Bentrovati. Siamo qui come sempre in collegamento dai nostri studi radiofonici per proporre ai nostri ascoltatori una nuova intervista a uno dei nostri personaggi.
Ricordiamo che tutto questo è reso impossibile come sempre dalla nostra strumentazione speciale e dalla grande perizia dei nostri tecnici, che ci permettono di valicare il confine tra la vita e la morte e intervistare una persona che è stata ma che in qualche maniera è ancora. Del resto la morte, come la vita, è imperfetta e tante cose succedono dove regna il caos e ci sono quelle incongruenze tipiche che poi sono alla base della nascita del nostro universo.
Dopo Serge Voronoff e Garrincha questa volta intervistiamo un nostro connazionale.
Si tratta di una personalità molto importante e che per quella che è stata la sua storia politica e la storia politica del nostro paese anche molto discussa.
A maggior ragione, soprattutto per questo, non posso che ringraziarlo per avere accettato di sottoporsi a questa breve intervista.
L’ospite di oggi è Giuseppe Saragat (1898-1988).
Quinto Presidente della Repubblica Italiana, Giuseppe Saragat è stato una delle figure più importanti nella storia della Prima Repubblica. Iscritto al PSI sin dal 1922, confluì successivamente al seguito di Filippo Turati nel PSU di Giacomo Matteotti. Esule in Austria e in Francia, al ritorno in Italia entrò nella resistenza e fu condannato a morte dai nazi-fascisti ma scampò alla esecuzione. Presidente della assemblea costituente nel dopoguerra, ha rappresentato l’anima socialista democratica del PSI sin dalla scissione di Palazzo Barberini.
Storico il dualismo con l’amico-rivale, il ‘caro nemico’, Pietro Nenni, negli anni Saragat ha ricoperto diversi incarichi di governo e dal 1964 al 1971 è stato Presidente della Repubblica, il primo socialista a ricoprire questa carica.
Fatte tutte queste premesse, penso che sia giunto il momento di dargli la parola.
Buonasera Presidente e benvenuto a nome mio e di tutti gli ascoltatori.
S. La ringrazio e la saluto e saluto con grande affetto tutti gli italiani e le italiane che ci stanno ascoltando in questo momento.
Presidente la ringrazio molto per avere accettato questa intervista. Se per lei va bene adesso comincerei con le domande. Ci sono veramente tanto argomenti da trattare. Cercherò nei miei limiti di provare a toccare quelli più rilevanti.
S. Sono sicuro che farà del suo meglio. Cominciamo pure.
1. Presidente, come dicevo, ci sono così tanti argomenti da affrontare che è stato difficile per me decidere da dove cominciare. Così ho deciso di farlo da quello che è il momento più oscuro della storia del nostro paese: l'uccisione di Giacomo Matteotti per mano di una squadra fascista e volontà di Benito Mussolini. Che ricordo ha di quei giorni? Ricordiamo peraltro che lei faceva parte con Giacomo Matteotti di quella corrente riformista 'turatiana' che nel 1922 diede vita al Partito Socialista Unitario. Come commenta quella fase decisiva della storia del nostro paese e decisioni come la Secessione dell’Aventino? Rivendica ancora ora la giustezza di quelle scelte o ritiene che queste furono un errore.
S. Lei comincia effettivamente parlando di quella che giustamente definisce come la parte più oscura della storia del nostro paese, ma, vede, il delitto Matteotti - al di là del brutale atto omicida - fu effettivamente anche una delle pagine più oscure nella storia della democrazia in occidente nel ventesimo secolo. Alcuni storici, come ben saprà, fanno risalire alla gravità di questo episodio in maniera diretta quello che accadde negli anni seguenti fino ad Auschwitz. Un punto di vista forse poco condivisibile ma che spiega la portata e la gravità di questo momento.
Come lei dice, nel 1922 vi fu una scissione in seno al PSI, che seguiva come ben sappiamo quanto avvenuto nel 1921 con i fatti che portarono alla formazione del PCI.
Il PSU è storicamente ricordato come un partito riformista, ma è bene ricordare comunque la ispirazione al pensiero marxista, rivendicando tuttavia da una parte la propria indipendenza nell'azione politica dall'Unione Sovietica e dall'altro richiamando alla necessità di partecipare alla vita e alla lotta parlamentare e in maniera particolare in quel determinato contesto storico.
Furono queste dunque le ragioni alla base della nascita del PSU, un partito di ispirazione democratica e che non a caso fu per questa ragione il più perseguitato dal fascismo, così come successe ai socialdemocratici nella Germania hitleriana.
Senza dilungarmi troppo, poiché ci sarebbero sicuramente molte cose da raccontare, questi eventi ci conducono alla cosiddetta secessione dell'Aventino del 26 maggio 1924.
La storia ricorda ancora oggi questa scelta come un gravissimo errore e che di fatto devo dolorosamente considerare spianò la strada al fascismo. Ma fu una scelta condivisa da tutte le forze di opposizione e che probabilmente tutti quanti avremmo rifatto in osservanza a quei principi che vogliono il parlamento come la massima espressione del pensiero democratico.
Purtroppo nel frattempo Mussolini aveva già, come dire, tessuto la sua tela e legato a se stesso tutti i poteri forti nel paese. Non secondariamente la figura del re, che si fece praticamente beffe delle nostre lamentele.
Credo che la secessione dell'Aventino fosse l'unica scelta possibile all'interno di un contesto democratico. Solo che quello, oggi me ne rendo conto, non era più evidentemente un contesto democratico.
Da questo punto di vista fu commesso un errore di valutazione e anche da parte di rappresentanti storici del socialismo italiano, come Filippo Turati e Anna Kuliscioff che ancora in quei giorni sottovalutarono la portata di quegli aventi e la forza che aveva ottenuto il Partito Nazionale Fascista e Benito Mussolini. Ma non le posso dire che cosa sarebbe successo se avessimo agito diversamente. Nessuno può saperlo. L’unica alternativa sarebbe stata la guerra civile. Però probabilmente a quel punto sarebbe stato in ogni caso troppo tardi.
I fascisti erano pronti a questa evenienza e avevano il re dalla loro parte. Noi ci eravamo divisi per ragioni ideologiche senza considerare che una base comune poteva esserci: cioè la difesa e il rispetto della democrazia nel nostro paese.
2. Sul periodo relativo la seconda guerra mondiale e prima ancora il suo esilio forzato a partire dal 1926 in Austria e successivamente in Francia ci sarebbe moltissimo da dire. Lo stesso vale per la resistenza cui prese parte al rientro in Italia all'indomani del 25 luglio 1943. Ma vorrei domandarle in particolare di uno degli episodi più noti che la riguardano e che la videro protagonista assieme al Presidente Sandro Pertini. Entrambi foste catturati dalle autorità tedesche alla fine del 1943 e condannati a morte. Come avvenne l’evasione? Ma è vero che Pietro Nenni, che fu tra i principali organizzatori di questa operazione, scriveva ai compagni di partito che occorreva vi si liberasse il prima possibile aggiungendo 'Soprattutto Saragat,' richiamando una certa maggiore resistenza di Sandro Pertini rispetto alla sua?
S. Intanto devo dire che il mio periodo da esule, diciamo così, mi fu in qualche maniera molto utile per formare e completare il mio pensiero confrontandomi con delle realtà politiche diverse da quella italiana. In particolare fu rilevante l'incontro con l'austromarxismo e figure come Max Adler, Otto Bauer, Karl Renner... Tutto questo contribuì in maniera rilevante alla formazione del mio pensiero socialista democratico e che sviluppai negli anni successivi.
Ma furono anni duri. In Francia io e Pietro Nenni stringemmo una alleanza che poi avrebbe portato alla ricostituzione del partito socialista. Ma in Italia la situazione per tutti i compagni era difficile. Poi scoppiò la guerra. Fu un massacro con tanti italiani mandati a morire al fronte per la causa fascista. E come sappiamo le cose per quelli che restarono nel paese non andarono sicuramente meglio.
Quando rientrammo, ricostituito il partito socialista italiano, ne assunsi la direzione e entrai a fare parte della resistenza.
La vera o presunta frase pronunciata da Nenni è diventata leggenda. Secondo questa storia Pietro Nenni rimarcava il fatto che si dovesse procedere alla liberazione per entrambi - ovviamente - ma che la cosa andasse fatta con una certa urgenza soprattutto per me. Dando in questo senso per scontato che Pertini fosse oramai abituato alla prigionia e che vi avrebbe resistito senza problemi mente io ne avrei giustamente sofferto come ogni individuo costretto in quelle condizioni. [Ndr. Ride.].
Vera o no, questa resta una storia sulla quale in privato abbiamo sempre scherzato.
Mi lasci aggiungere che ho un ricordo molto affettuoso di Sandro Pertini, una persona eccezionale, brillante, sincera e onesta, dall’elevata caratura morale. Un vero socialista e che anche in quella occasione dimostrò tutta la sua grandezza adoperandosi al massimo per salvare la vita ad altri cinque compagni oltre che la mia e la sua.
La nostra fuga avvenne in maniera rocambolesca, grazie a un gruppo di partigiani socialisti delle Brigate Matteotti e a degli ordini di scarcerazioni falsi. Fu un piano ideato e diretto da Giuliano Vassalli. Che poi, ironia della sorte, fu egli stesso fatto più tardi prigioniero dai nazisti e fortunatamente successivamente liberato per intercessione, pare, del Papa Pio XII.
3. Finisce la guerra. Lei viene eletto presidente della Assemblea Costituente preposta alla stesura della Costituzione, lavori che si protrassero a tutto il 1948. Intanto le cose all'interno del partito socialista cominciano di nuovo a scricchiolare e nel 1947 si arriva alla famosa scissione di Palazzo Barberini e alla conseguente formazione del Partito Socialista Democratico Italiano. Si parlerà da quel momento in poi nel corso degli anni di dualismo tra lei e Pietro Nenni, che venne definito come il suo 'caro nemico'. Questa scissione fu la prima nel dopoguerra di una serie di errori compiuti dal partito socialista in Italia. Condivide oggi questa analisi? Col senno di poi avrebbe forse agito in maniera diversa? Oggi la storia ha in qualche modo condannato tutta la storia del socialismo italiano. Questo anche per quello che è successo con Bettino Craxi negli anni ottanta. Non si sente comunque in qualche modo responsabile di tutto questo?
S. Finita la guerra e risolta la questione monarchica con il referendum del 2 giugno 1946, era chiaramente centrale lavorare alla stesura della costituzione e nel frattempo garantire una certa stabilità in un momento comunque difficile come il dopoguerra. Ho ricoperto il ruolo di presidente dell'assemblea costituente dal giugno del 1946 fino al febbraio del 1947, fu un incarico di prestigio ma molto impegnativo e fu un momento molto importante nella storia del nostro paese e del quale mi sembra che oggi ci sia poca memoria. La repubblica e la costituzione sono le basi della vita democratica nel nostro paese.
Come arrivammo alla scissione di Palazzo Barberini?
È vero che il Presidente Sandro Pertini fece di tutto per evitare la scissione?
S. Sì. Sandro Pertini, come le ho detto precedentemente, fu un uomo eccezionale e anche in quei momenti difficili dimostrò tutto il suo spessore umano e politico. Ma nemmeno lui poté impedire ciò che era inevitabile.
Del resto, guardi, tutto avvenne in maniera naturale. Non vi furono forzature. Chiaramente poi a suo tempo la cosa fu presentata quasi come una questione personale tra me e Pietro Nenni, ma tra di noi c'è sempre stata amicizia e una grandissima stima. La verità è che c'erano delle differenza sul piano ideologico e politico che erano insormontabili e che neppure gli avvenimenti che seguirono nel corso degli anni, e mi riferisco in particolare alle conseguenze del XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietico e alla divulgazione del testo di Nikita Kruscev, riuscirono mai a superare.
La verità, al riguardo, è che sapevamo tutti benissimo che cosa succedeva in Unione Sovietica. Ma questo non lo dico solo in riferimento alla adozione di una politica autoritaria da parte di Stalin: la questione era soprattutto di natura ideologica. La eccessiva burocratizzazione dell'apparato statale in Unione Sovietica aveva creato un sistema dove appariva quasi inevitabile si arrivasse a quelle conseguenze.
Intanto la vita politica del paese andava avanti e ci poneva davanti a delle scelte. Come leader del partito socialista democratico ho sempre riconosciuto la priorità della lotta parlamentare e la considerazione di ogni processo rivoluzionario sottoposto a quello che si ritiene necessario essere un contesto democratico.
La nostra fu una scelta netta e priva di ambiguità. Mentre il PSI non riuscì effettivamente mai a slegarsi completamente dal PCI così come dall'Unione Sovietica e finì per diventare un partito minoritario e dipendente dalla linea massimalista del PCI, che in Italia era il principale referente dei sovietici.
Ma la sua scelta, per quanto netta e priva di ambiguità non fu effettivamente una vera e propria svolta a destra?
S. Il mio orientamento politico è sempre stato rivolto a quello che è il pensiero marxista e al socialismo democratico. La mia scelta, per quanto anche dolorosa, fu netta e qualche cosa che ancora oggi non rimpiango nella maniera più assoluta: spostò in maniera decisiva l'asse delle scelte governative in una certa direzione, impedendo il possibile insorgere di derive verso destra che avrebbero in quel momento particolare potuto portare al ripetersi di situazioni da cui eravamo appena usciti.
Molti chiaramente criticarono e criticano ancora questa mia scelta, sono stato addirittura accusato di essere un fascista, ma penso che la mia assunzione di responsabilità sia stata importante in quel momento storico e anche per quello che riguarda l'adesione al patto atlantico che comunque ha rafforzato un blocco, quello occidentale, cui la storia ha dato in qualche maniera ragione rispetto a quello che accadde in Unione Sovietica.
Infine: no. Non mi sento colpevole per quelli che sono stati i fatti politici di queli anni, né per quelli che furono gli eventi molti anni dopo del Partito Socialista. A parte che io presi sin da subito una decisione netta rispetto al resto dei socialisti del nostro paese, a quel punto la mia fase storica e quella di altri uomini che fecero la storia del PSI come Pietro Nenni oppure Sandro Pertini si poteva considerare chiusa. Probabilmente quello che accadde in quel momento fu figlio delle tante divisioni interne al partito, ma ricercare delle colpe in figure del passato sarebbe sbagliato.
Mi sembra peraltro giusto sottolineare medie cose. Gli avvenimenti di quegli anni e quelle che possiamo considerare le 'derive' di un certo tipo riguardarono anche altri partiti politici e non solo il partito socialista.
4. Ha ricoperto per sette anni la carica più alta dello Stato ed è stato il primo socialista a ricoprire la carica di presidente della Repubblica. Che cosa ricorda di quei sette anni? Come ha voluto interpretrare il suo ruolo istituzionale? Peraltro lei è uno dei pochi che dopo avere ricoperto questa carica è ritornato a fare politica attivamente. Perché?
S. La mia nomina avvenne in un contesto particolare, perché il presidente uscente, Antonio Segni, dovette rinunciare alla carica a causa di problemi di salute. Peraltro ebbe un malore proprio durante una discussione con me e l'onorevole Aldo Moro.
Peraltro si era già parlato di una mia possibile nomina nel 1962, quando fu eletto proprio eletto proprio Antonio Segni. Nel 1964, invece, la scelta cadde su di me dopo una specie di 'scontro' - se così vogliamo dire - contro il mio amico Pietro Nenni. Per l'ennesima volta si parlò della rivalità tra noi due, ma alla fine fu proprio lui a sostenere in maniera diretta la mia candidatura.
Interpretrai gli anni della mia presidenza come avevo sempre considerato andasse svolto questo delicatissimo ruolo all'interno del sistema costituzionale: difendendo il ruolo centrale del parlamento e di cui rispettavo diciamo religiosamente l'azione.
Nel frattempo, è vero, mi adoperai personalmente nel tentativo di portare alla unificazione le forze socialiste. Tentativo che riuscì ma solo in parte e per un breve termine, perché dopo tre anni, il calo di voti alle elezioni politiche del 1968 comportarono una nuova scissione. Quella definitiva.
Finito il mio mandato, ritornai alla guida del mio partito per un breve periodo. L'ho fatto perché erano anni difficili e c'era bisogno di figure importanti di riferimento e io avevo fatto la resistenza, ero stato presidente della repubblica... Insomma si riteneva avessi un profilo importante e potessi essere la persona cui attaccarsi in un momento difficile e che peraltro era stato tra i fondatori del partito e tra i principali ispiratori del pensiero socialista democratico in Italia. Ma già allora il mio tempo era probabilmente passato: fu una esperienza breve ma nella quale comunque cercai di offrire la mia esperienza al servizio dei più giovani.
5. Con l'ultima domanda proviamo a costruire un ponte dal tempo passato fino ai giorni nostri. Perché la socialdemocrazia? Che cosa significava allora fare questa scelta e per quello che da osservatore è la sua idea, che significa essere socialdemocratico oggi? È sempre convinto che questa ideologia politica sia la giusta via al socialismo?
S. Intanto alla definizione di socialdemocratico, io ho sempre preferito quella di 'socialista democratico'. Il termine 'socialdemocrazia' può facilmente cogliere in errore e portare a sottovalutare il contenuto rivoluzionario del pensiero socialista democratico.
Perché il socialismo democratico? Perché avevamo capito che bisognava mettere al centro del processo rivoluzionario quelle che sono le libertà individuali e di conseguenza che si potesse pervenire al socialismo solo attraverso la democrazia.
Sono convinto peraltro che la storia mi abbia dato in qualche modo ragione. Lei mi chiede di costruire un ponte dal tempo passato fino ai nostri giorni. Ebbene, se c'è un ponte, questo è idealmente costituito dal pensiero socialista democratico, che oggi è ancora diffuso e costituisce una realtà in tutto il mondo occidentale. Compresi gli Stati Uniti d'America dove non a caso il principale leader del Partito Democratico è dichiaramente un socialista democratico.
Ma c'è di più. Penso che il fallimento del socialismo reale e dell'esperienza dell'Unione Sovietica ci abbiano insegnato molte cose sulla via giusta da percorrere per il socialismo e sulla importanza delle libertà individuali.
Oggi il mondo è molto diverso da quello che mi ha visto attivo sulla scena politica, ma sì, oggi più che ieri sono convinto che quella sia la giusta via da percorrere e a chi dice che non ci sono più ideali, rispondo di guardare dentro se stesso e di guardarsi attorno e di battersi in primo luogo per la democrazia, per le libertà individuali e la rivendicazioni dei diritti sociali. Un processo che può passare anche attraverso dei compromessi e se necessario anche spostando il baricentro secondo quello che si può ritenere una spinta centrifuga e la collaborazione internazionale con le altre forze democratiche, sia europee che gli stessi Stati Uniti d'America se necessario. Solo attraverso questo processo si potrà poi spianare la via al socialismo.
Presidente, ma quanto le ha pesato essere in qualche maniera considerato come l'uomo più odiato dalla sinistra italiana?
S. Mi ha pesato perché sono state dette delle cose sul mio conto che non corrispondono al vero e perché sono stato attacco anche su quella che era la mia vita personale e privata e purtroppo alcune di queste cose penso continuino ancora oggi a macchiare la mia immagine. Ma chi conosce la mia storia e chi sa come sono andate veramente le cose, penso che mi ricorderà come una persona coerente e soprattutto per quello che ho significato per il socialismo e la democrazia in questo paese. Questo peraltro vale anche per le persone che a suo tempo avevano idee politiche differenti dalle mie, a partire dagli altri appartenti al partito socialista con cui ci fu sempre uno scontro leale.
Ma alla fine con Pietro Nenni come vanno le cose adesso?
S. Come vuole che vadino. Stiamo sempre lì a litigare. Cane e gatto. Diciamolo pure ai nostri ascoltatori. In fondo ci sono miti che meritano di superare la prova nel tempo e se questo è un modo per ricordare sia me che Pietro Nenni allora va bene.
Con questa ultima domanda e un saluto ideale anche all'onorevole Pietro Nenni, concludiamo anche questa intervista.
Presidente io la ringrazio ancora per la disponibilità e auguro una buona serata a lei e a tutti i nostri ascoltatori. Ci vediamo alla prossima puntata.
S. Grazie a lei e a tutti gli ascoltatori. Buona serata a tutti.
'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'
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