ritrovi per casa una escort in erba, con i pantaloni a pelo di figa e il taglio delle chiappe bene in vista, la cicca in bocca anche di notte e il trucco di Moira Orfei.
Certo, può sempre capitare che per allora non esistano più i cellulari, le videocamere, internet, il peer to peer e pure Piersilvio Berlusconi e il suo stracazzo di digitale terrestre di Mediaset Premium. Così - forse - non correrò il rischio di imbattermi in un video che la vede protagonista di una gang bang con la nazionale australiana di bowling. Ma chissà perché la vedo un’eventualità un po’ remota.

Non so.
E’ come se guardassi i bambini di oggi e ne fossi intimorito.
Penso alla mia infanzia e mi ricordo giangiulone e babbazzo: estasiato dalle prodezze grafiche di un Commodore 64, incredulo mentre il mio compagno di banco mi racconta l’ultima puntata di Colpo Grosso, terrorizzato all’idea di un ceffone di mia madre o di una nota della maestra.
Guardo i bambini di oggi e li trovo sgamatissimi e un po’ figli di puttana: a 9 anni hanno l’I-Phone, sono top uploader su Xhamster (sempre sia lodato), e se provi a sgridarli ti mandano affanculo in italiano, francese ed inglese (peraltro con un discreto accento).
Al telegiornale dicono è sbagliato e che è colpa dei genitori assenti e incoscienti.
Io, ad essere sincero, non ho ancora capito se tutto ciò è un male o un bene.

Mi ripeto che è una ruota che gira, che un figlio è (quasi) sempre una gioia, che ci sono passati tutti, che il mestiere di genitore è da sempre quello più difficile, che i momenti belli (si spera) alla fine ti fanno dimenticare quelli brutti e che, in ogni caso, “ne vale la pena”.
Qualche volta mi basta.
Tutte le altre no.

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editoriale di fosca

Per il ponte della festività di Ognissanti ho avuto il piacere di fare un breve viaggio verso una delle capitali europee più affascinanti e ricche di spunti storici, antropologici e culturali del nostro continente. Sono stata per la prima volta a Berlino. Terra controversa, patria di storiche nefandezze studiate da tutti, e contrassegnata dalla moderna e recente riscossa civica, che la pone attualmente tra le città col migliore tenore di vita ed un ottimo standard qualitativo.
Standard riscontrabile e respirabile già passeggiando per le strade come turista, potendone osservare ed ammirare l’urbanistica intelligente ed attenta ai bisogni di tutti, dalle autovetture ai pedoni, ai ciclisti, che ovunque, anche nelle strade a tre corsie a veloce scorrimento urbano e nel centro, possono usufruire di corsie preferenziali solo a loro dedicate, e guai a camminarci distrattamente. Oppure i mezzi pubblici, puliti, puntuali anche di notte, sui quali si sale facendo la fila e non sorpassando a gomitate il vicino di marciapiede, e sui quali non si può più salire quando la capienza al suo interno raggiunge i sessanta centimetri di vicinanza dalle porte, che devono essere sempre libere per quel raggio, pena la mancata ripresa del percorso ed il cazziatone del conducente.

Ultimamente ho avuto la fortuna di viaggiare (per diletto) abbastanza per l’Europa, meta al momento da me privilegiata, e l’atmosfera che ho potuto respirare è sempre la stessa: civiltà, decoro, funzionalità.

Mentre ero a Berlino, mi sono (fortunatamente) persa le ultime puntate della telenovela tutta italiana del carosello dei “nostri” politici, l’ennesimo scandalo (ma dai che parolone!!) del “nostro” esimio Presidente del Consiglio che attraverso l’abuso di potere e lo scavalcamento di ogni rigore legislativo, ancora non si è reso conto di cosa in teoria egli dovrebbe incarnare e rappresentare per il Popolo Italiano (sempre più rimbecillito e vergognoso), e la performance cimiteriale del nostro sindaco milanese, che - visto l’andazzo - ha pensato bene di farsi un po’ di propaganda “cattura voti” offrendo, fuori dai cimiteri, té e pasticcini (pagati dai contribuenti) alle famiglie in visita ai loro cari defunti, nella speranza che - non potendo ottenere più i voti dei morti - almeno si possa ancora assicurare quelli dei parenti impressionati da cotanta generosità. E mi viene in mente un ottimo editoriale di Appestato, di un anno fa, che diceva “Io i miei morti, me li porto dentro”.

Ecco, a prescindere da quelli che io porterò sempre dentro di me, il primo pensiero che ho avuto al mio rientro in Patria, una volta messa a conoscenza di questi ultimi fatti italioti, è stato che avrei voluto prendere immediatamente un altro aereo e volarmene via, il più lontano possibile, in un posto qualunque sulla cartina, anche invero a pochi km da noi.
Un posto in cui le parole Dignità e Rispetto abbiano ancora uno straccio di senso.

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editoriale di geenoo

La grottesca grezzeria del nostro Presidente la conosciamo tutti, fin da troppi anni e, da sempre, il nostro è stato difeso a spada tratta da schiere di suoi seguaci. E' il nostro "uomo del fare" sporchi comunisti, che volete??
E lui giù battute su pm matti, sulla Bindi brutta, sulle donne disoccupate che dovrebbero sposare il figlio, sui paragoni coi kapò, sui condannati all'ergastolo eroi, sugli immigrati che non sono benvenuti ma le belle ragazze possono restare.... sempre gli aficionados: vai Silvio sei tutti noi!

Ho sempre pensato, fin dal 1994, che tutto quello che dicesse fosse stato studiato a tavolino per colpire alla pancia della gente.
Senza offesa, per colpire sulla massa che si beve il Grande Fratello, che si ciuccia una telenovela di mezzodì, che non legge un libro dalla prima elementare, che non sopporta le regole, che se ne fotte del semaforo rosso come di pagare le tasse, che vuole fare la vita del ricco, godere e straffottersene. E soprattutto tutti i beceri che "odiano i negri", gli immigrati, i gay, i rom, gli stranieri, l'altro, il diverso, fosse comunista o idealista.
Da qualche tempo è sbracato sulla "gnocca" (come descrive lui le donne), vedi la diciottenne Noemi, la prostituta Nadia, la D'Addario, le ministre, le varie gieffine nelle sue ville...
Evvia i suoi lecca-lecca ad affermare che: "embé? Magari io! Che sei froscio?".

Siamo arrivati ad oggi.
Il Nostro fa due telefonate alla Questura di Milano affinché una minorenne marocchina in stato di fermo per furto, una certa nipote di Mubarak, sia affidata alla sua igienista dentale.
Sappiamo la storia.
Il giorno dopo in Sicilia esce fuori l'ennesima escort che parla di festini a base di droga.
A questo punto, qualcuno dei suoi lustra-scarpe, si è rotto sinceramente i coglioni: giornalisti dalla sua parte, suoi elettori sul sito forzasilvio.it, onorevoli del Pdl, eletti del Pdl... quando è troppo è troppo.
E lui? Lui ci rimugina due giorni e, ad un festival di motori, la spara ancora più grande: "Meglio essere appassionati di belle donne che gay" Tah! Una bella mattonata sulle palle a tutti.
Ed anche stavolta ha colpito nel segno i suoi elettori. Ha studiato, sa benissimo che i gay mai e poi mai lo voteranno (c'è Vendola) e soprattutto sono percentualmente insignificanti, che i suoi elettori sono come lui (sennò perché lo hanno votato?), e quindi giù una bella battuta schifosamente razzista ed omofoba. Come diceva giustamente Bocchino ieri a Ballarò: "Avrà voluto dire: meglio un figlio puttaniere che froscio".
Eccola l'Italia com'è ridotta. Sputtanata, svergognata, violentata, aggredita ed umiliata, atterrita, dilaniata e derisa in mezzo mondo per questa specie di succo inacidito di ultra-italiano-medio-pecoreccio che corrisponde più o meno al suo elettorato.

Siamo alla fine?
Non credo. Non vuole lasciare. Si sente braccato. I processi a suo carico sono pericolosamente sospesi sul suo capoccione e sa benissimo che deve fare una bella legge per scapparne. L'unica sua salvezza potrebbe essere rivincere le elezioni e ricominciare a spadroneggiare, sempre più abbrutito. Ce la farà? Io non mi giocherei nemmeno 50 cent sulla sua sconfitta. Perché? Perché ha i suoi amati elettori che lui sa benissimo come eccitare.

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editoriale di fosca

Piedi, piedi, piedi.
Da dove sono io ne vedo migliaia ogni giorno e di tutti i tipi; calzare scarpe alla moda, in saldo, di lusso, del mercato, stringate o scamosciate, con tacchi vertiginosi o raso terra, contenenti passi di ogni lunghezza e andatura. E tutti sempre contraddistinti dalla fretta.
Da dove sto io, ogni giorno passano centinaia di persone e ognuna dura solo un attimo, il tempo di una frazione di secondo, di un respiro, e subito sparisce alla mia vista. Quasi nessuno si ferma, mai, se non brevemente per poi scavalcarmi, passarmi oltre, e raramente regalarmi una moneta.
Ma in ognuno leggo puntualmente qualcosa: a volte il disprezzo, a volte la pena, altre, la paura, e solo raramente la comprensione.
E sì che un tempo ero anch’io come loro: affaccendato in mille cose, avevo una casa, un lavoro, perfino degli affetti ed una vita privata, una vita che loro ovviamente ora definirebbero (e definiscono) normale, scandita da riti e ritmi incessanti spesso decisi da altri, quindi imposti.
Avevo bottiglie di buon rosso a cena, maglioni di lana morbida e calda contro il freddo ed ero spesso insoddisfatto di quanto avessi fino a quel momento ottenuto dalla vita che allora mi sembrava tanto ovvia e scontata.
Perciò un po’ noiosa, prevedibile, sempre uguale.

A volte basta un intoppo, il semplice mancato pagamento di un paio di forniture importanti, la mancanza di liquidità, il non essere previdenti, l’inaspettato caso che non concede preavviso, un investimento non riuscito, una frode, la sfiga, un banale incidente. Oppure la scelta libera ed incosciente di mandare tutto a puttane, un giorno, per una goccia in più, per il vaso pieno.

Ora non c’è più ansia, non c’è più incertezza né disperazione, perché anche l’essere disperati sottintende che si abbia ancora qualcosa da perdere, fosse anche solo la paura di poter essere ulteriormente defraudato.

Ed io li osservo mentre mi passano sopra e accanto, mentre si affannano in lunghe telefonate che vogliono fare sapere a tutti quelli che li circondano quanto siano professionali e importanti e rido di loro e delle loro premure, mentre controllano che la macchina non venga graffiata o che il vestito non venga sgualcito, sporcato, facendoli passare inosservati, rendendoli invisibili a quelli come me, che dormono per terra.

Rido della loro ricchezza che in realtà è schiavitù e mi sento libero di fronte ai loro legami e vincoli, io che posso morire da un momento all’altro anche ora, senza che per questo crolli il mondo né per me, né per alcuno.


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editoriale di zaireeka

L'altro giorno, girovagando per i canali televisivi finiti su internet, mi sono imbattuto in un intervista di Daria Bignardi all'erede al trono leghista, Renzo Bossi, detto "la trota".

Simpatico personaggio, devo dire.

Mi ricorda tanto (lo dico per scherzare, eh!!) quel simpaticone di Adolf Hitler nei giorni in cui "aveva trovato la sua strada" dopo i suoi mille, disperati e reiterati tentativi di essere ammesso all'Accademia di Belle Arti del suo paese.

Tutta colpa di quei professori prevenuti, e per giunta ebrei e comunisti (però, onestamente i suoi quadri non erano tanto male, i professori potevano evitarci tutto quello che è venuto dopo).

Ha parlato tanto Renzo Bossi, quasi faceva tenerezza, anche quando diceva che a lui i romani stanno tanto simpatici, in particolare i tassisti, ... più o meno come a me stanno simpatiche le scimmie che scorazzano nelle praterie "sconfinate" dello zoo safari di Fasano (BR).

Ora cambiamo argomento, ma mica tanto.

Esiste un personaggio nel nord d'Italia che è nato e vive dalle parti di Renzo Bossi, ed è un Poeta, e si chiama Davide Bernasconi, alias Davide Van De Sfroos (a proposito, a quanto pare è parente di una debaseriana "storica").

Si vede spesso dalle mie parti, e non per lanciarci le noccioline, ma per suonare e cantare.

Scrive in dialetto laghee, e nonostante tutto noi lo "capiamo".

Scrive versi come questi:

"E diciamo tutti che ormai è tardi, e diciamo tutti che è troppo presto.
E diciamo tutti che è presto, è tardi, ma nessuno sa per che cosa.
E diciamo tutti che eravamo angeli che però ci hanno dirottato.
E abbiamo le ali stropicciate e ripiegate sotto il cappotto
".

Per me è lui il più degno "erede" di Fabrizio De André, come la "trota" lo è di Umberto Bossi.

Ma il mio parere non conta niente, non sono mica il leader di un partito politico.

E nessuno ne parla.

E così in questi giorni, in maniera simile, dell'altra sponda dell'Italia, delle mie parti, non si fa altro che raccontare di Avetrana, di istinti omicidi caratteristici di "certe popolazioni", di avvocati esibizionisti, di Ordini degli Avvocati esibizionisti (della serie: "quando ci capita più?").

Mentre un altro personaggio come Mimmo Cavallo, nato a due passi da Avetrana, anche lui un Poeta, solo meno lirico e molto più incazzato, giace completamente dimenticato insieme a questi suoi versi di una trentina di anni fa, sicuramente non tanto poetici ma molto "profetici":

"Siamo meridionali
e abbiamo stati tutti quanti abituati male
sospettate di noi, sospettate
fate fate pure, fate come vi pare
"

Viva, comunque e sempre, l'Italia che non si vede.


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editoriale di kosmogabri

1. Non provare nemmeno a scusarti per una tua opinione.

2. Quattrocento parole va bene. Ottocento, no.

3. Molti musicisti sono persone orribili.

4. L’industria musicale non è tua amica. A meno che tu non scelga di fartela amica.

5. Metti del valore in ciò che fai. Se non lo fai tu, perché dovrebbero vedercelo gli altri?

6. Il fatto che tu sia in grado di alzare al massimo il volume di un amplificatore non ti rende necessariamente una persona interessante.

7. I Rolling Stones hanno rovinato la musica. Parliamone.

8. Un aggettivo è più che sufficiente.

9. Fare ricerche è una cosa. Scimmiottare un comunicato stampa è un’altra.

10. A nessuno frega niente della tua opinione. Fattene una ragione.

11. I tuoi princìpi non significano niente, se non ne hai.

12. Dieci parole va bene. Cinquanta, no.

13. Non provare nemmeno a descrivere la musica.

14. Se per scrivere hai bisogno di fare delle liste, forse dovresti fare delle liste e non dovresti scrivere.

15. Non deve fregartene nulla. Almeno, non in pubblico.

16. Le case discografiche e i promoter non dicono sempre la verità.

17. Non scrivere per giornali che non leggi.

18. A nessuno frega niente di sapere perché sei arrivato in ritardo al concerto.

19. A nessuno frega niente di sapere i singoli nomi e cognomi di ogni singolo componente della band.

20. Scrivi perché devi, non perché il tuo capo ti ha detto che devi.

21. Se non sai perché lo stai facendo, non farlo.

22. Scrivere di musica non è sexy. Non è di moda. E di sicuro non ti farà acquistare prestigio con l’altro sesso.

23. Parole da evitare: “davvero”, “completamente”, “seminale”, “incredibile”, “trascendentale”, “penso che”, “mi sembra di”.

24. Non è finita. Non è mai finita.

25. Affanculo le virgolette. E affanculo pure gli apostrofi, già che ci siamo. Sii diretto, divertente, informativo.

26. Ti sembra che questo gruppo assomigli a un altro gruppo? Beh, probabilmente hai ragione. Quindi?

27. Lo strumento (la scrittura) è molto più importante del critico.

28. Non fidarti mai di uno scrittore senza agenda.

29. Il tuo rispetto delle scadenze per la consegna di un pezzo sarà sempre tenuto in maggior considerazione della tua prosa fiorita.

30. Bello che la gente ti mandi la roba gratis, vero? Ok, basta, l’hai già detto.

31. Dieci minuti di chiacchiere al telefono il giorno dell’uscita del disco non assomigliano nemmeno lontanamente a un’intervista.

32. Non è che tutti i gruppi tranquilli somiglino per forza agli Young Marble Giants.

33. Non è che tutti i gruppi caciaroni somiglino per forza ai Sonic Youth.

34. A nessuno frega niente di sapere che una volta hai fatto sesso ascoltando una B-Side degli Smashing Pumpkins.

35. Il fatto che tu sappia usare la tastiera di un computer non ti rende automaticamente uno scrittore. Vedi punto 6.

36. Non approfittare della nostra ospitalità: grazie tante, e buonanotte.

37. La gente legge quello che hai scritto perché ci cerca la musica, non “quello che hai scritto”.

38. Hai scritto una frase che non capisci? Non sarai il solo a non capirla.

39. Essersi sbronzati e avere passato una buona serata non sempre si equivalgono.

40. I Radiohead hanno smesso di fare dei bei dischi. Fattene una ragione.

41. Hai come questa urgenza di leggere un’altra recensione dello stesso disco prima di scrivere la tua? Lascia perdere.

42. L’Età dell’Oro della Critica Musicale non è mai esistita. Fattene una ragione

43. Se ti stai annoiando, annoierai i tuoi lettori.

44. Kurt Coabin è morto. Fattene una ragione.

45. Sii candido. Sii te stesso. Sii consapevole. Sii te stesso. Sii divertente. Sii te stesso.

46. Quanti critici musicali ci vogliono per cambiare il mondo? Ecco.

47. Il tuo vicino che domattina non dovrà scrivere di questo concerto si sta divertendo molto più di te.

48. Frègatene delle persone che non conosci.

49. A nessuno frega niente dei tuoi vinili di Nick Cave.

50. Non ci farai dei soldi. Fìdati di me.

(fonte: http://www.collapseboard.com/my-advice-for-aspiring-music-critics)

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editoriale di kosmogabri

Con il downloading, si dice, possiamo finalmente ascoltare quello che vogliamo e quindi scegliere a ragion veduta cosa eventualmente acquistare. (…) Ci sono però aspetti psicologici, nel meccanismo formativo di qualunque scelta, che non andrebbero sottovalutati; se la nostra predisposizione verso una forma d'arte o l'altra (o nessuna) è probabilmente innata, non lo sono però i nostri gusti specifici, che nascono da visioni, ascolti, letture e contatti di mille tipi diversi, cambiano col passare del tempo e maturano con l’accumularsi dell'esperienza.

Eppure non potrò mai ringraziare abbastanza Federico Guglielmi che nel 1980 mi fece comprare "Fresh Fruit For Rotting Vegetables" dei Dead Kennedys, un disco che appena sentito mi parve così cacofonico e registrato da cani da escogitare rito voodoo per punire il dannato giornalista; o lo sconosciuto (probabilmente Red Ronnie) che nello stesso anno sulle pagine di Rockstar, scriveva: "…qualche etto di paranoia purissima in scatola di alluminio... ascoltare è una tentazione, non ascoltare è meglio..." a proposito del " Metal Box" dei Public Image Ltd: mi sembrò che il vinile fosse sbilenco e difettoso e quella che suonava solo una parente povera dell'odiata discomusic.
Lì lasciai entrambi a marcire per qualche mese nella sezione più alta del mio armadietto, quella che lo sgabello teneva a debita distanza dall'ascolto facile.

Ogni tanto però li riprendevo tra le mani, anche perché ne avevo così pochi, di dischi, che ero quasi obbligato; cercavo tra le parole delle recensioni il motivo di tanto entusiasmo e puntualmente li riponevo, nonostante ci fossero sempre dei dettagli che si aggiungevano e un quadro che da vago e indistinto si metteva lentamente sempre più a fuoco: la voce sardonica di Jello Biafra, quella sfasata di John Lydon, le chitarre che - come era possibile? - non facevano nessun assolo, i ritmi assolutamente frenetici o assolutamente monolitici...
Puntualmente ci tornavo sopra e puntualmente li riponevo; ma sempre più in basso, poi andò come andò.

Se a diciannove anni avessi avuto a disposizione milioni di altri dischi non avrei mai più riascoltato né "Fresh Fruit" né "Metal Box", mi sarei dedicato esclusivamente a quello che passava il convento delle radio "libere" - libere un cazzo, diciamolo una volta tanto: al 98% trasmettevano musica di merda.

"Con il downloading posso ascoltare tutta la musica che mi piace e evitare quella che non mi piace". Così facendo non avrai mai incertezze, dubbi, ripensamenti, nessuna trappola ti costringerà a restare ingabbiato in percorsi laterali, strani, difficili, minoritari, diversi da te.


tratto da: Blow Up, Giugno 2010, di Stefano I. Bianchi


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editoriale di Gallagher87

Poca gente, poca vita nell'arco di dieci metri. Una fredda serata nel centro di Taranto è anche, soprattutto questo. La solita compagnia, le solite abitudini, la solita vita.
Questa serata però ha un suo perché speciale, molto speciale. Quando sei concentrato a scrutare il nulla, difficilmente ti accorgi di tutto ciò che ti circonda, ma in questo caso la scena è agghiacciante; una coppia seduta su una panca, lei seduta, e lui, e ripeto lui, seduto sulle gambe di lei che l'abbracciava. Scambio di ruoli. Potrebbe finire così il mio editoriale e non avrebbe neanche senso di esistere, ma questo non è detto che debba essere interpretato come un semplice scambio di ruoli, non è una casualità e non è nemmeno una coincidenza, a mio parere è un sintomo di degenerazione sociale.

La mia funambolica mente elabora subito un connubio, errato per dir si voglia, ma creo comunque un collegamento: coppietta di teenager che 'confonde' i ruoli sta alla società moderna come i Tokio Hotel stanno alla musica, alle mode, alla confusione. Ho preso il quartetto di teenager tedeschi soltanto come esempio, ma il quadro è ben più ampio, e coinvolge la televisione, le radio, i giornali e tanto altro.
Quindici anni fa nessun ragazzino di dodici anni avrebbe avuto la triste idea di trascorrere anche una sola ora della sua giornata davanti alle trasmissioni pomeridiane che la TV di oggi ci propone, tra bambocci pieni di lacca, e donne svendute al marketing televisivo.

Tornando all'universo musicale, sono rammaricato quando ricordo che ad esempio, qualche anno fa qualcuno lì a Seattle ha cercato per l'ennesima volta di cambiare il mondo. E sempre pensando alla città del Nord America e tornando alla musica, ricordo i Soundgarden come ricordo gli Alice In Chains, i Nirvana e i Pearl Jam. Credo che ora anche loro (tra vivi e defunti) si chiedano cosa abbiamo fatto, cosa stiamo facendo, dove stiamo andando e perché la star 'pop'-pante Justin Bieber a 16 anni abbia presentato i Grammy Awards del 2010, salito sullo stesso palco dove è salita gente come Frank Sinatra e Stevie Wonder, John Lennon e Phil Collins.

Credo che come noi, loro si chiedano cosa stia accadendo e cosa non stiamo capendo e perché nel decennio 2000-2010 la musica non ha visto la nascita di nessun fenomeno di massa, come mai accaduto nella sua storia. Si pensi ai Beatles, ai Rolling Stones, ai Led Zeppelin e a tanto tanto altro, e poi si pensi ad oggi, a Mtv, al commercio. Ebbene si, i problemi della società di oggi vanno oltre la droga e l'abuso di alcool, riguardano il male più forte e silenzioso che il periodo storico contemporaneo abbia mai potuto creare, l'iniezione massiccia di veleno psicologico con una inevitabile prostituzione dell'essere 'io'. Questa frase che può sembrare apocalittica ed esagerata è la sintesi del moto perverso che ormai ha preso piede, che ha distrutto tutti i paletti della società creando nuove false icone e nuovi falsi miti.

L'uomo seduto sulle gambe della donna, i ragazzini che non giocano più a calcio in mezzo alla strada perché la sera prima hanno assunto ecstasy, io ho collegato tutto... ma nonostante ciò, ci credo ancora.
"WHAT THE FUCK IS THIS WORLD RUNNING TO?"
(Pearl Jam - Porch, 1991)

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editoriale di zaireeka

Se me lo permettete, vorrei raccontarvi una storia "magica".
La storia comincia così, con due semplici fatti su cui dovremmo essere tutti d'accordo.

Se troviamo una cosa per strada che la ragione ci dice essere impossibile, per definizione la chiamiamo un' illusione.
Al contrario, se troviamo una cosa che la ragione ci dice essere inevitabile e scontata, per definizione la chiamiamo una cosa normale.

Qualche esempio.

Una mattina, girando l'angolo di casa mia, mi trovo davanti Noemi Campbell ( o chessò, Brad Pitt, per le donne).
La chiamo subito una illusione, non c'è che dire.

Girando per i canali televisivi, trovo una ex concorrente de "Il gioco delle coppie" che sta a polemizzare con fare arrogante con uno dei giudici che ogni giorno rischiano la vita in Calabria nella lotta contro la' 'ndrangheta.
La chiamo anche in questo, per fortuna, un'illusione.

E' scontato (per favore, non mi dite che non lo è ...).

Al contrario, vivo in una grande città, uscendo la mattina per andare al lavoro, mi faccio una coda di un'ora prima di arrivare a destinazione.
La chiamo una cosa normale, purtroppo, non c'è che dire.

Ed ora ecco a voi la magia.

Nel mondo matematico esistono delle cose che si chiamano "numeri reali".
Esistono in particolari due tipi interessanti di numeri reali: i "numeri casuali" ed i "numeri razionali" .

Dei primi praticamente ne conosciamo (forse) solo uno (omega), e sono quasi impossibili da trovare,
Dei secondi i matematici (dilettanti e professionisti) ne hanno piene le tasche.

La magia è ora questa.
I numeri "casuali" sono invero infinitamente di più di quelli "razionali".

Se uno con uno spillo affilatissimo punta su un punto qualsiasi dell'insieme totale dei numeri reali, i matematici che vivono al di la dello specchio ci dicono che ha praticamente possibilità zero di beccare un numero razionale ("normale") e praticamente possibilità pari ad uno (la certezza) di beccare un numero casuale ("impossibile").

Insomma, almeno girando nel mondo matemico "astratto", è praticamente sicuro incontrare Noemi Campbell (o Brad Pitt) girato l'angolo di casa ed impossibile rimanere invischiati nella solita fila sul raccordo anulare recandosi al lavoro.

E chi se ne frega se è solo uno sguardo buttato al di là dello specchio.

E poi dicono che la matematica è una materia arida.

Per me, almeno in questo caso, è la materia dei Sogni

Non trovate?

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editoriale di kosmogabri

Hai presente quella menata che "se esiste un paradiso del rock, di sicuro hanno un gruppo della madonna?". Be', non crederci, amico mio. Tutto il talento è finito dritto all'inferno. Proprio tutto. Qui le attrazioni più grandi sono Jim Croce, Karen Carpenter, Cass Elliot e - soprattutto - Bobby Bloom!
E' un incubo! Cazzo, se mi tocca riascoltare un'altra volta "Montego Bay" mi suicid... (ecco, vedi, me lo dimentico sempre).

Ad ogni modo, faccio domanda di ammissione all'inferno ogni sei mesi ma continuano a respingermela, perché secondo loro - beccati questa - sono troppo buono!
Scrivigli e spiegagli un po' come stanno le cose, per favore. Digli che razza di stronzo so essere quando voglio, dì alla Uhelszki di farlo anche lei. E a Marcus. (A proposito, mettilo al corrente di quanto apprezzo che si stia scervellando su tutti i miei vecchi arzigogoli)

Appena arrivato ho conosciuto Dio. Gli ho chiesto perché. Sai com'é, a soli 33 anni, eccetera. Ha detto solo "Mtv". Non voleva che mi toccasse sciropparmela, di qualsiasi cosa si tratti.

Devo scappare. Sul serio. Sta arrivando un altro armento di anziani apprendisti arpeggiatori. Che suonano "Stairway" degli Zep, naturalmente. In 'sta città del cazzo è l'inno nazionale. Non c'è nessuno che conosce gli Elgins, non capisco perché.

Dammi retta, Dave. Il paradiso era Detroit, nel Michigan. Chi l'avrebbe mai detto?

Tuo per l'eternità,
Bangs.

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editoriale di Appestato mantrico

Continua a filmare. Non smettere d'inquadrarla. Fissala. Stringi il campo. Gli occhi! Non farti sfuggire gli occhi! Dobbiamo essere pronti a immortalare l'attimo in cui quello che stiamo per dirle scalfirà il suo volto di cera impassibile. Dobbiamo far vedere tutto al pubblico a casa (è gente esigente, e ha sete d'emozioni). Continua a filmare: ne abbiamo il diritto! Abbiamo il diritto di sapere! Che tutti sappiano! Signora, purtroppo sua figlia è morta... strangolata - ora, stringi sugli occhi! Quella luce... E il suo assassino ne ha violentato il cadavere. Avete capito bene, carissimi telespettatori: la signora ha appena scoperto di avere perso sua figlia, a causa dei deliri della mente di un pazzo! La sua bambina, signora! Quell'uomo è un mostro, senza dubbio (filma, dannazione! Filma tutto!)!. E' terribile. Le voleva molto bene, a sua figlia? Capisco la rabbia che sente, le sono vicina, davvero - credo che stasera lo share sarà stratosferico... Ma si sente bene, cara? Possiamo smettere quando vuole. Dobbiamo fermare il programma? La trovo molto pallida, signora. Un bicchiere d'acqua, presto! Ha bisogno di aria, signora? Se la sente di continuare? Se la sente di continuare? Se la sente di continuare?

Ci scusiamo con il nostro gentile pubblico, ma questo è un momento di grandissimo dolore per la nostra ospite e spero saranno comprensivi se dobbiamo fermarci ora nel mezzo di questa intervista esclusiva. Ci stringiamo in un grande abbraccio con lei e condividiamo il suo cordoglio, sperando che ci torni a trovare presto per raccontarci la sua sofferenza.

In realtà, quella donna era nuda.

Ma tu, continua a filmare.


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editoriale di enbar77

Fine settembre, inizio ottobre. E’ tempo di vendemmia e per chi ha terreni a coltivazione vitivinicola inizia la raccolta del nettare degli Dei. Io mi ritrovo figlio acquisito di persone antiche, ossia, nate e cresciute con una particolare cultura, quella della terra che aveva un valore pari alla Reggia di Versailles, quando si campava naturalmente con vino e olio non trattati e non si moriva di tumore grazie ai veleni artificiali del millennio. Sono entrato, quindi, a far parte della confraternita dell’uva, ritenendo sia una delle cose più belle che ancora questa vita di merda ci può regalare. Un’ esperienza particolare, un appuntamento con un mondo assolutamente nuovo, ricco di neologismi e strategici modus operandi.

La confraternita è composta dalla madre, che ha chiesto il permesso alla sartoria per disertare qualche giorno, dal padre, che carica il trattore tra un viaggio col pulmino della scuola e un motore di motosega da rigenerare, dal figlio, ribelle e scapocchione, io, il novizio e il nonno partigiano, l’ineguagliabile Grande Capo.

Il pezzo di terra non è molto grande ma neanche tanto piccolo. “Quasi ‘nu muojo”, un moggio. Quest’ultimo è un’unità di misura composta da 33 are. Un’ara è pari a 100 mq e la terra in oggetto essendo “quasi”, ne conta 30. 3000 mq di terreno capace di una decina di filari, divisi in settori, da almeno 200 metri lineari ognuno. Coltivati ad aglianico, falanghina, sangiovese e coda di volpe e “coracavallo”. Bellissimo. Mentre i primi tre vini sono abbastanza diffusi e conosciuti, non rammento l’esistenza degli ultimi due. E’ necessaria un’integrazione culturale. La “Coda di volpe” è un vitigno particolare, rosso, dal caratteristico grappolo, pardon (!) pigna corta, gonfia in alto, carica di acini e man mano che scende si assottiglia fino a terminare a punta. Come la coda di una volpe, appunto. “Coracavallo” non è altro che coda di cavallo senza pause. Simile alla precedente immagino. No. Nel coracavallo la particolarità non è nella pigna, bianca, ma nell’acino. Stretto e lungo.

Con una tuta da meccanico, guanti da lavoro rinforzati da un paio in lattice “sinò te faje ‘e ‘ddeta nere”, scarpe da battaglia e forbici a molla, inizia la grande avventura. Le casse in plastica da frutta diventano “gabbiette” e si dispongono lungo il filare sotto ogni settore. Si afferra il grappolo che diventa “pigna”, si cerca l’estremità, si taglia e si deposita. Quest’anno l’uva è tanta, carica, e una cassa piena a settore è sinonimo di gran raccolto. Mi piazzo a non più di due spanne dal nonno che oltre a illuminarmi di nozioni su una buona raccolta, fa scappare qualche nostalgico aneddoto sulle lotte contro crucchi e fascisti tra le colline impervie verso Cusano all’ombra dei calanchi del ponte “Sprecamugliere”. “Guagliò ‘è pigne malamente le devi mettere sotto. Chelle ‘bbone sopra accussì in cantina nun se n’accorgono e nun facimmo figure e ‘mmerda!”. Esperienza. “Nanò! Addò ‘e fatt ‘o militare?” E lui con l’orgoglio a petto esposto quasi con i lucciconi: “A L’Aquila! Caserma De Amicìs”. Notare l’accento. Storia. “Nanò! Comm’erano i tedeschi?” E lui con uno sguardo da lupo ferito. Stringe la dentiera: “Fetienti! E gli americani erano pure peggio!”. Saggezza.

Le gabbiette sono piene e il vecchio Carraro ruggisce impavido tra i filari vuoti. La terra è bagnata a causa di una leggera pioggia mattutina. Il figlio scapocchione carica il carrello noncurante del fango che lambisce le cassette. La madre sorride e il padre s’incazza. “Strunz’! ‘O vvuò dice che ‘o carrello tocca ‘nterra? L’uva se fa ‘na chiavica! Che te pozzano accide!”. Il figlio ci mette il carico da unici e urlando come uno strillone invita il padre ad accelerare i tempi per sopravvenuto appetito.

Resoconto della mattinata: 4 ore di lavoro, 65 gabbiette, 150 quintali d’uva alla valutazione oscena di 30 centesimi al grappolo, 3 bestemmie, una ventina di imprecazioni goliardiche, tante risate, nessun canto dialettale scansafatiche e le scarpe infangate che pesano un quintale. Morale ottimo.


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editoriale di emofiliaco

Quando ero piccolo la televisione pubblica era solita passare la serie “Hitchcock presenta”.
Uno degli episodi che ricordo con più affetto si svolgeva in una stanza d'ospedale dove erano degenti due malati terminali: uno affrontava la malattia con uno sguaiato ottimismo disturbando l'altro che invece cercava di crogiolarsi il più possibile nelle sue magagne.
Quest'ultimo trattava male chiunque cercasse di “tirarlo su” arrivando anche a compiere un tentato omicidio nei confronti di un'infermiera colpevole di “portare allegria” nella stanza: non penso di rovinare nulla dicendo che il sarcastico finale vedeva morire l'ottimista e guarire inspiegabilmente il pessimista (con gran scorno dei curanti... e dei parenti).

Ovviamente si tratta di pura fiction e non ha nessuna valenza ma non posso fare a meno, magari stupidamente, di non trovare associazioni con questi nostri, turbolenti, anni: dall'economia alla politica, dalla cultura alla società.

Ora, facendo un esempio, banalizzerei dicendo che la crisi economica sia stata provocata da un insano ottimismo nato negli anni '80 (e nemmeno voglio abbracciare in modo scriteriato le varie teorie della decrescita: siano moderate o radicali) perché sarebbe come concedere l'attenuante della “buona fede” a certi farabutti che sulla situazione hanno speculato ma sono abbastanza convinto che se non fossero stati impunemente fatti passare tutti gli elogi dell'ottimismo (provenienti da tutte le parti: psicologi, pedagogisti, economisti, politici etc.) non ci sarebbero stati i presupposti per creare quel substrato popolare in cui la malapianta dell'eresia del “vedere rosa a tutti i costi” è cresciuta portando troppa gente ad avere fede (nel senso letterale del termine “credere senza averne le prove”) nell'infallibilità del sistema.

Insomma alzo il mio nasino e vedo cartelloni pubblicitari con sapiens sapiens ad esporre tutta la dentatura e loro (e miei) simili che interpretano male il messaggio (che in natura è di minaccia e aggressività, ricordo, e non di allegria e di buone intenzioni): ci dev'essere qualcosa che non va, per forza.

Il “pessimismo” è stato fatto passare troppe volte per “depressione” e nemico da sconfiggere, in questi anni, quando “essere pessimista” è semplicemente avere un approccio critico alla vita: nel motto (sottovalutato) “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” e comunque nel chiedere sempre le dovute affidabili rassicurazioni (se mancano i presupposti per le dimostrazioni oggettive).

Sto semplificando e banalizzando forse ma lo spazio concessomi non mi consente più raffinate e lunghe argomentazioni e non voglio certo convertire nessuno ma sto cominciando veramente a pensare che a problemi enormi possano essere contrapposte piccole soluzioni: può sembrare ottimista quest'affermazione ma incredibilmente arriva da solidi anni di crudo pessimismo.

Riuscite a crederlo?

… in realtà il problema della crisi non è così complesso: un idiota lo risolverebbe. Il problema è che non si rivolgono mai a quell'idiota…” (Tiziano Sclavi)


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editoriale di ilfreddo

Dopo quasi tre settimane ci sto facendo ormai l’abitudine, ma non è mica tanto facile. I tasti li devo pigiare di taglio con suono metallico al seguito che mi ricorda l’ingombrante tutore al dito: indice della mano sinistra. Come ha fatto a farsi male, mi chiede? Sembra un disco, mentre batte la tastiera non alzando il capo. Calcetto, rispondo evasivo, con la faccia di chi quella palla alla fine la dovrebbe avere parata, forse. Ma lei non guarda. Peccato. Il calcetto va sempre bene; fino ad una certa età come scusa regge alla grande in una patria di mancati commissari tecnici della nazionale.

Deve essere stato l’odore di quella minuscola e tetra stanza. Odore di morte. Pregnante ed in continua espansione: alla lunga insopportabile. Una zanzara che volteggia a cerchi sempre più concentrici ed ossessivi sulla faccia, proprio vicino all’orecchio, con quel ronzio fastidioso capace di assumere i connotati del trapano del dentista.

Rido mentre lo guardo, perché vorrei vedesse un sorriso. Spero, ma sono certo di sbagliarmi purtroppo, non colga la falsità del gesto: i muscoli facciali infatti mi sembrano di cartone. Minuti come la poesia di Leopardi. Si impossessa di me la necessità di scappare da quel posto. Alzarsi allora, con una scusa patetica; uscire trattenendo il fiato per aprire la porta. Respirare. A pieni polmoni. Brezza che odora di pini, di bosco, di vento d’estate; estate ancora viva, seppur in lento e progressivo declino.

Quando sono nato, qualche giorno in anticipo sul preventivato, mio padre era all’estero. Capitava spesso che per lavoro fosse fuori dai confini nazionali. Nei cruciverba più ostici sa sempre quasi tutte le località: quelle impossibili per chi non ci è mai passato almeno una volta dal vivo. Fatto sta che, mentre stava tornando di corsa in aereo, per un giorno, il mio primo giorno, un caro amico di famiglia fece le veci di mio padre al ospedale.

Ora è lì, claudicante nel passo, ma ancora completamente lucido e presente nella mente. Mentre gli parlo mi sembra di camminare sulle uova, non voglio pigiare tasti dolenti che potrebbero riaprire ferite flebilmente chiuse, ma ancora bisognose di piastrine. Sta seduto in un letto, non il suo, mentre mi risponde e cerca di accettare la situazione. Lui, sempre stato un vulcano in un eruzione, mansueto mi rassicura con lo sguardo. Ha deposto le armi e sta aspettando la fine dei suoi giorni. Non lo riconosco. Senza stimoli ai quali aggrapparsi sono bastati un paio di mesi in compagnia di zombie, pasti che sanno di farmacia e notti che cominciano alle 8 di sera per demolirlo e renderlo così. Un condannato che aspetta un boia che si chiama ictus o infarto.

Generalizzare in certe situazioni è un errore imperdonabile. Scrivo quindi perché conosco il caso specifico e quei suoi due figli. Non hanno problemi economici particolari, hanno una casa loro che stanno pagando e quella paterna, dove ora lui dovrebbe riposare, è vuota. Potrebbero essere la mia fotocopia tra 10 anni. Non ci sono matrimonio, bambini, scuola, weekend e vacanze che tengano. Hanno scelto la strada più comoda: staccare un grasso assegno. E vaffanculo.

Dei biscotti aperti sul comodino anonimo. Anonimo come tutto in questa camera del cazzo che sembra sia caduta nella varechina. Biscotti come ricordo dei figli, del loro grande amore, messi vicino a dei fiori quasi appassiti. Avessi la macchina fotografica con me.

Visite sempre più rade: un po’ come i capelli del padre. Ora dobbiamo andare sai, a voce sempre più alta, le piccole vanno a scuola domani e devono fare i compiti. Solo 5 anni fa vi avrebbe preso a calci in culo. E lo sanno mentre chiudono la porta e buttano giù il rospo ingobbendosi per il peso. Quel rimorso che sale ogni rara volta che tornano e che non si sa come cazzo riescano a cacciare giù prima di andare a dormire.

Forse ho esagerato nella forza oppure forse, ed è più probabile questa ipotesi, l’ho fatto di proposito: un pugno sul muro per ricordarmi che io, nei loro panni, non sarò mai così. Un ingrato pezzo di merda.

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editoriale di telespallabob

Tessera del Tifoso.

Non dico tanto ma vagamente ne avete sentito parlare. Cos'è? Nelle intenzioni di Osservatorio, Ministero e quant'altro è una carta di fideizzazione. Praticamente ti permette di avere varchi dedicati, puoi accedere al settore ospiti, non essere soggetto alle limitazioni eventuali dell'Osservatorio e avere agevolazioni economiche con enti collegati (Autogrill, Ferrovie...). Detta così qualcuno potrebbe pensare: cazzo, una cuccagna.

Vediamo un po' cosa c'è dietro. Partiamo da due società famose: Milan e Inter. Un tifoso che volesse fare la tessera di queste due società dove potrebbe andare? In banca! Esattamente, va negli istituti di credito collegati e fa richiesta. Allora si scopre che è una comunissima carta di credito, con dei costi e degli interessi. In A solamente due società hanno fatto la Tessera del Tifoso fuori dai circuiti bancari: la Sampdoria ed il Parma. Ora ad essere maligni si fa peccato ma spesso si dicono cose giuste. Perché in banca? Scopriamo che il vicepresidente dell'ABI (Associazione Banche Italiane) è il fratello di Giancarlo Abete, presidente della FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio). Conflitto d'interessi? Possibile.

Secondo problema della tessera: l'articolo 9. Grazie all'Articolo 9 della Legge Amato (introdotta dopo la morte di Filippo Raciti durante gli scontri fuori dal Massimino di Catania) prevede, associata alla tessera, che oltre agli anni di DASPO la persona diffidata non possa fare la tessera per 5 anni, indifferentemente da come è andato il processo ed anche in presenza di una condanna in primo grado. L'articolo 27 della Costituzione dice: "L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva". Nel momento in cui la Tessera non viene concessa di fronte ad una condanna in primo grado sei già colpevole, senza che sia finito il processo. Sorgono problemi numerosi di costituzionalità che si aggiungono alle diverse problematiche relative al DASPO. Digressione: cos'è il DASPO? E' la divieto di accedere alle manifestazioni sportive. Può essere emesso o in flagranza di reato (in quei casi il processo è quasi sempre per direttissima) o in flagranza differita (che va fino a 36 ore dal fatto). Quest'ultimo è un clamoroso escamotage giuridico. Il DASPO si basa su un foglio di polizia. Praticamente ci può essere scrivo: "la persona taldeitali ha commesso il determinato reato". Viene controfirmato dal GIP entro 48 ore e lì emesso il DASPO che va fino a 5 anni. Tu non vieni condannato in base al processo, vieni giudicato colpevole prima ed il processo ti viene fatto dopo. Un dato: il 40% delle persone soggette a DASPO alla fine dell'iter processuale risultano ASSOLTE! 4 su 10! E' un dato non indifferente.

Terzo problema: i detrattori del DASPO parlano di misura anticostituzionale. Com'è possibile che sia stata approvata davanti a problemi del genere? Molto semplice: non esiste una legge ad hoc. Non è stata introdotta sulla base di una legge e quindi con tutte le sue validità. Si parla della Tessera in una circolare interna del Ministero degli Interni. Non è vincolante negli confronti di enti esterni (società di calcio). Vuol dire che il Ministero e l'Osservatorio l'hanno imposta. Non sono state interpellate le società, i gruppi ultras, i centri di coordinamento e tutte le altre parti in causa. E' stata calata dall'alto come la panacea. Nel momento in cui c'era già il DASPO (con tutti i suoi limiti ed i suoi errori) perché introdurla? Perché vincolare gli ingressi allo stadio, associando la tessera del tifoso all'abbonamento? Cosa può risolvere come violenza negli stadi nel momento in cui negli ultimi anni quasi tutti gli scontri sono avvenuti fuori dagli impianti o in luoghi ben distanti dagli stadi. Sono diminuiti negli anni gli scontri tra gruppi ultras ed aumentati considerevolmente quelli con le f.d.o. Gli scontri fuori dagli stadi sono un problema che esiste in Inghilterra, il famigerato modello inglese ha semplicemente buttato fuori tutta una categoria di persone che da un giorno all'altro non si sono più potute permettere di andare allo stadio. Capitano spesso incidenti tra gruppi di tifoserie, a 400-500 metri dallo stadio. Lo ripeto, avviene in Inghilterra. Tutti questi casi vengono semplicemente nascosti sotto il tappeto: non si è risolta la violenza, è stata semplicemente allontanata da una telecamera (quindi togliendone la sua effettiva risonanza). Questo si chiama risolvere i problemi?

Un altro argomento che sollevano i gruppi ultras riguarda la schedatura. Perché? Nel momento in cui tu provi a sottoscrivere la Tessera prima della conferma il nome viene comunicato in Questura, nel caso in cui tu risulti nella black-list (che comprende di tutto: da gente pluri-daspata, a tifosi che si sono beccati massimo 1 anno di diffida e l'hanno già scontato, gente diffidata anni fa, ragazzi in attesa del processo) non puoi averla. E' una cosa che non ha senso, è una schedatura come il biglietto nominale (Michel Platini, presidente della UEFA ha detto che l'Italia deve abolire il biglietto nominale ed è un problema decisamente più grave degli scontri allo stadio. E' giudicato vincolante per l'assegnazione di eventi sportivi come l'Europeo. Il biglietto nominale, non gli ultras) e sul quale i gruppi ultras stanno facendo ammenda adesso per non averla contestata a dovere all'epoca. Se fosse una "carta di fideizzazione" sarebbe come al Supermercato. Uno è libero di farla o non farla, non è vincolante. Nel momento in cui la possiede ha diritto a sconti, premi e quant'altro ma nel momento in cui non la fa va a far la spesa tranquillamente e rinuncia ad un certo tipo di agevolazioni. So già la vostra obiezione: al Supermercato non avvengono scontri tra clienti. Vero ma allora perché in banca? Cosa risolve nell'ambito della sicurezza la sottoscrizione di una carta di credito? La violenza negli stadi è un problema che non può essere risolto unilateralmente, con leggi ad hoc create dall'onda emotiva di un determinato evento drammatico e senza quindi un confronto tra i diversi soggetti interessati. In questi anni gli ultras hanno lanciato diverse proposte: ad esempio mettere sul casco dell'agente di polizia un codice che identifichi il poliziotto. E' una misura già adottata in altri paesi europei la quale permette anche di cautelarsi nei confronti degli abusi di polizia.

Adesso io non pretendo che mi diciate: hai ragione. Vi chiedo di ragionare, di usare la testa e di non approvare a scatola chiusa ogni diktat del potere perché avete visto cinque macchine incendiate ad Alzano Lombardo. Anche perché è divertente pensare che il Capo della Polizia in Italia sia uno CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA per resistenza a pubblico ufficiale. A me sembra un paradosso: un pregiudicato deve decidere la mia sicurezza limitando la libertà di tantissime persone, incensurate, che non sono disposte a sottoscrivere una carta di credito per andare allo stadio. Probabilmente molto di quello che ho scritto non lo sapevate, chiedetevi perché.

P.S. Il ragazzo che vedete nella foto si chiama Paolo Scaroni. La sua vicenda è avvenuta un anno e mezzo prima della morte di Raciti e due anni prima della morte di Gabriele Sandri. Questi ultimi due eventi, per quanto con sentenze discutibili, hanno completato l'iter del processo in primo grado. Quello di Paolo a malapena deve cominciare. Nel suo caso sono indagati 7 poliziotti, sono accusati di averlo picchiato nel piazzale della STAZIONE di Verona Porta Nuova (non dentro il Bentegodi), mandato in coma causandogli danni permanenti e quindi invalidità connesse. La sua vicenda ricorda molto quella di Federico Aldrovandi, morto qualche anno fa a Ferrara picchiato dalle f.d.o. Purtroppo Paolo non ha trovato le mobilitazioni e gli spazi concessi, giustamente, alla famiglia di Federico. E' stata un'impresa vedere degli agenti rinviati a giudizio per quanto avvenuto (per due volte è stata chiesta l'archiviazione). Gli unici a combattere la sua battaglia sono stati i famigliari e il gruppo ultras Brescia 1911, con il quale Paolo aveva fatto quella trasferta. Non Beppe Grillo o qualche altro eroe venuto fuori da chissà dove: un gruppo ultras! Fatevela qualche domanda ogni tanto, perdio! Per quanto mi riguarda...

NO ALLA TESSERA! NO ALL'ARTICOLO 9! ULTRAS LIBERI!

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editoriale di sfascia carrozze

Da bambino odiavo settembre, come tutti i bambini probabilmente. Non tanto perché ricominciava la scuola, posto che la scuola mi riportava dai miei amici, “ai giorni tutti uguali” di Paolo Conte, ma perché, al dunque, non avevo fatto in tempo ad abituarmi all’estate che l’estate stava già finendo, come saggiamente mi ammonivano i Righeira, con quei terribili occhiali colorati che tale Flavio – detto “il fiamma” o per la sigaretta sempre accesa, o per i capelli rossi, o ancora perché incazzoso, infiammabile – utilizzava durante le interminabili partite a biliardo nel bar del parco, o facendo ruotare il joystick a mezzaluna del gabbiotto del videogame nel tentativo, riuscito più e più volte, di battere il nemico di turno nella versione primordiale di Street Fighter, quella che finiva a lotta tailandese con Sagat, per intenderci. L’estate finiva e io non mi abituavo alle giornate più corte, non mi abituavo alla fine di DJ Beach ed al fatto che l’Acquafan di Riccione si svuotasse di presenze dietro ai vari Linus, Fiorello Jovanotti, non mi abituavo alle nuove classifiche dei 45 giri ed allo sconcerto di vedere “Hey Bionda” di Gianna Nannini scivolare giù in classifica, per essere sostituita da qualche tecno pop autunnale (i Depeche Mode mi sembra fossero specializzati in questo, prima di venire imbalsamati a gruppo di culto; i DP ci hanno educato all’autunno, alle camicie ed alla flanella, in questo precursori del grunge anni ’90) già indicativo della noia con cui avrei fatto su e giù da scuola, elementari e poi medie; ma lì c’era già il bus.

Comunque, con il tempo, ci si abituava anche a quello, alle merende pomeridiane con la nutella immangiabile in agosto, ai compiti e ai cartoni animati tipo Holly e Benji – non necessariamente in quest’ordine – alle giostre di ottobre ed alla sala giochi, preferibilmente sia il sabato che la domenica pomeriggio. Dopo la metà di ottobre l’estate era non solo finita, ma dimenticata e sepolta, ed anche l’autunno si faceva carico di prospettive, a patto di avere memoria corta e sapersi adattare. Oggi ho rivalutato settembre, e se ci fosse un dio – di quelli da antica Grecia, quelli capaci di tutto per capriccio – farei una richiesta: blocca tutto il tempo e regalami i primi dieci giorni di settembre in eterno, fermi per sempre.

Regalami un sole che sputa l’ultimo calore sull’emisfero nord, alberi che buttano gli ultimi fiori sapendo che tutto va a morire, cantieri che riprendono i lavori per finire in tempo il progetto di un edificio nuovo, baristi e commesse ancora cortesi, abbronzature che vanno sbiadendo, serate fresche in cui l’ombra della notte si fa ogni giorno più vicina, colazioni con cappuccino e Gazzetta dello Sport sperando in qualche novità dal calciomercato, prima che la classifica si allunghi. Regalami il senso del declino e della discesa, senza farmi mai vedere il declino e la discesa, regalami la fine dell’estate senza farla finire davvero.

Sarebbe come nella vecchia gita a Gardaland di settembre, dove il momento migliore delle montagne russe è quando si comincia a scendere, ma la discesa grande, i giri della morte, le spirali non sono che una possibilità, vicina eppure futura. Infinitamente lontana, assente, se ci fermassimo là, e finissimo il giro prima di essere sbattuti di qua e di là.

I don't know where the sunbeams end/And the starlight begins/It's all a mystery…sarebbe splendido, fermarsi così.

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editoriale di sfascia carrozze

Da bambino odiavo settembre, come tutti i bambini probabilmente. Non tanto perché ricominciava la scuola, posto che la scuola mi riportava dai miei amici, “ai giorni tutti uguali” di Paolo Conte, ma perché, al dunque, non avevo fatto in tempo ad abituarmi all’estate che l’estate stava già finendo, come saggiamente mi ammonivano i Righeira, con quei terribili occhiali colorati che tale Flavio – detto “il fiamma” o per la sigaretta sempre accesa, o per i capelli rossi, o ancora perché incazzoso, infiammabile – utilizzava durante le interminabili partite a biliardo nel bar del parco, o facendo ruotare il joystick a mezzaluna del gabbiotto del videogame nel tentativo, riuscito più e più volte, di battere il nemico di turno nella versione primordiale di Street Fighter, quella che finiva a lotta tailandese con Sagat, per intenderci. L’estate finiva e io non mi abituavo alle giornate più corte, non mi abituavo alla fine di DJ Beach ed al fatto che l’Acquafan di Riccione si svuotasse di presenze dietro ai vari Linus, Fiorello Jovanotti, non mi abituavo alle nuove classifiche dei 45 giri ed allo sconcerto di vedere “Hey Bionda” di Gianna Nannini scivolare giù in classifica, per essere sostituita da qualche tecno pop autunnale (i Depeche Mode mi sembra fossero specializzati in questo, prima di venire imbalsamati a gruppo di culto; i DP ci hanno educato all’autunno, alle camicie ed alla flanella, in questo precursori del grunge anni ’90) già indicativo della noia con cui avrei fatto su e giù da scuola, elementari e poi medie; ma lì c’era già il bus.

Comunque, con il tempo, ci si abituava anche a quello, alle merende pomeridiane con la nutella immangiabile in agosto, ai compiti e ai cartoni animati tipo Holly e Benji – non necessariamente in quest’ordine – alle giostre di ottobre ed alla sala giochi, preferibilmente sia il sabato che la domenica pomeriggio. Dopo la metà di ottobre l’estate era non solo finita, ma dimenticata e sepolta, ed anche l’autunno si faceva carico di prospettive, a patto di avere memoria corta e sapersi adattare. Oggi ho rivalutato settembre, e se ci fosse un dio – di quelli da antica Grecia, quelli capaci di tutto per capriccio – farei una richiesta: blocca tutto il tempo e regalami i primi dieci giorni di settembre in eterno, fermi per sempre.

Regalami un sole che sputa l’ultimo calore sull’emisfero nord, alberi che buttano gli ultimi fiori sapendo che tutto va a morire, cantieri che riprendono i lavori per finire in tempo il progetto di un edificio nuovo, baristi e commesse ancora cortesi, abbronzature che vanno sbiadendo, serate fresche in cui l’ombra della notte si fa ogni giorno più vicina, colazioni con cappuccino e Gazzetta dello Sport sperando in qualche novità dal calciomercato, prima che la classifica si allunghi. Regalami il senso del declino e della discesa, senza farmi mai vedere il declino e la discesa, regalami la fine dell’estate senza farla finire davvero.

Sarebbe come nella vecchia gita a Gardaland di settembre, dove il momento migliore delle montagne russe è quando si comincia a scendere, ma la discesa grande, i giri della morte, le spirali non sono che una possibilità, vicina eppure futura. Infinitamente lontana, assente, se ci fermassimo là, e finissimo il giro prima di essere sbattuti di qua e di là.

I don't know where the sunbeams end/And the starlight begins/It's all a mystery… sarebbe splendido, fermarsi così.

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editoriale di cccp

43m

Attento! Si tratta di un messaggio occulto satanico alla leddzeppelìn che se lo leggi al contrario sei già morto da due giorni: in hacker si legge mEA, che, procedendo per antonomasia si può anche leggere MErdA.

Applicando un anacoluto sarebbe NErdeA che è l'anogramma di NErd.

Quindi ce l'hanno con te {che infatti sei già morto da due giorni}.

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editoriale di cccp

43m

Attento! Si tratta di un messaggio occulto satanico alla leddzeppelìn che se lo leggi al contrario sei già morto da due giorni: in hacker si legge mEA, che, procedendo per antonomasia si può anche leggere MErdA.

Applicando un anacoluto sarebbe NErdeA che è l'anogramma di NErd.

Quindi ce l'hanno con te {che infatti sei già morto da due giorni}.

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