editoriale di sotomayor

L'uomo ha il dovere di sopravvivere alla natura. Cioè di vincere ogni sfida che questa ci pone quotidianamente e pure in un contesto che da questo punto di vista è in costante evoluzione e ha subito delle alterazioni dettate proprio da questo rapporto di forza e dalle modifiche che vi abbiamo apportato nel tempo.

I naturalisti più estremisti considereranno questa mia dichiarazione in maniera negativa, ma non sto con questa sicuramente invitando alla distruzione di ciò che ci circonda.

Non sto dichiarando guerra alle forze della natura.

La sfida è aperta da quando il processo evolutivo ci ha condotto al nostro attuale stadio evoluto. Da allora combattiamo contro noi stessi. Da una parte siamo attaccati alla terra, dall’altra sappiamo che solo liberandoci da essa potremo essere salvi.

Il nostro pianeta, l’intero sistema solare non sono eterni. Allo stesso modo prima o poi le risorse naturali tenderanno inevitabilmente a diminuire fino a scomparire del tutto.

Abbiamo ancora molto tempo secondo me, ma vanno continuamente cercate nuove soluzioni.

È un lungo cammino ma che nell’ultimo secolo ci ha visto fare importanti passi in avanti in questo processo di emancipazione dalle forze della natura.

Il 7 febbraio 1984 Bruce McCandless compie la prima attività extraveicolare nello spazio in completa libertà.

La missione è la STS-41B. Lo scopo è posizionare due nuovi satelliti artificiali in orbita ma anche sperimentare il nuovo sistema di propulsione astronauta Manned Maneuvering Unit (MMU).

Bruce McCandless, che ha contribuito al programma in maniera determinante, lascia il Challenger e si lancia nello spazio aperto. Batte i denti, forse perché lo spazio è freddo come ce lo hanno raccontato, forse perché è in un momento di tensione particolare. Sarebbe naturale. Bruce McCandless non è un eroe come Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins. Ha paura. Dopo dirà che per Neil questo sarebbe stato dopo tutto solo un altro piccolo passo, ma che per lui invece è stato un balzo enorme.

Aveva paura che il salto potesse essere troppo grande e che non sarebbe mai più tornato indietro.

Non credo che Armstrong abbia mai risposto a questa affermazione. Ma che avrebbe dovuto dire. Gli eroi non devono dare spiegazioni a nessuno.

Bruce percorre i cento metri più lunghi della storia dell’uomo nello spazio mentre la moglie in ansia lo segue da Terra. Lavora anche lei per la Nasa. Poi Bruce rientra alla base. A bordo del Challenger. Tutti tirano un sospiro di sollievo.

Sembrava impossibile. Ma Bruce è rimasto, anche se per pochi minuti, completamente sospeso nello spazio e ha fatto quello che nessuno aveva mai fatto prima di lui: nessun cordone ombelicale lo teneva legato alla Terra. Nessuna astronave. Non c'era nessun suolo lunare da calpestare questa volta.

La sensazione deve essere stata simile a quella di essere in uno stato di sospensione sott’acqua, immaginiamo, e ci domandiamo quanto e se lo spazio gli possa essere apparso in qualche maniera denso. E se questo non significhi per l’essere umano una specie di ritorno ideale.

In quel momento fu completamente libero da ogni vincolo: è l'uomo che ha superato lo stadio evolutivo di Homo Sapiens e che ha avviato un processo di cambiamento che chissà quando avrà fine.

Pochi lo ricordano e pochi lo ricorderanno dopo la sua morte avvenuta lo scorso 21 dicembre, ma Bruce McCandless è stato il primo.

La sua anima, dopo la morte, è stata ritagliata nell'oscurità dello spazio, circondata dalle stelle che compongono la volta celeste.

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editoriale di ALFAMA

Perchè perdi tempo su questa pagina bianca ?

Noia, per pura noia. La noia di parlare senza risposte. La noia di aspettare. Per farti notare.

Ma scrivere stupidaggini?

Ma guarda le stupidaggini sono solo un caos di parole, mettile in ordine e ognuno trova il suo perchè.

La solitudine aiuta ?

Non credo, la solitudine è un male. Non aiuta,anche se sei in un centro commerciale. Devi vedere la folla per capire la solitudine.

La solitudine da solo non esiste, è un mito. Non esiste, sei sempre con i tuoi pensieri. Esiste solo la solitudine in mezzo alla folla e diventi in giullare,sorridi, salti, bevi. Con un tarlo che ti rode.

La solitudine è una tavola imbandita di falsi sorrisi

Sorridi e ti sentì più solo.

La solitudine è un falso sorriso

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editoriale di enbar77

E pensare che lo avevo lodato anche scrivendo una specie di recensione, o, più che altro, un tentativo di fugare qualche dubbio dove qualcuno mi ha anche preso in giro. Da bambino mi avevano indottrinato a pregarlo, a temerlo, a parlarci con convinzione e a maledirlo. Adesso non posso dire che non creda più nella sua presenza ma, certamente, ho smesso di crederci da un pezzo. E non è un caso se ho voluto spedire questo editoriale proprio oggi, dopo un ampio periodo di latitanza e a poche ore dalla Nascita.

Che poi, la Nascita ha un giorno certo evidenziato in rosso su tutti i calendari, il risultato di un 5X5 nell'ultimo mese di ogni anno. La morte con resurrezione annessa cambia in continuazione. Era una domenica allora e lo sarà per sempre, d'accordo. E allora il 25 dicembre dell'anno zero che giorno era?

Aveva ragione K. M. nel dichiarare che la religione è l'oppio dei popoli. Lobotomizzando stormi, mandrie, schiere, greggi o moltitudini di ignoranti, è stato creato un impero incrollabile dominato dalla fede, che è il malcelato sinonimo della violenza. Di ignoranti che possono esercitare anche qualche tipo di violenza ne esistono tuttora: in Italia come in Medio Oriente. Lì si scannano volentieri. Qui magari ti mandano a praticare nel didietro e poi vanno a confessarsi.

Per non dare torto a K. M. basta pensare a Papa (e ripeto, Papa) Giulio II, al Nome della Rosa e ai pretastri pedofili, tanto per essere banali, dozzinali, luogocomuni-sti (non falce e martello, eh) e retorici. Per una apparizione, Giovanna d'Arco venne condannata al rogo. Per il medesimo motivo, Bernadette ha creato un businness interplanetario. Pratica della compensazione. E quei preti che minacciavano di scomunicarti se ti azzardavi a votare per il Partito Comunista dei senzadio mangiabambini? Con questo motivo quanti voti sono stati veicolati nelle tasche e ripeto, tasche, della Democrazia Cristiana? Di credenti ignoranti ce ne sono stati a grappoli. E ce ne sono anche nell'Anno del Signore 2017 a due passi dal 2018....

Non puoi non divertirti a Pietrelcina (abito a qualche pugno di km di distanza), quando vedo torme di idioti che, sventolano orgogliosi un riquadro da 5mm quadrati di tela per puntocroce, spacciato per "Frammento del guanto di Padre Pio". Ancora più divertente è sentirli esclamare con commozione: "Tengo nu piezzo r'o guanto e Padrepppio!" - "Gentile signora, ma con tutti i frammenti che sono stati venduti negli anni non le sorge il dubbio che siano un falso clamoroso? O Padrepppio gestiva una fabbrica tessile?".

Ancora più divertenti, sono quelli che si recano a San Giovanni Rotondo per adorare quel pupazzo di silicone costruito sui resti ossei del frate, Non bastava conservarle in una apposita urna consacrata? No, un bel bambolone in silicone (ben fatto, devo riconoscere) per attirare quanta più gente per concretizzare una esclusiva operazione lucrosa al netto dei famelici risto-assaltatori, simili agli avvoltoi che svolazzano in circolo sulla preda ansimante, pronti a planare in picchiata nell'attimo successivo all'ultimo respiro. Potete anche darmi addosso, per carità, ma Padrepppio non è stato imbalsamato come Santa Rita. Andate a Cascia e vi chiederete per quale motivo non c'è la stessa folla di prefiche adoranti e piangenti...

L'apice del divertimento si tocca, ancora oggi, con quelle donne adulte o anziane, che si ostinano a pregare sull'immagine di Robert Powell, ostinandosi a credere che sia di Gesù Cristo. Ho provato a sostituire l'ingannevole effigie con una foto di Enrique Irazoqui. Non l'avessi mai fatto. Sono stato ammonito da uno sguardo accigliato e carico di inquietante sospetto, truce quanto basta per garantirmi la condanna alla rosolatura pubblica: "E chi è? Chishto nunn'è Ggesucrishto!". Ma le giuro che lo è stato! Come puoi non dare ragione a K. M.?

Personalmente, ho smesso di crederci perchè a seguito di varie udienze si ostina a non darmi un figlio. Per quante volte l'abbia pregato, implorato, scongiurato, non riesco a non diffidare se penso che per veicolare uno spermatozoo nel punto giusto basterebbe un battito di ciglia. E' tutto a posto, che bell'utero, le tube sono aperte, un pò di varicocele ma nulla di preoccupante, la percentuale di motilità è bassa ma con una decina di milioni attivi e scorazzanti hai voglia...ne basta uno, cazzo. Per avere il Suo dono sto versando un mucchio di soldi senza averlo ancora concepito. Forse riuscirò a comprarmelo con Santa ICSI o San FIVET...

Per anni ho voluto credere che si trattasse appunto di un Suo dono, ma troppo spesso ho visto e sentito che è finito, a volte nel posto ed altre nel grembo, sbagliato...chi li ha violentati, chi soffocati, chi accoltellati, chi abbandonati, per non parlare di quelli che sono nati e morti dopo poco tempo...se lo hai mandato in dono che cazzo te lo sei ripreso a fare? E quei doni più grandicelli, magari chierichetti, magari di bell'aspetto, che sono stati "scartati" dai Suoi Ministri? Come puoi dare torto a W. A.?

Volete sapete come si sono giustificati i sacerdoti a cui confidavo questi dubbi? "Lui ha dato all'uomo la libertà di fare tutto ciò che vuole!". Un pò come se costruissi un robot perfetto a mia immagine e somiglianza (non sarebbe proprio un belvedere), per lasciargli commettere ciò che vuole, anche nefandezze, senza preoccuparmi di togliere le batterie dal radiocomando. Credo proprio che W. A. abbia ragione.

E a questo punto ti rendi conto che forse, si tratta solo di un grosso inganno, di una farsa ben preparata e tuttora perpetrata. Parti con la testa e pensi alle guerre, all'Olocausto, ai femminicidi, tra qualche ora nasce e tanto per dare una prova della Sua presenza ti manda una pioggia tropicale nelle Filippine impedendo a qualche centinaio di famiglie di attendere la mezzanotte per festeggiarlo. Ma un miracolo a mezzo servizio? E' così che finisci per entrare a militare nelle file della dissidenza aggrappandoti con fermezza a qualcuno come W. A. Come fai a dargli torto?...in effetti, se Lui esiste, spero che abbia una buona scusa.

Buon Natale.

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editoriale di sotomayor

Dalla nostra postazione impossbile, dopo i fortunati episodi che ci hanno visto intercettare Serge Voronoff, Garrincha e il Presidente Saragat, ci colleghiamo per trasmettervi in diretta una nuova intervista impossibile.

Vi ricordiamo che tutto questo è reso impossibile dalla nostra strumentazione speciale che ci permette di abbattere ogni barriera spazio-temporale e quel confine sottile tra la vita e la morte, nonché dalla nostra preparatissima e accuratamente selezionata squadra di tecnici radio. Senza di loro questa trasmissione, ammesso che fosse veramente possibile, non esisterebbe.

Dopo avere ospitato una personalità, come dire, molto discussa come quella del Presidente Saragat, abbiamo oggi ospite un altro nostro connazionale e una figura che definirei 'unificatrice', trattandosi in questo caso di una persona dalla elevata caratura morale. Questo prima ancora che essere uno dei più grandi attori della storia del teatro e del cinema italiano.

Sto parlando del cavaliere Aldo Fabrizi.

Nato Aldo Fabbrizi (1905-1990) presso una umile famiglia romana, rimase giovanissimo orfano del padre Giuseppe, di professione vetturino, e per contribuire al sostentamento della famiglia (tra cui la sorella Elena, conosciuta come 'Sora Lella'), si adoperò a fare i lavori più disparati.

Questo non fermò la sua vocazione artistica. Già nel 1928 pubblicò un volumetto di poesie romanesche e cominciò a calcare le scene, fino a mettere in piedi una propria compagnia teatrale. Fece l'esordio sul grande schermo nel 1942.

Nel dopoguerra divenne uno degli attori più popolari del cinema italiano.

Fatta la debita presentazione, lasciatemi introdurre finalmente il nostro ospite.

A nome mio e di tutto i nostri ascoltatori, buonasera cavaliere.

F. Ma che cavaliere e cavaliere... Io sono Aldo Fabrizi e basta. Che bisogno ci sta di tutte queste formalità. Cavaliere ora. Ma lasciamo perdere.

Buonasera a te e a tutti i nostri ascoltatori.

Mi scusi cavalie...

F. Ahè...

Volevo dire: mi scusi signor Fabrizi. Benvenuto.

Se non le dispiace, comincerei con la nostra intervista.

F. Ma sì, facciamoci quattro chiacchiere.

1. Se permette, comincerei questa nostra intervista parlando dei suoi inizi. Mi riferisco agli anni venti, in cui cominciò - contemporaneamente allo svolgimento di altre attività - a esprimere la sua vocazione artistica prima scrivendo e successivamente calcando i palchi teatrali. Questo avveniva tra gli anni venti e gli anni trenta e in quelli che furono anni difficili per il nostro paese. Che cosa ci può raccontare di quegli anni e dei suoi inizi come attore di teatro? È vero che già durante quegli anni avvenne il suo primo incontro con Alberto Sordi?

F. Ma furono anni difficili all'inizio. Mio padre morì quando io avevo solo undici anni e allora mi dovetti impegnare a fare diversi tipi di lavoro: ho fatto il fattorino e il meccanico, il guardiano notturno e il postino... Insomma si faceva tutto quello che si poteva fare per andare avanti. Poi nel 1928 pubblicai un volumetto di poesie romanesche che si intitolava 'Lucciche ar sole' e da lì poi... Prima cominciai a scrivere sul 'Rugantino', che era un giornale dialettale che ci aveva una lunga storia e diciamo una certa fama tra i letterati dell'epoca. Quelli che erano interessati alla poesia, diciamo così. E poi cominciai a lavorare in teatro recitando le mie poesie e come si diceva allora, come 'macchiettista', interpretrando dei ruoli che poi ho ripreso nel corso degli anni: il vetturino, il tramviere, lo sciatore...

Alla fine mi riusciva pure facile perché molti di questi ruoli erano attività e professioni che io avevo veramente svolto. A parte il fatto che proprio mio padre prima di morire faceva il vetturino.

Ma come era la vita durante gli anni del fascismo e sotto l'occupazione dei tedeschi?

F. Io qua posso rispondere per quello che mi riguarda. E diciamo che se prima che cominciasse la guerra magari la pensavo in una certa maniera, dopo ecco facciamo che mi sono reso conto che le cose è che andavano poi tanto bene. Non so se mi sono spiegato...

Ritornando alla mia attività teatrale, alla metà degli anni trenta, mo non mi ricordo esattamente quando, fondai questa mia piccola compagnia teatrale. Ma non è che giravamo tanto, eh, stavamo per lo più sempre a Roma che a me non mi è mai piaciuto tanto viaggiare. E comunque sì, proprio in quegli anni conobbi Alberto Sordi.

Si accorse subito del suo talento?

F. Ma era un ragazzino e poi rimase nella compagnia per poco tempo, però si, si vedeva già che c'aveva talento e che aveva studiato.

È stato lui il più grande attore italiano di tutti tempi?

F. Questa è una bella domanda. Sicuramente Alberto Sordi è stato un grandissimo attore, ma se mi chiede chi sia stato il più grande e allora la risposta non può che essere una sola.

Totò?

F. E ma sì. Per forza. Totò è stato grandissimo. Un grandissimo attore e ancora più grande, se possibile, come persona. Lavorare con lui è stata una vera gioia. Non c'avevamo mica bisogno di un copione: molto spesso improvvisavamo. Oddio molto spesso... Quasi sempre per la verità. L'unico problema è che alla fine a volte era difficile non scoppiare a ridere perché eravamo come spettatori di noi stessi. Bei tempi.

2. Veniamo ai suoi inizi come attore di cinema. Il primo film è del 1942 quando recita in 'Avanti c'è posto' di Mario Bonnard, che la dirige anche nella pellicola seguente, 'Campo de' fiori'. Nel 1943 recita in 'L'ultima carrozzella' di Mario Mattioli e con Anna Magnani. Ma è vero che aveva un rapporto difficile con Anna Magnani?

F. Ma no. Che rapporto difficile. Ognuno faceva il suo ruolo di attore. Quello che si doveva fare. Lei in quel film faceva un'attrice di varietà, mentre io facevo la parte di questo vetturino che avevo ripreso dai miei vecchi personaggi che già facevo a teatro... E mi ricordo che io poi feci recitare nel film Scotti. Tino Scotti. Che era un caratterista bravissimo e che avevo conosciuto durante quegli anni. Scotti era veramente bravissimo, quando era ragazzo aveva pure giocato a pallone con l'Inter prima di cominciare a dedicarsi al teatro. Nel film gli feci fare un personaggio che era una specie di attore, che nella vita era uno spasso, ma davanti all'obiettivo proprio non ce la faceva. Un personaggio che lui fece a meraviglia.

E poi ci stava Mario Mattioli, che per me è stato più che un amico. Un fratello.

Nel 1945 invece fu la volta di 'Roma città aperta' di Roberto Rossellini e in cui lei interpreta la parte di Don Giuseppe Morosini...

F. Su questo film si raccontano un sacco di storie...

Intanto bisogna precisare che sto film non esisteva all'inizio. Ci stava 'La morte di Don Morosini' scritto da Alberto Consiglio che poi divenne capocronaca a 'Il tempo'. Fu un film girato a pezzi e girato dove capitava e in particolare in un teatrino che stava in Via degli Avignonesi e che stava vicino a un locale di quelli lì che... Insomma ci siamo capiti. E Rossellini era un frequentatore.

È vero che non ha avuto nessun compenso per...

F. Manco 'na lira.

E Rossellini come dirigeva?

F. Mmmmh... E dirigeva bene. Cioè s'è visto. Ha vinto un sacco di premi. Come doveva dirigere. Era bravo.

3. Il periodo di maggiore successo popolare possiamo dire che va dal dopoguerra fino all'inizio degli anni sessanta. In questo periodo credo che abbia interpretrato qualche cosa come 60-70 film e in alcuni casi delle parti che sono passate alla storia, disimpegnandosi in ruoli sia comici che drammatici. Abbiamo già accennato in particolare ai film interpretrati con Totò, ma anche con Peppino De Filippo ha scritto pagine importanti del cinema di quegli anni. Ad esempio 'La famiglia Passaguai' nel 1951, una commedia che possiamo dire che abbia definito un certo tipo di schemi che praticamente sono gli stessi che vengono adoperati ancora oggi e di cui oltre che attore protagonista, fu anche regista e sceneggiatore.

F. Probabilmente è film di maggiore successo tra tutti quelli che ho diretto. La sceneggiatura l'avevo scritta assieme a Mario Amendola e Ruggero Maccari. E la storia era quella lì di questo cavaliere, Peppe Valenzi detto Passaguai, che decide di passare una domenica al mare a Fiumicino con la famiglia, ma non gliene va bene manco una. Così alla fine 'la famiglia Passaguai' è diventato una specie di modo di dire quando a uno la fortuna diciamo che non gira dalla sua aprte.

Ci stava Peppino De Filippo, ma altri attori con cui lavorare assieme era un piacere. Innanzitutto ci stava Ave Ninchi che era un'attrice incredibile e una amicizia che mi è durata tutta la vita. Bravissima. E poi ci stavano Luigi Pavese, Enrico Luzi, ancora Tino Scotti e Carlo Delle Piane...

Lei ha diretto in tutto sette film. L'ultimo, 'Il maestro...' (1957), è uno dei suoi film dai contenuti più drammatici.

F. Il film era una produzione italo-spagnola. Lo girammo in Spagna... E sì, era un film sicuramente drammatico. Ma era pure una specie di favola. Ci sta la storia di questo maestro che perde il figlio a causa di un incidente e riesce a ritrovare se stesso solo attraverso la fede, quando appare nella sua vita sto ragazzino di nome Gabriele che lo sprona a andare avanti. Era un film difficile perché argomenti di questo tipo sono delicati e poi ci stava da affrontare anche argomenti religiosi e bisognava stare attenti a non essere troppo retorici. E niente... Era un lavoro difficile, ma alla fine ne uscì un buon film.

4. Dopo gli anni sessanta ha fatto invece prevalentemente teatro. Come mai? Fu una scelta quella di smettere di lavorare con il cinema? Poi le volevo domandare se nel corso degli anni, a partire diciamo già dagli anni sessanta e fino a oggi, c'è stato un attore in cui si è qualche modo identificato?

F. Ma no. Non mi sono rivisto e non mi rivedo in nessun attore. Ma questo mo non vuol dire che non ci sono stati altri attori bravi. Ma i tempi erano cambiati e hanno continuato a cambiare. Però ci sono stati grandi attori come Alberto Sordi, Nino Manfredi con il quale rimettemmo in scena il 'Rugantino'. Ma io già dopo il 1960 non mi ci rivedevo più in un certo tipo di cinema che si andava affermando e allora preferii dedicarmi principalmente al teatro. Poi, oh, qualche film lo ho fatto anche dopo eh. Penso per esempio a 'C'eravamo tanto amati' di Ettore Scola e dove facevo la parte di questo ricco palazzinaro nostalgico fascista. Un ex capomastro, un tipo rude, antipatico e con un caratteraccio, che poi diventa il suocero del personaggio interpretato da Gassman. Fui pure premiato col nastro d'argento come migliore attore non protagonista a Venezia.

5. Sicuramente lei è stato ed è tuttora uno dei maggiori rappresentanti di quella che si definisce la 'romanità' di una volta. Questo penso che sia un grande merito che le è riconosciuto anche da tutti quelli che non riconoscono il suo grande spessore artistico e la considerano semplicemente come un 'comico', adoperando questa espressione in maniera riduttiva. Durante la sua carriera cinematografica, al di là di quelle che sono state le sue rappresentazioni più 'macchiettistiche', lei ha sempre interpretrato ruoli di grande spessore morale: da questo punto di vista è stato ed è secondo me anche un grande esempio di moralità e di umanità e portatore di quelli che si possono considerare senza retorica come i valori di una volta. Che cosa pensa della Roma di oggi?

F. E che cosa ti posso dire. Su questi qui che dicono che sono stato solo un 'comico' non me ne importa proprio niente. A parte che per me essere stato un 'comico' è un complimento. Il resto sono problemi loro.

Per quanto riguarda la città di Roma e la romanità... Penso che la Roma di una volta, quella che conoscevo io, oggi non esiste più. Roma è diventata una brutta città. È semplicemente indecente il modo in cui viene degradata quella che è la più bella città al mondo. Non si capisce più niente. Ci stanno certi posti che non si può più nemmeno girare di giorno. Una volta non era così. Ci stava più umanità. La gente c'aveva un'anima. Ma oggi invece non è più così. Nessuno credo più in niente. La gente non si fida degli altri e ognuno cerca di fregare al prossimo suo. E questo è un peccato.

Che cosa pensa che si possa fare per fare ritornare Roma quella lì di una volta e anche per riportare alla città quella grande fama che la ha sempre giustamente accompagnata?

F. E chi lo sa. Però posso dire una cosa: che Roma ha e avrà sempre una grande fama, perché nonostante questi disgraziati è e resta una città unica al mondo. E questo primato non glielo toglierà mai nessuno.

Speriamo che questa sua convinzione possa in qualche maniera fare risvegliare quella anima di questa città che lei stesso ha richiamato.

Io la ringrazio ancora per averci concesso questa intervista a nome mio e di tutti i nostri ascoltatori, che sicuramente avranno riascoltato con grande piacere la sua voce.

F. Sono io che ti ringrazio. Sei un bravo ragazzo.

La ringrazio molto...

F. Be', che dire, è stata una bella chiacchierata. Ringrazio te e tutti quelli che ci hanno seguito. Buona serata a tutti.

Buonanotte a tutti.

Alla prossima settimana con un nuovo personaggio e una nuova intervista!

'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'

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editoriale di ALFAMA

Io non sono Jim Morrison.

Sono stato trasformato in una statua, ma io sono vivo.

Sono fuggito, mi piace il vino, lontano scrivo stupidaggini e non voglio essere poeta.

Scrivo,scrivo e scrivo. Ma non capite una virgola delle mie parole.

Non sono un poeta.

Sono un semplice ubriacone che scrive belle parole copiando le mie belle letture.

Ma sono figo e tutto quello che dico è poesia, ma la poesia non si scrive,non si legge,non si fanno canzoni.

La poesia è una bugia che tu prendi per verità.

Io Non sono Jim Morrison.

Una verità.

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editoriale di sotomayor

Bentrovati. Siamo qui come sempre in collegamento dai nostri studi radiofonici per proporre ai nostri ascoltatori una nuova intervista a uno dei nostri personaggi.

Ricordiamo che tutto questo è reso impossibile come sempre dalla nostra strumentazione speciale e dalla grande perizia dei nostri tecnici, che ci permettono di valicare il confine tra la vita e la morte e intervistare una persona che è stata ma che in qualche maniera è ancora. Del resto la morte, come la vita, è imperfetta e tante cose succedono dove regna il caos e ci sono quelle incongruenze tipiche che poi sono alla base della nascita del nostro universo.

Dopo Serge Voronoff e Garrincha questa volta intervistiamo un nostro connazionale.

Si tratta di una personalità molto importante e che per quella che è stata la sua storia politica e la storia politica del nostro paese anche molto discussa.

A maggior ragione, soprattutto per questo, non posso che ringraziarlo per avere accettato di sottoporsi a questa breve intervista.

L’ospite di oggi è Giuseppe Saragat (1898-1988).

Quinto Presidente della Repubblica Italiana, Giuseppe Saragat è stato una delle figure più importanti nella storia della Prima Repubblica. Iscritto al PSI sin dal 1922, confluì successivamente al seguito di Filippo Turati nel PSU di Giacomo Matteotti. Esule in Austria e in Francia, al ritorno in Italia entrò nella resistenza e fu condannato a morte dai nazi-fascisti ma scampò alla esecuzione. Presidente della assemblea costituente nel dopoguerra, ha rappresentato l’anima socialista democratica del PSI sin dalla scissione di Palazzo Barberini.

Storico il dualismo con l’amico-rivale, il ‘caro nemico’, Pietro Nenni, negli anni Saragat ha ricoperto diversi incarichi di governo e dal 1964 al 1971 è stato Presidente della Repubblica, il primo socialista a ricoprire questa carica.

Fatte tutte queste premesse, penso che sia giunto il momento di dargli la parola.

Buonasera Presidente e benvenuto a nome mio e di tutti gli ascoltatori.

S. La ringrazio e la saluto e saluto con grande affetto tutti gli italiani e le italiane che ci stanno ascoltando in questo momento.

Presidente la ringrazio molto per avere accettato questa intervista. Se per lei va bene adesso comincerei con le domande. Ci sono veramente tanto argomenti da trattare. Cercherò nei miei limiti di provare a toccare quelli più rilevanti.

S. Sono sicuro che farà del suo meglio. Cominciamo pure.

1. Presidente, come dicevo, ci sono così tanti argomenti da affrontare che è stato difficile per me decidere da dove cominciare. Così ho deciso di farlo da quello che è il momento più oscuro della storia del nostro paese: l'uccisione di Giacomo Matteotti per mano di una squadra fascista e volontà di Benito Mussolini. Che ricordo ha di quei giorni? Ricordiamo peraltro che lei faceva parte con Giacomo Matteotti di quella corrente riformista 'turatiana' che nel 1922 diede vita al Partito Socialista Unitario. Come commenta quella fase decisiva della storia del nostro paese e decisioni come la Secessione dell’Aventino? Rivendica ancora ora la giustezza di quelle scelte o ritiene che queste furono un errore.

S. Lei comincia effettivamente parlando di quella che giustamente definisce come la parte più oscura della storia del nostro paese, ma, vede, il delitto Matteotti - al di là del brutale atto omicida - fu effettivamente anche una delle pagine più oscure nella storia della democrazia in occidente nel ventesimo secolo. Alcuni storici, come ben saprà, fanno risalire alla gravità di questo episodio in maniera diretta quello che accadde negli anni seguenti fino ad Auschwitz. Un punto di vista forse poco condivisibile ma che spiega la portata e la gravità di questo momento.

Come lei dice, nel 1922 vi fu una scissione in seno al PSI, che seguiva come ben sappiamo quanto avvenuto nel 1921 con i fatti che portarono alla formazione del PCI.

Il PSU è storicamente ricordato come un partito riformista, ma è bene ricordare comunque la ispirazione al pensiero marxista, rivendicando tuttavia da una parte la propria indipendenza nell'azione politica dall'Unione Sovietica e dall'altro richiamando alla necessità di partecipare alla vita e alla lotta parlamentare e in maniera particolare in quel determinato contesto storico.

Furono queste dunque le ragioni alla base della nascita del PSU, un partito di ispirazione democratica e che non a caso fu per questa ragione il più perseguitato dal fascismo, così come successe ai socialdemocratici nella Germania hitleriana.

Senza dilungarmi troppo, poiché ci sarebbero sicuramente molte cose da raccontare, questi eventi ci conducono alla cosiddetta secessione dell'Aventino del 26 maggio 1924.

La storia ricorda ancora oggi questa scelta come un gravissimo errore e che di fatto devo dolorosamente considerare spianò la strada al fascismo. Ma fu una scelta condivisa da tutte le forze di opposizione e che probabilmente tutti quanti avremmo rifatto in osservanza a quei principi che vogliono il parlamento come la massima espressione del pensiero democratico.

Purtroppo nel frattempo Mussolini aveva già, come dire, tessuto la sua tela e legato a se stesso tutti i poteri forti nel paese. Non secondariamente la figura del re, che si fece praticamente beffe delle nostre lamentele.

Credo che la secessione dell'Aventino fosse l'unica scelta possibile all'interno di un contesto democratico. Solo che quello, oggi me ne rendo conto, non era più evidentemente un contesto democratico.

Da questo punto di vista fu commesso un errore di valutazione e anche da parte di rappresentanti storici del socialismo italiano, come Filippo Turati e Anna Kuliscioff che ancora in quei giorni sottovalutarono la portata di quegli aventi e la forza che aveva ottenuto il Partito Nazionale Fascista e Benito Mussolini. Ma non le posso dire che cosa sarebbe successo se avessimo agito diversamente. Nessuno può saperlo. L’unica alternativa sarebbe stata la guerra civile. Però probabilmente a quel punto sarebbe stato in ogni caso troppo tardi.

I fascisti erano pronti a questa evenienza e avevano il re dalla loro parte. Noi ci eravamo divisi per ragioni ideologiche senza considerare che una base comune poteva esserci: cioè la difesa e il rispetto della democrazia nel nostro paese.

2. Sul periodo relativo la seconda guerra mondiale e prima ancora il suo esilio forzato a partire dal 1926 in Austria e successivamente in Francia ci sarebbe moltissimo da dire. Lo stesso vale per la resistenza cui prese parte al rientro in Italia all'indomani del 25 luglio 1943. Ma vorrei domandarle in particolare di uno degli episodi più noti che la riguardano e che la videro protagonista assieme al Presidente Sandro Pertini. Entrambi foste catturati dalle autorità tedesche alla fine del 1943 e condannati a morte. Come avvenne l’evasione? Ma è vero che Pietro Nenni, che fu tra i principali organizzatori di questa operazione, scriveva ai compagni di partito che occorreva vi si liberasse il prima possibile aggiungendo 'Soprattutto Saragat,' richiamando una certa maggiore resistenza di Sandro Pertini rispetto alla sua?

S. Intanto devo dire che il mio periodo da esule, diciamo così, mi fu in qualche maniera molto utile per formare e completare il mio pensiero confrontandomi con delle realtà politiche diverse da quella italiana. In particolare fu rilevante l'incontro con l'austromarxismo e figure come Max Adler, Otto Bauer, Karl Renner... Tutto questo contribuì in maniera rilevante alla formazione del mio pensiero socialista democratico e che sviluppai negli anni successivi.

Ma furono anni duri. In Francia io e Pietro Nenni stringemmo una alleanza che poi avrebbe portato alla ricostituzione del partito socialista. Ma in Italia la situazione per tutti i compagni era difficile. Poi scoppiò la guerra. Fu un massacro con tanti italiani mandati a morire al fronte per la causa fascista. E come sappiamo le cose per quelli che restarono nel paese non andarono sicuramente meglio.

Quando rientrammo, ricostituito il partito socialista italiano, ne assunsi la direzione e entrai a fare parte della resistenza.

La vera o presunta frase pronunciata da Nenni è diventata leggenda. Secondo questa storia Pietro Nenni rimarcava il fatto che si dovesse procedere alla liberazione per entrambi - ovviamente - ma che la cosa andasse fatta con una certa urgenza soprattutto per me. Dando in questo senso per scontato che Pertini fosse oramai abituato alla prigionia e che vi avrebbe resistito senza problemi mente io ne avrei giustamente sofferto come ogni individuo costretto in quelle condizioni. [Ndr. Ride.].

Vera o no, questa resta una storia sulla quale in privato abbiamo sempre scherzato.

Mi lasci aggiungere che ho un ricordo molto affettuoso di Sandro Pertini, una persona eccezionale, brillante, sincera e onesta, dall’elevata caratura morale. Un vero socialista e che anche in quella occasione dimostrò tutta la sua grandezza adoperandosi al massimo per salvare la vita ad altri cinque compagni oltre che la mia e la sua.

La nostra fuga avvenne in maniera rocambolesca, grazie a un gruppo di partigiani socialisti delle Brigate Matteotti e a degli ordini di scarcerazioni falsi. Fu un piano ideato e diretto da Giuliano Vassalli. Che poi, ironia della sorte, fu egli stesso fatto più tardi prigioniero dai nazisti e fortunatamente successivamente liberato per intercessione, pare, del Papa Pio XII.

3. Finisce la guerra. Lei viene eletto presidente della Assemblea Costituente preposta alla stesura della Costituzione, lavori che si protrassero a tutto il 1948. Intanto le cose all'interno del partito socialista cominciano di nuovo a scricchiolare e nel 1947 si arriva alla famosa scissione di Palazzo Barberini e alla conseguente formazione del Partito Socialista Democratico Italiano. Si parlerà da quel momento in poi nel corso degli anni di dualismo tra lei e Pietro Nenni, che venne definito come il suo 'caro nemico'. Questa scissione fu la prima nel dopoguerra di una serie di errori compiuti dal partito socialista in Italia. Condivide oggi questa analisi? Col senno di poi avrebbe forse agito in maniera diversa? Oggi la storia ha in qualche modo condannato tutta la storia del socialismo italiano. Questo anche per quello che è successo con Bettino Craxi negli anni ottanta. Non si sente comunque in qualche modo responsabile di tutto questo?

S. Finita la guerra e risolta la questione monarchica con il referendum del 2 giugno 1946, era chiaramente centrale lavorare alla stesura della costituzione e nel frattempo garantire una certa stabilità in un momento comunque difficile come il dopoguerra. Ho ricoperto il ruolo di presidente dell'assemblea costituente dal giugno del 1946 fino al febbraio del 1947, fu un incarico di prestigio ma molto impegnativo e fu un momento molto importante nella storia del nostro paese e del quale mi sembra che oggi ci sia poca memoria. La repubblica e la costituzione sono le basi della vita democratica nel nostro paese.

Come arrivammo alla scissione di Palazzo Barberini?

È vero che il Presidente Sandro Pertini fece di tutto per evitare la scissione?

S. Sì. Sandro Pertini, come le ho detto precedentemente, fu un uomo eccezionale e anche in quei momenti difficili dimostrò tutto il suo spessore umano e politico. Ma nemmeno lui poté impedire ciò che era inevitabile.

Del resto, guardi, tutto avvenne in maniera naturale. Non vi furono forzature. Chiaramente poi a suo tempo la cosa fu presentata quasi come una questione personale tra me e Pietro Nenni, ma tra di noi c'è sempre stata amicizia e una grandissima stima. La verità è che c'erano delle differenza sul piano ideologico e politico che erano insormontabili e che neppure gli avvenimenti che seguirono nel corso degli anni, e mi riferisco in particolare alle conseguenze del XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietico e alla divulgazione del testo di Nikita Kruscev, riuscirono mai a superare.

La verità, al riguardo, è che sapevamo tutti benissimo che cosa succedeva in Unione Sovietica. Ma questo non lo dico solo in riferimento alla adozione di una politica autoritaria da parte di Stalin: la questione era soprattutto di natura ideologica. La eccessiva burocratizzazione dell'apparato statale in Unione Sovietica aveva creato un sistema dove appariva quasi inevitabile si arrivasse a quelle conseguenze.

Intanto la vita politica del paese andava avanti e ci poneva davanti a delle scelte. Come leader del partito socialista democratico ho sempre riconosciuto la priorità della lotta parlamentare e la considerazione di ogni processo rivoluzionario sottoposto a quello che si ritiene necessario essere un contesto democratico.

La nostra fu una scelta netta e priva di ambiguità. Mentre il PSI non riuscì effettivamente mai a slegarsi completamente dal PCI così come dall'Unione Sovietica e finì per diventare un partito minoritario e dipendente dalla linea massimalista del PCI, che in Italia era il principale referente dei sovietici.

Ma la sua scelta, per quanto netta e priva di ambiguità non fu effettivamente una vera e propria svolta a destra?

S. Il mio orientamento politico è sempre stato rivolto a quello che è il pensiero marxista e al socialismo democratico. La mia scelta, per quanto anche dolorosa, fu netta e qualche cosa che ancora oggi non rimpiango nella maniera più assoluta: spostò in maniera decisiva l'asse delle scelte governative in una certa direzione, impedendo il possibile insorgere di derive verso destra che avrebbero in quel momento particolare potuto portare al ripetersi di situazioni da cui eravamo appena usciti.

Molti chiaramente criticarono e criticano ancora questa mia scelta, sono stato addirittura accusato di essere un fascista, ma penso che la mia assunzione di responsabilità sia stata importante in quel momento storico e anche per quello che riguarda l'adesione al patto atlantico che comunque ha rafforzato un blocco, quello occidentale, cui la storia ha dato in qualche maniera ragione rispetto a quello che accadde in Unione Sovietica.

Infine: no. Non mi sento colpevole per quelli che sono stati i fatti politici di queli anni, né per quelli che furono gli eventi molti anni dopo del Partito Socialista. A parte che io presi sin da subito una decisione netta rispetto al resto dei socialisti del nostro paese, a quel punto la mia fase storica e quella di altri uomini che fecero la storia del PSI come Pietro Nenni oppure Sandro Pertini si poteva considerare chiusa. Probabilmente quello che accadde in quel momento fu figlio delle tante divisioni interne al partito, ma ricercare delle colpe in figure del passato sarebbe sbagliato.

Mi sembra peraltro giusto sottolineare medie cose. Gli avvenimenti di quegli anni e quelle che possiamo considerare le 'derive' di un certo tipo riguardarono anche altri partiti politici e non solo il partito socialista.

4. Ha ricoperto per sette anni la carica più alta dello Stato ed è stato il primo socialista a ricoprire la carica di presidente della Repubblica. Che cosa ricorda di quei sette anni? Come ha voluto interpretrare il suo ruolo istituzionale? Peraltro lei è uno dei pochi che dopo avere ricoperto questa carica è ritornato a fare politica attivamente. Perché?

S. La mia nomina avvenne in un contesto particolare, perché il presidente uscente, Antonio Segni, dovette rinunciare alla carica a causa di problemi di salute. Peraltro ebbe un malore proprio durante una discussione con me e l'onorevole Aldo Moro.

Peraltro si era già parlato di una mia possibile nomina nel 1962, quando fu eletto proprio eletto proprio Antonio Segni. Nel 1964, invece, la scelta cadde su di me dopo una specie di 'scontro' - se così vogliamo dire - contro il mio amico Pietro Nenni. Per l'ennesima volta si parlò della rivalità tra noi due, ma alla fine fu proprio lui a sostenere in maniera diretta la mia candidatura.

Interpretrai gli anni della mia presidenza come avevo sempre considerato andasse svolto questo delicatissimo ruolo all'interno del sistema costituzionale: difendendo il ruolo centrale del parlamento e di cui rispettavo diciamo religiosamente l'azione.

Nel frattempo, è vero, mi adoperai personalmente nel tentativo di portare alla unificazione le forze socialiste. Tentativo che riuscì ma solo in parte e per un breve termine, perché dopo tre anni, il calo di voti alle elezioni politiche del 1968 comportarono una nuova scissione. Quella definitiva.

Finito il mio mandato, ritornai alla guida del mio partito per un breve periodo. L'ho fatto perché erano anni difficili e c'era bisogno di figure importanti di riferimento e io avevo fatto la resistenza, ero stato presidente della repubblica... Insomma si riteneva avessi un profilo importante e potessi essere la persona cui attaccarsi in un momento difficile e che peraltro era stato tra i fondatori del partito e tra i principali ispiratori del pensiero socialista democratico in Italia. Ma già allora il mio tempo era probabilmente passato: fu una esperienza breve ma nella quale comunque cercai di offrire la mia esperienza al servizio dei più giovani.

5. Con l'ultima domanda proviamo a costruire un ponte dal tempo passato fino ai giorni nostri. Perché la socialdemocrazia? Che cosa significava allora fare questa scelta e per quello che da osservatore è la sua idea, che significa essere socialdemocratico oggi? È sempre convinto che questa ideologia politica sia la giusta via al socialismo?

S. Intanto alla definizione di socialdemocratico, io ho sempre preferito quella di 'socialista democratico'. Il termine 'socialdemocrazia' può facilmente cogliere in errore e portare a sottovalutare il contenuto rivoluzionario del pensiero socialista democratico.

Perché il socialismo democratico? Perché avevamo capito che bisognava mettere al centro del processo rivoluzionario quelle che sono le libertà individuali e di conseguenza che si potesse pervenire al socialismo solo attraverso la democrazia.

Sono convinto peraltro che la storia mi abbia dato in qualche modo ragione. Lei mi chiede di costruire un ponte dal tempo passato fino ai nostri giorni. Ebbene, se c'è un ponte, questo è idealmente costituito dal pensiero socialista democratico, che oggi è ancora diffuso e costituisce una realtà in tutto il mondo occidentale. Compresi gli Stati Uniti d'America dove non a caso il principale leader del Partito Democratico è dichiaramente un socialista democratico.

Ma c'è di più. Penso che il fallimento del socialismo reale e dell'esperienza dell'Unione Sovietica ci abbiano insegnato molte cose sulla via giusta da percorrere per il socialismo e sulla importanza delle libertà individuali.

Oggi il mondo è molto diverso da quello che mi ha visto attivo sulla scena politica, ma sì, oggi più che ieri sono convinto che quella sia la giusta via da percorrere e a chi dice che non ci sono più ideali, rispondo di guardare dentro se stesso e di guardarsi attorno e di battersi in primo luogo per la democrazia, per le libertà individuali e la rivendicazioni dei diritti sociali. Un processo che può passare anche attraverso dei compromessi e se necessario anche spostando il baricentro secondo quello che si può ritenere una spinta centrifuga e la collaborazione internazionale con le altre forze democratiche, sia europee che gli stessi Stati Uniti d'America se necessario. Solo attraverso questo processo si potrà poi spianare la via al socialismo.

Presidente, ma quanto le ha pesato essere in qualche maniera considerato come l'uomo più odiato dalla sinistra italiana?

S. Mi ha pesato perché sono state dette delle cose sul mio conto che non corrispondono al vero e perché sono stato attacco anche su quella che era la mia vita personale e privata e purtroppo alcune di queste cose penso continuino ancora oggi a macchiare la mia immagine. Ma chi conosce la mia storia e chi sa come sono andate veramente le cose, penso che mi ricorderà come una persona coerente e soprattutto per quello che ho significato per il socialismo e la democrazia in questo paese. Questo peraltro vale anche per le persone che a suo tempo avevano idee politiche differenti dalle mie, a partire dagli altri appartenti al partito socialista con cui ci fu sempre uno scontro leale.

Ma alla fine con Pietro Nenni come vanno le cose adesso?

S. Come vuole che vadino. Stiamo sempre lì a litigare. Cane e gatto. Diciamolo pure ai nostri ascoltatori. In fondo ci sono miti che meritano di superare la prova nel tempo e se questo è un modo per ricordare sia me che Pietro Nenni allora va bene.

Con questa ultima domanda e un saluto ideale anche all'onorevole Pietro Nenni, concludiamo anche questa intervista.

Presidente io la ringrazio ancora per la disponibilità e auguro una buona serata a lei e a tutti i nostri ascoltatori. Ci vediamo alla prossima puntata.

S. Grazie a lei e a tutti gli ascoltatori. Buona serata a tutti.

'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'

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editoriale di zaireeka

Oggi è Natale.

La “festa più bella dell’anno”.

Ne sono venuto a conoscenza un anno fa, tramite un forum non ricordo dove.

Da allora ho cercato negli archivi storici della Rete informazioni a riguardo.

Ho trovato delle pagine molto particolari, su cui la gente si scambiava gli auguri.

In un caso, risalente addirittura al dicembre di cento anni fa, davvero in una maniera molto originale e divertente.

A quanto pare celebrava una ricorrenza, forse storica, o forse no, forse qualcos'altro.

Su questo non sono riuscito a trovare ulteriori informazioni.

Mi sono iscritto a questo forum.

Chiedono solo una data, un numero di carta di credito, ed il gioco e’ fatto.

Oggi, 21 maggio, siamo qui con un altro milione di utenti in tutto il mondo che festeggiamo il Natale, scambiandoci auguri e regali.

E’ davvero “la festa più bella dell’anno".

Almeno di questo 2117.

Auguri a tutti.

Appendice del 23/12/2017

Lo ritengo un compleanno, quello di Gesù bambino, e come ogni compleanno ha una data fissa: ti faccio un invito e tu non vuoi venire, tutto qui... Il resto è un contorno💝

(@[Geo@Geo])

Bellissimo commento .. Forse vincere la morte nel messaggio cristiano significa proprio questo, continuare nei millenni a festeggiare una nascita. Grazie del passaggio, auguri ed un abbraccio

(zaireeka)

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editoriale di lector

Auguri di serene festività a tutti i DeBaseriani.

(Aziendale): DeBaser è lieta di augurare Buone Feste a tutti i suoi iscritti.

(Allitterazione): Auguri beneauguranti di festività festose. Sento che le debbo a voi DeBaserioti.

( @De...Marga...): Alegar bei fiol. Buon Natale da una nevosa Domodossola. Che poi, quel Natale lì, io l’ho visto due volte in concerto a Mezzago!

(Ossimoro): Che siano tranquillamente eccitanti le vostre laboriose festività, amorevoli DeBaseriani.

(Telegrafico): Pregiomi augurare Buone Feste-stop-DeBaseriani tutti-stop -

(Buzzin\ @Alfama): Nevosi alberelli luccicanti. Festanti DeBaseriani. Palle.

(Preterizione): Inutile dirvi per quali feste ed a chi sono dedicati questi auguri.

(Onomatopea): Dlìn Dlòn, gnam gnam, tpitiptip, lalala, sbùm, clap clap, bùrp.

(Ribaldo\ @Cialtronius): Annatevene a pijarvelo n’saccoccia voi e il Natale. Fighetti.

(Cameratesco): Impavidi affronteremo questi giorni che non temiamo. Cercheranno di piegarci, di abbuffarci, di blandirci, ma noi non cederemo. Mai!

( @Sotomayor): Cioè, io volevo dire che, tutto considerato e tenuto conto di quanto già detto in altre occasioni, senza per questo voler dimenticare il contesto e, sempre ricordando la lezione di certo cinema ed anche fatta salva la forza delle nuove leve della psychedelia californiana (ma considerando anche la sci-fi classica), ecco, credo di poter affermare e ribadire il mio concetto: Buone Feste.

(Ellissi): Auguri a tutti.

(Burocratico): Visto: l’avvicinarsi di un dato numero di giorni festivi. Visto: il riempirsi di dispense e frigoriferi ed affini. Tenuto conto: della quantità di sonno da recuperare. Considerato: l’assieparsi alle porte di nipoti, nonni, zie, parenti vari e correlati. Si decreta: di augurare ai debaseriani tutti Buone Feste.

( @Pinhead): qui

(Prosopopea): Le Feste si avvicinano a noi per donarci, lo auguro ai DeBaserioti tutti, pace e serenità.

(Depresso): Ok, divertitevi pure, voi, non pensate a me….

( @Sergio 60): auvguri…di sere nefestivta…a tuttti…i debwaseriani. Bella a Flanagan.

(Iperbato): Serene Feste, a voi DeBaseriani, auguro.

( @Flo): Vi ho voluto bene, bastardi. Auguri lo stesso.

(Pubblicitario): A partire dal 24 dicembre, allegato in omaggio per tutti gli iscritti a DeBaser, oltre ad un augurio di buone feste anche un esclusivo “Buon 2018”. Solo con DeBaser. Approfittatene!

(Apostrofe): Andate, miei sentiti auguri, nelle case dei DeBaseriani tutti.

( @Mikinicagi): Uno zaino protonico a Scrooge, un giro di basso decente ai Future of the Left. Woa, mica facile il mestiere di Babbo Natale! Che se non fosse Natale, allora tutti da Gino a farci un chinotto e giù gran manate sulle spalle. Invece tocca pensarci, tipo: una trama sensata per Scurati e per voi tutti cinque alto e una paccata di auguri.

(Allusivo): A chi so io, voi sapete cosa e sapete per quando….

( @Luludia & prole): Che gli alberelli illuminati sono malinconici come gli organetti del circo. Che, a Orsetto, è proprio quella melanconia che gli piace più di tutto del Natale. Ed anche alle ragazze furetto piace quella bruma spumosa. Che tutti gli auguri, poi, si dimenticano ma nell’aria rimane appiccicata la magia. Trallalla.

(Sineddoche): Nel giorno di festa, mille e mille auguri porgo al DeBaseriano.

(Metereologico): Previsto, per fine dicembre, l’arrivo di una estesa perturbazione che porterà sul DeB una pioggia di auguri. Più o meno graditi.

[ @NAB (m-l)]: Comunicato n°241 dal NAB: non ci può esser festa finché il proletariato continuerà ad essere sfruttato. Quando tutte le catene saranno spezzate, quando il DeB verrà liberato dai gioghi gerarchici che sbarrano la strada all'avvento di una nuova e futura umanità, allora festeggeremo. Guardatevi dal rammollimento borghese. Vigilate compagni!

(Giornalistico): Arrestato anziano lappone colto nel tentativo di introdurre illegalmente nel nostro paese giocattoli di provenienza sconosciuta.

(Zot): Auguri.

( @Odradek): Grassi indigesti e fritture pericolose. Dolci duri che attentano alla dentiera. Chiasso. Natale non è un paese per vecchi (cacacazzi).

(Cleuasmo): In fondo, chi sono io, per porgervi i miei auguri? Ma, sappiate, che sono sentiti.

( @Sfasciacarrozze): Deauguri ad iòsam a tutt_ i/le Debaserian_ dal vostro Sphascia(carrozam) di fiducia. Aiò.

(Finto giovanile): Bella lì, raga. Inutile sbalconare, ci aspetta uno sbattone. Giorni pesi, e allora scialla e tanti auguri al DeB. Evvai di like.

(Asindeto): Natale, vociare festante, scontata allegrezza, incontri. Auguri.

( @Imasoulman): “Come? ... pranzare in casa? | Pranzare in casa è male | Oggi ch'è la vigilia di Natale!” (La Bohème). Che Wittgenstein mi perdoni….

(Elettorale): Una proposta chiara: Auguri per tutti!

( @Heartshapedbox): qui

(Anacoluto): Si sa che a noialtri DeBaseriani, ci piace di farci gli auguri.

(Il Conte): Tanti nobili auguri a tutti. Vabbé, però adesso mi emoziono…. Sono grande e grosso e pure sensibile e posseduto dai demoni del blues.

(Preciso): augùrio s. m. [dal lat. augurium, der. di augur «augure»]. – 1. a. In senso proprio, la cerimonia con cui gli àuguri ricavavano presagi dall’osservazione del volo degli uccelli o da altri fenomeni; anche, il presagio stesso. b. non com. L’arte divinatoria degli àuguri. 2. Presagio in genere, indizio, previsione di eventi buoni o cattivi: essere di buono, lieto, felice, o di cattivo, tristo, sinistro a.; questo fatto mi pare di ottimo a.; le sue parole mi suonano di pessimo a. (v. anche malaugurio). Quindi anche presentimento: Or tristi auguri e sogni e penser negri Mi danno assalto (Petrarca). 3. Desiderio che accada qualcosa di bene, e l’espressione stessa di questo desiderio: formulare un a.; a. di felicità, di buona fortuna; ti faccio l’a. di guarir presto; gradisci i miei più sinceri augurî; cerca di riuscire: questo è il mio a. più cordiale. Inoltre: fare, porgere, mandare, inviare gli augurî; lettera, cartolina, biglietto di augurî, per le maggiori solennità o per qualche avvenimento particolare, come compleanno, onomastico, matrimonio, ecc. (e in questi casi si adopera sempre al plurale). [fonte: Dizionario Treccani online]

No, non ne faccio 99, in fondo queste sono esercitazioni, mica esercizi (di stile).

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editoriale di sotomayor

Rieccoci in collegamento dal nostro studio radiofonico per una nuova intervista di cinque domande a un personaggio impossibile e che è passato alla storia per il suo contributo rilevante a quello che possiamo considerare come il grande viaggio della nostra specie.

Ricordiamo che tutto questo è reso impossibile dalla speciale strumentazione in dotazione al nostro studio e dai nostri tecnici, che con la loro perizia ci permettono questa occasione unica di potere entrare in contatto diretto con il mondo dei morti. Parlare con i morti per parlare della loro vita e ricordare a tutti i nostri ascoltatori che la vita è bella, ma non è mai perfetta.

Questa volta sono, come dire, felicissimo di introdurre il nostro ospite speciale. Un personaggio che sicuramente tutti gli appassionati di calcio conosceranno e riconosceranno come una delle stelle più luminose che hanno fatto la storia di questo sport.

Parlo di Manoel Francisco dos Santos meglio noto come 'Garrincha'.

Mané è nato a Magé nello Stato di Rio de Janeiro il 28 ottobre 1933. Ala destra. Fu uno dei giocatori simbolo del Botafogo, uno dei club più importanti del paese, e in particolare della Nazionale brasiliana con la quale giocò più di dieci anni, collezionando 50 presenze e 12 reti, ma soprattutto vincendo due edizioni della Coppa del mondo.

Deceduto a Rio de Janeiro il 30 gennaio 1983 all'età di soli quarantanove anni, ancora oggi Garrincha resta uno dei giocatori di calcio più amati dai brasiliani. Forse più dello stesso Pelé.

Per me che sono un grande appassionato di questo sport, possiamo dire che intervistare Garrincha costituisce una opportunità unica.

Benvenuto Mané.

G. Buonasera a tutti.

Vi ringrazio per avermi invitato. È sicuramente molto strano per me, dopo tutto questo tempo, ricevere tutta questa attenzione. Ma sono molto contento. La considero una opportunità per, come dire, parlare di calcio e del mio calcio ai più giovani che magari non mi hanno mai visto giocare. Quindi va bene. Va benissimo così.

1. Cominciamo con la prima domanda. La storia ci racconta che sin dalla nascita tu sia stato afflitto da diversi difetti congeniti: strabismo, la spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino e sei centimetri di differenza in lunghezza tra le gambe nonostante un interento chirugico correttivo. Una malformazione dovuta alla poliomielite che praticamente avrebbe dovuto impedirti di giocare al calcio e invece... Molti sostengono tu avessi una andatura sbilenca e che quelli che avrebbero dovuto costituire dei limiti in realtà fossero i punti di forza e il segreto del tuo dribbling. Che cosa c'è di vero in tutto questo?

G. Tutto quello che hai detto corrisponde alla verità. Sono nato in una famiglia molto povera e credo che se pure ci fossero state delle cure a quei problemi, non avrei potuto accedervi. Mio padre, che discendeva da una tribù di indios dell'Alagoas, pensò allora di curarmi secondo i metodi tradizionali della sua gente e somministandomi una mistura a base di cachaca, quella che voi chiamate 'acquavite'. Ma chi lo sa se questa abbia veramente avuto effetto.

Ma non lo so se questi problemi siano stati per me un vantaggio come calciatore. Alcuni dicevano effettivamente che avessi una andatura particolare e poiché da bambino ero anche molto piccolo una delle mie sorelle cominciò a chiamarmi 'Garrincha’. Un piccolo passerotto.

Quello che posso dire è che penso di essere stato fortunato. Non sono mai stato molto religioso ma ecco possiamo dire che io abbia ricevuto una specie di dono del signore. Sapevo giocare a calcio. Sapevo giocare a calcio molto bene.

Alcuni dicono che Dio ti toglie delle cose e te ne dà delle altre. Io non lo se questo sia vero, ma nel mio caso è andata veramente così.

2. Mané senza dubbio sei stato un grandissimo calciatore. Universalmente sei considerato come uno dei giocatori più forti di tutti i tempi. Alcuni critici e storici del gioco del calcio ti considerano anzi proprio come il più forte calciatore di tutti i tempi alla pari di Pelé e di Diego Armando Maradona. Che cosa ne pensi di questo confronto? Ti sembra troppo impegnativo?

G. Intanto voglio dire che essere accostato a due grandi del gioco del calcio come Pelé e Maradona mi fa molto piacere. Parliamo di due calciatore che come me sono stati degli spiriti liberi sul campo da gioco. Due calciatori che avevano una grande fantasia e che giocavano per i tifosi e per la loro gioia oltre che per se stessi. Però non ti posso dire molto su Maradona perché dopo che ho smesso di giocare non ho più seguito tanto il calcio. Ho chiuso quella pagina della mia vita, ma mi è dispiaciuto perché allo stesso tempo anche il mondo del calcio ha chiuso con me e sono stato in qualche modo dimenticato.

Non penso comunque che questo paragone sia troppo impegnativo. Sono stato un calciatore, come dire, abbastanza bravo da reggere il confronto.

Ma Pelè era veramente così forte come dicono?

G. Pelé era fortissimo. Chi sostiene che sia sopravvalutato allora non lo ha mai visto giocare. Ha segnato più di mille goal, ha vinto tre Mondiali... Pelé è il calcio e giocare con lui era fantastico.

Quando abbiamo giocato assieme con la maglia amarella non abbiamo mai perso. Ma del resto io ho perso una sola partita con la Nazionale brasiliana. L'ultima. Nel 1966 contro l'Ungheria...

3. Il 1966 è stato il tuo ultimo Mondiale, ma si può dire che in quel momento tu fossi già in una fase calante della tua carriera? Allo stesso tempo possiamo dire che il tuo momento migliore sia stato invece il Mondiale del 1962 in Cile?

G. Probabilmente questo è successo anche a causa dell'infortunio di Pelé.

Parlo del Mondiale del 1962 in Cile.

Chiariamoci. Non voglio dire che questo fu una fortuna. Anzi. Però dopo l'infortunio di Pelé, dato che c'erano comunque grandissime aspettative nei confronti della squadra, ognuno di noi ha dovuto caricarsi sulle spalle una responsabilità ancora più grande. Così penso che durante quel Mondiale io abbia offerto le migliori prestazioni della mia carriera: la squadra puntava molto su di me e le mie giocate e alla fine sono stato capocannoniere e il migliore giocatore del torneo.

Purtroppo da quel momento in poi ho cominciato a essere bersagliato dagli infortuni.

Ho fatto tutto quello che potevo per continuare a giocare, perché avevo bisogno di soldi, perché non potevo stare lontano da un campo di calcio. Avevo bisogno di giocare perché il calcio per me era motivo di gioia e era motivo di gioia per tutti quelli che tifavano per me e questo mi dava una carica incredibile. Il calcio era la mia unica vera ragione di vita.

Quando ho dovuto smettere definitivamente è stato tutto più difficile.

4. Ci parli della tua relazione con Elza Soares? Fu una relazione molto discussa. Così come il vostro trasferimento in Italia nel 1969. Cosa ricordi di quegli anni in Italia?

G. Elza era una donna bellissima e una grande artista e che per me ha fatto molto. Molto più di quanto io abbia fatto per lei.

Fu lei a insistere perché io mi rimettessi in piedi per giocare i Mondiali del 1966.

Si prese cura di me anche dopo la morte di Donna Rosaria (Ndr. La madre di Elza Soares, morta in un incidente stradale, mentre alla guida dell'automobile era proprio Garrincha.) e durante tutti gli anni che abbiamo passato assieme. Anche nel periodo che abbiamo passato in Italia. Mi è stata accanto fino all'ultimo giorno.

Molti dicono che siamo venuti in Italia perché io ero in depressione e avevo problemi con l'alcol, ma in verità questo è successo perché in Brasile c'erano i militari e gli artisti come Elza non erano ben visti. Non è stata l'unica artista brasiliana che è venuta a stare in Italia durante quel periodo.

Non ricordo però molto di quegli anni nel vostro paese: non è stata una fase felice della mia vita. Mi sono rimasti solo ricordi confusi. Forse ho voluto semplicemente dimenticare.

Per quanto riguarda Elza poi è finito tutto. È stata colpa mia, spero che almeno dopo tutto questo tempo mi abbia perdonato e conoscendola so che deve essere così.

5. Possiamo parlare di come tutto è finito Mané? So che è un argomento delicato, ma spero tu non abbia problemi a parlarne oggi dopo tutto questo tempo. Dopo la rottura definitiva con Elza Soares, la tua situazione di salute, mi riferisco alla depressione e ai problemi di alcolismo, si aggravarono ulteriormente fino alla tua morte. Sei morto triste, malato e completamente in solitudine. Eppure quando giocavi eri 'la gioia del popolo', il calciatore che ha regalato più allegria di chiunque altro quando calcava un campo di calcio. Un giornalista italiano (Ndr. Franco Rossi.) ha scritto che tu sei più amato di Pelé dai brasiliani. Perché Pelé è quello che i brasiliani vorrebbero diventare, mentre tu sei esattamente come loro sentano di essere. Che loro si identificano con te. Che ti considerano uno di loro. Perché sei morto da solo e dimenticato da tutti allora?

G. Parlare di problemi come la depressione è qualche cosa di difficile per tutti ancora al mondo di oggi a più di trent’anni dalla mia morte.

Penso di essere sempre stato triste. Ho sempre avuto una specie di buco dentro, ma quando giocavo a calcio, quando giocavo davanti a tutti quei tifosi che facevano il tifo per me, io mi sentivo speciale. Loro erano felici, io ero felice. Ero veramente 'la gioia del popolo'.

Quanto tutto questo è finito non avevo più niente e provavo a riempire questo vuoto con le donne, ne ho amate tante, mi piacevano le donne. Con l'alcol. Ho cominciato a bere e fumare quando ero solo un bambino. Ma niente mi aiutava veramente a colmare quella sensazione di vuoto.

Durante gli anni in cui giocavo, il calcio mi spingeva a stare lontano da queste tentazioni, dava veramente senso alla mia vita, ma quando tutto è finito e dopo l'incidente e la morte di Rosaria, Garrincha non è stato più la gioia del popolo. Anzi non c'è stato più nessun Garrincha, quello era rimasto su qualche campo da calcio alla ricerca di se stesso, mentre Mané è rimasto solo e Mané era triste e depresso.

Ma penso che i brasiliani mi abbiano voluto bene e mi vogliano bene ancora oggi e questo per me significa molto, perché significa che loro lo sanno che io ho giocato per la loro gioia e che la loro gioia era la mia, perché eravamo tutti tristi e avevamo bisogno di vedere rotolare quel pallone nel quale c’erano dentro tutti i nostri sogni. C’era un legame speciale tra me e loro e che anche il tempo non potrà mai spezzare.

Mané, ti ringrazio molto per questa intervista e perché oltre che parlare di calcio, ci hai aperto il tuo cuore e parlato di temi molto difficili.

Permetti? Se non ti dispiace, prima di salutarti, vorrei darti un abbraccio.

G. Perché no...

(Ndr. Il conduttore e Mané si alzano dalle rispettive postazioni e si stringono in un abbraccio fraterno.)

Con questo abbiamo chiuso anche questa intervista impossibile.

Dalla nostra postazione è tutto. Da parte mia, di Mané e di tutto lo staff tecnico che ha reso possibile la trasmissione, un augurio di buona serata a tutti gli ascoltatori.

G. Buonasera. Ciao. Deus vos guarde.

'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'

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editoriale di sotomayor

Ci sta questo locale a Kreuzberg, Berlino Est, che si chiama ‘Madame Claude’. Il posto è carino. Voglio dire, niente di particolare, semplicemente un classico sotto-scala con quattro-cinque locali a disposizione. Ma è accogliente. Ce lo avevo proprio dietro casa. Cinque minuti a piedi. Dieci se avevo i piedi troppo gonfi per il freddo.

Chiara amava quel posto e ci andavamo ogni settimana. Specialmente il lunedì. Perché il lunedì al Madame Claude era la serata dedicata agli artisti di musica elettronica sperimentale e lei ci teneva tantissimo a assistere a ogni performance. Ammetto che sono sempre stato una persona di poche pretese. Non me ne importava niente di queste performance, ma mi bastava semplicemente uscire e stare assieme. Dunque perché no. Ci tengo a dire che non ho mai lasciato trapelare poco entusiasmo, anzi a volte le proponevo proprio io direttamente di andarci. Meglio che restare sempre chiusi in casa.

Questi happening avvenivano all’interno di una delle sale del locale che veniva attrezzata con delle sedie. In fondo alla sala venivano generalmente proiettate delle immagini. Si trattava del resto per lo più di opere concettuali e cui anche queste avevano o avrebbero dovuto avere evidentemente un ruolo centrale.

Naturalmente, mi sembra inutile specificarlo, la maggior parte dei progetti proposti era assolutamente inascoltabile. Ma Chiara amava quelle performance che ogni volta seguiva ad occhi chiusi per tutto il tempo e io per dire la verità sopportavo in maniera molto religiosa anche questo suo atteggiamento. Sono sempre stato abituato a stare da solo, di conseguenza quando sono in compagnia di qualcuno da qualche parte, da qualsiasi parte, voglio parlare. Non sto dicendo di chiacchierare ad alta voce ogni volta, ma, cazzo, io se non voglio parlare con nessuno, me ne sto a casa mia da solo, non posso concepire di stare tutto il tempo accanto a una persona immobile in silenzio in una specie di stato di trance. Questo mentre dei ragazzetti molto alternative giocano con i loro ‘canta tu’ da milioni di euro e urlano delle grida al microfono che ricordavano quelle di Fantozzi nei momenti più tragici. Però la rispettavo molto e allora immaginavo che questa cosa per lei avesse un qualche significato particolare.: come se questa esperienza in ogni caso la facesse entrare tipo in una specie di trance meditativa. Come praticare lo yoga. Non lo so.

Le immagini proiettate erano comunque tratte da film sperimentali giapponesi oppure coreani o in ogni caso da qualche pellicola che a un povero ‘peones’ come me non diceva assolutamente nulla. Molto spesso non credo queste avessero un contenuto direttamente collegato con il concept (eventuale) che si voleva sviluppare e che fossero chiaramente invece una specie di esibizione alternative anch'esse. Ma una sera in via del tutto imprevista ecco che sullo schermo cominciarono a scorrere delle immagini familiari e che riconosco immediatamente. Il film è ‘Arrivano i titani’ del 1962, un ‘peplum’ diretto da Duccio Tessari e con il suo feticcio Giuliano Gemma nel ruolo di protagonista.

Nella sala eravamo gli unici italiani quindi immagino che nessun altro oltre me abbia capito esattamente di cosa si trattasse. Mi sentii fiero e orgoglioso di avere riconosciuto quel film. Che finalmente avevo trovato qualche cosa in un luogo 'ostile' che mi apparteneva e di cui potevo rivendicare il pieno possesso. Allora cominciai a dare dei colpetti a Chiara: ‘Chiara... Oh, Chiara, guarda lì, c’è Giuliano Gemma...’ Ma lei, dopo aver fatto un po' di resistenza, si limitò a emettere un grugnito, quindi fece una mossa come se fosse stata colpita da una tarantola e io allora rinunciai e continuai a ‘guardare il film’.

La performance si concluse dopo poco e lei volle subito andare via. Fuori faceva un freddo cane e per qualche ragione lei aveva voluto uscire vestita solo con i leggings e un giubbotto di pelle. Le stavano bene ma faceva oggettivamente un freddo cane e io glielo avevo detto, ‘Guarda Chiara che fa un freddo cane.’ Ma ogni volta che glielo dicevo, lei diceva che io avevo sempre freddo. Non ci stava una cosa che le dicessi che per lei andasse bene. Tremava, io come sempre mi avvicinai a lei con una certa premura, ma venni nettamente respinto. Poi passa la metropolitana finalmente. La U2. Facciamo due fermate e poi dieci-quindici minuti a piedi e siamo a casa sua. Percorriamo tutto il tragitto in totale silenzio interrotto di tanto in tanto da alcuni miei velleitari approcci e tentativi di capire.

Ci spogliamo in silenzio (cioè io mi tengo comunque addosso almeno i calzettoni di lana se non la calzamaglia) e ci infiliamo direttamente a letto. Lei assume da subito la sua tipica posizione difensiva dandomi le spalle. Io mi sento male e penso semplicemente che non ho capito un cazzo e mi metto a fissare il soffitto. Dopo un po’ mi fa, ‘Che fai?’ E io le dico, ‘No, niente, cioè guardavo il lampadario. È sferico, mi fa pensare a una volta che dovevo andare al planetario, ma non mi hanno fatto entrare.’ Lei mi dice, ‘Buonanotte.’ E io sono sicuro ancora a distanza di tanti anni di non avere capito un cazzo. Sono sicuro peraltro che non mi risponderebbe neppure oggi. Così mi domando ancora adesso fino a che punto puoi dare per scontato che uno debba sempre riuscire a interpretarti e se uno non ci riesce, è veramente per forza uno stronzo?

Penso che Chiara fosse come una gatta. Forse considerava quello spazio come un suo territorio e dove nessuno, me compreso, avrebbe dovuto entrare. Ma nel momento in cui avevo identificato la pellicola, il regista e Giuliano Gemma, avevo evidentemente commesso una violazione a questo suo spazio sacrale. Con il tempo scoprii che i suoi spazi inviolabili erano così tanti che scontrandosi tra di loro riuscivano a creare il vuoto. Lo stesso che mi porto ancora dentro a distanza di tutti questi anni.

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editoriale di paolofreddie

I cancelli del cimitero sbattevano, percossi dal vento, violentati dalle gocce grosse di pioggia, e lasciavano passare le foglie appassite in volo, riunite insieme nel viaggio spedito verso la morte. Mentre una scia di polvere si gettava contro la pietra fredda, una mano lacerata, consumata, abrasa si scagliò contro il cielo, stagliandosi al di sopra dell’effimera erba spirata. Le unghie logorate dal tempo senza vita si conficcarono nel fango, una spinta affaticata di un corpo pesante e una testa che fa capolino nell’aria ululante segnarono l’evasione del prigioniero della terra. A gattoni l’imponente e triste figura procedeva in cerca di un appoggio. Le dita incontrarono la lastra bagnata della lapide. Al tocco il corpo dell’uomo tremò e convulso cadde di nuovo nel fango. Due occhi si aprirono e piano piano misero a fuoco la scritta incisa sulla tomba. Questi lessero il nome e la data di morte. Poi, salendo, si fermarono sulla foto, nella quale viveva come un ricordo il volto sereno di un ragazzo dai capelli lunghi e dagli occhi chiari. La bocca dell’evaso, fino ad allora ferma, incollata, si stracciò ed emise un urlo profondo, roco, che squarciò l’aria pullulante di cellule addormentate. Con una forza sovrumana il corpo si alzò. L’evaso della terra si fiondò verso i cancelli, fece di volata la strada affiancata da due file di bianchi cipressi e si dissolse nel buio.

L’alba si affacciò all’orizzonte vestendo di oro divino le vaste distese. Accovacciato sopra un albero, come una vedetta, stava l’uomo, ora totalmente asciutto, pulito. Eppure il sole non era dedicato a lui, ma come per un rito era venuto a dar vita alla vita di tutti i giorni. L’evaso sbatté gli occhi guardando al di sotto. Il paesino sottostante si stava appena svegliando, a testimoniarlo le prime luci artificiali. Un’aquila, descrivendo un elegante semicerchio nel cielo, si posò sul ramo, vicino alla vedetta. Il fiero uccello girò la testa e sorrise enigmaticamente all’uomo. Quest’ultimo porse la mano e l’aquila vi si appoggiò. Con un balzo felino l’evaso si slanciò verso l’albero vicino, e, padrone dei suoi arti, si gettò a terra, senza farsi male.

Proprio in quel momento, a un centinaio di metri da lui, una ragazza si stava dirigendo verso una fonte di acqua limpida. Nuda vi entrò e si bagnò, baciata dai raggi gentili del sole appena nato. Allora intonò una dolce e ammaliante melodia. Le orecchie dell’evaso colsero il suono e furono subito soggiogate. Ei avanzò verso la fonte, in direzione di quella magnifica voce. I passi pesanti dell’uomo attirarono l’attenzione della ragazza. I suoi caldi occhi vivi, freschi e innocenti, attraversarono il corpo di lui e si fermarono sul volto. Sebbene la vista di quella faccia rovinata potesse spaventarla, lei ne fu affascinata. Con profondo interesse e cieca fiducia la ragazza si alzò e il suo corpo, puro, senza macchia, dinamico, non freddo e statuario, si mosse verso la sponda, a piedi nudi, talmente leggera che sembrava sfiorare appena il suolo. L’evaso la vide, e provò una strana sensazione dentro di sé. Dei ricordi cominciarono ad affiorare, un nome di donna si affacciò nella sua mente e capì ciò che aveva dimenticato, ciò che aveva perduto, essendo stato condannato a dormire nelle viscere della terra. Ricordò il giorno della sua morte, ricordò l’urlo straziante della sua amata che cercava di strappare alle mani degli esecutori il suo corpo. Ricordò la terra che gli era stata buttata addosso, il cumulo che lo aveva separato dall’universo, dalla vita.

In quel momento, mentre guardava con la bocca leggermente aperta, come intontito, ancora stregato dal canto dissoltosi nel vuoto, e ora irretito dalle linee di quel corpo sinuoso, così nuovo, così vivo, così vero, pensò alla sua donna, e qualcosa o qualcuno urlò dentro di lui. Svenne. Quando si risvegliò era tra le braccia della ragazza della fontana, e lei lo guardava con amore, con una curiosità casta e ingenua, eppure così autentica, così decisa. Egli tentò di articolare una sillaba, ma la ragazza posò le sue labbra sulle sue, mettendolo a tacere. Un brivido corse lungo la spina dorsale del reduce, che ebbe un tremito inconsulto. La vita gli passò davanti, rivide tutto quanto, dal momento della sua nascita fino alla morte. Rivisse i suoi sogni, i suoi incubi nell’arco di un battito di ciglio. E di nuovo, come un tempo aveva dovuto, forzatamente, lottando all’ultimo respiro per non soffocare sotto una pila di terra, spirò. Morì tra le braccia di una dea in fiore, se ne andò con una smorfia di estasi e di terrore.

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editoriale di zaireeka

Piano concerto n.3 di Kurt Atterberg - Primo movimento

Chi siamo noi?

Chi sono io?

Sono quella tarda serata di agosto sulla spiaggia con il me stesso di 38 anni fa, mi racconta della sua passione per le discoteche e i Bee Gees, le cui note risuonano nell’aria.

Mi racconta per intero le ultime cinque puntate di Happy Days.

Gli parlo della mia passione per la musica classica, per la musica psichedelica, romanzi e saggi filosofici, anche per certa musica depressa e talvolta malata, cose difficili, fatica a riconoscersi.

Gli dico che di televisione ne vedo non più di mezz’ora al giorno.

Siamo per fortuna confinati, senza spesso rendercene conto, in un mare di categorie, solo per decifrarci nel tempo e farci decifrare dagli altri.

Da cui a volte però tendiamo, per età e per altro, a voler saltare fuori come per misteriosi salti quantici.

A voler essere nuovi e dissonanti in mezzo all’imperante, forse troppo meravigliosa e stabile, armonia.

A melodie che da sole basterebbero a rendere tutto indimenticabile.

Ma il libero arbitrio e’ solo una cosa illusoria.

Pensiamo tutti di essere un po’ speciali.

Presidenti, preti, filosofi.

Figli, genitori.

Ma in fondo siamo un po’ come quell’unico elettrone che tesse l’universo immaginato da John Wheeler.

Che va, vorremmo andare, avanti e indietro nel tempo, a riparare gli errori che possiamo ancora commettere, senza sapere perché, nel nostro futuro.

Piano concerto n.2 di Bela Bartok - Primo movimento

Pensiamo di non avere idee oppure di averne talmente tante che a volte fatichiamo a controllarle.

Ma in fondo ripetiamo sempre le stesse poche cose, abbiamo i nostri chiodi fissi, sottoposti alla comprensione degli altri.

Con cui cerchiamo di tenere appesi al muro scivoloso del tempo gli specchi colorati su cui si riflettono i nostri giorni.

Un po’ come sempre le stesse note in fuga, che si rincorrono, suonate da strumenti diversi.

A distanza di secondi, accavallandosi.

Di mesi o di anni.

Piano concerto n.1 di Dimitri Kabalevsky - Secondo movimento

Mi capita a volte, la domenica pomeriggio, quando sono solo in casa, di andare alla ricerca di un concerto di musica classica mai ascoltato.

Sfuggito all’attenzione del mondo forse perché alla sua epoca il mondo produceva troppa bellezza.

In cui rinchiudermi lontano da tutti, ma con i risultati della partita sul televisore muto, per ricordare i tempi in cui il calcio per me era (quasi) tutto.

Per sentirmi ancora, banalmente, parte del mondo.

(Da Wikipedia)

Aristosseno riconobbe la funzione fondamentale della memoria nell'intelligenza della musica, come risulta da un paragrafo degli Elementi di armonia: «Di queste due cose, invero, la musica è coesistenza: sensazione e memoria. Bisogna infatti sentire ciò che accade e ricordare ciò che è accaduto».

E’ l’abitudine a sentire il proprio cuore ed il proprio respiro, come riconoscere sempre la stessa strada dall’inizio alla fine.

Vivere non e’ altro che l’arte di ascoltare musica.

Piano concerto di Kurt Atterberg

Piano concerto n.2 di Bèla Bartòk

Piano concerto n.1 di Dimitri Kabalevski

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editoriale di paolofreddie

David era un obiettore di coscienza. Non aveva che il suo fiero orgoglio a sostenerlo, a fargli da scheletro nella sua vita lavorativa, e anche quando era nel mezzo di una discussione tra comuni amici. Pensava che fosse un dovere e un diritto dell’uomo opporsi a ciò che era comunemente accettato dalla maggioranza. Per via del suo temperamento si era fatto molti nemici, che però gli parlavano alle spalle, perché preferivano che lui fosse emarginato. Se loro lo avessero criticato, lui avrebbe avuto la risposta pronta, quindi sarebbe uscito comunque vincitore, a prescindere dalla verità effettiva. David sapeva tutto questo ed era ancora più radicalmente fiero di sé quando ci pensava o se lo diceva fra sé e sé.

Un giorno decise, come illuminato da un getto di genialità, di donare il seme. David non aveva una donna – non a caso era un obiettore di coscienza –, quindi se lo poteva permettere. E lo stesso donare il seme era per lui un’obiezione di coscienza. In merito al lavoro, vi si dedicava solo per permettersi qualche soldo per portare avanti la sua vita da obiettore di coscienza. Il giorno in cui David rimase folgorato dall’idea pseudo-geniale passò alla storia: David chiedeva per la prima volta al capo un giorno di astinenza dal lavoro. Aveva sempre lavorato con fierezza, distinguendosi dalla maggioranza dei suoi colleghi che timbravano il cartellino e poi se ne andavano a fare shopping – quegli stupidi! –. Il capo gli negò il permesso, nonostante la buona condotta di David, che era forse il lavoratore più accanito dell’ufficio, anzi, dell’intero edificio. Da obiettore di coscienza, David prese l’ascensore, premette il tasto che attivò il meccanismo e partì verso il basso.

Alla banca del seme David era molto emozionato, non stava letteralmente più nella pelle. La tizia giovane ed esile ad assisterlo percepì la sua forte eccitazione, quindi gli chiese se stava bene. “Mai stato meglio” disse David. “A me non sembra. Non può donare il seme in queste condizioni: lei è troppo euforico” rispose lei, scuotendo la testa, pensosa. Il viso dell’uomo si arrossò, poi sbiancò, poi divenne di un colore simile alla terra arata, solcata e ingrigita dalla stanchezza. Non poteva credere alle sue orecchie. “Cosa significa che sono troppo euforico?” disse tirando fuori il fazzoletto dal taschino e dandosi dei leggeri colpetti sulla fronte. Pacata ma decisa la ragazza disse “Signor Leigh, lei ha la pressione troppo alta, il suo seme ne potrebbe risentire, anzi, sicuramente”. “Scusi ma continuo a non capire”. “Signor Leigh, faccia uno sforzo di immaginazione. E non sia egoista. Lei pensa di uscire di qui dopo aver semplicemente depositato il seme, ma non pensa alle conseguenze che potrebbe avere una fecondazione con sperma sovraeccitato. Il feto generato dal suo seme potrebbe tramutarsi, alla nascita, in un neomorto. Non si viene qui alla banca del seme con questo spirito”. David capì, chinò la testa tristemente e rimise meccanicamente il fazzoletto al suo posto, nel taschino. Guardò l’orologio sulla parete della stanza e disse a bassa voce “Sono già le 12:00, farò tardi al lavoro”. La ragazza chiese “Come, signor Leigh?”. “Niente, niente” rispose lui con un cenno della mano ad accompagnare quella semplice oscura parola ripetuta.

Tornato a casa la sera, dopo aver girato a vuoto nella sua automobile, si diresse subito verso il bagno e si guardò allo specchio. Sulla fronte c’era scritto a caratteri cubitali “NO” con tanto di punto esclamativo. Strizzò gli occhi e rivide quella scritta, tentò di nuovo a farla sparire ma niente. Fino a che non si mise sotto le coperte, la scritta lo accompagnò imperterrita, imperiosa. Si addormentò triste e si risvegliò altrettanto triste. Appena giunto al luogo di lavoro, fece contattare il capo dalla segretaria, entrò nel suo ufficio e diede le dimissioni.

Pochi giorni dopo lo trovarono riverso a metà in una buca, al cimitero, scavata da lui stesso. Aveva l’abito strappato e la pelle era aperta, percorsa da graffi ancora caldi, ancora sanguinanti. Dopo essersi licenziato, David aveva fatto domanda per un lavoro da becchino. Lo avevano assunto senza tanti complimenti. Di morti, nei giorni precedenti al ritrovamento del corpo, non se ne erano visti, quindi David era rimasto a bocca asciutta. Evidentemente era stanco di tutta quell’ironia che la sorte abbatteva su di lui. Come ultimo atto d’amore per sé stesso, da obiettore di coscienza, non avendo potuto donare il seme per generare vita, non avendo potuto donare una tomba a chi non ne aveva più, si era scavato la fossa. Senza successo. Non era riuscito a tumularsi, a completare l’opera, perché per giorni aveva digiunato e non aveva dormito, fino al punto di morire tra un colpo di zappa e il successivo, andato in fumo.

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editoriale di sotomayor

Cominciamo con queste cinque domande una rassegna di interviste a personaggi impossibili e che hanno fatto a loro modo la storia della cultura, del pensiero filosofico e della vita politica e sociale.

Una iniziativa che è resa impossibile dalla speciale strumentazione in dotazione al nostro studio radiofonico e che ci permette di entrare in contatto diretto con i morti. Parlare con i morti per parlare della loro vita e ricordare a tutti che la vita non è mai perfetta.

Il primo personaggio intervistato è Serge Voronoff (1886-1951), chirurgo e sessuologo russo naturalizzato francese e una delle personalità più celebri al mondo durante gli anni della cosiddetta 'belle époque'.

Parliamo di una personalità molto speciale e che ha mantenuto negli anni grande fama e che per questo ringrazio molto per la sua disponibilità e averci concesso questa breve intervista.

V. Buonasera a tutti.

Vi ringrazio per avermi invitato e per avermi scelto come prima persona intervistata. Devo dire al riguardo che la cosa mi fa molto piacere, la considero come un modo di dare ancora adito al mio contributo alle scienze anche successivamente il mio trapasso.

Devo altresì dire che varcare questa soglia tra la vita e la morte ha costituito sicuramente una esperienza affascinante. Ah, se solo avessi la possibilità di non essere intangibile! Sicuramente in tal caso mi dedicherei a sperimentare su quache cavia questo tipo di esperienza. Ma ahimè i miei tempi sono andati.

Oppure... Chi lo sa. Magari potrebbe assistermi lei? Cosa ne pensa? Io la mente, lei le braccia. Assieme potremmo fare grandi cose!

Ehm... Capisco il suo rammarico Dottore e la ringrazio per l'offerta generosa, ma credo proprio che la chirugia non sia il mio campo.

V. Peccato.

Ma se cambia idea sa dove trovarmi.

1. Cominciamo allora con le domande. Dottore, i più giovani molto probabilmente non hanno mai sentito parlare di lei e dei suoi studi nel campo della medicina e della biologia. Al contrario, quando si sente nominare il suo nome, sembra sempre che questo sia oggi contornato da un alone di oscurità e di mistero (si raccontano per la verità molte storie anche per quello che riguarda la sua residenza nella riviera ligure, lo 'Chateau Grimaldi'). Solo poche persone inoltre la ricordano come un brillante chirurgo e un vero innovatore nel campo della scienza medica e la maggior parte la ricorda come un personaggio eccentrico, quasi una specie di 'scienziato pazzo'. Cosa pensa di queste definizioni? Le considera offensive?

V. Naturalmente io non sono mai stato pezzo, né sono mai stato considerato come tale da nessuno, ripeto: nessuno, tra le più eminenti personalità del mondo della medicina. Considero quindi assolutamente offensiva la definizione di 'scienziato pazzo'.

Queste cui accenna sono senza dubbio tutte allusioni che non corrispondono al vero e che considero dovute a una certa invidia nei miei confronti che si è scatenata dopo la mia morte e ha macchiato la mia reputazione.

Peraltro, mi conceda una ulteriore precisazione, non vi è assolutamente nulla di oscuro e di misterioso sia nella mia immagine di medico e scienziato, dato che i miei studi e i miei risultati sono sempre stati qualche cosa che ho voluto io stesso far conoscere al mondo intero (non dimentichiamoci che sono stato anche autore letterario molto prolifico) e che sono stati comprovati e dimostrati agli occhi dell'intera comunità scientifica.

Secondariamente, mi guardi bene, mi considererebbe una figura oscura e misteriosa? Andiamo! Al contrario sono sempre stato quello che si potrebbe definire un viveur, amavo la vita mondana e le belle cose. Amavo la vita intensamente!

2. Ma perché questa ossessione per l'eterna giovinezza? Voglio dire, prima di entrare in medias res nel merito dei contenuti dei studi, voglio domandarle da quali presupposti ideologici e concettuali ha voluto partire per orientare i suoi studi in quella determinata direzione. In effetti in generale è sempre esistito il mito della vita eterna, ma che poi se invecchi, giustamente di questa vita che te ne fai. Il segreto quindi sarebbe quello di vivere e restare sempre giovani. Ma lei aveva paura della morte?

V. Ma vede, il mio proposito, quella che consideravo la mia vera missione, era quella di garantire a tutti quanti una vita migliore.

È indubbio che, come dice lei, la vita eterna non ha senso senza giovinezza, così come è evidente che restare giovani significhi vivere bene la propria esistenza. Ma i nostri corpi non solo non sono fatti per durare in eterno, questo è infatti il minore dei problemi, ma sono soggetti a un certo decadimento: infortuni, malattie... la vecchiaia! Senza considerare tipologie di problematiche e malattie che possono essere congenite. Ecco: a tutto questo io ho dedicato la mia attenzione! Gli studi di una vita!

I media e la storia del resto si sono concentrati solo sugli aspetti più 'pruriginosi', ma i miei studi sono sempre stati orientati a garantire una giovinezza persistente nei miei pazienti da ogni punto di vista. Io volevo il bene dell'umanità!

La verità in fondo è che ciacuno dovrebbe curare il proprio corpo e la propria anima per restare giovani per sempre, ma quanti ci riescono. Chi ha parlato di effetto 'placebo' nel caso dei miei interventi sbaglia, ma accenna a una componente comunque vera, come è vera del resto in ogni branca della medicina. Cioè che l'aspetto psicologico e quello mentale sono determinanti per la cura e la salute del paziente.

Qui la scienza medica incontra una certa componente magica e elementi vicini allo spiritismo. Ma non c'è trucco: senza la medicina vera e propria non si può compiere alcun miracolo.

Per quanto riguarda la vita eterna, questa non mi ha mai interessato. Ho voluto vivere la mia vita al massimo finché questa è durata. Non credo nella vita eterna e neppure in una specie di continuum della vita dopo la morte dovuta ai procressi di procreazione. Anche per questo non ho lasciato eredi. Come è stato possibile nonostante tutte le donne io abbia avuto nel corso della mia vita? Qui mi dispiace ma non posso rispondere. Mi conceda la possibilità di tenere per me qualche trucchetto [Ndr. Sorride.].

3. Dobbiamo a questo punto necessariamente affrontare l'argomento principale, cioè la sua attività come chirurgo e biologo di fama internazionale. Lei era praticamente famoso in tutto il mondo, si racconta di folle che aspettavano il suo arrivo a Rio de Janeiro in occasione di un viaggio in Brasile. Si parla di centinaia di interventi e di file di pazienti in attesa fuori dal suo studio. Così come è noto che lei avesse un vero e proprio allevamento di scimmie nella sua villa a Grimaldi da usare come 'pezzi di ricambio'. Che cosa c'è di vero in tutto questo? Ma questi suoi interventi erano veramente miracolosi? Come è arrivato a questo tipo di conclusioni?

V. Voglio innanzitutto dire che a quei tempi la sperimentazioni sugli animali e in particolare sulle scimmie, costituiva una prassi e una pratica di routine. Non mi considero un mostro per questa cosa e non sono colpevole per quelle che sono state le mie sperimentazioni sugli animale. Senza considerare che ogni applicazione su di loro ha comportato l'aumento di conoscenze anche per quello che riguarda la loro natura e anche campi come la medicina veterinaria ne hanno tratto giovamento.

So bene comunque che oggi molti mi considererebbero un mostro. Non so se abbiano ragione e la cosa non mi interessa: io avevo una missione da compiere e tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per il bene della scienza e seguendo le regole.

Come mi è venuta l'idea? Be', rispondere a questa domanda apparentemente semplice, è in verità abbastanza complesso, ma proverò comunque a esporre la cosa usando un linguaggio poco scientifico per essere più comprensibile ai lettori.

Sicuramente alle basi vi furono le teorie sull'evoluzione e il darwinismo. L'uomo, come è noto, si è evoluto dalla scimmia. I primati appartengono quindi alla nostra stessa 'superfamiglia'. Come tali possediamo un numero considerevole di caratteristiche in comune. Tanto più il nostro cervello è sviluppato tuttavia, in maniera inversamente proporzionale il nostro corpo appare essere dotato di un certo vigore. Nelle scimmie accade esattamente l'opposto. Per quanto dunque muniti di un cervello superiore, questo non ci permette di trascendere da questa considerazione. Senza considerare la persistenza nelle specie animali di quegli istinti che noi abbiamo soppresso e superato a favore dell'intelletto. E cosa è più liberatorio che scatenare i propri istinti? Qui nacque l'idea del trapianto.

Adesso la cosa può sembrare molto semplice, ma bisogna essere dei chirurghi molto bravi per compiere con successo operazioni di questo tipo e io modestamente lo ero. Uno dei migliori.

Il grande successo è semplicemente dovuto al fatto che i miei interventi funzionavano.

Ma è anche vero che permane nella nostra cultura un certo oscurantismo che impedisce alle scienze di svilupparsi e gli individui di essere liberi. Ci sono poteri forti che impediscono il progresso. Ma questa è una storia vecchia.

4. Immagino che lei si riferisca alla chiesa e in generale alle istituzioni religiose. Che effettivamente hanno ancora oggi qualche problema con le teorie sull'evoluzione e le nuove scoperte in campo scientifico. A parte questo io devo per forza chiederle di tutte quelle voci sull'uomo scimmia che si ritiene si aggirasse nei dintorni di Villa Grimaldi durante quegli anni. Oltre della possibilità che... un uomo possa accoppiarsi con una scimmia e dare alla luce una ibridazione.

V. Per quanto riguarda la chiesa e le istituzioni religiose, lei ha colto perfettamente il punto! Probabilmente è proprio a causa delle istituzioni ecclesiastiche se oggi godo di questa cattiva fama e i miei studi sono stati screditati. Se sono passato alla storia come un 'ciarlatano'.

Per questo inoltre i miei studi non hanno avuto seguito e probabilmente continueranno a non essere considerati e presi in considerazione dalla comunità scientifica. CI sono troppi paletti. La scienza è schiava di se stessa perché si è imposta troppe regole. Ma tutto questo è semplicemente ridicolo. Così non arriveremo mai da nessuna parte.

Non ho intenzione invece di rispondere a quelle che sono le insinuazioni e le baggianate sull'uomo scimmia che io avrei creato e che secondo certi si aggirava nei dintorni della mia abitazione. Questa storia fu chiaramente inventata per creare un certo clamore e perché io ero una personalità molto popolare. Chi lo sa, magari qualche volta sarà semplicemente scappata una scimmia e la suggestione avrà giocato qualche scherzo.

Comunque, qualcuno ha mai portato prove reali della sua esistenza? Ci sono testimonianze attendibili, fotografie? No. Niente di niente. Di che cosa parliamo allora? Se poi qualcuno avesse delle prove in tal senso, ce le mostrasse. Ma dovrebbe poi dimostrare anche i miei legami e le mie responsabilità in questa cosa. E anche se fosse, che tipologia di reato avrei commesso? Andiamo. Mi sembra di parlare di storie come quelle che riguardano lo yeti, gli ufo, i vampiri. Cose che non esistono.

In quanto all'ultima domanda, penso che lei si sia risposta da solo. Che esistano ibridi all'interno del mondo animale è una verità dimostrata e sotto gli occhi di tutto. L'uomo e la scimmia sono due specie appartenenti alla stessa 'superfamiglia'. Di conseguenza...

Ma penso che il mondo sia oggi anche meno pronto che ieri a riconoscere la verità.

5. Be', sicuramente è un tema controverso. Quindi posso bene immaginare che cosa intende dire.

L'ultima domanda riguarda il suo rapporto con il nostro paese, l'Italia. Che legame ebbe con il nostro paese? È vero che ebbe dei legami con Mussolini? Ciononostante è vero che fu costretto a lasciare il paese a causa dell'emanazione delle leggi razziali?

V. Io sono sempre stato e rimango un ebreo. Non ne parlo volentieri, ma due miei fratelli morirono nel campo di concentramento di Auschwitz... Per quanto io non sia mai stato particolarmente religioso, le mie origini mi ponevano in ogni caso in una situazione scomoda quando furono emanate le leggi razziali. Lasciare l'Italia in quel caso divenne un obbligo e un modo per tenermi al sicuro.

Devo dire che la Francia di quella che voi adesso chiamate 'belle époque' fu qualche cosa di incredibilmente meraviglioso e di una bellezza ineguagliata da nessun altro posto al mondo durante quegli anni e forse anche successivamente. Furono anni meravigliosi e di un furore artistico e culturale senza pari. A parte le scoperte nel campo scientifico.

Ma amavo l'Italia, certo. Del resto è lì che avevo la mia residenza e dove sono ritornato a vivere dopo la guerra e fino alla fine della mia esistenza.

In quanto a Mussolini... Be', suppongo di potere oggi parlare liberamente di lui e senza nessun timore particolare. A differenza che quegli anni.

Benito Mussolini era molto interessato ai miei studi e al mio linguaggio in generale. Credo che fu proprio lui a coniare il verbo 'voronofizzare'. In generale lui diceva di volere 'virilizzare' l'Italia e praticamente fece dei miei studi una specie di slogan pubblicitario. Del resto è innegabile che questo funzionò e che molti giovani lo seguirono in quelle sue manie da grandeur. Ma per quanto mi riguarda - a parte quella che considero fu una pubblicità gratuita per me e i miei studi - lo ho sempre considerato un pallone gonfiato. Se tra me e lui ci fosse un ciarlatano, be', quello era sicuramente lui.

Ma si è mai rivolto a lei come paziente?

V. Mi dispiace ma questa è una domanda a cui non posso rispondere. La mia etica come medico mi impedisce di rispondere e di mantenere un certo riserbo.

Capisco Dottore...

Che altro aggiungere? La ringrazio per questa intervista e per per il tempo che ci ha concesso.

V. Ci mancherebbe altro.

Adesso ho mio malgrado molto più tempo a disposizione che in passato, anche se fortunatamente riesco sempre a trovare qualche svago e a organizzare quelle feste e ritrovi che tanto amavo quando ero in vita.

Grazie a lei per aver ridato con questa intervista letteralmente 'vigore' alle mie tesi e i miei studi da troppo tempo dimenticati. Spero che la mia intervista sia stata illuminante.

Sicuramente e penso che saranno della stessa opinione anche i nostri ascoltatori.

Un saluto dalla nostra postazione radio. Buona serata a tutti.

'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'

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editoriale di zaireeka

Una volta tanto oggi non mi va di parlare e scrivere di massimi sistemi.

Non voglio parlare di coscienza, del tempo, del senso della vita.

Anzi no, forse in verità ne voglio parlare, semplicemente ho meno tempo perché la vita è breve o, più plausibilmente, non sono completamente cosciente di continuare a farlo.

Come vedete, quindi scrivo in fondo sempre delle stesse cose, per cui vado al dunque.

Ieri uno dei pochi volti televisivi per cui provo simpatia, una ragazza bionda, molto caruccia (e per favore nessuno mi accusi di sessismo per metterlo in evidenza), una ragazza normale, con un sorriso che farebbe sciogliere il cuore di un robot (se mai ne avranno uno), ha avuto un incidente sul lavoro, un bruttissimo incidente sul lavoro.

Si da il caso che questa ragazza si sia spesa tempo fa in maniera encomiabile per la mia città, Taranto, come forse nemmeno i tarantini fanno, sicuramente non io.

Si da il caso inoltre che questa ragazza sia di Brescia, anche se tentava di non farlo notare quando provava a pronunciare una frase nel nostro dialetto scritta su alcune magliette.

Io amo il nostro Paese, l’idea che, al di là di beceri estremismi, al di là delle distanze, siamo uniti da qualcosa di più che confini geografici.

Colpevolmente forse più della mia città.

La passione sincera che Nadia, una bresciana, una che con questa terra non c’entra nulla, ha dimostrato nell’aiutare Taranto, ed in particolare i suoi bambini, integrandosi nel nostro mondo, mi ha colpito moltissimo e commosso.

Mi ha ricordato La storia del guerriero e della prigioniera di Borges.

Con la differenza che Nadia non ha avuto bisogno di essere imprigionata per imparare ad amare e ad aiutare questa terra.

Grazie di tutto da un tarantino tiepido.

Riprenditi presto.

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editoriale di sotomayor

Chi lo avrebbe mai immaginato che esistessero ancora, conservate perfettamente fino ai giorni nostri, lettere di manifestazione di dissenso (e contenenti in molti casi anche minacce di morte) scritte al Re Vittorio Emanuele III. Pure non dubitando del fatto che si potessero scrivere delle lettere al Re, questa è una cosa che non avevo mai preso in considerazione, così sono rimasto colpito dall'esistenza di questa opera di raccolta dell'Archivio Italiano Tradizione Epistolare in Rete (AITER).

Coinvolgente cinque unità di ricerca (Università degli Studi di Pavia; Università per Stranieri di Siena; Università degli Studi di Roma "La Sapienza"; Università degli Studi di Cassino; Università degli Studi di Milano) scopo dell'AITER è stata la creazione di una banca dati di corpora epistolografici dal medioevo al Novecento e basto su un'interfaccia web per la lettura dei testi, consultabile attraverso un apposito motore di ricerca: http://aiter.unipv.it/

Con questo progetto e la trascrizione dei testi sono stati messi a disposizione diversi 'carteggi', di cui la sezione forse più interessante per la verità è 'Lettere a e da internati militari' conservate nel Fondo Pirola (1943-1945) e contenente in tutto 15 faldoni e 428 fascicoli (sono state pubblicate 200 corrispondenze) di lettere internati militari italiani (IMI) condotti nei lager tedeschi dai nazisti nelle fasi successive all'8 settembre 1943. Ma quella relativa 'Le lettere al Re' (a cura di Barbara Achilli, Manuela Baroncini e Roberto Vetrugno) è sicuramente qualche cosa di inedito e che genera una certa curiosità

Le lettere (400), provenienti da ogni parte d'Italia (questo si intuisce facilmente dall'utilizzo di espressioni di uso dialettale) ma anche da altri paesi come Francia oppure Stati Uniti d'America, sono tutte relative al periodo 1914-1918 e di conseguenza, come si può facilmente immaginare, per la maggior parte dei contenuti richiamano come argomento principale la prima guerra mondiale. Ci sono lettere di minaccia, dissenso, lamentela o semplicemente richiesta di attenzioni da parte di sua maestà il Re oppure la Regina Elena di Savoia o anche le principali figure politiche di quel periodo, i presidenti del consiglio Antoni Salandra e Vittorio Emanuele Orlando, il ministro degli esteri Sidney Sonnino.

Raccolte in 17 gruppi molte di queste lettere, come è facile immaginare e in particolare per quelle con toni più aggresivi e contenenti minacce di morte, sono lettere anonime e non sono firmate. Immagino del resto che al tempo il reato di lesà maestà fosse abbastanza grave da poter incorrere in parecchio guai anche semplicemente rivolgendogli una pernacchia. Generalmente toni più concilianti sono adoperati nei confronti della Regina Elena di Savoia, mentre in alcuni casi le lettere non hanno neppure un destinatario specifico, ma anticipando di cent'anni qualche cosa che si ritiene sia nata solo con i social network, si configurano come dei veri e propri sfoghi. Molte lettere sono chiaramente sgrammaticate, ma questo è inevitabile, considerando che ci riferiamo all'inizio del secolo scorso e che queste venivano scritte da soggetti di ogni estrazioni sociale.

Vale la pena ricordare il contesto storico specifico. Quello della prima guerra mondiale e cui l'Italia prese parte dopo i Patti di Londra dell'aprile 1915 dichiarando guerra all'impero austro-ungarico. Una scelta che nasceva da ragioni di opportunità e causa la pressione dei cosiddetti 'interventisti' e che strategicamente andava nella direzione di porsi in maniera autorevole sulla scena internazionale come era accaduto cinquant'anni prima con la guerra di Crimea.

La prima guerra mondiale fu un massacro. I morti furono quasi dieci milioni (650.000 soldati italiani circa) ma le perdite dovute alle situazioni di indigenza, senza considerare le drammatiche conseguenze dei disturbi post traumatici da stress, costituiscono un danno che è impossibile da quantificare. È calcolato inoltre che in totale morirono all’incirca un milione di civili. La febbre spagnola, la più grande pandemia ricordata dalla storia e il cui contagio si diffuse durante quegli anni, uccise quasi sei milioni di persone in tutto il mondo.

Alla fine della guerra, alla conferenza di pace a Parigi, l’Italia, rappresentata dal nuovo capo del governo Vittorio Emanuele Orlando e dal solito Sidney Sonnino, fu tuttavia trattata come una potenza minore e ottenne molto meno di quanto le era stato promesso alla stipula del patto di Londra in caso di vittoria. Un nuovo trattato, Il trattato di Rapallo del 1920, fu un tentativo da parte dell’Italia di ottenere quanto non le era stato attribuito alla conferenza di Parigi, ma ogni tentativo fu vano: sostanzialmente l’Italia ottenne una ridefinizione se confini nella zona del Friuli e l’Istria. Ma il risultato fu accolto tiepidamente dall’opinione pubblica, tanto che si parlò in ogni caso, secondo una definizione di Gabriele D’Annunzio, di ‘vittoria mutilata’, un leit-motive che costituì uno dei principi fondamentali cui si deve probabilmente la nascita del fascismo.

Va detto, al di là delle conseguenze finali, che il ruolo del Re Vittorio Emanuele III nell’entrata in guerra dell’Italia fu determinante come mai forse nessuna altra decisione presa in prima persona nel corso del suo regno. Di fatto la sua volontà si impose su quello che era l’orientamento generale del parlamento e delle forze politiche e sul loro orientamento neutralista, quando superando i precedenti accordi con Germania e Austria-Ungheria (la cosiddetta Triplice Alleanza), si accordò con le forze dell’Intesa. Ovvero Francia, Inghilterra e Russia. Fino alla Rivoluzione d’Ottobre. Senza considerare il solito intervento decisivo degli americani. Che fosse ritenuto direttamente responsabile di quello ‘scempio’ non ci appare dunque particolarmente strano e queste lettere sono in questo senso solo un piccolo pezzo della storia del dissenso di quegli anni, passato chiaramente in secondo piano a fronte di quelli che furono eventi di una drammaticità unica come la guerra di trincea raccontata in maniera tanto sensibile quanto unica da un autore gigantesco come Giuseppe Ungaretti.

Tra le tante lettere presenti, a titolo esemplificativo, ne ho scelte due in particolare che vi sottopongo in calce a questo editoriale. La prima (a titolo esemplificativo) è di un mittente anonimo e destinata a Tommaso di Savoia, capitano di vascello e luogotenente del Regno durante gli anni della guerra in cui Vittorio Emanuele II si traferì al fronte. La seconda invece è sempre di un mittente anonimo ma non ha un destinatario specifico ed è una delle cose più belle io abbia letto negli ultimi tempi e che voglio condividere su queste pagine.

Buona lettura.

[Anonimo] a Tommaso di Savoia
Napoli(NA), 6 giugno 1917

A Sua Altezza Reale
Tommaso di Savoia
Luogotenente di S.M. il Re- Roma
[1] I cenci vanno sempre in'aria, Altezza in Russia e
successo il contrario, e i signori governandti avrebbero dovute
farne tesoro di tale insegnamente.
In Italia quando si tratta di dissanguare maggiormente le
masse lavoratrice, subito si fa con decreto legge; ma quando
ai lavoratori si dovrebbe dare qualche miglioramente gli si
promette ma mai tale promesse si mantengono.
[2] Sembra però che i dormiente si stiano destante e vedremo,
Vedrete!
Anche per i dissanguatori delle masse, i grandi ed eterni
sfruttatori dell'umanità ci dovrebbe essere un limite…
Vuole S.A. imporla? o vuole che si ribellano i lavoratori
per fame?
In certi casi si sà dove s'incomincia, ma non si sà
dove ha fine le risolte di popolo
Avviso a chi tocca
Gli operai Napoletani
Napoli 6-6-1917

Missiva autografa.
(*Napoli 6.6.17) allegati: Pref. di Napoli 15 agosto 1917.

[Anonimo] a [anonimo]
[s.l.], 25 dicembre 1917

[…] 25 Dicembre 1917
[2] vita il infelice,
la notte sono solo à
mia luna, come sei alta
aiuta mi. dove sei? à
sono in uno scoglio in
mezzo al mare. è
vedo un pesce grosso,
che mi vuol mangiare
chi tia portato ali?
e dove sei nato?
io sono nato in un altro
scoglio più alto e cera
unaltro scon pesci
che mia veva tirato
una volta ma non
mia pigliato, e cosi
mene sono venuto qui?
matu ai paura di morire
e vero?
nò nò, opaura per una
sola cosa che moio in
mezo all'ingnoranza.
percio aiutami, domani sera
ci vediamo allora ti
saluto il tuo amico, ignora
nte[…]

Al Statut[…] di Roma
Italia

Missiva autografa.
(Galveston 26.12.17 - (Genova posta estera) Roma 31.1.18) allegati:(?)

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editoriale di ALFAMA

Capitolo 12

VORREI UCCIDERTI

Capitolo 9

Nel silenzioso Buio dei miei pensieri, l'interferenza sul rumore di fondo della mia mente. Invisibile, la scintilla di un pensiero inafferrabile, non esisti ma sempre presente.

Ti sento nel cuore. Macchia di sangue. Quante vite hai succhiato? Quanti silenzi hai interrotto ? Sei un ronzio nella mente,un peso sull'anima.

Capitolo 7

Non pensare di essere inutile. Devi esistere per essere spiaccicata su una bianca pagina di un libro senza una storia da raccontare.

Di te rimane solo una macchia di inutili parole, parole da inventare, parole che non esistono.

Capitolo 1

Eppure ti vengo a cercare.

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editoriale di sotomayor

Secondo una determinata visione della vita, esisterebbe non solo ciò che vediamo attraverso i nostri occhi ma anche tutto ciò che riusciamo a immaginare. Questo pensiero è in parte comprensibile e può essere spiegato con un semplice esercizio di logica: se lo spazio è infinito, allora può esistere qualsiasi cosa. Qualsiasi. Voglio dire che in questo caso tutti gli studi relativi la ricerca di altre forme di vita partono da presupposti sbagliati perché queste possono eventualmente esistere secondo modalità che noi non abbiamo neppure la facoltà di comprendere.

Ciononostante, secondo me ci sono alcune cose che al di là di quelle che possono essere prove inconfutabili, non esistono veramente.

Non voglio andare troppo lontano e ritornare nello spazio. Restiamo invece con i piedi per terra e sulla Terra facendo esempi di natura pratica.

Prendiamo la giraffa per esempio.

Brevemente: la giraffa, alla pari dell’elefante e del leone, è un animale che non esiste.

Questo non significa chiaramente che la giraffa non sia mai esistita, abbiamo infatti i fossili, le testimonianze storiche, ma è facilmente dimostrabile che questa oggi non esista più.

Non possiamo negare del resto che non solo in epoca preistorica ma nel corso della intera storia e anche solo negli ultimi centocinquanta anni si siano estinte più specie animali. Direi che anzi si siano verificati fenomeni di gran lunga peggiori. Opere scientifiche di genocidio di massa che hanno comportato la scomparsa di intere popolazioni e culture. L’esempio più grande, senza tirare in ballo gli orrori della prima metà del secolo scorso in particolare, potrebbe benissimo essere quello degli indiani d’America.

Qualcuno potrebbe menzionare allora le riserve, così come nel caso della giraffa si potrebbe fare riferimento agli zoo. Ma che cosa sono gli indiani nelle loro riserve e le giraffe negli zoo se non semplicemente il segno manifesto della loro fine. Una evidente manifestazione di impotenza. Una specie di coitus interruptus.

Così vi domando: avete mai visto veramente una giraffa? La sapreste descrivere minuziosamente in ogni suo particolare? Facciamo un esercizio. Chiudete gli occhi per venti-trenta secondi, concentratevi e immaginate una giraffa. Fatto? Che cosa avete visto? Io ho visto una giraffa diciamo di stazza media. L’ho visualizzata come all’interno di un contesto fotografico. Una fotografia verticale sbiadita, scattata probabilmente quando io ero piccolo nella seconda metà degli anni ottanta. La giraffa è da sola circondata da pochissimo verde. Sullo sfondo ci sono delle montagne che si intravedono in lontananza e l’azzurro colore del cielo. Le sue tipiche chiazze sono indistinte e quasi si mescolano in questo giallo ocra, mentre la testa è senza nessuna ragione fasciata con delle strisce nere. Magari non c’ha neppure le corna caratteristiche. È stata disegnata male.

È sicuramente una giraffa molto naif.

Questo è tutto quello che riesco a immaginare: una giraffa ‘povera’, come del resto tutto mi appare povero nelle fotografie di quegli anni. Guardo e conservo con piacere solo quelle di mio fratello quando era piccolo (ne ho un altro ancora più piccolo, ma sarebbe nato dopo, all’inizio degli anni novanta e anche se lui per me sarà sempre piccolo, conservo effettivamente anche le sue) e quelle di mia madre da giovane. Una di queste che risale a molti anni prima, quando lei aveva quattordici oppure quindici anni la porto sempre con me.

Ma la giraffa? È chiaro che se essa appaia idealmente sbiadita e inanimata già nei miei ricordi di trenta anni fa, questa debba per forza oggi non esistere più. Ho visualizzato quella che è una idea di giraffa, ma non un animale vero e proprio. In ogni caso qualcosa che è praticamente immobile e incapace di reagire a un processo di decadimento che ha coinvolto se stessa oltre che il suo habitat naturale.

Non ricordo inoltre di avere mai visto da vicino una giraffa.

Oppure: qualcuno di voi saprebbe farne il verso? Tutti saprebbero imitare l’abbaiare di un cane, il ruggito del leone, persino il barrito dell’elefante. La giraffa no.

Da bambino sono stato allo zoo ma non ricordo la giraffa. Eppure, voglio dire, non può esistere uno zoo senza una giraffa. Forse il punto è che pure se questa c’è, sta dentro un recinto e tu non la puoi toccare e allora come fai a dire che esiste veramente, se non la puoi toccare con mano. Magari quella che ti dicono che è una giraffa è tutta una montatura: una grossa fregatura. Solo una proiezione mentale dettata da determinati input che ti hanno inculcato sin da bambino. Ma questo non significa niente. La giraffa esiste tanto quanto potrebbe esistere oggi un Tyrannosaurus Rex.

Del resto la giraffa è sempre stata qualche cosa di più che un semplice animale: essa è stata infatti sin dalle prime testimonianze che sono arrivate fino ai giorni nostri, una specie di animale mitologico. La storia ci racconta che questi animali furono a lungo circondati da un alone di mistero: abbiamo così poche testimonianze scritte. Nel passato, centinaia di anni fa, per incontrare una giraffa non avevi scelta: dovevi attraversare il Mare Mediterraneo e poi quella incredibile barriera naturale che è costituita dal deserto del Sahara, un ostacolo che fermò persino l’avanzare dell’Impero Romano. Parliamo di una impresa sovrumana e che ancora oggi costituisce un fattore in quella parte del mondo.

Sicuramente sin dall’antichità si dovette convenire sul fatto che spingersi oltre era troppo complicato. Eppure fu proprio in quegli anni che a quanto pare si videro per la prima volta in Europa delle giraffe, a Roma, alla corte degli Imperatori.

Dopo sarebbero dovuti passare centinaia di anni, quando una di queste fu condotta alla corte di Lorenzo de’ Medici e raffigurata in dipinti di autori come Giorgio Vasari oppure Francesco Botticini oppure Piero di Cosimo, in affreschi e celebrata in poesie. Si trattò di una pagina rilevante nella storia di questo animale in Europa e un evento che come nessun altro ci offre ancora oggi spunti culturali e sociali di rilievo che provino la sua esistenza in carne ed ossa. Per la prima volta abbiamo delle immagini.

Quante giraffe ci saranno nella mia città, in Italia, in tutta Europa e nel mondo. Sicuramente troppo poche da giustificare e determinare la loro esistenza. Non si tratta tanto di portare avanti una qualche causa animalista. Devo dire che pure apprezzando chi si adoperi a tale scopo, in questo caso specifico scrivo solo perché mi rendo semplicemente conto che sto raccontando di qualche cosa che probabilmente c’era e che adesso non c’è più e tutto questo mi è venuto in mente all’improvviso anche se ora capisco di avere sempre saputo la verità.

Niente e nessuno potrà far rivivere la giraffa e non ci resta che attaccarci ai nostri ricordi sbiaditi oppure alle opere ‘magnifiche’ su menzionate e che vollero celebrare un mito che ha faticosamente resistito fino ai giorni nostri per ricordarci vagamente o idealmente come fosse effettivamente fatto questo animale.

È così alla fine che come il mammut oppure la tigre con i denti a sciabola e come fiere leggendarie come il drago oppure il grifone, la giraffa scompare ma la sua leggenda resta e questa cammina idealmente ancora a testa alta in mezzo a noi.

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editoriale di mrbluesky

Ho un ragno in casa

se ne stà li da mesi

Certamente da quest'estate quando le finestre erano sempre aperte,eppure lui non se n'è mai andato

Non è uno di quelli schifosi e corpulenti,se no lo avrei gia spiaccicato,no!

Ha tante zampette lunghe e sottili,quasi trasparenti,a dir la verità non mi fa nemmeno tanto schifo

Se ne sta li fermo in un angolo,a volte per giorni e giorni,fino a quando non si stufa e decide di spostarsi da un altra parte

L'altro giorno osservandolo pensavo:ma cosa mangia? di che cosa vive?

Già perche lui non fa la tela e comunque non catturerebbe nulla stando dentro casa mia

Eppure la libertà è li a due passi

A volte mi sento un po come quel ragno

Ma tanto uno di questi giorni lo farò a pezzettini

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