editoriale di enbar77

Fine settembre, inizio ottobre. E’ tempo di vendemmia e per chi ha terreni a coltivazione vitivinicola inizia la raccolta del nettare degli Dei. Io mi ritrovo figlio acquisito di persone antiche, ossia, nate e cresciute con una particolare cultura, quella della terra che aveva un valore pari alla Reggia di Versailles, quando si campava naturalmente con vino e olio non trattati e non si moriva di tumore grazie ai veleni artificiali del millennio. Sono entrato, quindi, a far parte della confraternita dell’uva, ritenendo sia una delle cose più belle che ancora questa vita di merda ci può regalare. Un’ esperienza particolare, un appuntamento con un mondo assolutamente nuovo, ricco di neologismi e strategici modus operandi.

La confraternita è composta dalla madre, che ha chiesto il permesso alla sartoria per disertare qualche giorno, dal padre, che carica il trattore tra un viaggio col pulmino della scuola e un motore di motosega da rigenerare, dal figlio, ribelle e scapocchione, io, il novizio e il nonno partigiano, l’ineguagliabile Grande Capo.

Il pezzo di terra non è molto grande ma neanche tanto piccolo. “Quasi ‘nu muojo”, un moggio. Quest’ultimo è un’unità di misura composta da 33 are. Un’ara è pari a 100 mq e la terra in oggetto essendo “quasi”, ne conta 30. 3000 mq di terreno capace di una decina di filari, divisi in settori, da almeno 200 metri lineari ognuno. Coltivati ad aglianico, falanghina, sangiovese e coda di volpe e “coracavallo”. Bellissimo. Mentre i primi tre vini sono abbastanza diffusi e conosciuti, non rammento l’esistenza degli ultimi due. E’ necessaria un’integrazione culturale. La “Coda di volpe” è un vitigno particolare, rosso, dal caratteristico grappolo, pardon (!) pigna corta, gonfia in alto, carica di acini e man mano che scende si assottiglia fino a terminare a punta. Come la coda di una volpe, appunto. “Coracavallo” non è altro che coda di cavallo senza pause. Simile alla precedente immagino. No. Nel coracavallo la particolarità non è nella pigna, bianca, ma nell’acino. Stretto e lungo.

Con una tuta da meccanico, guanti da lavoro rinforzati da un paio in lattice “sinò te faje ‘e ‘ddeta nere”, scarpe da battaglia e forbici a molla, inizia la grande avventura. Le casse in plastica da frutta diventano “gabbiette” e si dispongono lungo il filare sotto ogni settore. Si afferra il grappolo che diventa “pigna”, si cerca l’estremità, si taglia e si deposita. Quest’anno l’uva è tanta, carica, e una cassa piena a settore è sinonimo di gran raccolto. Mi piazzo a non più di due spanne dal nonno che oltre a illuminarmi di nozioni su una buona raccolta, fa scappare qualche nostalgico aneddoto sulle lotte contro crucchi e fascisti tra le colline impervie verso Cusano all’ombra dei calanchi del ponte “Sprecamugliere”. “Guagliò ‘è pigne malamente le devi mettere sotto. Chelle ‘bbone sopra accussì in cantina nun se n’accorgono e nun facimmo figure e ‘mmerda!”. Esperienza. “Nanò! Addò ‘e fatt ‘o militare?” E lui con l’orgoglio a petto esposto quasi con i lucciconi: “A L’Aquila! Caserma De Amicìs”. Notare l’accento. Storia. “Nanò! Comm’erano i tedeschi?” E lui con uno sguardo da lupo ferito. Stringe la dentiera: “Fetienti! E gli americani erano pure peggio!”. Saggezza.

Le gabbiette sono piene e il vecchio Carraro ruggisce impavido tra i filari vuoti. La terra è bagnata a causa di una leggera pioggia mattutina. Il figlio scapocchione carica il carrello noncurante del fango che lambisce le cassette. La madre sorride e il padre s’incazza. “Strunz’! ‘O vvuò dice che ‘o carrello tocca ‘nterra? L’uva se fa ‘na chiavica! Che te pozzano accide!”. Il figlio ci mette il carico da unici e urlando come uno strillone invita il padre ad accelerare i tempi per sopravvenuto appetito.

Resoconto della mattinata: 4 ore di lavoro, 65 gabbiette, 150 quintali d’uva alla valutazione oscena di 30 centesimi al grappolo, 3 bestemmie, una ventina di imprecazioni goliardiche, tante risate, nessun canto dialettale scansafatiche e le scarpe infangate che pesano un quintale. Morale ottimo.


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editoriale di emofiliaco

Quando ero piccolo la televisione pubblica era solita passare la serie “Hitchcock presenta”.
Uno degli episodi che ricordo con più affetto si svolgeva in una stanza d'ospedale dove erano degenti due malati terminali: uno affrontava la malattia con uno sguaiato ottimismo disturbando l'altro che invece cercava di crogiolarsi il più possibile nelle sue magagne.
Quest'ultimo trattava male chiunque cercasse di “tirarlo su” arrivando anche a compiere un tentato omicidio nei confronti di un'infermiera colpevole di “portare allegria” nella stanza: non penso di rovinare nulla dicendo che il sarcastico finale vedeva morire l'ottimista e guarire inspiegabilmente il pessimista (con gran scorno dei curanti... e dei parenti).

Ovviamente si tratta di pura fiction e non ha nessuna valenza ma non posso fare a meno, magari stupidamente, di non trovare associazioni con questi nostri, turbolenti, anni: dall'economia alla politica, dalla cultura alla società.

Ora, facendo un esempio, banalizzerei dicendo che la crisi economica sia stata provocata da un insano ottimismo nato negli anni '80 (e nemmeno voglio abbracciare in modo scriteriato le varie teorie della decrescita: siano moderate o radicali) perché sarebbe come concedere l'attenuante della “buona fede” a certi farabutti che sulla situazione hanno speculato ma sono abbastanza convinto che se non fossero stati impunemente fatti passare tutti gli elogi dell'ottimismo (provenienti da tutte le parti: psicologi, pedagogisti, economisti, politici etc.) non ci sarebbero stati i presupposti per creare quel substrato popolare in cui la malapianta dell'eresia del “vedere rosa a tutti i costi” è cresciuta portando troppa gente ad avere fede (nel senso letterale del termine “credere senza averne le prove”) nell'infallibilità del sistema.

Insomma alzo il mio nasino e vedo cartelloni pubblicitari con sapiens sapiens ad esporre tutta la dentatura e loro (e miei) simili che interpretano male il messaggio (che in natura è di minaccia e aggressività, ricordo, e non di allegria e di buone intenzioni): ci dev'essere qualcosa che non va, per forza.

Il “pessimismo” è stato fatto passare troppe volte per “depressione” e nemico da sconfiggere, in questi anni, quando “essere pessimista” è semplicemente avere un approccio critico alla vita: nel motto (sottovalutato) “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” e comunque nel chiedere sempre le dovute affidabili rassicurazioni (se mancano i presupposti per le dimostrazioni oggettive).

Sto semplificando e banalizzando forse ma lo spazio concessomi non mi consente più raffinate e lunghe argomentazioni e non voglio certo convertire nessuno ma sto cominciando veramente a pensare che a problemi enormi possano essere contrapposte piccole soluzioni: può sembrare ottimista quest'affermazione ma incredibilmente arriva da solidi anni di crudo pessimismo.

Riuscite a crederlo?

… in realtà il problema della crisi non è così complesso: un idiota lo risolverebbe. Il problema è che non si rivolgono mai a quell'idiota…” (Tiziano Sclavi)


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editoriale di ilfreddo

Dopo quasi tre settimane ci sto facendo ormai l’abitudine, ma non è mica tanto facile. I tasti li devo pigiare di taglio con suono metallico al seguito che mi ricorda l’ingombrante tutore al dito: indice della mano sinistra. Come ha fatto a farsi male, mi chiede? Sembra un disco, mentre batte la tastiera non alzando il capo. Calcetto, rispondo evasivo, con la faccia di chi quella palla alla fine la dovrebbe avere parata, forse. Ma lei non guarda. Peccato. Il calcetto va sempre bene; fino ad una certa età come scusa regge alla grande in una patria di mancati commissari tecnici della nazionale.

Deve essere stato l’odore di quella minuscola e tetra stanza. Odore di morte. Pregnante ed in continua espansione: alla lunga insopportabile. Una zanzara che volteggia a cerchi sempre più concentrici ed ossessivi sulla faccia, proprio vicino all’orecchio, con quel ronzio fastidioso capace di assumere i connotati del trapano del dentista.

Rido mentre lo guardo, perché vorrei vedesse un sorriso. Spero, ma sono certo di sbagliarmi purtroppo, non colga la falsità del gesto: i muscoli facciali infatti mi sembrano di cartone. Minuti come la poesia di Leopardi. Si impossessa di me la necessità di scappare da quel posto. Alzarsi allora, con una scusa patetica; uscire trattenendo il fiato per aprire la porta. Respirare. A pieni polmoni. Brezza che odora di pini, di bosco, di vento d’estate; estate ancora viva, seppur in lento e progressivo declino.

Quando sono nato, qualche giorno in anticipo sul preventivato, mio padre era all’estero. Capitava spesso che per lavoro fosse fuori dai confini nazionali. Nei cruciverba più ostici sa sempre quasi tutte le località: quelle impossibili per chi non ci è mai passato almeno una volta dal vivo. Fatto sta che, mentre stava tornando di corsa in aereo, per un giorno, il mio primo giorno, un caro amico di famiglia fece le veci di mio padre al ospedale.

Ora è lì, claudicante nel passo, ma ancora completamente lucido e presente nella mente. Mentre gli parlo mi sembra di camminare sulle uova, non voglio pigiare tasti dolenti che potrebbero riaprire ferite flebilmente chiuse, ma ancora bisognose di piastrine. Sta seduto in un letto, non il suo, mentre mi risponde e cerca di accettare la situazione. Lui, sempre stato un vulcano in un eruzione, mansueto mi rassicura con lo sguardo. Ha deposto le armi e sta aspettando la fine dei suoi giorni. Non lo riconosco. Senza stimoli ai quali aggrapparsi sono bastati un paio di mesi in compagnia di zombie, pasti che sanno di farmacia e notti che cominciano alle 8 di sera per demolirlo e renderlo così. Un condannato che aspetta un boia che si chiama ictus o infarto.

Generalizzare in certe situazioni è un errore imperdonabile. Scrivo quindi perché conosco il caso specifico e quei suoi due figli. Non hanno problemi economici particolari, hanno una casa loro che stanno pagando e quella paterna, dove ora lui dovrebbe riposare, è vuota. Potrebbero essere la mia fotocopia tra 10 anni. Non ci sono matrimonio, bambini, scuola, weekend e vacanze che tengano. Hanno scelto la strada più comoda: staccare un grasso assegno. E vaffanculo.

Dei biscotti aperti sul comodino anonimo. Anonimo come tutto in questa camera del cazzo che sembra sia caduta nella varechina. Biscotti come ricordo dei figli, del loro grande amore, messi vicino a dei fiori quasi appassiti. Avessi la macchina fotografica con me.

Visite sempre più rade: un po’ come i capelli del padre. Ora dobbiamo andare sai, a voce sempre più alta, le piccole vanno a scuola domani e devono fare i compiti. Solo 5 anni fa vi avrebbe preso a calci in culo. E lo sanno mentre chiudono la porta e buttano giù il rospo ingobbendosi per il peso. Quel rimorso che sale ogni rara volta che tornano e che non si sa come cazzo riescano a cacciare giù prima di andare a dormire.

Forse ho esagerato nella forza oppure forse, ed è più probabile questa ipotesi, l’ho fatto di proposito: un pugno sul muro per ricordarmi che io, nei loro panni, non sarò mai così. Un ingrato pezzo di merda.

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editoriale di telespallabob

Tessera del Tifoso.

Non dico tanto ma vagamente ne avete sentito parlare. Cos'è? Nelle intenzioni di Osservatorio, Ministero e quant'altro è una carta di fideizzazione. Praticamente ti permette di avere varchi dedicati, puoi accedere al settore ospiti, non essere soggetto alle limitazioni eventuali dell'Osservatorio e avere agevolazioni economiche con enti collegati (Autogrill, Ferrovie...). Detta così qualcuno potrebbe pensare: cazzo, una cuccagna.

Vediamo un po' cosa c'è dietro. Partiamo da due società famose: Milan e Inter. Un tifoso che volesse fare la tessera di queste due società dove potrebbe andare? In banca! Esattamente, va negli istituti di credito collegati e fa richiesta. Allora si scopre che è una comunissima carta di credito, con dei costi e degli interessi. In A solamente due società hanno fatto la Tessera del Tifoso fuori dai circuiti bancari: la Sampdoria ed il Parma. Ora ad essere maligni si fa peccato ma spesso si dicono cose giuste. Perché in banca? Scopriamo che il vicepresidente dell'ABI (Associazione Banche Italiane) è il fratello di Giancarlo Abete, presidente della FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio). Conflitto d'interessi? Possibile.

Secondo problema della tessera: l'articolo 9. Grazie all'Articolo 9 della Legge Amato (introdotta dopo la morte di Filippo Raciti durante gli scontri fuori dal Massimino di Catania) prevede, associata alla tessera, che oltre agli anni di DASPO la persona diffidata non possa fare la tessera per 5 anni, indifferentemente da come è andato il processo ed anche in presenza di una condanna in primo grado. L'articolo 27 della Costituzione dice: "L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva". Nel momento in cui la Tessera non viene concessa di fronte ad una condanna in primo grado sei già colpevole, senza che sia finito il processo. Sorgono problemi numerosi di costituzionalità che si aggiungono alle diverse problematiche relative al DASPO. Digressione: cos'è il DASPO? E' la divieto di accedere alle manifestazioni sportive. Può essere emesso o in flagranza di reato (in quei casi il processo è quasi sempre per direttissima) o in flagranza differita (che va fino a 36 ore dal fatto). Quest'ultimo è un clamoroso escamotage giuridico. Il DASPO si basa su un foglio di polizia. Praticamente ci può essere scrivo: "la persona taldeitali ha commesso il determinato reato". Viene controfirmato dal GIP entro 48 ore e lì emesso il DASPO che va fino a 5 anni. Tu non vieni condannato in base al processo, vieni giudicato colpevole prima ed il processo ti viene fatto dopo. Un dato: il 40% delle persone soggette a DASPO alla fine dell'iter processuale risultano ASSOLTE! 4 su 10! E' un dato non indifferente.

Terzo problema: i detrattori del DASPO parlano di misura anticostituzionale. Com'è possibile che sia stata approvata davanti a problemi del genere? Molto semplice: non esiste una legge ad hoc. Non è stata introdotta sulla base di una legge e quindi con tutte le sue validità. Si parla della Tessera in una circolare interna del Ministero degli Interni. Non è vincolante negli confronti di enti esterni (società di calcio). Vuol dire che il Ministero e l'Osservatorio l'hanno imposta. Non sono state interpellate le società, i gruppi ultras, i centri di coordinamento e tutte le altre parti in causa. E' stata calata dall'alto come la panacea. Nel momento in cui c'era già il DASPO (con tutti i suoi limiti ed i suoi errori) perché introdurla? Perché vincolare gli ingressi allo stadio, associando la tessera del tifoso all'abbonamento? Cosa può risolvere come violenza negli stadi nel momento in cui negli ultimi anni quasi tutti gli scontri sono avvenuti fuori dagli impianti o in luoghi ben distanti dagli stadi. Sono diminuiti negli anni gli scontri tra gruppi ultras ed aumentati considerevolmente quelli con le f.d.o. Gli scontri fuori dagli stadi sono un problema che esiste in Inghilterra, il famigerato modello inglese ha semplicemente buttato fuori tutta una categoria di persone che da un giorno all'altro non si sono più potute permettere di andare allo stadio. Capitano spesso incidenti tra gruppi di tifoserie, a 400-500 metri dallo stadio. Lo ripeto, avviene in Inghilterra. Tutti questi casi vengono semplicemente nascosti sotto il tappeto: non si è risolta la violenza, è stata semplicemente allontanata da una telecamera (quindi togliendone la sua effettiva risonanza). Questo si chiama risolvere i problemi?

Un altro argomento che sollevano i gruppi ultras riguarda la schedatura. Perché? Nel momento in cui tu provi a sottoscrivere la Tessera prima della conferma il nome viene comunicato in Questura, nel caso in cui tu risulti nella black-list (che comprende di tutto: da gente pluri-daspata, a tifosi che si sono beccati massimo 1 anno di diffida e l'hanno già scontato, gente diffidata anni fa, ragazzi in attesa del processo) non puoi averla. E' una cosa che non ha senso, è una schedatura come il biglietto nominale (Michel Platini, presidente della UEFA ha detto che l'Italia deve abolire il biglietto nominale ed è un problema decisamente più grave degli scontri allo stadio. E' giudicato vincolante per l'assegnazione di eventi sportivi come l'Europeo. Il biglietto nominale, non gli ultras) e sul quale i gruppi ultras stanno facendo ammenda adesso per non averla contestata a dovere all'epoca. Se fosse una "carta di fideizzazione" sarebbe come al Supermercato. Uno è libero di farla o non farla, non è vincolante. Nel momento in cui la possiede ha diritto a sconti, premi e quant'altro ma nel momento in cui non la fa va a far la spesa tranquillamente e rinuncia ad un certo tipo di agevolazioni. So già la vostra obiezione: al Supermercato non avvengono scontri tra clienti. Vero ma allora perché in banca? Cosa risolve nell'ambito della sicurezza la sottoscrizione di una carta di credito? La violenza negli stadi è un problema che non può essere risolto unilateralmente, con leggi ad hoc create dall'onda emotiva di un determinato evento drammatico e senza quindi un confronto tra i diversi soggetti interessati. In questi anni gli ultras hanno lanciato diverse proposte: ad esempio mettere sul casco dell'agente di polizia un codice che identifichi il poliziotto. E' una misura già adottata in altri paesi europei la quale permette anche di cautelarsi nei confronti degli abusi di polizia.

Adesso io non pretendo che mi diciate: hai ragione. Vi chiedo di ragionare, di usare la testa e di non approvare a scatola chiusa ogni diktat del potere perché avete visto cinque macchine incendiate ad Alzano Lombardo. Anche perché è divertente pensare che il Capo della Polizia in Italia sia uno CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA per resistenza a pubblico ufficiale. A me sembra un paradosso: un pregiudicato deve decidere la mia sicurezza limitando la libertà di tantissime persone, incensurate, che non sono disposte a sottoscrivere una carta di credito per andare allo stadio. Probabilmente molto di quello che ho scritto non lo sapevate, chiedetevi perché.

P.S. Il ragazzo che vedete nella foto si chiama Paolo Scaroni. La sua vicenda è avvenuta un anno e mezzo prima della morte di Raciti e due anni prima della morte di Gabriele Sandri. Questi ultimi due eventi, per quanto con sentenze discutibili, hanno completato l'iter del processo in primo grado. Quello di Paolo a malapena deve cominciare. Nel suo caso sono indagati 7 poliziotti, sono accusati di averlo picchiato nel piazzale della STAZIONE di Verona Porta Nuova (non dentro il Bentegodi), mandato in coma causandogli danni permanenti e quindi invalidità connesse. La sua vicenda ricorda molto quella di Federico Aldrovandi, morto qualche anno fa a Ferrara picchiato dalle f.d.o. Purtroppo Paolo non ha trovato le mobilitazioni e gli spazi concessi, giustamente, alla famiglia di Federico. E' stata un'impresa vedere degli agenti rinviati a giudizio per quanto avvenuto (per due volte è stata chiesta l'archiviazione). Gli unici a combattere la sua battaglia sono stati i famigliari e il gruppo ultras Brescia 1911, con il quale Paolo aveva fatto quella trasferta. Non Beppe Grillo o qualche altro eroe venuto fuori da chissà dove: un gruppo ultras! Fatevela qualche domanda ogni tanto, perdio! Per quanto mi riguarda...

NO ALLA TESSERA! NO ALL'ARTICOLO 9! ULTRAS LIBERI!

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editoriale di sfascia carrozze

Da bambino odiavo settembre, come tutti i bambini probabilmente. Non tanto perché ricominciava la scuola, posto che la scuola mi riportava dai miei amici, “ai giorni tutti uguali” di Paolo Conte, ma perché, al dunque, non avevo fatto in tempo ad abituarmi all’estate che l’estate stava già finendo, come saggiamente mi ammonivano i Righeira, con quei terribili occhiali colorati che tale Flavio – detto “il fiamma” o per la sigaretta sempre accesa, o per i capelli rossi, o ancora perché incazzoso, infiammabile – utilizzava durante le interminabili partite a biliardo nel bar del parco, o facendo ruotare il joystick a mezzaluna del gabbiotto del videogame nel tentativo, riuscito più e più volte, di battere il nemico di turno nella versione primordiale di Street Fighter, quella che finiva a lotta tailandese con Sagat, per intenderci. L’estate finiva e io non mi abituavo alle giornate più corte, non mi abituavo alla fine di DJ Beach ed al fatto che l’Acquafan di Riccione si svuotasse di presenze dietro ai vari Linus, Fiorello Jovanotti, non mi abituavo alle nuove classifiche dei 45 giri ed allo sconcerto di vedere “Hey Bionda” di Gianna Nannini scivolare giù in classifica, per essere sostituita da qualche tecno pop autunnale (i Depeche Mode mi sembra fossero specializzati in questo, prima di venire imbalsamati a gruppo di culto; i DP ci hanno educato all’autunno, alle camicie ed alla flanella, in questo precursori del grunge anni ’90) già indicativo della noia con cui avrei fatto su e giù da scuola, elementari e poi medie; ma lì c’era già il bus.

Comunque, con il tempo, ci si abituava anche a quello, alle merende pomeridiane con la nutella immangiabile in agosto, ai compiti e ai cartoni animati tipo Holly e Benji – non necessariamente in quest’ordine – alle giostre di ottobre ed alla sala giochi, preferibilmente sia il sabato che la domenica pomeriggio. Dopo la metà di ottobre l’estate era non solo finita, ma dimenticata e sepolta, ed anche l’autunno si faceva carico di prospettive, a patto di avere memoria corta e sapersi adattare. Oggi ho rivalutato settembre, e se ci fosse un dio – di quelli da antica Grecia, quelli capaci di tutto per capriccio – farei una richiesta: blocca tutto il tempo e regalami i primi dieci giorni di settembre in eterno, fermi per sempre.

Regalami un sole che sputa l’ultimo calore sull’emisfero nord, alberi che buttano gli ultimi fiori sapendo che tutto va a morire, cantieri che riprendono i lavori per finire in tempo il progetto di un edificio nuovo, baristi e commesse ancora cortesi, abbronzature che vanno sbiadendo, serate fresche in cui l’ombra della notte si fa ogni giorno più vicina, colazioni con cappuccino e Gazzetta dello Sport sperando in qualche novità dal calciomercato, prima che la classifica si allunghi. Regalami il senso del declino e della discesa, senza farmi mai vedere il declino e la discesa, regalami la fine dell’estate senza farla finire davvero.

Sarebbe come nella vecchia gita a Gardaland di settembre, dove il momento migliore delle montagne russe è quando si comincia a scendere, ma la discesa grande, i giri della morte, le spirali non sono che una possibilità, vicina eppure futura. Infinitamente lontana, assente, se ci fermassimo là, e finissimo il giro prima di essere sbattuti di qua e di là.

I don't know where the sunbeams end/And the starlight begins/It's all a mystery…sarebbe splendido, fermarsi così.

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editoriale di sfascia carrozze

Da bambino odiavo settembre, come tutti i bambini probabilmente. Non tanto perché ricominciava la scuola, posto che la scuola mi riportava dai miei amici, “ai giorni tutti uguali” di Paolo Conte, ma perché, al dunque, non avevo fatto in tempo ad abituarmi all’estate che l’estate stava già finendo, come saggiamente mi ammonivano i Righeira, con quei terribili occhiali colorati che tale Flavio – detto “il fiamma” o per la sigaretta sempre accesa, o per i capelli rossi, o ancora perché incazzoso, infiammabile – utilizzava durante le interminabili partite a biliardo nel bar del parco, o facendo ruotare il joystick a mezzaluna del gabbiotto del videogame nel tentativo, riuscito più e più volte, di battere il nemico di turno nella versione primordiale di Street Fighter, quella che finiva a lotta tailandese con Sagat, per intenderci. L’estate finiva e io non mi abituavo alle giornate più corte, non mi abituavo alla fine di DJ Beach ed al fatto che l’Acquafan di Riccione si svuotasse di presenze dietro ai vari Linus, Fiorello Jovanotti, non mi abituavo alle nuove classifiche dei 45 giri ed allo sconcerto di vedere “Hey Bionda” di Gianna Nannini scivolare giù in classifica, per essere sostituita da qualche tecno pop autunnale (i Depeche Mode mi sembra fossero specializzati in questo, prima di venire imbalsamati a gruppo di culto; i DP ci hanno educato all’autunno, alle camicie ed alla flanella, in questo precursori del grunge anni ’90) già indicativo della noia con cui avrei fatto su e giù da scuola, elementari e poi medie; ma lì c’era già il bus.

Comunque, con il tempo, ci si abituava anche a quello, alle merende pomeridiane con la nutella immangiabile in agosto, ai compiti e ai cartoni animati tipo Holly e Benji – non necessariamente in quest’ordine – alle giostre di ottobre ed alla sala giochi, preferibilmente sia il sabato che la domenica pomeriggio. Dopo la metà di ottobre l’estate era non solo finita, ma dimenticata e sepolta, ed anche l’autunno si faceva carico di prospettive, a patto di avere memoria corta e sapersi adattare. Oggi ho rivalutato settembre, e se ci fosse un dio – di quelli da antica Grecia, quelli capaci di tutto per capriccio – farei una richiesta: blocca tutto il tempo e regalami i primi dieci giorni di settembre in eterno, fermi per sempre.

Regalami un sole che sputa l’ultimo calore sull’emisfero nord, alberi che buttano gli ultimi fiori sapendo che tutto va a morire, cantieri che riprendono i lavori per finire in tempo il progetto di un edificio nuovo, baristi e commesse ancora cortesi, abbronzature che vanno sbiadendo, serate fresche in cui l’ombra della notte si fa ogni giorno più vicina, colazioni con cappuccino e Gazzetta dello Sport sperando in qualche novità dal calciomercato, prima che la classifica si allunghi. Regalami il senso del declino e della discesa, senza farmi mai vedere il declino e la discesa, regalami la fine dell’estate senza farla finire davvero.

Sarebbe come nella vecchia gita a Gardaland di settembre, dove il momento migliore delle montagne russe è quando si comincia a scendere, ma la discesa grande, i giri della morte, le spirali non sono che una possibilità, vicina eppure futura. Infinitamente lontana, assente, se ci fermassimo là, e finissimo il giro prima di essere sbattuti di qua e di là.

I don't know where the sunbeams end/And the starlight begins/It's all a mystery… sarebbe splendido, fermarsi così.

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editoriale di cccp

43m

Attento! Si tratta di un messaggio occulto satanico alla leddzeppelìn che se lo leggi al contrario sei già morto da due giorni: in hacker si legge mEA, che, procedendo per antonomasia si può anche leggere MErdA.

Applicando un anacoluto sarebbe NErdeA che è l'anogramma di NErd.

Quindi ce l'hanno con te {che infatti sei già morto da due giorni}.

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editoriale di cccp

43m

Attento! Si tratta di un messaggio occulto satanico alla leddzeppelìn che se lo leggi al contrario sei già morto da due giorni: in hacker si legge mEA, che, procedendo per antonomasia si può anche leggere MErdA.

Applicando un anacoluto sarebbe NErdeA che è l'anogramma di NErd.

Quindi ce l'hanno con te {che infatti sei già morto da due giorni}.

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editoriale di cccp

43m

Attento! Si tratta di un messaggio occulto satanico alla leddzeppelìn che se lo leggi al contrario sei già morto da due giorni: in hacker si legge mEA, che, procedendo per antonomasia si può anche leggere MErdA.

Applicando un anacoluto sarebbe NErdeA che è l'anogramma di NErd.

Quindi ce l'hanno con te {che infatti sei già morto da due giorni}.

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editoriale di cccp

I Maiden sono tornati: viva i Maiden!

Ampia premessa: questa recensione sarà lunga e prolissa come l'album di cui parla: una lunghezza media a pezzi di 07:'59", cedendo così all'odiosa moda del mercato del disco moderno di "riempire" il cd il più possibile! Gli album dai grupponi della mia infanzia ancora li ascolto su cd rom. Credo che recensire un disco degli Iron Maiden qui su DeBaser equivalga a gettarsi in una tana piena di lupi a digiuno da un mese. Difficile nel 2010 dire qualcosa di nuovo per le vergini della roccia.

Non ci siamo! Non ce la faccio più a sentire solo opinioni negative sull'ultimo album della Vergine di Ferro. Questo "The Final Frontier" è davvero un bell'album. Di dischi di studio è proprio il caso che gli Iron Maiden non ne facciano più! Forse il migliore degli ultimi 3 o 4. La solita minestra riscaldata.

Un album autoreferenziale al massimo, la capacità unica di sprigionare energia attraverso stati d'animo e immagini ora soffusi e poi pronti ad esplodere quasi al livello del plagio di se stessi. E’ solo cambiato il loro modo di fare Musica.. un disco che sostanzialmente di nuovo non ha niente sulla falsariga delle vecchie produzioni. Gli Iron si sono addentrati in territori a loro sconosciuti e anche in questi sembrano eccellere.. c'è più voglia di riflettere che di bastonare. Le prima note risultano solenni e apocalittiche. E' il più debole degli ultimi 4 album dell'epoca Dickinson2. Sembrano essere di nuovo smorti in studio. Davvero un signor album. Da qui a dire che "è un disco di merda" ce ne vuole.

La voce di Bruce Dickinson si inerpica dove i comuni mortali non giungono e disegna scenari splendidi. Il problema di "The Final Frontier" è la debolezza delle linee vocali. I geni che se ne lamentano poi sbavano dietro l’ultimo disco dei Metallica. Già si può notare come Bruce in questo album canti davvero bene. Non bastavano Murray e Smith? Le linee vocali sono costantemente a tonalità altissime. Oddio...Gers...!!!

Un tappeto sonoro davvero maestoso giusto per abbindolare l’ascoltatore facendogli credere di essere tornati ai “fasti” di un tempo. 5 capolavori, 4 belle canzoni e 2 "bruttine". Si ha avuto il buongusto di scegliere la canzone migliore da schiaffare al pubblico sbavoso e bramoso. In studio quello che dovevano dire lo avevano già detto molti anni fa. I riff sembrano riportarci all'epoca di "Number of the Beast".

UP THE IRONSSSSS. Io però vado ad ascoltarmi powerslave...

La Frontiera Fatale

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editoriale di cccp

I Maiden sono tornati: viva i Maiden!

Ampia premessa: questa recensione sarà lunga e prolissa come l'album di cui parla: una lunghezza media a pezzi di 07:'59", cedendo così all'odiosa moda del mercato del disco moderno di "riempire" il cd il più possibile! Gli album dai grupponi della mia infanzia ancora li ascolto su cd rom. Credo che recensire un disco degli Iron Maiden qui su DeBaser equivalga a gettarsi in una tana piena di lupi a digiuno da un mese. Difficile nel 2010 dire qualcosa di nuovo per le vergini della roccia.

Non ci siamo! Non ce la faccio più a sentire solo opinioni negative sull'ultimo album della Vergine di Ferro. Questo "The Final Frontier" è davvero un bell'album. Di dischi di studio è proprio il caso che gli Iron Maiden non ne facciano più! Forse il migliore degli ultimi 3 o 4. La solita minestra riscaldata.

Un album autoreferenziale al massimo, la capacità unica di sprigionare energia attraverso stati d'animo e immagini ora soffusi e poi pronti ad esplodere quasi al livello del plagio di se stessi. E’ solo cambiato il loro modo di fare Musica.. un disco che sostanzialmente di nuovo non ha niente sulla falsariga delle vecchie produzioni. Gli Iron si sono addentrati in territori a loro sconosciuti e anche in questi sembrano eccellere.. c'è più voglia di riflettere che di bastonare. Le prima note risultano solenni e apocalittiche. E' il più debole degli ultimi 4 album dell'epoca Dickinson2. Sembrano essere di nuovo smorti in studio. Davvero un signor album. Da qui a dire che "è un disco di merda" ce ne vuole.

La voce di Bruce Dickinson si inerpica dove i comuni mortali non giungono e disegna scenari splendidi. Il problema di "The Final Frontier" è la debolezza delle linee vocali. I geni che se ne lamentano poi sbavano dietro l’ultimo disco dei Metallica. Già si può notare come Bruce in questo album canti davvero bene. Non bastavano Murray e Smith? Le linee vocali sono costantemente a tonalità altissime. Oddio...Gers...!!!

Un tappeto sonoro davvero maestoso giusto per abbindolare l’ascoltatore facendogli credere di essere tornati ai “fasti” di un tempo. 5 capolavori, 4 belle canzoni e 2 "bruttine". Si ha avuto il buongusto di scegliere la canzone migliore da schiaffare al pubblico sbavoso e bramoso. In studio quello che dovevano dire lo avevano già detto molti anni fa. I riff sembrano riportarci all'epoca di "Number of the Beast".

UP THE IRONSSSSS. Io però vado ad ascoltarmi powerslave...

La Frontiera Fatale

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editoriale di cccp

Negli ultimi 30 giorni la DeGente ci ha cercato (e trovato) così:

  1. debaser
  2. slash
  3. pene
  4. fica
  5. culi scoperti
  6. twilight
  7. sciachira
  8. jimmy il fenomeno
  9. ditalino
  10. cuore amore
  11. gianni celeste
  12. cannibal corpse
  13. debaser.it
  14. dave gahan
  15. domani smetto
  16. europe
  17. cazzo
  18. madonna discografia
  19. leone il cane fifone
  20. ganja
  21. tony montana
  22. immagini di shakira
  23. puttana
  24. fabri fibra
  25. cobra

Magari sarebbe interessante cercare di capire i motivi per i quali, aldilà degli immancabili lemmi di natura sessuale che rivestono una porzione notevole tra i ricercatori di DeBaser, cerchiamo "Leone il cane fifone" oppure "immagini di shakira" su DeBaser.
Ma soprattutto: chi minchia sarebbe Gianni Celeste?

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editoriale di turkish



Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un'autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l'amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta.


Francesco Cossiga a proposito di Rosario Livatino, magistrato in seguito assassinato dalla mafia



Perché lo si sappia, prima che crepi, e lo si ricordi, dopo.

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editoriale di turkish

Gentile sig. Gianfranco,

lei appartiene a quella parte politica che, per vari motivi, consideriamo da sempre a noi "avversa" - quando siamo di buon umore - e addirittura "nemica" - quando invece ci gira male.
Per essere chiari: fascisti, ex-fascisti e post-fascisti non ci sono mai piaciuti; perché, semplicemente, sono delle gran teste di cazzo.

Nel 1995, a Fiuggi, lei, signor Gianfranco, si è finalmente accorta di essere una gran testa di cazzo. Le ci son voluti 27 anni: e va beh.

Nel 2010, poi, si è finalmente accorta di lavorare per un'enorme testa di cazzo. Le ci son voluti altri 15 anni: e va beh.

Ora però.
Noi la si segue con interesse, eh; ma cominciamo ad avere una certà età. E anche lei, del resto.
Per la prossima mossa, che ne dice, ci impegnamo a star sotto i 10 anni?

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editoriale di sfascia carrozze

Vostra Illustrissima Eminenza ArciVescovo di Otranto Vincenzo Franco,

perdonerete se Vi tedio con la presente, però, ecco, vorrei umilmente chiederVi di illuminare noi umili bifolchi del DeBasero - il sito più fiko dell’Internet, nel caso non ne sia liturgicamente avveduto - sul motivo per il quale Vi siete espresso, oserei dire con tempismo da centometrista, nei confronti del Signor Vendola Nicola, detto Nicki, noto intellettuale dell’area politica della sinistra oltre che attuale Presidente della Regione Puglia, con si tanta risolutezza: “Non darei la comunione a Vendola perché ostenta la sua condizione perversa e malata di omosessuale praticante” e ancora “A questa gente - come Vendola - i vescovi e i sacerdoti sappiano darei un bel calcio nel sedere”.

Mi consentirete, ma Voi, oltre al “perverso e malato” Vendola a chi tutto dareste il calcio nel sedere quale succedaneo del tozzo di pane raffermo di forma circolare?

Perché, come intuirete, quando si affermano determinati concetti è bene li si espliciti nella più totale chiarezza in modo tale che anche i più ottenebrati (noi) comprendano la profondità del Vostro eminente pensiero. Potrebbe anche darsi che non vi sfagiolino neppure quelli troppo abbronzati (nella simpatica accezione attribuita dal Ns amato Premier): è bene che anch’essi siano puntualmente messi al corrente.

Oppure quei miscredenti la qui altezza non superi il metro e sessanta. O anche i claudicanti. Gli obesi.

Sui conviventi già sappiamo.

Ora, Vostra Eminenza, non vorrei Vi possa apparire si stia cambiando discorso, ma, ecco, Voi che siete così risoluto con i supposti perversi e malati, a certi Vostri (quantunque eminenti) colleghi - quelli lì con le mani lunghe, i quali amano sollazzarsi laddove e con chi mai si dovrebbe - taluni ammantati di fine porpora, anche ospiti a tempo indeterminato dello Stato Pontificio del Vaticano, glielo darebbe o no un sacrosanto calcio in culo?

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editoriale di fosca

Ho quarantadue anni e una bella famiglia, moglie e due bambini piccoli, in età scolare.

Da un anno abbiamo anche un cane, preso tramite conoscenti per l’insistenza dei miei figli che lo volevano a tutti i costi. E’ un meticcio di taglia media, niente di che, ma ai bambini piaceva e tra l’altro li fa divertire.

Io ho un lavoro decente ma quest’anno, con la crisi che c’è stata, è stata molto dura, ed economicamente abbiamo faticato anche noi e soprattutto lo stress che ne è derivato è stato molto forte. Certo, ora non che si navighi nell’oro, intendiamoci, però quei quattro soldi per andare in vacanza li abbiamo messi da parte, giusti giusti per stare una decina di giorni al mare, senza chissà quali grandi pretese. Solo che il cane adesso è un bel problema, sì perché non lo può tenere nessuno, e i soldi per una pensione non avanzano. Ma le ferie sono sacrosante e non si discutono, specie dopo il mazzo che ci siamo fatti per tutto l’anno, compresi stenti e privazioni.

E poi che vuoi che sia? Lo porto in campagna o nei boschi, gli lascio anche acqua e cibo per qualche giorno, e me ne vado senza troppi ripensamenti, in fondo basta superare il rimorso del momento, tutto qui.

I bambini lagneranno un paio di giorni ma una volta al mare se ne dimenticheranno. Che poi dico, sei un animale no? I tuoi antenati erano i lupi che vivevano in libertà e che per vivere cacciavano, perché in fondo il cacciare ce l’hanno nel Dna, no? Che diamine…

E poi alla fine ma sì, chissenefrega, è solo un cane qualunque, e vuoi mettere rispetto alle ferie? Non lo mollo mica in autostrada, no? Non sono mica un criminale io. Che poi tra l’altro se ti beccano adesso, con 'sti cazzo di animalisti, rischi pure di buttare i soldi delle ferie nel cesso. Eh no. Una cosa discreta e via.

E semmai al rientro, se proprio i bambini desiderano ancora un animale domestico, prendo un gatto piccolo, che è sicuramente meno impegnativo di un cane.

E per il prossimo anno si vedrà.

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editoriale di sfascia carrozze

America, bella eh?

L’America quella che si chiama USA, quella della democrazia, quella del: “Yes, I can”, quella che ogni giorno ci fa imparare qualcosa sulla modernità, sulla tecnologia, su come siamo avanti nella medicina, che ci fa credere che geni folli come il Dottor House, siano lì ad aspettare l’ennesimo caso su cui scervellarsi e, al contempo, ci spiega che di fronte alla morte ognuno può avere il suo numerino, la sua targhetta legata alla caviglia, perché chiunque è americano e chiunque deve avere lo stesso trattamento, ecco, sì, chiunque deve saper scegliere e a chiunque deve essere data la possibilità di scegliere, qualunque cosa, questo chiunque, abbia fatto. Ronnie Lee Gardner era un fottuto bastardo, assassino. Venticinque anni fa uccise due persone, una delle due era il giudice che lo doveva giudicare per il primo omicidio. Che pirla.

Ora Gardner è, a sua volta, morto, non di vecchiaia, non di malattia, non di incidente, ma ucciso. Sì perché in quell’America che abbiamo descritto sopra, sono sicuri che la via giusta, in certi casi, sia far pagare con la vita chi la vita l’ha tolta agli altri. Allora ci si organizza per benino e si lascia al condannato la scelta dell’ultimo pasto, la scelta se dire o scrivere qualcosa prima di morire e, soprattutto la scelta di come essere ucciso. In effetti non dappertutto: alcuni stati impongono la sedia elettrica o l’iniezione letale. Nello Utah sanno ancora far scegliere e per fortuna di Gardner gli omicidi li ha commessi proprio nello Utah. E così una bella cena a base di aragosta, un bel film: “Il Signore degli anelli”, e poi via verso la pena capitale. Cosa vogliamo fare? “Uuuhhhmmm, vediamo un po’ forse con qualche colpo di fucile dritto al cuore, me ne vado prima. Sì scelgo questo, così non mi chiedono: “L’accendiamo?” Cinque cecchini, uno dei quali, a caso, con il fucile caricato a salve, così anche il boia non è poi così sicuro di essere un assassino. “Colpo in canna, mirate, fuoco!” I cinque puntano verso il drappo bianco che è stato sistemato proprio sul cuore del condannato. La morte è praticamente immediata.

Cazzo, l’America è fantastica, l’America, anche se sei un fottuto bastardo assassino, sa farti scegliere.

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editoriale di Bartleboom

Lui era un dodicenne che viveva pericolosamente, in equilibrio precario sulla sottile linea della nerditudine. Biondo e occhialuto, con la fissa per i videogiochi, schifato dalle femmine, ma apprezzato dai professori. Sulla fronte, bene in vista, portava un ciuffo duro e appiccicoso: cicatrice di un’infanzia sfregiata da una sorella maggiore a botte di elettro-pop anni ’80, mosse segrete del gioca-jouer e brogli elettorali da Jovanotti For President.

Lei era una Raks da 90’ come tante altre. Grezza. Economica. Nemmeno paragonabile alle TDK da 4 mila e passa lire al pezzo, che mostravano provocanti le cromature dagli scaffali dei supermercati. E aveva una scritta, sul fianco, fatta con un pennarello spuntato, rossa e scura come quelle voglie in cui ci si imbatte nei posti più disparati sul corpo di una donna: “Misto Medal Vol. 1”.

Fecero all’amore per la prima volta con un walkman della BASF grosso come una scatola da scarpe, regalo di una cresima di cui lui non serba altro ricordo, protetti da enormi cuffie di dozzinale spugnotta. Lo rifecero a lungo quella sera stessa, mentre tutti in casa dormivano. E poi, ancora, sul divano in salotto fingendo di fare i compiti di matematica, sul tavolo della cucina di ritorno da scuola, in macchina durante il viaggio per andare al mare con mamma e papà…

Finì un pomeriggio di un giorno d’estate, quando lui la lasciò per troppo tempo nel portaoggetti dell’auto di sua madre parcheggiata sotto un sole che avrebbe cotto una porchetta. Da quella volta, lei non fu più la stessa. Come se qualcosa, in lei, si fosse sciolto per sempre. E vani si rivelarono i tentativo di ricucire lo strappo.

A quel primo, fortissimo amore, ne sarebbero seguiti altri. Alcuni, addirittura, altrettanto forti: polverosi vinili-naviscuola con tanta esperienza, ma ancora piacenti, CD originali acquistati il giorno dell’uscita e posseduti fino a lasciare stremato il laser dello stereo, morbide forme cartonate di stilosissimi digi-pack... Fino all’inevitabile accusa di favoreggiamento della prostituzione con l’avvento della masterizzazione selvaggia.

Tutto, però, è cominciato con quella prima, indimenticata cassetta. Ciò che è venuto dopo è stato soltanto la continua ricerca di quello stesso stupore, di quegli stessi brividi, di quello stesso sentimento.

Never lose that feeling.

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editoriale di sfascia carrozze

“L’equivoco su cui spesso si gioca è questo. Quel politico era vicino ad un mafioso. Quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la Magistratura non lo ha condannato, quindi, quel politico è un uomo onesto. E no questo discorso non va, perché la Magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire beh ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire che quest’uomo è mafioso, però siccome dall’indagine sono emersi, tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali o quale che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.

Questi giudizi non sono stati tratti, perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza. Ah questo tizio non è stato mai condannato quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci gente che è disonesta, ma non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarlo, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe quanto meno indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi, da fatti inquietanti anche se non costituenti reato.”

Paolo Borsellino - 26.01.89

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editoriale di sfascia carrozze

Una trentina d’anni fa un giornale satirico di un certo successo – “Il male” – era solito pubblicare delle false copertine di quotidiani, in cui Ugo Tognazzi buonanima era additato come capo occulto delle Br e tratto in arresto, oppure ancora la nazionale italiana era riammessa alla finale dei mondiali al posto di un’Olanda squalificata per doping nella lontana Argentina.

Negli anni del riflusso “Il male” finì per chiudere, forse qualche tempo prima che – in quel di Livorno – lo spirito delle false copertine del giornale satirico si materializzasse nella testa e nei trapani di alcuni giovani, che ben pensarono di scolpire delle pietre di cantiere e di buttarle in un canale della cittadina, vedendole attribuite nientemeno che a Modigliani, nel tripudio di alcuni critici d’arte anche illustri. Oggi, alla stazione, superato l’ostacolo di un giovane ammaestrato da altri "menogiovani" a propormi una tessera capestro per l’acquisto di libri di una certa catena, ho liberamente speso qualche euro per comprare un libro sulla strage di Bologna, che il giallista Loriano Machiavelli scrisse alla fine degli anni ’80 sotto lo pseudonimo di un misterioso “esperto di sicurezza” svizzero, in quanto, a dire dei suoi editor(s), un autore italiano non sarebbe stato credibile per quei romanzi, e comunque non avrebbe avuto nel pubblico lo stesso impatto di uno straniero.

Episodi diversi che, tuttavia, ruotano attorno alla stessa, sotterranea, vicenda, e ben descrivono uno degli aspetti più originali, parossistici e divertenti del sito a cui sei connesso tu che leggi. Quello dei fake(s).

Quanto mi sono iscritto su DeBaser non sapevo nemmeno cosa fossero i fake(s), ma nemmeno i flame(s) e tutte le sigle che definiscono certi soggetti all’interno di una comunità virtuale: virtuale nel senso fisico, visto che non conosco praticamente nessuno degli utenti; nel senso dello spirito, visto che ci possono essere cointeressenze di vario genere, ma non sempre uno stesso sentire, il che, quantomeno, preserva tutti dall’essere parte di una massa informe, o uniforme che è lo stesso; virtuale nel senso creativo, non essendomi iscritto a mio nome e cognome ma con una sigla scelta quasi a caso, e nel quale scrivo cose che mai potrei scrivere, pubblicare o far probabilmente leggere a chicchessia nella vita reale, intesa come vita dove ho sono siglato da nome, cognome, tratti somatici ed altro.

In un certo senso, già l’atto di registrarsi qua dentro spinge ad essere fake(s) di se stessi, non nel senso spregiativo di falsi – e dunque ipocriti, menzogneri o mentitori – ma nel senso di maschere, che accentuano o enfatizzano quello che siamo, o simboleggiano quello che vorremmo essere, anche in meglio. Quel fenomeno che uno scrittore siciliano descrisse, una trentina d'anni fa, sulla scia di Pirandello virato in positivo, come "il miracolo del bis, il bellissimo riessere", e sia mai che non avesse ragione lui.

Maschere, o a volte ombre, proiettate prima sul bianco di un file word – poi su quello della pagina web.

Ma si può fare di più: creare un fake del fake, un falso al cubo, una creazione ancora più virtuale che è lo sviluppo, la negazione o l’esasperazione della maschera che ci siamo creati quando ci siamo iscritti qua dentro la prima volta, che scrive per non dire niente, e che respinge alla base l’idea stessa di poter comunicare qualcosa con un inizio, una fine ed un messaggio espresso, un giudizio di qualunque genere.

O addirittura un’antimaschera, laddove si porti all’estremo la logica per cui il fake del fake è una doppia negazione, e quindi è qualcosa di vero, reale, per quanto ab-errante, extra-vagante.

Così, mi piace credere che i fake(s) al cubo che a volte leggo esistano sul serio - “facce, gambe, spalle, braccia” – magari in un mondo in cui l’Italia ha vinto il mondiale del ’78 facendo cadere anche sulla spinta di Pertini il regime dei generali, in cui Tognazzi ha confessato di essere il capo delle Br, perché la distruzione dello stato borghese non passa solo attraverso Lello Mascetti, ed in cui un’opera d’arte è tale perché, alla fine di tutto, fra il genio di Modigliani e l’ingegno di un artigiano non fa differenza alcuna.

E tu, che leggi, a che tipo di fake appartieni?

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