editoriale di sotomayor

Bentrovati. Siamo qui come sempre in collegamento dai nostri studi radiofonici per proporre ai nostri ascoltatori una nuova intervista a uno dei nostri personaggi.

Ricordiamo che tutto questo è reso impossibile come sempre dalla nostra strumentazione speciale e dalla grande perizia dei nostri tecnici, che ci permettono di valicare il confine tra la vita e la morte e intervistare una persona che è stata ma che in qualche maniera è ancora. Del resto la morte, come la vita, è imperfetta e tante cose succedono dove regna il caos e ci sono quelle incongruenze tipiche che poi sono alla base della nascita del nostro universo.

Dopo Serge Voronoff e Garrincha questa volta intervistiamo un nostro connazionale.

Si tratta di una personalità molto importante e che per quella che è stata la sua storia politica e la storia politica del nostro paese anche molto discussa.

A maggior ragione, soprattutto per questo, non posso che ringraziarlo per avere accettato di sottoporsi a questa breve intervista.

L’ospite di oggi è Giuseppe Saragat (1898-1988).

Quinto Presidente della Repubblica Italiana, Giuseppe Saragat è stato una delle figure più importanti nella storia della Prima Repubblica. Iscritto al PSI sin dal 1922, confluì successivamente al seguito di Filippo Turati nel PSU di Giacomo Matteotti. Esule in Austria e in Francia, al ritorno in Italia entrò nella resistenza e fu condannato a morte dai nazi-fascisti ma scampò alla esecuzione. Presidente della assemblea costituente nel dopoguerra, ha rappresentato l’anima socialista democratica del PSI sin dalla scissione di Palazzo Barberini.

Storico il dualismo con l’amico-rivale, il ‘caro nemico’, Pietro Nenni, negli anni Saragat ha ricoperto diversi incarichi di governo e dal 1964 al 1971 è stato Presidente della Repubblica, il primo socialista a ricoprire questa carica.

Fatte tutte queste premesse, penso che sia giunto il momento di dargli la parola.

Buonasera Presidente e benvenuto a nome mio e di tutti gli ascoltatori.

S. La ringrazio e la saluto e saluto con grande affetto tutti gli italiani e le italiane che ci stanno ascoltando in questo momento.

Presidente la ringrazio molto per avere accettato questa intervista. Se per lei va bene adesso comincerei con le domande. Ci sono veramente tanto argomenti da trattare. Cercherò nei miei limiti di provare a toccare quelli più rilevanti.

S. Sono sicuro che farà del suo meglio. Cominciamo pure.

1. Presidente, come dicevo, ci sono così tanti argomenti da affrontare che è stato difficile per me decidere da dove cominciare. Così ho deciso di farlo da quello che è il momento più oscuro della storia del nostro paese: l'uccisione di Giacomo Matteotti per mano di una squadra fascista e volontà di Benito Mussolini. Che ricordo ha di quei giorni? Ricordiamo peraltro che lei faceva parte con Giacomo Matteotti di quella corrente riformista 'turatiana' che nel 1922 diede vita al Partito Socialista Unitario. Come commenta quella fase decisiva della storia del nostro paese e decisioni come la Secessione dell’Aventino? Rivendica ancora ora la giustezza di quelle scelte o ritiene che queste furono un errore.

S. Lei comincia effettivamente parlando di quella che giustamente definisce come la parte più oscura della storia del nostro paese, ma, vede, il delitto Matteotti - al di là del brutale atto omicida - fu effettivamente anche una delle pagine più oscure nella storia della democrazia in occidente nel ventesimo secolo. Alcuni storici, come ben saprà, fanno risalire alla gravità di questo episodio in maniera diretta quello che accadde negli anni seguenti fino ad Auschwitz. Un punto di vista forse poco condivisibile ma che spiega la portata e la gravità di questo momento.

Come lei dice, nel 1922 vi fu una scissione in seno al PSI, che seguiva come ben sappiamo quanto avvenuto nel 1921 con i fatti che portarono alla formazione del PCI.

Il PSU è storicamente ricordato come un partito riformista, ma è bene ricordare comunque la ispirazione al pensiero marxista, rivendicando tuttavia da una parte la propria indipendenza nell'azione politica dall'Unione Sovietica e dall'altro richiamando alla necessità di partecipare alla vita e alla lotta parlamentare e in maniera particolare in quel determinato contesto storico.

Furono queste dunque le ragioni alla base della nascita del PSU, un partito di ispirazione democratica e che non a caso fu per questa ragione il più perseguitato dal fascismo, così come successe ai socialdemocratici nella Germania hitleriana.

Senza dilungarmi troppo, poiché ci sarebbero sicuramente molte cose da raccontare, questi eventi ci conducono alla cosiddetta secessione dell'Aventino del 26 maggio 1924.

La storia ricorda ancora oggi questa scelta come un gravissimo errore e che di fatto devo dolorosamente considerare spianò la strada al fascismo. Ma fu una scelta condivisa da tutte le forze di opposizione e che probabilmente tutti quanti avremmo rifatto in osservanza a quei principi che vogliono il parlamento come la massima espressione del pensiero democratico.

Purtroppo nel frattempo Mussolini aveva già, come dire, tessuto la sua tela e legato a se stesso tutti i poteri forti nel paese. Non secondariamente la figura del re, che si fece praticamente beffe delle nostre lamentele.

Credo che la secessione dell'Aventino fosse l'unica scelta possibile all'interno di un contesto democratico. Solo che quello, oggi me ne rendo conto, non era più evidentemente un contesto democratico.

Da questo punto di vista fu commesso un errore di valutazione e anche da parte di rappresentanti storici del socialismo italiano, come Filippo Turati e Anna Kuliscioff che ancora in quei giorni sottovalutarono la portata di quegli aventi e la forza che aveva ottenuto il Partito Nazionale Fascista e Benito Mussolini. Ma non le posso dire che cosa sarebbe successo se avessimo agito diversamente. Nessuno può saperlo. L’unica alternativa sarebbe stata la guerra civile. Però probabilmente a quel punto sarebbe stato in ogni caso troppo tardi.

I fascisti erano pronti a questa evenienza e avevano il re dalla loro parte. Noi ci eravamo divisi per ragioni ideologiche senza considerare che una base comune poteva esserci: cioè la difesa e il rispetto della democrazia nel nostro paese.

2. Sul periodo relativo la seconda guerra mondiale e prima ancora il suo esilio forzato a partire dal 1926 in Austria e successivamente in Francia ci sarebbe moltissimo da dire. Lo stesso vale per la resistenza cui prese parte al rientro in Italia all'indomani del 25 luglio 1943. Ma vorrei domandarle in particolare di uno degli episodi più noti che la riguardano e che la videro protagonista assieme al Presidente Sandro Pertini. Entrambi foste catturati dalle autorità tedesche alla fine del 1943 e condannati a morte. Come avvenne l’evasione? Ma è vero che Pietro Nenni, che fu tra i principali organizzatori di questa operazione, scriveva ai compagni di partito che occorreva vi si liberasse il prima possibile aggiungendo 'Soprattutto Saragat,' richiamando una certa maggiore resistenza di Sandro Pertini rispetto alla sua?

S. Intanto devo dire che il mio periodo da esule, diciamo così, mi fu in qualche maniera molto utile per formare e completare il mio pensiero confrontandomi con delle realtà politiche diverse da quella italiana. In particolare fu rilevante l'incontro con l'austromarxismo e figure come Max Adler, Otto Bauer, Karl Renner... Tutto questo contribuì in maniera rilevante alla formazione del mio pensiero socialista democratico e che sviluppai negli anni successivi.

Ma furono anni duri. In Francia io e Pietro Nenni stringemmo una alleanza che poi avrebbe portato alla ricostituzione del partito socialista. Ma in Italia la situazione per tutti i compagni era difficile. Poi scoppiò la guerra. Fu un massacro con tanti italiani mandati a morire al fronte per la causa fascista. E come sappiamo le cose per quelli che restarono nel paese non andarono sicuramente meglio.

Quando rientrammo, ricostituito il partito socialista italiano, ne assunsi la direzione e entrai a fare parte della resistenza.

La vera o presunta frase pronunciata da Nenni è diventata leggenda. Secondo questa storia Pietro Nenni rimarcava il fatto che si dovesse procedere alla liberazione per entrambi - ovviamente - ma che la cosa andasse fatta con una certa urgenza soprattutto per me. Dando in questo senso per scontato che Pertini fosse oramai abituato alla prigionia e che vi avrebbe resistito senza problemi mente io ne avrei giustamente sofferto come ogni individuo costretto in quelle condizioni. [Ndr. Ride.].

Vera o no, questa resta una storia sulla quale in privato abbiamo sempre scherzato.

Mi lasci aggiungere che ho un ricordo molto affettuoso di Sandro Pertini, una persona eccezionale, brillante, sincera e onesta, dall’elevata caratura morale. Un vero socialista e che anche in quella occasione dimostrò tutta la sua grandezza adoperandosi al massimo per salvare la vita ad altri cinque compagni oltre che la mia e la sua.

La nostra fuga avvenne in maniera rocambolesca, grazie a un gruppo di partigiani socialisti delle Brigate Matteotti e a degli ordini di scarcerazioni falsi. Fu un piano ideato e diretto da Giuliano Vassalli. Che poi, ironia della sorte, fu egli stesso fatto più tardi prigioniero dai nazisti e fortunatamente successivamente liberato per intercessione, pare, del Papa Pio XII.

3. Finisce la guerra. Lei viene eletto presidente della Assemblea Costituente preposta alla stesura della Costituzione, lavori che si protrassero a tutto il 1948. Intanto le cose all'interno del partito socialista cominciano di nuovo a scricchiolare e nel 1947 si arriva alla famosa scissione di Palazzo Barberini e alla conseguente formazione del Partito Socialista Democratico Italiano. Si parlerà da quel momento in poi nel corso degli anni di dualismo tra lei e Pietro Nenni, che venne definito come il suo 'caro nemico'. Questa scissione fu la prima nel dopoguerra di una serie di errori compiuti dal partito socialista in Italia. Condivide oggi questa analisi? Col senno di poi avrebbe forse agito in maniera diversa? Oggi la storia ha in qualche modo condannato tutta la storia del socialismo italiano. Questo anche per quello che è successo con Bettino Craxi negli anni ottanta. Non si sente comunque in qualche modo responsabile di tutto questo?

S. Finita la guerra e risolta la questione monarchica con il referendum del 2 giugno 1946, era chiaramente centrale lavorare alla stesura della costituzione e nel frattempo garantire una certa stabilità in un momento comunque difficile come il dopoguerra. Ho ricoperto il ruolo di presidente dell'assemblea costituente dal giugno del 1946 fino al febbraio del 1947, fu un incarico di prestigio ma molto impegnativo e fu un momento molto importante nella storia del nostro paese e del quale mi sembra che oggi ci sia poca memoria. La repubblica e la costituzione sono le basi della vita democratica nel nostro paese.

Come arrivammo alla scissione di Palazzo Barberini?

È vero che il Presidente Sandro Pertini fece di tutto per evitare la scissione?

S. Sì. Sandro Pertini, come le ho detto precedentemente, fu un uomo eccezionale e anche in quei momenti difficili dimostrò tutto il suo spessore umano e politico. Ma nemmeno lui poté impedire ciò che era inevitabile.

Del resto, guardi, tutto avvenne in maniera naturale. Non vi furono forzature. Chiaramente poi a suo tempo la cosa fu presentata quasi come una questione personale tra me e Pietro Nenni, ma tra di noi c'è sempre stata amicizia e una grandissima stima. La verità è che c'erano delle differenza sul piano ideologico e politico che erano insormontabili e che neppure gli avvenimenti che seguirono nel corso degli anni, e mi riferisco in particolare alle conseguenze del XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietico e alla divulgazione del testo di Nikita Kruscev, riuscirono mai a superare.

La verità, al riguardo, è che sapevamo tutti benissimo che cosa succedeva in Unione Sovietica. Ma questo non lo dico solo in riferimento alla adozione di una politica autoritaria da parte di Stalin: la questione era soprattutto di natura ideologica. La eccessiva burocratizzazione dell'apparato statale in Unione Sovietica aveva creato un sistema dove appariva quasi inevitabile si arrivasse a quelle conseguenze.

Intanto la vita politica del paese andava avanti e ci poneva davanti a delle scelte. Come leader del partito socialista democratico ho sempre riconosciuto la priorità della lotta parlamentare e la considerazione di ogni processo rivoluzionario sottoposto a quello che si ritiene necessario essere un contesto democratico.

La nostra fu una scelta netta e priva di ambiguità. Mentre il PSI non riuscì effettivamente mai a slegarsi completamente dal PCI così come dall'Unione Sovietica e finì per diventare un partito minoritario e dipendente dalla linea massimalista del PCI, che in Italia era il principale referente dei sovietici.

Ma la sua scelta, per quanto netta e priva di ambiguità non fu effettivamente una vera e propria svolta a destra?

S. Il mio orientamento politico è sempre stato rivolto a quello che è il pensiero marxista e al socialismo democratico. La mia scelta, per quanto anche dolorosa, fu netta e qualche cosa che ancora oggi non rimpiango nella maniera più assoluta: spostò in maniera decisiva l'asse delle scelte governative in una certa direzione, impedendo il possibile insorgere di derive verso destra che avrebbero in quel momento particolare potuto portare al ripetersi di situazioni da cui eravamo appena usciti.

Molti chiaramente criticarono e criticano ancora questa mia scelta, sono stato addirittura accusato di essere un fascista, ma penso che la mia assunzione di responsabilità sia stata importante in quel momento storico e anche per quello che riguarda l'adesione al patto atlantico che comunque ha rafforzato un blocco, quello occidentale, cui la storia ha dato in qualche maniera ragione rispetto a quello che accadde in Unione Sovietica.

Infine: no. Non mi sento colpevole per quelli che sono stati i fatti politici di queli anni, né per quelli che furono gli eventi molti anni dopo del Partito Socialista. A parte che io presi sin da subito una decisione netta rispetto al resto dei socialisti del nostro paese, a quel punto la mia fase storica e quella di altri uomini che fecero la storia del PSI come Pietro Nenni oppure Sandro Pertini si poteva considerare chiusa. Probabilmente quello che accadde in quel momento fu figlio delle tante divisioni interne al partito, ma ricercare delle colpe in figure del passato sarebbe sbagliato.

Mi sembra peraltro giusto sottolineare medie cose. Gli avvenimenti di quegli anni e quelle che possiamo considerare le 'derive' di un certo tipo riguardarono anche altri partiti politici e non solo il partito socialista.

4. Ha ricoperto per sette anni la carica più alta dello Stato ed è stato il primo socialista a ricoprire la carica di presidente della Repubblica. Che cosa ricorda di quei sette anni? Come ha voluto interpretrare il suo ruolo istituzionale? Peraltro lei è uno dei pochi che dopo avere ricoperto questa carica è ritornato a fare politica attivamente. Perché?

S. La mia nomina avvenne in un contesto particolare, perché il presidente uscente, Antonio Segni, dovette rinunciare alla carica a causa di problemi di salute. Peraltro ebbe un malore proprio durante una discussione con me e l'onorevole Aldo Moro.

Peraltro si era già parlato di una mia possibile nomina nel 1962, quando fu eletto proprio eletto proprio Antonio Segni. Nel 1964, invece, la scelta cadde su di me dopo una specie di 'scontro' - se così vogliamo dire - contro il mio amico Pietro Nenni. Per l'ennesima volta si parlò della rivalità tra noi due, ma alla fine fu proprio lui a sostenere in maniera diretta la mia candidatura.

Interpretrai gli anni della mia presidenza come avevo sempre considerato andasse svolto questo delicatissimo ruolo all'interno del sistema costituzionale: difendendo il ruolo centrale del parlamento e di cui rispettavo diciamo religiosamente l'azione.

Nel frattempo, è vero, mi adoperai personalmente nel tentativo di portare alla unificazione le forze socialiste. Tentativo che riuscì ma solo in parte e per un breve termine, perché dopo tre anni, il calo di voti alle elezioni politiche del 1968 comportarono una nuova scissione. Quella definitiva.

Finito il mio mandato, ritornai alla guida del mio partito per un breve periodo. L'ho fatto perché erano anni difficili e c'era bisogno di figure importanti di riferimento e io avevo fatto la resistenza, ero stato presidente della repubblica... Insomma si riteneva avessi un profilo importante e potessi essere la persona cui attaccarsi in un momento difficile e che peraltro era stato tra i fondatori del partito e tra i principali ispiratori del pensiero socialista democratico in Italia. Ma già allora il mio tempo era probabilmente passato: fu una esperienza breve ma nella quale comunque cercai di offrire la mia esperienza al servizio dei più giovani.

5. Con l'ultima domanda proviamo a costruire un ponte dal tempo passato fino ai giorni nostri. Perché la socialdemocrazia? Che cosa significava allora fare questa scelta e per quello che da osservatore è la sua idea, che significa essere socialdemocratico oggi? È sempre convinto che questa ideologia politica sia la giusta via al socialismo?

S. Intanto alla definizione di socialdemocratico, io ho sempre preferito quella di 'socialista democratico'. Il termine 'socialdemocrazia' può facilmente cogliere in errore e portare a sottovalutare il contenuto rivoluzionario del pensiero socialista democratico.

Perché il socialismo democratico? Perché avevamo capito che bisognava mettere al centro del processo rivoluzionario quelle che sono le libertà individuali e di conseguenza che si potesse pervenire al socialismo solo attraverso la democrazia.

Sono convinto peraltro che la storia mi abbia dato in qualche modo ragione. Lei mi chiede di costruire un ponte dal tempo passato fino ai nostri giorni. Ebbene, se c'è un ponte, questo è idealmente costituito dal pensiero socialista democratico, che oggi è ancora diffuso e costituisce una realtà in tutto il mondo occidentale. Compresi gli Stati Uniti d'America dove non a caso il principale leader del Partito Democratico è dichiaramente un socialista democratico.

Ma c'è di più. Penso che il fallimento del socialismo reale e dell'esperienza dell'Unione Sovietica ci abbiano insegnato molte cose sulla via giusta da percorrere per il socialismo e sulla importanza delle libertà individuali.

Oggi il mondo è molto diverso da quello che mi ha visto attivo sulla scena politica, ma sì, oggi più che ieri sono convinto che quella sia la giusta via da percorrere e a chi dice che non ci sono più ideali, rispondo di guardare dentro se stesso e di guardarsi attorno e di battersi in primo luogo per la democrazia, per le libertà individuali e la rivendicazioni dei diritti sociali. Un processo che può passare anche attraverso dei compromessi e se necessario anche spostando il baricentro secondo quello che si può ritenere una spinta centrifuga e la collaborazione internazionale con le altre forze democratiche, sia europee che gli stessi Stati Uniti d'America se necessario. Solo attraverso questo processo si potrà poi spianare la via al socialismo.

Presidente, ma quanto le ha pesato essere in qualche maniera considerato come l'uomo più odiato dalla sinistra italiana?

S. Mi ha pesato perché sono state dette delle cose sul mio conto che non corrispondono al vero e perché sono stato attacco anche su quella che era la mia vita personale e privata e purtroppo alcune di queste cose penso continuino ancora oggi a macchiare la mia immagine. Ma chi conosce la mia storia e chi sa come sono andate veramente le cose, penso che mi ricorderà come una persona coerente e soprattutto per quello che ho significato per il socialismo e la democrazia in questo paese. Questo peraltro vale anche per le persone che a suo tempo avevano idee politiche differenti dalle mie, a partire dagli altri appartenti al partito socialista con cui ci fu sempre uno scontro leale.

Ma alla fine con Pietro Nenni come vanno le cose adesso?

S. Come vuole che vadino. Stiamo sempre lì a litigare. Cane e gatto. Diciamolo pure ai nostri ascoltatori. In fondo ci sono miti che meritano di superare la prova nel tempo e se questo è un modo per ricordare sia me che Pietro Nenni allora va bene.

Con questa ultima domanda e un saluto ideale anche all'onorevole Pietro Nenni, concludiamo anche questa intervista.

Presidente io la ringrazio ancora per la disponibilità e auguro una buona serata a lei e a tutti i nostri ascoltatori. Ci vediamo alla prossima puntata.

S. Grazie a lei e a tutti gli ascoltatori. Buona serata a tutti.

'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'

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editoriale di zaireeka

Oggi è Natale.

La “festa più bella dell’anno”.

Ne sono venuto a conoscenza un anno fa, tramite un forum non ricordo dove.

Da allora ho cercato negli archivi storici della Rete informazioni a riguardo.

Ho trovato delle pagine molto particolari, su cui la gente si scambiava gli auguri.

In un caso, risalente addirittura al dicembre di cento anni fa, davvero in una maniera molto originale e divertente.

A quanto pare celebrava una ricorrenza, forse storica, o forse no, forse qualcos'altro.

Su questo non sono riuscito a trovare ulteriori informazioni.

Mi sono iscritto a questo forum.

Chiedono solo una data, un numero di carta di credito, ed il gioco e’ fatto.

Oggi, 21 maggio, siamo qui con un altro milione di utenti in tutto il mondo che festeggiamo il Natale, scambiandoci auguri e regali.

E’ davvero “la festa più bella dell’anno".

Almeno di questo 2117.

Auguri a tutti.

Appendice del 23/12/2017

Lo ritengo un compleanno, quello di Gesù bambino, e come ogni compleanno ha una data fissa: ti faccio un invito e tu non vuoi venire, tutto qui... Il resto è un contorno💝

(@[Geo@Geo])

Bellissimo commento .. Forse vincere la morte nel messaggio cristiano significa proprio questo, continuare nei millenni a festeggiare una nascita. Grazie del passaggio, auguri ed un abbraccio

(zaireeka)

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editoriale di lector

Auguri di serene festività a tutti i DeBaseriani.

(Aziendale): DeBaser è lieta di augurare Buone Feste a tutti i suoi iscritti.

(Allitterazione): Auguri beneauguranti di festività festose. Sento che le debbo a voi DeBaserioti.

( @De...Marga...): Alegar bei fiol. Buon Natale da una nevosa Domodossola. Che poi, quel Natale lì, io l’ho visto due volte in concerto a Mezzago!

(Ossimoro): Che siano tranquillamente eccitanti le vostre laboriose festività, amorevoli DeBaseriani.

(Telegrafico): Pregiomi augurare Buone Feste-stop-DeBaseriani tutti-stop -

(Buzzin\ @Alfama): Nevosi alberelli luccicanti. Festanti DeBaseriani. Palle.

(Preterizione): Inutile dirvi per quali feste ed a chi sono dedicati questi auguri.

(Onomatopea): Dlìn Dlòn, gnam gnam, tpitiptip, lalala, sbùm, clap clap, bùrp.

(Ribaldo\ @Cialtronius): Annatevene a pijarvelo n’saccoccia voi e il Natale. Fighetti.

(Cameratesco): Impavidi affronteremo questi giorni che non temiamo. Cercheranno di piegarci, di abbuffarci, di blandirci, ma noi non cederemo. Mai!

( @Sotomayor): Cioè, io volevo dire che, tutto considerato e tenuto conto di quanto già detto in altre occasioni, senza per questo voler dimenticare il contesto e, sempre ricordando la lezione di certo cinema ed anche fatta salva la forza delle nuove leve della psychedelia californiana (ma considerando anche la sci-fi classica), ecco, credo di poter affermare e ribadire il mio concetto: Buone Feste.

(Ellissi): Auguri a tutti.

(Burocratico): Visto: l’avvicinarsi di un dato numero di giorni festivi. Visto: il riempirsi di dispense e frigoriferi ed affini. Tenuto conto: della quantità di sonno da recuperare. Considerato: l’assieparsi alle porte di nipoti, nonni, zie, parenti vari e correlati. Si decreta: di augurare ai debaseriani tutti Buone Feste.

( @Pinhead): qui

(Prosopopea): Le Feste si avvicinano a noi per donarci, lo auguro ai DeBaserioti tutti, pace e serenità.

(Depresso): Ok, divertitevi pure, voi, non pensate a me….

( @Sergio 60): auvguri…di sere nefestivta…a tuttti…i debwaseriani. Bella a Flanagan.

(Iperbato): Serene Feste, a voi DeBaseriani, auguro.

( @Flo): Vi ho voluto bene, bastardi. Auguri lo stesso.

(Pubblicitario): A partire dal 24 dicembre, allegato in omaggio per tutti gli iscritti a DeBaser, oltre ad un augurio di buone feste anche un esclusivo “Buon 2018”. Solo con DeBaser. Approfittatene!

(Apostrofe): Andate, miei sentiti auguri, nelle case dei DeBaseriani tutti.

( @Mikinicagi): Uno zaino protonico a Scrooge, un giro di basso decente ai Future of the Left. Woa, mica facile il mestiere di Babbo Natale! Che se non fosse Natale, allora tutti da Gino a farci un chinotto e giù gran manate sulle spalle. Invece tocca pensarci, tipo: una trama sensata per Scurati e per voi tutti cinque alto e una paccata di auguri.

(Allusivo): A chi so io, voi sapete cosa e sapete per quando….

( @Luludia & prole): Che gli alberelli illuminati sono malinconici come gli organetti del circo. Che, a Orsetto, è proprio quella melanconia che gli piace più di tutto del Natale. Ed anche alle ragazze furetto piace quella bruma spumosa. Che tutti gli auguri, poi, si dimenticano ma nell’aria rimane appiccicata la magia. Trallalla.

(Sineddoche): Nel giorno di festa, mille e mille auguri porgo al DeBaseriano.

(Metereologico): Previsto, per fine dicembre, l’arrivo di una estesa perturbazione che porterà sul DeB una pioggia di auguri. Più o meno graditi.

[ @NAB (m-l)]: Comunicato n°241 dal NAB: non ci può esser festa finché il proletariato continuerà ad essere sfruttato. Quando tutte le catene saranno spezzate, quando il DeB verrà liberato dai gioghi gerarchici che sbarrano la strada all'avvento di una nuova e futura umanità, allora festeggeremo. Guardatevi dal rammollimento borghese. Vigilate compagni!

(Giornalistico): Arrestato anziano lappone colto nel tentativo di introdurre illegalmente nel nostro paese giocattoli di provenienza sconosciuta.

(Zot): Auguri.

( @Odradek): Grassi indigesti e fritture pericolose. Dolci duri che attentano alla dentiera. Chiasso. Natale non è un paese per vecchi (cacacazzi).

(Cleuasmo): In fondo, chi sono io, per porgervi i miei auguri? Ma, sappiate, che sono sentiti.

( @Sfasciacarrozze): Deauguri ad iòsam a tutt_ i/le Debaserian_ dal vostro Sphascia(carrozam) di fiducia. Aiò.

(Finto giovanile): Bella lì, raga. Inutile sbalconare, ci aspetta uno sbattone. Giorni pesi, e allora scialla e tanti auguri al DeB. Evvai di like.

(Asindeto): Natale, vociare festante, scontata allegrezza, incontri. Auguri.

( @Imasoulman): “Come? ... pranzare in casa? | Pranzare in casa è male | Oggi ch'è la vigilia di Natale!” (La Bohème). Che Wittgenstein mi perdoni….

(Elettorale): Una proposta chiara: Auguri per tutti!

( @Heartshapedbox): qui

(Anacoluto): Si sa che a noialtri DeBaseriani, ci piace di farci gli auguri.

(Il Conte): Tanti nobili auguri a tutti. Vabbé, però adesso mi emoziono…. Sono grande e grosso e pure sensibile e posseduto dai demoni del blues.

(Preciso): augùrio s. m. [dal lat. augurium, der. di augur «augure»]. – 1. a. In senso proprio, la cerimonia con cui gli àuguri ricavavano presagi dall’osservazione del volo degli uccelli o da altri fenomeni; anche, il presagio stesso. b. non com. L’arte divinatoria degli àuguri. 2. Presagio in genere, indizio, previsione di eventi buoni o cattivi: essere di buono, lieto, felice, o di cattivo, tristo, sinistro a.; questo fatto mi pare di ottimo a.; le sue parole mi suonano di pessimo a. (v. anche malaugurio). Quindi anche presentimento: Or tristi auguri e sogni e penser negri Mi danno assalto (Petrarca). 3. Desiderio che accada qualcosa di bene, e l’espressione stessa di questo desiderio: formulare un a.; a. di felicità, di buona fortuna; ti faccio l’a. di guarir presto; gradisci i miei più sinceri augurî; cerca di riuscire: questo è il mio a. più cordiale. Inoltre: fare, porgere, mandare, inviare gli augurî; lettera, cartolina, biglietto di augurî, per le maggiori solennità o per qualche avvenimento particolare, come compleanno, onomastico, matrimonio, ecc. (e in questi casi si adopera sempre al plurale). [fonte: Dizionario Treccani online]

No, non ne faccio 99, in fondo queste sono esercitazioni, mica esercizi (di stile).

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editoriale di sotomayor

Rieccoci in collegamento dal nostro studio radiofonico per una nuova intervista di cinque domande a un personaggio impossibile e che è passato alla storia per il suo contributo rilevante a quello che possiamo considerare come il grande viaggio della nostra specie.

Ricordiamo che tutto questo è reso impossibile dalla speciale strumentazione in dotazione al nostro studio e dai nostri tecnici, che con la loro perizia ci permettono questa occasione unica di potere entrare in contatto diretto con il mondo dei morti. Parlare con i morti per parlare della loro vita e ricordare a tutti i nostri ascoltatori che la vita è bella, ma non è mai perfetta.

Questa volta sono, come dire, felicissimo di introdurre il nostro ospite speciale. Un personaggio che sicuramente tutti gli appassionati di calcio conosceranno e riconosceranno come una delle stelle più luminose che hanno fatto la storia di questo sport.

Parlo di Manoel Francisco dos Santos meglio noto come 'Garrincha'.

Mané è nato a Magé nello Stato di Rio de Janeiro il 28 ottobre 1933. Ala destra. Fu uno dei giocatori simbolo del Botafogo, uno dei club più importanti del paese, e in particolare della Nazionale brasiliana con la quale giocò più di dieci anni, collezionando 50 presenze e 12 reti, ma soprattutto vincendo due edizioni della Coppa del mondo.

Deceduto a Rio de Janeiro il 30 gennaio 1983 all'età di soli quarantanove anni, ancora oggi Garrincha resta uno dei giocatori di calcio più amati dai brasiliani. Forse più dello stesso Pelé.

Per me che sono un grande appassionato di questo sport, possiamo dire che intervistare Garrincha costituisce una opportunità unica.

Benvenuto Mané.

G. Buonasera a tutti.

Vi ringrazio per avermi invitato. È sicuramente molto strano per me, dopo tutto questo tempo, ricevere tutta questa attenzione. Ma sono molto contento. La considero una opportunità per, come dire, parlare di calcio e del mio calcio ai più giovani che magari non mi hanno mai visto giocare. Quindi va bene. Va benissimo così.

1. Cominciamo con la prima domanda. La storia ci racconta che sin dalla nascita tu sia stato afflitto da diversi difetti congeniti: strabismo, la spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino e sei centimetri di differenza in lunghezza tra le gambe nonostante un interento chirugico correttivo. Una malformazione dovuta alla poliomielite che praticamente avrebbe dovuto impedirti di giocare al calcio e invece... Molti sostengono tu avessi una andatura sbilenca e che quelli che avrebbero dovuto costituire dei limiti in realtà fossero i punti di forza e il segreto del tuo dribbling. Che cosa c'è di vero in tutto questo?

G. Tutto quello che hai detto corrisponde alla verità. Sono nato in una famiglia molto povera e credo che se pure ci fossero state delle cure a quei problemi, non avrei potuto accedervi. Mio padre, che discendeva da una tribù di indios dell'Alagoas, pensò allora di curarmi secondo i metodi tradizionali della sua gente e somministandomi una mistura a base di cachaca, quella che voi chiamate 'acquavite'. Ma chi lo sa se questa abbia veramente avuto effetto.

Ma non lo so se questi problemi siano stati per me un vantaggio come calciatore. Alcuni dicevano effettivamente che avessi una andatura particolare e poiché da bambino ero anche molto piccolo una delle mie sorelle cominciò a chiamarmi 'Garrincha’. Un piccolo passerotto.

Quello che posso dire è che penso di essere stato fortunato. Non sono mai stato molto religioso ma ecco possiamo dire che io abbia ricevuto una specie di dono del signore. Sapevo giocare a calcio. Sapevo giocare a calcio molto bene.

Alcuni dicono che Dio ti toglie delle cose e te ne dà delle altre. Io non lo se questo sia vero, ma nel mio caso è andata veramente così.

2. Mané senza dubbio sei stato un grandissimo calciatore. Universalmente sei considerato come uno dei giocatori più forti di tutti i tempi. Alcuni critici e storici del gioco del calcio ti considerano anzi proprio come il più forte calciatore di tutti i tempi alla pari di Pelé e di Diego Armando Maradona. Che cosa ne pensi di questo confronto? Ti sembra troppo impegnativo?

G. Intanto voglio dire che essere accostato a due grandi del gioco del calcio come Pelé e Maradona mi fa molto piacere. Parliamo di due calciatore che come me sono stati degli spiriti liberi sul campo da gioco. Due calciatori che avevano una grande fantasia e che giocavano per i tifosi e per la loro gioia oltre che per se stessi. Però non ti posso dire molto su Maradona perché dopo che ho smesso di giocare non ho più seguito tanto il calcio. Ho chiuso quella pagina della mia vita, ma mi è dispiaciuto perché allo stesso tempo anche il mondo del calcio ha chiuso con me e sono stato in qualche modo dimenticato.

Non penso comunque che questo paragone sia troppo impegnativo. Sono stato un calciatore, come dire, abbastanza bravo da reggere il confronto.

Ma Pelè era veramente così forte come dicono?

G. Pelé era fortissimo. Chi sostiene che sia sopravvalutato allora non lo ha mai visto giocare. Ha segnato più di mille goal, ha vinto tre Mondiali... Pelé è il calcio e giocare con lui era fantastico.

Quando abbiamo giocato assieme con la maglia amarella non abbiamo mai perso. Ma del resto io ho perso una sola partita con la Nazionale brasiliana. L'ultima. Nel 1966 contro l'Ungheria...

3. Il 1966 è stato il tuo ultimo Mondiale, ma si può dire che in quel momento tu fossi già in una fase calante della tua carriera? Allo stesso tempo possiamo dire che il tuo momento migliore sia stato invece il Mondiale del 1962 in Cile?

G. Probabilmente questo è successo anche a causa dell'infortunio di Pelé.

Parlo del Mondiale del 1962 in Cile.

Chiariamoci. Non voglio dire che questo fu una fortuna. Anzi. Però dopo l'infortunio di Pelé, dato che c'erano comunque grandissime aspettative nei confronti della squadra, ognuno di noi ha dovuto caricarsi sulle spalle una responsabilità ancora più grande. Così penso che durante quel Mondiale io abbia offerto le migliori prestazioni della mia carriera: la squadra puntava molto su di me e le mie giocate e alla fine sono stato capocannoniere e il migliore giocatore del torneo.

Purtroppo da quel momento in poi ho cominciato a essere bersagliato dagli infortuni.

Ho fatto tutto quello che potevo per continuare a giocare, perché avevo bisogno di soldi, perché non potevo stare lontano da un campo di calcio. Avevo bisogno di giocare perché il calcio per me era motivo di gioia e era motivo di gioia per tutti quelli che tifavano per me e questo mi dava una carica incredibile. Il calcio era la mia unica vera ragione di vita.

Quando ho dovuto smettere definitivamente è stato tutto più difficile.

4. Ci parli della tua relazione con Elza Soares? Fu una relazione molto discussa. Così come il vostro trasferimento in Italia nel 1969. Cosa ricordi di quegli anni in Italia?

G. Elza era una donna bellissima e una grande artista e che per me ha fatto molto. Molto più di quanto io abbia fatto per lei.

Fu lei a insistere perché io mi rimettessi in piedi per giocare i Mondiali del 1966.

Si prese cura di me anche dopo la morte di Donna Rosaria (Ndr. La madre di Elza Soares, morta in un incidente stradale, mentre alla guida dell'automobile era proprio Garrincha.) e durante tutti gli anni che abbiamo passato assieme. Anche nel periodo che abbiamo passato in Italia. Mi è stata accanto fino all'ultimo giorno.

Molti dicono che siamo venuti in Italia perché io ero in depressione e avevo problemi con l'alcol, ma in verità questo è successo perché in Brasile c'erano i militari e gli artisti come Elza non erano ben visti. Non è stata l'unica artista brasiliana che è venuta a stare in Italia durante quel periodo.

Non ricordo però molto di quegli anni nel vostro paese: non è stata una fase felice della mia vita. Mi sono rimasti solo ricordi confusi. Forse ho voluto semplicemente dimenticare.

Per quanto riguarda Elza poi è finito tutto. È stata colpa mia, spero che almeno dopo tutto questo tempo mi abbia perdonato e conoscendola so che deve essere così.

5. Possiamo parlare di come tutto è finito Mané? So che è un argomento delicato, ma spero tu non abbia problemi a parlarne oggi dopo tutto questo tempo. Dopo la rottura definitiva con Elza Soares, la tua situazione di salute, mi riferisco alla depressione e ai problemi di alcolismo, si aggravarono ulteriormente fino alla tua morte. Sei morto triste, malato e completamente in solitudine. Eppure quando giocavi eri 'la gioia del popolo', il calciatore che ha regalato più allegria di chiunque altro quando calcava un campo di calcio. Un giornalista italiano (Ndr. Franco Rossi.) ha scritto che tu sei più amato di Pelé dai brasiliani. Perché Pelé è quello che i brasiliani vorrebbero diventare, mentre tu sei esattamente come loro sentano di essere. Che loro si identificano con te. Che ti considerano uno di loro. Perché sei morto da solo e dimenticato da tutti allora?

G. Parlare di problemi come la depressione è qualche cosa di difficile per tutti ancora al mondo di oggi a più di trent’anni dalla mia morte.

Penso di essere sempre stato triste. Ho sempre avuto una specie di buco dentro, ma quando giocavo a calcio, quando giocavo davanti a tutti quei tifosi che facevano il tifo per me, io mi sentivo speciale. Loro erano felici, io ero felice. Ero veramente 'la gioia del popolo'.

Quanto tutto questo è finito non avevo più niente e provavo a riempire questo vuoto con le donne, ne ho amate tante, mi piacevano le donne. Con l'alcol. Ho cominciato a bere e fumare quando ero solo un bambino. Ma niente mi aiutava veramente a colmare quella sensazione di vuoto.

Durante gli anni in cui giocavo, il calcio mi spingeva a stare lontano da queste tentazioni, dava veramente senso alla mia vita, ma quando tutto è finito e dopo l'incidente e la morte di Rosaria, Garrincha non è stato più la gioia del popolo. Anzi non c'è stato più nessun Garrincha, quello era rimasto su qualche campo da calcio alla ricerca di se stesso, mentre Mané è rimasto solo e Mané era triste e depresso.

Ma penso che i brasiliani mi abbiano voluto bene e mi vogliano bene ancora oggi e questo per me significa molto, perché significa che loro lo sanno che io ho giocato per la loro gioia e che la loro gioia era la mia, perché eravamo tutti tristi e avevamo bisogno di vedere rotolare quel pallone nel quale c’erano dentro tutti i nostri sogni. C’era un legame speciale tra me e loro e che anche il tempo non potrà mai spezzare.

Mané, ti ringrazio molto per questa intervista e perché oltre che parlare di calcio, ci hai aperto il tuo cuore e parlato di temi molto difficili.

Permetti? Se non ti dispiace, prima di salutarti, vorrei darti un abbraccio.

G. Perché no...

(Ndr. Il conduttore e Mané si alzano dalle rispettive postazioni e si stringono in un abbraccio fraterno.)

Con questo abbiamo chiuso anche questa intervista impossibile.

Dalla nostra postazione è tutto. Da parte mia, di Mané e di tutto lo staff tecnico che ha reso possibile la trasmissione, un augurio di buona serata a tutti gli ascoltatori.

G. Buonasera. Ciao. Deus vos guarde.

'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'

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editoriale di sotomayor

Ci sta questo locale a Kreuzberg, Berlino Est, che si chiama ‘Madame Claude’. Il posto è carino. Voglio dire, niente di particolare, semplicemente un classico sotto-scala con quattro-cinque locali a disposizione. Ma è accogliente. Ce lo avevo proprio dietro casa. Cinque minuti a piedi. Dieci se avevo i piedi troppo gonfi per il freddo.

Chiara amava quel posto e ci andavamo ogni settimana. Specialmente il lunedì. Perché il lunedì al Madame Claude era la serata dedicata agli artisti di musica elettronica sperimentale e lei ci teneva tantissimo a assistere a ogni performance. Ammetto che sono sempre stato una persona di poche pretese. Non me ne importava niente di queste performance, ma mi bastava semplicemente uscire e stare assieme. Dunque perché no. Ci tengo a dire che non ho mai lasciato trapelare poco entusiasmo, anzi a volte le proponevo proprio io direttamente di andarci. Meglio che restare sempre chiusi in casa.

Questi happening avvenivano all’interno di una delle sale del locale che veniva attrezzata con delle sedie. In fondo alla sala venivano generalmente proiettate delle immagini. Si trattava del resto per lo più di opere concettuali e cui anche queste avevano o avrebbero dovuto avere evidentemente un ruolo centrale.

Naturalmente, mi sembra inutile specificarlo, la maggior parte dei progetti proposti era assolutamente inascoltabile. Ma Chiara amava quelle performance che ogni volta seguiva ad occhi chiusi per tutto il tempo e io per dire la verità sopportavo in maniera molto religiosa anche questo suo atteggiamento. Sono sempre stato abituato a stare da solo, di conseguenza quando sono in compagnia di qualcuno da qualche parte, da qualsiasi parte, voglio parlare. Non sto dicendo di chiacchierare ad alta voce ogni volta, ma, cazzo, io se non voglio parlare con nessuno, me ne sto a casa mia da solo, non posso concepire di stare tutto il tempo accanto a una persona immobile in silenzio in una specie di stato di trance. Questo mentre dei ragazzetti molto alternative giocano con i loro ‘canta tu’ da milioni di euro e urlano delle grida al microfono che ricordavano quelle di Fantozzi nei momenti più tragici. Però la rispettavo molto e allora immaginavo che questa cosa per lei avesse un qualche significato particolare.: come se questa esperienza in ogni caso la facesse entrare tipo in una specie di trance meditativa. Come praticare lo yoga. Non lo so.

Le immagini proiettate erano comunque tratte da film sperimentali giapponesi oppure coreani o in ogni caso da qualche pellicola che a un povero ‘peones’ come me non diceva assolutamente nulla. Molto spesso non credo queste avessero un contenuto direttamente collegato con il concept (eventuale) che si voleva sviluppare e che fossero chiaramente invece una specie di esibizione alternative anch'esse. Ma una sera in via del tutto imprevista ecco che sullo schermo cominciarono a scorrere delle immagini familiari e che riconosco immediatamente. Il film è ‘Arrivano i titani’ del 1962, un ‘peplum’ diretto da Duccio Tessari e con il suo feticcio Giuliano Gemma nel ruolo di protagonista.

Nella sala eravamo gli unici italiani quindi immagino che nessun altro oltre me abbia capito esattamente di cosa si trattasse. Mi sentii fiero e orgoglioso di avere riconosciuto quel film. Che finalmente avevo trovato qualche cosa in un luogo 'ostile' che mi apparteneva e di cui potevo rivendicare il pieno possesso. Allora cominciai a dare dei colpetti a Chiara: ‘Chiara... Oh, Chiara, guarda lì, c’è Giuliano Gemma...’ Ma lei, dopo aver fatto un po' di resistenza, si limitò a emettere un grugnito, quindi fece una mossa come se fosse stata colpita da una tarantola e io allora rinunciai e continuai a ‘guardare il film’.

La performance si concluse dopo poco e lei volle subito andare via. Fuori faceva un freddo cane e per qualche ragione lei aveva voluto uscire vestita solo con i leggings e un giubbotto di pelle. Le stavano bene ma faceva oggettivamente un freddo cane e io glielo avevo detto, ‘Guarda Chiara che fa un freddo cane.’ Ma ogni volta che glielo dicevo, lei diceva che io avevo sempre freddo. Non ci stava una cosa che le dicessi che per lei andasse bene. Tremava, io come sempre mi avvicinai a lei con una certa premura, ma venni nettamente respinto. Poi passa la metropolitana finalmente. La U2. Facciamo due fermate e poi dieci-quindici minuti a piedi e siamo a casa sua. Percorriamo tutto il tragitto in totale silenzio interrotto di tanto in tanto da alcuni miei velleitari approcci e tentativi di capire.

Ci spogliamo in silenzio (cioè io mi tengo comunque addosso almeno i calzettoni di lana se non la calzamaglia) e ci infiliamo direttamente a letto. Lei assume da subito la sua tipica posizione difensiva dandomi le spalle. Io mi sento male e penso semplicemente che non ho capito un cazzo e mi metto a fissare il soffitto. Dopo un po’ mi fa, ‘Che fai?’ E io le dico, ‘No, niente, cioè guardavo il lampadario. È sferico, mi fa pensare a una volta che dovevo andare al planetario, ma non mi hanno fatto entrare.’ Lei mi dice, ‘Buonanotte.’ E io sono sicuro ancora a distanza di tanti anni di non avere capito un cazzo. Sono sicuro peraltro che non mi risponderebbe neppure oggi. Così mi domando ancora adesso fino a che punto puoi dare per scontato che uno debba sempre riuscire a interpretarti e se uno non ci riesce, è veramente per forza uno stronzo?

Penso che Chiara fosse come una gatta. Forse considerava quello spazio come un suo territorio e dove nessuno, me compreso, avrebbe dovuto entrare. Ma nel momento in cui avevo identificato la pellicola, il regista e Giuliano Gemma, avevo evidentemente commesso una violazione a questo suo spazio sacrale. Con il tempo scoprii che i suoi spazi inviolabili erano così tanti che scontrandosi tra di loro riuscivano a creare il vuoto. Lo stesso che mi porto ancora dentro a distanza di tutti questi anni.

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editoriale di paolofreddie

I cancelli del cimitero sbattevano, percossi dal vento, violentati dalle gocce grosse di pioggia, e lasciavano passare le foglie appassite in volo, riunite insieme nel viaggio spedito verso la morte. Mentre una scia di polvere si gettava contro la pietra fredda, una mano lacerata, consumata, abrasa si scagliò contro il cielo, stagliandosi al di sopra dell’effimera erba spirata. Le unghie logorate dal tempo senza vita si conficcarono nel fango, una spinta affaticata di un corpo pesante e una testa che fa capolino nell’aria ululante segnarono l’evasione del prigioniero della terra. A gattoni l’imponente e triste figura procedeva in cerca di un appoggio. Le dita incontrarono la lastra bagnata della lapide. Al tocco il corpo dell’uomo tremò e convulso cadde di nuovo nel fango. Due occhi si aprirono e piano piano misero a fuoco la scritta incisa sulla tomba. Questi lessero il nome e la data di morte. Poi, salendo, si fermarono sulla foto, nella quale viveva come un ricordo il volto sereno di un ragazzo dai capelli lunghi e dagli occhi chiari. La bocca dell’evaso, fino ad allora ferma, incollata, si stracciò ed emise un urlo profondo, roco, che squarciò l’aria pullulante di cellule addormentate. Con una forza sovrumana il corpo si alzò. L’evaso della terra si fiondò verso i cancelli, fece di volata la strada affiancata da due file di bianchi cipressi e si dissolse nel buio.

L’alba si affacciò all’orizzonte vestendo di oro divino le vaste distese. Accovacciato sopra un albero, come una vedetta, stava l’uomo, ora totalmente asciutto, pulito. Eppure il sole non era dedicato a lui, ma come per un rito era venuto a dar vita alla vita di tutti i giorni. L’evaso sbatté gli occhi guardando al di sotto. Il paesino sottostante si stava appena svegliando, a testimoniarlo le prime luci artificiali. Un’aquila, descrivendo un elegante semicerchio nel cielo, si posò sul ramo, vicino alla vedetta. Il fiero uccello girò la testa e sorrise enigmaticamente all’uomo. Quest’ultimo porse la mano e l’aquila vi si appoggiò. Con un balzo felino l’evaso si slanciò verso l’albero vicino, e, padrone dei suoi arti, si gettò a terra, senza farsi male.

Proprio in quel momento, a un centinaio di metri da lui, una ragazza si stava dirigendo verso una fonte di acqua limpida. Nuda vi entrò e si bagnò, baciata dai raggi gentili del sole appena nato. Allora intonò una dolce e ammaliante melodia. Le orecchie dell’evaso colsero il suono e furono subito soggiogate. Ei avanzò verso la fonte, in direzione di quella magnifica voce. I passi pesanti dell’uomo attirarono l’attenzione della ragazza. I suoi caldi occhi vivi, freschi e innocenti, attraversarono il corpo di lui e si fermarono sul volto. Sebbene la vista di quella faccia rovinata potesse spaventarla, lei ne fu affascinata. Con profondo interesse e cieca fiducia la ragazza si alzò e il suo corpo, puro, senza macchia, dinamico, non freddo e statuario, si mosse verso la sponda, a piedi nudi, talmente leggera che sembrava sfiorare appena il suolo. L’evaso la vide, e provò una strana sensazione dentro di sé. Dei ricordi cominciarono ad affiorare, un nome di donna si affacciò nella sua mente e capì ciò che aveva dimenticato, ciò che aveva perduto, essendo stato condannato a dormire nelle viscere della terra. Ricordò il giorno della sua morte, ricordò l’urlo straziante della sua amata che cercava di strappare alle mani degli esecutori il suo corpo. Ricordò la terra che gli era stata buttata addosso, il cumulo che lo aveva separato dall’universo, dalla vita.

In quel momento, mentre guardava con la bocca leggermente aperta, come intontito, ancora stregato dal canto dissoltosi nel vuoto, e ora irretito dalle linee di quel corpo sinuoso, così nuovo, così vivo, così vero, pensò alla sua donna, e qualcosa o qualcuno urlò dentro di lui. Svenne. Quando si risvegliò era tra le braccia della ragazza della fontana, e lei lo guardava con amore, con una curiosità casta e ingenua, eppure così autentica, così decisa. Egli tentò di articolare una sillaba, ma la ragazza posò le sue labbra sulle sue, mettendolo a tacere. Un brivido corse lungo la spina dorsale del reduce, che ebbe un tremito inconsulto. La vita gli passò davanti, rivide tutto quanto, dal momento della sua nascita fino alla morte. Rivisse i suoi sogni, i suoi incubi nell’arco di un battito di ciglio. E di nuovo, come un tempo aveva dovuto, forzatamente, lottando all’ultimo respiro per non soffocare sotto una pila di terra, spirò. Morì tra le braccia di una dea in fiore, se ne andò con una smorfia di estasi e di terrore.

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editoriale di zaireeka

Piano concerto n.3 di Kurt Atterberg - Primo movimento

Chi siamo noi?

Chi sono io?

Sono quella tarda serata di agosto sulla spiaggia con il me stesso di 38 anni fa, mi racconta della sua passione per le discoteche e i Bee Gees, le cui note risuonano nell’aria.

Mi racconta per intero le ultime cinque puntate di Happy Days.

Gli parlo della mia passione per la musica classica, per la musica psichedelica, romanzi e saggi filosofici, anche per certa musica depressa e talvolta malata, cose difficili, fatica a riconoscersi.

Gli dico che di televisione ne vedo non più di mezz’ora al giorno.

Siamo per fortuna confinati, senza spesso rendercene conto, in un mare di categorie, solo per decifrarci nel tempo e farci decifrare dagli altri.

Da cui a volte però tendiamo, per età e per altro, a voler saltare fuori come per misteriosi salti quantici.

A voler essere nuovi e dissonanti in mezzo all’imperante, forse troppo meravigliosa e stabile, armonia.

A melodie che da sole basterebbero a rendere tutto indimenticabile.

Ma il libero arbitrio e’ solo una cosa illusoria.

Pensiamo tutti di essere un po’ speciali.

Presidenti, preti, filosofi.

Figli, genitori.

Ma in fondo siamo un po’ come quell’unico elettrone che tesse l’universo immaginato da John Wheeler.

Che va, vorremmo andare, avanti e indietro nel tempo, a riparare gli errori che possiamo ancora commettere, senza sapere perché, nel nostro futuro.

Piano concerto n.2 di Bela Bartok - Primo movimento

Pensiamo di non avere idee oppure di averne talmente tante che a volte fatichiamo a controllarle.

Ma in fondo ripetiamo sempre le stesse poche cose, abbiamo i nostri chiodi fissi, sottoposti alla comprensione degli altri.

Con cui cerchiamo di tenere appesi al muro scivoloso del tempo gli specchi colorati su cui si riflettono i nostri giorni.

Un po’ come sempre le stesse note in fuga, che si rincorrono, suonate da strumenti diversi.

A distanza di secondi, accavallandosi.

Di mesi o di anni.

Piano concerto n.1 di Dimitri Kabalevsky - Secondo movimento

Mi capita a volte, la domenica pomeriggio, quando sono solo in casa, di andare alla ricerca di un concerto di musica classica mai ascoltato.

Sfuggito all’attenzione del mondo forse perché alla sua epoca il mondo produceva troppa bellezza.

In cui rinchiudermi lontano da tutti, ma con i risultati della partita sul televisore muto, per ricordare i tempi in cui il calcio per me era (quasi) tutto.

Per sentirmi ancora, banalmente, parte del mondo.

(Da Wikipedia)

Aristosseno riconobbe la funzione fondamentale della memoria nell'intelligenza della musica, come risulta da un paragrafo degli Elementi di armonia: «Di queste due cose, invero, la musica è coesistenza: sensazione e memoria. Bisogna infatti sentire ciò che accade e ricordare ciò che è accaduto».

E’ l’abitudine a sentire il proprio cuore ed il proprio respiro, come riconoscere sempre la stessa strada dall’inizio alla fine.

Vivere non e’ altro che l’arte di ascoltare musica.

Piano concerto di Kurt Atterberg

Piano concerto n.2 di Bèla Bartòk

Piano concerto n.1 di Dimitri Kabalevski

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editoriale di paolofreddie

David era un obiettore di coscienza. Non aveva che il suo fiero orgoglio a sostenerlo, a fargli da scheletro nella sua vita lavorativa, e anche quando era nel mezzo di una discussione tra comuni amici. Pensava che fosse un dovere e un diritto dell’uomo opporsi a ciò che era comunemente accettato dalla maggioranza. Per via del suo temperamento si era fatto molti nemici, che però gli parlavano alle spalle, perché preferivano che lui fosse emarginato. Se loro lo avessero criticato, lui avrebbe avuto la risposta pronta, quindi sarebbe uscito comunque vincitore, a prescindere dalla verità effettiva. David sapeva tutto questo ed era ancora più radicalmente fiero di sé quando ci pensava o se lo diceva fra sé e sé.

Un giorno decise, come illuminato da un getto di genialità, di donare il seme. David non aveva una donna – non a caso era un obiettore di coscienza –, quindi se lo poteva permettere. E lo stesso donare il seme era per lui un’obiezione di coscienza. In merito al lavoro, vi si dedicava solo per permettersi qualche soldo per portare avanti la sua vita da obiettore di coscienza. Il giorno in cui David rimase folgorato dall’idea pseudo-geniale passò alla storia: David chiedeva per la prima volta al capo un giorno di astinenza dal lavoro. Aveva sempre lavorato con fierezza, distinguendosi dalla maggioranza dei suoi colleghi che timbravano il cartellino e poi se ne andavano a fare shopping – quegli stupidi! –. Il capo gli negò il permesso, nonostante la buona condotta di David, che era forse il lavoratore più accanito dell’ufficio, anzi, dell’intero edificio. Da obiettore di coscienza, David prese l’ascensore, premette il tasto che attivò il meccanismo e partì verso il basso.

Alla banca del seme David era molto emozionato, non stava letteralmente più nella pelle. La tizia giovane ed esile ad assisterlo percepì la sua forte eccitazione, quindi gli chiese se stava bene. “Mai stato meglio” disse David. “A me non sembra. Non può donare il seme in queste condizioni: lei è troppo euforico” rispose lei, scuotendo la testa, pensosa. Il viso dell’uomo si arrossò, poi sbiancò, poi divenne di un colore simile alla terra arata, solcata e ingrigita dalla stanchezza. Non poteva credere alle sue orecchie. “Cosa significa che sono troppo euforico?” disse tirando fuori il fazzoletto dal taschino e dandosi dei leggeri colpetti sulla fronte. Pacata ma decisa la ragazza disse “Signor Leigh, lei ha la pressione troppo alta, il suo seme ne potrebbe risentire, anzi, sicuramente”. “Scusi ma continuo a non capire”. “Signor Leigh, faccia uno sforzo di immaginazione. E non sia egoista. Lei pensa di uscire di qui dopo aver semplicemente depositato il seme, ma non pensa alle conseguenze che potrebbe avere una fecondazione con sperma sovraeccitato. Il feto generato dal suo seme potrebbe tramutarsi, alla nascita, in un neomorto. Non si viene qui alla banca del seme con questo spirito”. David capì, chinò la testa tristemente e rimise meccanicamente il fazzoletto al suo posto, nel taschino. Guardò l’orologio sulla parete della stanza e disse a bassa voce “Sono già le 12:00, farò tardi al lavoro”. La ragazza chiese “Come, signor Leigh?”. “Niente, niente” rispose lui con un cenno della mano ad accompagnare quella semplice oscura parola ripetuta.

Tornato a casa la sera, dopo aver girato a vuoto nella sua automobile, si diresse subito verso il bagno e si guardò allo specchio. Sulla fronte c’era scritto a caratteri cubitali “NO” con tanto di punto esclamativo. Strizzò gli occhi e rivide quella scritta, tentò di nuovo a farla sparire ma niente. Fino a che non si mise sotto le coperte, la scritta lo accompagnò imperterrita, imperiosa. Si addormentò triste e si risvegliò altrettanto triste. Appena giunto al luogo di lavoro, fece contattare il capo dalla segretaria, entrò nel suo ufficio e diede le dimissioni.

Pochi giorni dopo lo trovarono riverso a metà in una buca, al cimitero, scavata da lui stesso. Aveva l’abito strappato e la pelle era aperta, percorsa da graffi ancora caldi, ancora sanguinanti. Dopo essersi licenziato, David aveva fatto domanda per un lavoro da becchino. Lo avevano assunto senza tanti complimenti. Di morti, nei giorni precedenti al ritrovamento del corpo, non se ne erano visti, quindi David era rimasto a bocca asciutta. Evidentemente era stanco di tutta quell’ironia che la sorte abbatteva su di lui. Come ultimo atto d’amore per sé stesso, da obiettore di coscienza, non avendo potuto donare il seme per generare vita, non avendo potuto donare una tomba a chi non ne aveva più, si era scavato la fossa. Senza successo. Non era riuscito a tumularsi, a completare l’opera, perché per giorni aveva digiunato e non aveva dormito, fino al punto di morire tra un colpo di zappa e il successivo, andato in fumo.

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editoriale di sotomayor

Cominciamo con queste cinque domande una rassegna di interviste a personaggi impossibili e che hanno fatto a loro modo la storia della cultura, del pensiero filosofico e della vita politica e sociale.

Una iniziativa che è resa impossibile dalla speciale strumentazione in dotazione al nostro studio radiofonico e che ci permette di entrare in contatto diretto con i morti. Parlare con i morti per parlare della loro vita e ricordare a tutti che la vita non è mai perfetta.

Il primo personaggio intervistato è Serge Voronoff (1886-1951), chirurgo e sessuologo russo naturalizzato francese e una delle personalità più celebri al mondo durante gli anni della cosiddetta 'belle époque'.

Parliamo di una personalità molto speciale e che ha mantenuto negli anni grande fama e che per questo ringrazio molto per la sua disponibilità e averci concesso questa breve intervista.

V. Buonasera a tutti.

Vi ringrazio per avermi invitato e per avermi scelto come prima persona intervistata. Devo dire al riguardo che la cosa mi fa molto piacere, la considero come un modo di dare ancora adito al mio contributo alle scienze anche successivamente il mio trapasso.

Devo altresì dire che varcare questa soglia tra la vita e la morte ha costituito sicuramente una esperienza affascinante. Ah, se solo avessi la possibilità di non essere intangibile! Sicuramente in tal caso mi dedicherei a sperimentare su quache cavia questo tipo di esperienza. Ma ahimè i miei tempi sono andati.

Oppure... Chi lo sa. Magari potrebbe assistermi lei? Cosa ne pensa? Io la mente, lei le braccia. Assieme potremmo fare grandi cose!

Ehm... Capisco il suo rammarico Dottore e la ringrazio per l'offerta generosa, ma credo proprio che la chirugia non sia il mio campo.

V. Peccato.

Ma se cambia idea sa dove trovarmi.

1. Cominciamo allora con le domande. Dottore, i più giovani molto probabilmente non hanno mai sentito parlare di lei e dei suoi studi nel campo della medicina e della biologia. Al contrario, quando si sente nominare il suo nome, sembra sempre che questo sia oggi contornato da un alone di oscurità e di mistero (si raccontano per la verità molte storie anche per quello che riguarda la sua residenza nella riviera ligure, lo 'Chateau Grimaldi'). Solo poche persone inoltre la ricordano come un brillante chirurgo e un vero innovatore nel campo della scienza medica e la maggior parte la ricorda come un personaggio eccentrico, quasi una specie di 'scienziato pazzo'. Cosa pensa di queste definizioni? Le considera offensive?

V. Naturalmente io non sono mai stato pezzo, né sono mai stato considerato come tale da nessuno, ripeto: nessuno, tra le più eminenti personalità del mondo della medicina. Considero quindi assolutamente offensiva la definizione di 'scienziato pazzo'.

Queste cui accenna sono senza dubbio tutte allusioni che non corrispondono al vero e che considero dovute a una certa invidia nei miei confronti che si è scatenata dopo la mia morte e ha macchiato la mia reputazione.

Peraltro, mi conceda una ulteriore precisazione, non vi è assolutamente nulla di oscuro e di misterioso sia nella mia immagine di medico e scienziato, dato che i miei studi e i miei risultati sono sempre stati qualche cosa che ho voluto io stesso far conoscere al mondo intero (non dimentichiamoci che sono stato anche autore letterario molto prolifico) e che sono stati comprovati e dimostrati agli occhi dell'intera comunità scientifica.

Secondariamente, mi guardi bene, mi considererebbe una figura oscura e misteriosa? Andiamo! Al contrario sono sempre stato quello che si potrebbe definire un viveur, amavo la vita mondana e le belle cose. Amavo la vita intensamente!

2. Ma perché questa ossessione per l'eterna giovinezza? Voglio dire, prima di entrare in medias res nel merito dei contenuti dei studi, voglio domandarle da quali presupposti ideologici e concettuali ha voluto partire per orientare i suoi studi in quella determinata direzione. In effetti in generale è sempre esistito il mito della vita eterna, ma che poi se invecchi, giustamente di questa vita che te ne fai. Il segreto quindi sarebbe quello di vivere e restare sempre giovani. Ma lei aveva paura della morte?

V. Ma vede, il mio proposito, quella che consideravo la mia vera missione, era quella di garantire a tutti quanti una vita migliore.

È indubbio che, come dice lei, la vita eterna non ha senso senza giovinezza, così come è evidente che restare giovani significhi vivere bene la propria esistenza. Ma i nostri corpi non solo non sono fatti per durare in eterno, questo è infatti il minore dei problemi, ma sono soggetti a un certo decadimento: infortuni, malattie... la vecchiaia! Senza considerare tipologie di problematiche e malattie che possono essere congenite. Ecco: a tutto questo io ho dedicato la mia attenzione! Gli studi di una vita!

I media e la storia del resto si sono concentrati solo sugli aspetti più 'pruriginosi', ma i miei studi sono sempre stati orientati a garantire una giovinezza persistente nei miei pazienti da ogni punto di vista. Io volevo il bene dell'umanità!

La verità in fondo è che ciacuno dovrebbe curare il proprio corpo e la propria anima per restare giovani per sempre, ma quanti ci riescono. Chi ha parlato di effetto 'placebo' nel caso dei miei interventi sbaglia, ma accenna a una componente comunque vera, come è vera del resto in ogni branca della medicina. Cioè che l'aspetto psicologico e quello mentale sono determinanti per la cura e la salute del paziente.

Qui la scienza medica incontra una certa componente magica e elementi vicini allo spiritismo. Ma non c'è trucco: senza la medicina vera e propria non si può compiere alcun miracolo.

Per quanto riguarda la vita eterna, questa non mi ha mai interessato. Ho voluto vivere la mia vita al massimo finché questa è durata. Non credo nella vita eterna e neppure in una specie di continuum della vita dopo la morte dovuta ai procressi di procreazione. Anche per questo non ho lasciato eredi. Come è stato possibile nonostante tutte le donne io abbia avuto nel corso della mia vita? Qui mi dispiace ma non posso rispondere. Mi conceda la possibilità di tenere per me qualche trucchetto [Ndr. Sorride.].

3. Dobbiamo a questo punto necessariamente affrontare l'argomento principale, cioè la sua attività come chirurgo e biologo di fama internazionale. Lei era praticamente famoso in tutto il mondo, si racconta di folle che aspettavano il suo arrivo a Rio de Janeiro in occasione di un viaggio in Brasile. Si parla di centinaia di interventi e di file di pazienti in attesa fuori dal suo studio. Così come è noto che lei avesse un vero e proprio allevamento di scimmie nella sua villa a Grimaldi da usare come 'pezzi di ricambio'. Che cosa c'è di vero in tutto questo? Ma questi suoi interventi erano veramente miracolosi? Come è arrivato a questo tipo di conclusioni?

V. Voglio innanzitutto dire che a quei tempi la sperimentazioni sugli animali e in particolare sulle scimmie, costituiva una prassi e una pratica di routine. Non mi considero un mostro per questa cosa e non sono colpevole per quelle che sono state le mie sperimentazioni sugli animale. Senza considerare che ogni applicazione su di loro ha comportato l'aumento di conoscenze anche per quello che riguarda la loro natura e anche campi come la medicina veterinaria ne hanno tratto giovamento.

So bene comunque che oggi molti mi considererebbero un mostro. Non so se abbiano ragione e la cosa non mi interessa: io avevo una missione da compiere e tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per il bene della scienza e seguendo le regole.

Come mi è venuta l'idea? Be', rispondere a questa domanda apparentemente semplice, è in verità abbastanza complesso, ma proverò comunque a esporre la cosa usando un linguaggio poco scientifico per essere più comprensibile ai lettori.

Sicuramente alle basi vi furono le teorie sull'evoluzione e il darwinismo. L'uomo, come è noto, si è evoluto dalla scimmia. I primati appartengono quindi alla nostra stessa 'superfamiglia'. Come tali possediamo un numero considerevole di caratteristiche in comune. Tanto più il nostro cervello è sviluppato tuttavia, in maniera inversamente proporzionale il nostro corpo appare essere dotato di un certo vigore. Nelle scimmie accade esattamente l'opposto. Per quanto dunque muniti di un cervello superiore, questo non ci permette di trascendere da questa considerazione. Senza considerare la persistenza nelle specie animali di quegli istinti che noi abbiamo soppresso e superato a favore dell'intelletto. E cosa è più liberatorio che scatenare i propri istinti? Qui nacque l'idea del trapianto.

Adesso la cosa può sembrare molto semplice, ma bisogna essere dei chirurghi molto bravi per compiere con successo operazioni di questo tipo e io modestamente lo ero. Uno dei migliori.

Il grande successo è semplicemente dovuto al fatto che i miei interventi funzionavano.

Ma è anche vero che permane nella nostra cultura un certo oscurantismo che impedisce alle scienze di svilupparsi e gli individui di essere liberi. Ci sono poteri forti che impediscono il progresso. Ma questa è una storia vecchia.

4. Immagino che lei si riferisca alla chiesa e in generale alle istituzioni religiose. Che effettivamente hanno ancora oggi qualche problema con le teorie sull'evoluzione e le nuove scoperte in campo scientifico. A parte questo io devo per forza chiederle di tutte quelle voci sull'uomo scimmia che si ritiene si aggirasse nei dintorni di Villa Grimaldi durante quegli anni. Oltre della possibilità che... un uomo possa accoppiarsi con una scimmia e dare alla luce una ibridazione.

V. Per quanto riguarda la chiesa e le istituzioni religiose, lei ha colto perfettamente il punto! Probabilmente è proprio a causa delle istituzioni ecclesiastiche se oggi godo di questa cattiva fama e i miei studi sono stati screditati. Se sono passato alla storia come un 'ciarlatano'.

Per questo inoltre i miei studi non hanno avuto seguito e probabilmente continueranno a non essere considerati e presi in considerazione dalla comunità scientifica. CI sono troppi paletti. La scienza è schiava di se stessa perché si è imposta troppe regole. Ma tutto questo è semplicemente ridicolo. Così non arriveremo mai da nessuna parte.

Non ho intenzione invece di rispondere a quelle che sono le insinuazioni e le baggianate sull'uomo scimmia che io avrei creato e che secondo certi si aggirava nei dintorni della mia abitazione. Questa storia fu chiaramente inventata per creare un certo clamore e perché io ero una personalità molto popolare. Chi lo sa, magari qualche volta sarà semplicemente scappata una scimmia e la suggestione avrà giocato qualche scherzo.

Comunque, qualcuno ha mai portato prove reali della sua esistenza? Ci sono testimonianze attendibili, fotografie? No. Niente di niente. Di che cosa parliamo allora? Se poi qualcuno avesse delle prove in tal senso, ce le mostrasse. Ma dovrebbe poi dimostrare anche i miei legami e le mie responsabilità in questa cosa. E anche se fosse, che tipologia di reato avrei commesso? Andiamo. Mi sembra di parlare di storie come quelle che riguardano lo yeti, gli ufo, i vampiri. Cose che non esistono.

In quanto all'ultima domanda, penso che lei si sia risposta da solo. Che esistano ibridi all'interno del mondo animale è una verità dimostrata e sotto gli occhi di tutto. L'uomo e la scimmia sono due specie appartenenti alla stessa 'superfamiglia'. Di conseguenza...

Ma penso che il mondo sia oggi anche meno pronto che ieri a riconoscere la verità.

5. Be', sicuramente è un tema controverso. Quindi posso bene immaginare che cosa intende dire.

L'ultima domanda riguarda il suo rapporto con il nostro paese, l'Italia. Che legame ebbe con il nostro paese? È vero che ebbe dei legami con Mussolini? Ciononostante è vero che fu costretto a lasciare il paese a causa dell'emanazione delle leggi razziali?

V. Io sono sempre stato e rimango un ebreo. Non ne parlo volentieri, ma due miei fratelli morirono nel campo di concentramento di Auschwitz... Per quanto io non sia mai stato particolarmente religioso, le mie origini mi ponevano in ogni caso in una situazione scomoda quando furono emanate le leggi razziali. Lasciare l'Italia in quel caso divenne un obbligo e un modo per tenermi al sicuro.

Devo dire che la Francia di quella che voi adesso chiamate 'belle époque' fu qualche cosa di incredibilmente meraviglioso e di una bellezza ineguagliata da nessun altro posto al mondo durante quegli anni e forse anche successivamente. Furono anni meravigliosi e di un furore artistico e culturale senza pari. A parte le scoperte nel campo scientifico.

Ma amavo l'Italia, certo. Del resto è lì che avevo la mia residenza e dove sono ritornato a vivere dopo la guerra e fino alla fine della mia esistenza.

In quanto a Mussolini... Be', suppongo di potere oggi parlare liberamente di lui e senza nessun timore particolare. A differenza che quegli anni.

Benito Mussolini era molto interessato ai miei studi e al mio linguaggio in generale. Credo che fu proprio lui a coniare il verbo 'voronofizzare'. In generale lui diceva di volere 'virilizzare' l'Italia e praticamente fece dei miei studi una specie di slogan pubblicitario. Del resto è innegabile che questo funzionò e che molti giovani lo seguirono in quelle sue manie da grandeur. Ma per quanto mi riguarda - a parte quella che considero fu una pubblicità gratuita per me e i miei studi - lo ho sempre considerato un pallone gonfiato. Se tra me e lui ci fosse un ciarlatano, be', quello era sicuramente lui.

Ma si è mai rivolto a lei come paziente?

V. Mi dispiace ma questa è una domanda a cui non posso rispondere. La mia etica come medico mi impedisce di rispondere e di mantenere un certo riserbo.

Capisco Dottore...

Che altro aggiungere? La ringrazio per questa intervista e per per il tempo che ci ha concesso.

V. Ci mancherebbe altro.

Adesso ho mio malgrado molto più tempo a disposizione che in passato, anche se fortunatamente riesco sempre a trovare qualche svago e a organizzare quelle feste e ritrovi che tanto amavo quando ero in vita.

Grazie a lei per aver ridato con questa intervista letteralmente 'vigore' alle mie tesi e i miei studi da troppo tempo dimenticati. Spero che la mia intervista sia stata illuminante.

Sicuramente e penso che saranno della stessa opinione anche i nostri ascoltatori.

Un saluto dalla nostra postazione radio. Buona serata a tutti.

'Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo saprai mai.'

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editoriale di zaireeka

Una volta tanto oggi non mi va di parlare e scrivere di massimi sistemi.

Non voglio parlare di coscienza, del tempo, del senso della vita.

Anzi no, forse in verità ne voglio parlare, semplicemente ho meno tempo perché la vita è breve o, più plausibilmente, non sono completamente cosciente di continuare a farlo.

Come vedete, quindi scrivo in fondo sempre delle stesse cose, per cui vado al dunque.

Ieri uno dei pochi volti televisivi per cui provo simpatia, una ragazza bionda, molto caruccia (e per favore nessuno mi accusi di sessismo per metterlo in evidenza), una ragazza normale, con un sorriso che farebbe sciogliere il cuore di un robot (se mai ne avranno uno), ha avuto un incidente sul lavoro, un bruttissimo incidente sul lavoro.

Si da il caso che questa ragazza si sia spesa tempo fa in maniera encomiabile per la mia città, Taranto, come forse nemmeno i tarantini fanno, sicuramente non io.

Si da il caso inoltre che questa ragazza sia di Brescia, anche se tentava di non farlo notare quando provava a pronunciare una frase nel nostro dialetto scritta su alcune magliette.

Io amo il nostro Paese, l’idea che, al di là di beceri estremismi, al di là delle distanze, siamo uniti da qualcosa di più che confini geografici.

Colpevolmente forse più della mia città.

La passione sincera che Nadia, una bresciana, una che con questa terra non c’entra nulla, ha dimostrato nell’aiutare Taranto, ed in particolare i suoi bambini, integrandosi nel nostro mondo, mi ha colpito moltissimo e commosso.

Mi ha ricordato La storia del guerriero e della prigioniera di Borges.

Con la differenza che Nadia non ha avuto bisogno di essere imprigionata per imparare ad amare e ad aiutare questa terra.

Grazie di tutto da un tarantino tiepido.

Riprenditi presto.

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editoriale di sotomayor

Chi lo avrebbe mai immaginato che esistessero ancora, conservate perfettamente fino ai giorni nostri, lettere di manifestazione di dissenso (e contenenti in molti casi anche minacce di morte) scritte al Re Vittorio Emanuele III. Pure non dubitando del fatto che si potessero scrivere delle lettere al Re, questa è una cosa che non avevo mai preso in considerazione, così sono rimasto colpito dall'esistenza di questa opera di raccolta dell'Archivio Italiano Tradizione Epistolare in Rete (AITER).

Coinvolgente cinque unità di ricerca (Università degli Studi di Pavia; Università per Stranieri di Siena; Università degli Studi di Roma "La Sapienza"; Università degli Studi di Cassino; Università degli Studi di Milano) scopo dell'AITER è stata la creazione di una banca dati di corpora epistolografici dal medioevo al Novecento e basto su un'interfaccia web per la lettura dei testi, consultabile attraverso un apposito motore di ricerca: http://aiter.unipv.it/

Con questo progetto e la trascrizione dei testi sono stati messi a disposizione diversi 'carteggi', di cui la sezione forse più interessante per la verità è 'Lettere a e da internati militari' conservate nel Fondo Pirola (1943-1945) e contenente in tutto 15 faldoni e 428 fascicoli (sono state pubblicate 200 corrispondenze) di lettere internati militari italiani (IMI) condotti nei lager tedeschi dai nazisti nelle fasi successive all'8 settembre 1943. Ma quella relativa 'Le lettere al Re' (a cura di Barbara Achilli, Manuela Baroncini e Roberto Vetrugno) è sicuramente qualche cosa di inedito e che genera una certa curiosità

Le lettere (400), provenienti da ogni parte d'Italia (questo si intuisce facilmente dall'utilizzo di espressioni di uso dialettale) ma anche da altri paesi come Francia oppure Stati Uniti d'America, sono tutte relative al periodo 1914-1918 e di conseguenza, come si può facilmente immaginare, per la maggior parte dei contenuti richiamano come argomento principale la prima guerra mondiale. Ci sono lettere di minaccia, dissenso, lamentela o semplicemente richiesta di attenzioni da parte di sua maestà il Re oppure la Regina Elena di Savoia o anche le principali figure politiche di quel periodo, i presidenti del consiglio Antoni Salandra e Vittorio Emanuele Orlando, il ministro degli esteri Sidney Sonnino.

Raccolte in 17 gruppi molte di queste lettere, come è facile immaginare e in particolare per quelle con toni più aggresivi e contenenti minacce di morte, sono lettere anonime e non sono firmate. Immagino del resto che al tempo il reato di lesà maestà fosse abbastanza grave da poter incorrere in parecchio guai anche semplicemente rivolgendogli una pernacchia. Generalmente toni più concilianti sono adoperati nei confronti della Regina Elena di Savoia, mentre in alcuni casi le lettere non hanno neppure un destinatario specifico, ma anticipando di cent'anni qualche cosa che si ritiene sia nata solo con i social network, si configurano come dei veri e propri sfoghi. Molte lettere sono chiaramente sgrammaticate, ma questo è inevitabile, considerando che ci riferiamo all'inizio del secolo scorso e che queste venivano scritte da soggetti di ogni estrazioni sociale.

Vale la pena ricordare il contesto storico specifico. Quello della prima guerra mondiale e cui l'Italia prese parte dopo i Patti di Londra dell'aprile 1915 dichiarando guerra all'impero austro-ungarico. Una scelta che nasceva da ragioni di opportunità e causa la pressione dei cosiddetti 'interventisti' e che strategicamente andava nella direzione di porsi in maniera autorevole sulla scena internazionale come era accaduto cinquant'anni prima con la guerra di Crimea.

La prima guerra mondiale fu un massacro. I morti furono quasi dieci milioni (650.000 soldati italiani circa) ma le perdite dovute alle situazioni di indigenza, senza considerare le drammatiche conseguenze dei disturbi post traumatici da stress, costituiscono un danno che è impossibile da quantificare. È calcolato inoltre che in totale morirono all’incirca un milione di civili. La febbre spagnola, la più grande pandemia ricordata dalla storia e il cui contagio si diffuse durante quegli anni, uccise quasi sei milioni di persone in tutto il mondo.

Alla fine della guerra, alla conferenza di pace a Parigi, l’Italia, rappresentata dal nuovo capo del governo Vittorio Emanuele Orlando e dal solito Sidney Sonnino, fu tuttavia trattata come una potenza minore e ottenne molto meno di quanto le era stato promesso alla stipula del patto di Londra in caso di vittoria. Un nuovo trattato, Il trattato di Rapallo del 1920, fu un tentativo da parte dell’Italia di ottenere quanto non le era stato attribuito alla conferenza di Parigi, ma ogni tentativo fu vano: sostanzialmente l’Italia ottenne una ridefinizione se confini nella zona del Friuli e l’Istria. Ma il risultato fu accolto tiepidamente dall’opinione pubblica, tanto che si parlò in ogni caso, secondo una definizione di Gabriele D’Annunzio, di ‘vittoria mutilata’, un leit-motive che costituì uno dei principi fondamentali cui si deve probabilmente la nascita del fascismo.

Va detto, al di là delle conseguenze finali, che il ruolo del Re Vittorio Emanuele III nell’entrata in guerra dell’Italia fu determinante come mai forse nessuna altra decisione presa in prima persona nel corso del suo regno. Di fatto la sua volontà si impose su quello che era l’orientamento generale del parlamento e delle forze politiche e sul loro orientamento neutralista, quando superando i precedenti accordi con Germania e Austria-Ungheria (la cosiddetta Triplice Alleanza), si accordò con le forze dell’Intesa. Ovvero Francia, Inghilterra e Russia. Fino alla Rivoluzione d’Ottobre. Senza considerare il solito intervento decisivo degli americani. Che fosse ritenuto direttamente responsabile di quello ‘scempio’ non ci appare dunque particolarmente strano e queste lettere sono in questo senso solo un piccolo pezzo della storia del dissenso di quegli anni, passato chiaramente in secondo piano a fronte di quelli che furono eventi di una drammaticità unica come la guerra di trincea raccontata in maniera tanto sensibile quanto unica da un autore gigantesco come Giuseppe Ungaretti.

Tra le tante lettere presenti, a titolo esemplificativo, ne ho scelte due in particolare che vi sottopongo in calce a questo editoriale. La prima (a titolo esemplificativo) è di un mittente anonimo e destinata a Tommaso di Savoia, capitano di vascello e luogotenente del Regno durante gli anni della guerra in cui Vittorio Emanuele II si traferì al fronte. La seconda invece è sempre di un mittente anonimo ma non ha un destinatario specifico ed è una delle cose più belle io abbia letto negli ultimi tempi e che voglio condividere su queste pagine.

Buona lettura.

[Anonimo] a Tommaso di Savoia
Napoli(NA), 6 giugno 1917

A Sua Altezza Reale
Tommaso di Savoia
Luogotenente di S.M. il Re- Roma
[1] I cenci vanno sempre in'aria, Altezza in Russia e
successo il contrario, e i signori governandti avrebbero dovute
farne tesoro di tale insegnamente.
In Italia quando si tratta di dissanguare maggiormente le
masse lavoratrice, subito si fa con decreto legge; ma quando
ai lavoratori si dovrebbe dare qualche miglioramente gli si
promette ma mai tale promesse si mantengono.
[2] Sembra però che i dormiente si stiano destante e vedremo,
Vedrete!
Anche per i dissanguatori delle masse, i grandi ed eterni
sfruttatori dell'umanità ci dovrebbe essere un limite…
Vuole S.A. imporla? o vuole che si ribellano i lavoratori
per fame?
In certi casi si sà dove s'incomincia, ma non si sà
dove ha fine le risolte di popolo
Avviso a chi tocca
Gli operai Napoletani
Napoli 6-6-1917

Missiva autografa.
(*Napoli 6.6.17) allegati: Pref. di Napoli 15 agosto 1917.

[Anonimo] a [anonimo]
[s.l.], 25 dicembre 1917

[…] 25 Dicembre 1917
[2] vita il infelice,
la notte sono solo à
mia luna, come sei alta
aiuta mi. dove sei? à
sono in uno scoglio in
mezzo al mare. è
vedo un pesce grosso,
che mi vuol mangiare
chi tia portato ali?
e dove sei nato?
io sono nato in un altro
scoglio più alto e cera
unaltro scon pesci
che mia veva tirato
una volta ma non
mia pigliato, e cosi
mene sono venuto qui?
matu ai paura di morire
e vero?
nò nò, opaura per una
sola cosa che moio in
mezo all'ingnoranza.
percio aiutami, domani sera
ci vediamo allora ti
saluto il tuo amico, ignora
nte[…]

Al Statut[…] di Roma
Italia

Missiva autografa.
(Galveston 26.12.17 - (Genova posta estera) Roma 31.1.18) allegati:(?)

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editoriale di ALFAMA

Capitolo 12

VORREI UCCIDERTI

Capitolo 9

Nel silenzioso Buio dei miei pensieri, l'interferenza sul rumore di fondo della mia mente. Invisibile, la scintilla di un pensiero inafferrabile, non esisti ma sempre presente.

Ti sento nel cuore. Macchia di sangue. Quante vite hai succhiato? Quanti silenzi hai interrotto ? Sei un ronzio nella mente,un peso sull'anima.

Capitolo 7

Non pensare di essere inutile. Devi esistere per essere spiaccicata su una bianca pagina di un libro senza una storia da raccontare.

Di te rimane solo una macchia di inutili parole, parole da inventare, parole che non esistono.

Capitolo 1

Eppure ti vengo a cercare.

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editoriale di sotomayor

Secondo una determinata visione della vita, esisterebbe non solo ciò che vediamo attraverso i nostri occhi ma anche tutto ciò che riusciamo a immaginare. Questo pensiero è in parte comprensibile e può essere spiegato con un semplice esercizio di logica: se lo spazio è infinito, allora può esistere qualsiasi cosa. Qualsiasi. Voglio dire che in questo caso tutti gli studi relativi la ricerca di altre forme di vita partono da presupposti sbagliati perché queste possono eventualmente esistere secondo modalità che noi non abbiamo neppure la facoltà di comprendere.

Ciononostante, secondo me ci sono alcune cose che al di là di quelle che possono essere prove inconfutabili, non esistono veramente.

Non voglio andare troppo lontano e ritornare nello spazio. Restiamo invece con i piedi per terra e sulla Terra facendo esempi di natura pratica.

Prendiamo la giraffa per esempio.

Brevemente: la giraffa, alla pari dell’elefante e del leone, è un animale che non esiste.

Questo non significa chiaramente che la giraffa non sia mai esistita, abbiamo infatti i fossili, le testimonianze storiche, ma è facilmente dimostrabile che questa oggi non esista più.

Non possiamo negare del resto che non solo in epoca preistorica ma nel corso della intera storia e anche solo negli ultimi centocinquanta anni si siano estinte più specie animali. Direi che anzi si siano verificati fenomeni di gran lunga peggiori. Opere scientifiche di genocidio di massa che hanno comportato la scomparsa di intere popolazioni e culture. L’esempio più grande, senza tirare in ballo gli orrori della prima metà del secolo scorso in particolare, potrebbe benissimo essere quello degli indiani d’America.

Qualcuno potrebbe menzionare allora le riserve, così come nel caso della giraffa si potrebbe fare riferimento agli zoo. Ma che cosa sono gli indiani nelle loro riserve e le giraffe negli zoo se non semplicemente il segno manifesto della loro fine. Una evidente manifestazione di impotenza. Una specie di coitus interruptus.

Così vi domando: avete mai visto veramente una giraffa? La sapreste descrivere minuziosamente in ogni suo particolare? Facciamo un esercizio. Chiudete gli occhi per venti-trenta secondi, concentratevi e immaginate una giraffa. Fatto? Che cosa avete visto? Io ho visto una giraffa diciamo di stazza media. L’ho visualizzata come all’interno di un contesto fotografico. Una fotografia verticale sbiadita, scattata probabilmente quando io ero piccolo nella seconda metà degli anni ottanta. La giraffa è da sola circondata da pochissimo verde. Sullo sfondo ci sono delle montagne che si intravedono in lontananza e l’azzurro colore del cielo. Le sue tipiche chiazze sono indistinte e quasi si mescolano in questo giallo ocra, mentre la testa è senza nessuna ragione fasciata con delle strisce nere. Magari non c’ha neppure le corna caratteristiche. È stata disegnata male.

È sicuramente una giraffa molto naif.

Questo è tutto quello che riesco a immaginare: una giraffa ‘povera’, come del resto tutto mi appare povero nelle fotografie di quegli anni. Guardo e conservo con piacere solo quelle di mio fratello quando era piccolo (ne ho un altro ancora più piccolo, ma sarebbe nato dopo, all’inizio degli anni novanta e anche se lui per me sarà sempre piccolo, conservo effettivamente anche le sue) e quelle di mia madre da giovane. Una di queste che risale a molti anni prima, quando lei aveva quattordici oppure quindici anni la porto sempre con me.

Ma la giraffa? È chiaro che se essa appaia idealmente sbiadita e inanimata già nei miei ricordi di trenta anni fa, questa debba per forza oggi non esistere più. Ho visualizzato quella che è una idea di giraffa, ma non un animale vero e proprio. In ogni caso qualcosa che è praticamente immobile e incapace di reagire a un processo di decadimento che ha coinvolto se stessa oltre che il suo habitat naturale.

Non ricordo inoltre di avere mai visto da vicino una giraffa.

Oppure: qualcuno di voi saprebbe farne il verso? Tutti saprebbero imitare l’abbaiare di un cane, il ruggito del leone, persino il barrito dell’elefante. La giraffa no.

Da bambino sono stato allo zoo ma non ricordo la giraffa. Eppure, voglio dire, non può esistere uno zoo senza una giraffa. Forse il punto è che pure se questa c’è, sta dentro un recinto e tu non la puoi toccare e allora come fai a dire che esiste veramente, se non la puoi toccare con mano. Magari quella che ti dicono che è una giraffa è tutta una montatura: una grossa fregatura. Solo una proiezione mentale dettata da determinati input che ti hanno inculcato sin da bambino. Ma questo non significa niente. La giraffa esiste tanto quanto potrebbe esistere oggi un Tyrannosaurus Rex.

Del resto la giraffa è sempre stata qualche cosa di più che un semplice animale: essa è stata infatti sin dalle prime testimonianze che sono arrivate fino ai giorni nostri, una specie di animale mitologico. La storia ci racconta che questi animali furono a lungo circondati da un alone di mistero: abbiamo così poche testimonianze scritte. Nel passato, centinaia di anni fa, per incontrare una giraffa non avevi scelta: dovevi attraversare il Mare Mediterraneo e poi quella incredibile barriera naturale che è costituita dal deserto del Sahara, un ostacolo che fermò persino l’avanzare dell’Impero Romano. Parliamo di una impresa sovrumana e che ancora oggi costituisce un fattore in quella parte del mondo.

Sicuramente sin dall’antichità si dovette convenire sul fatto che spingersi oltre era troppo complicato. Eppure fu proprio in quegli anni che a quanto pare si videro per la prima volta in Europa delle giraffe, a Roma, alla corte degli Imperatori.

Dopo sarebbero dovuti passare centinaia di anni, quando una di queste fu condotta alla corte di Lorenzo de’ Medici e raffigurata in dipinti di autori come Giorgio Vasari oppure Francesco Botticini oppure Piero di Cosimo, in affreschi e celebrata in poesie. Si trattò di una pagina rilevante nella storia di questo animale in Europa e un evento che come nessun altro ci offre ancora oggi spunti culturali e sociali di rilievo che provino la sua esistenza in carne ed ossa. Per la prima volta abbiamo delle immagini.

Quante giraffe ci saranno nella mia città, in Italia, in tutta Europa e nel mondo. Sicuramente troppo poche da giustificare e determinare la loro esistenza. Non si tratta tanto di portare avanti una qualche causa animalista. Devo dire che pure apprezzando chi si adoperi a tale scopo, in questo caso specifico scrivo solo perché mi rendo semplicemente conto che sto raccontando di qualche cosa che probabilmente c’era e che adesso non c’è più e tutto questo mi è venuto in mente all’improvviso anche se ora capisco di avere sempre saputo la verità.

Niente e nessuno potrà far rivivere la giraffa e non ci resta che attaccarci ai nostri ricordi sbiaditi oppure alle opere ‘magnifiche’ su menzionate e che vollero celebrare un mito che ha faticosamente resistito fino ai giorni nostri per ricordarci vagamente o idealmente come fosse effettivamente fatto questo animale.

È così alla fine che come il mammut oppure la tigre con i denti a sciabola e come fiere leggendarie come il drago oppure il grifone, la giraffa scompare ma la sua leggenda resta e questa cammina idealmente ancora a testa alta in mezzo a noi.

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editoriale di mrbluesky

Ho un ragno in casa

se ne stà li da mesi

Certamente da quest'estate quando le finestre erano sempre aperte,eppure lui non se n'è mai andato

Non è uno di quelli schifosi e corpulenti,se no lo avrei gia spiaccicato,no!

Ha tante zampette lunghe e sottili,quasi trasparenti,a dir la verità non mi fa nemmeno tanto schifo

Se ne sta li fermo in un angolo,a volte per giorni e giorni,fino a quando non si stufa e decide di spostarsi da un altra parte

L'altro giorno osservandolo pensavo:ma cosa mangia? di che cosa vive?

Già perche lui non fa la tela e comunque non catturerebbe nulla stando dentro casa mia

Eppure la libertà è li a due passi

A volte mi sento un po come quel ragno

Ma tanto uno di questi giorni lo farò a pezzettini

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editoriale di zaireeka

Oggi sono stato, come ogni sabato, al cimitero a trovare mio padre e mia madre.

Forse sono ancora uno dei pochi che ci crede, era una nevrosi collettiva, ora forse è solo mia e di pochi altri, a giudicare dalla poca gente (viva) che si vede in giro.

All’uscita ho trovato un tipo con cui ho avuto a che fare tempo fa per faccende sempre legate a mio padre e mia madre ora che sono qui, in questo posto.

Era depresso, si lamentava dell’Italia, così ha esordito, tanto per essere originale.

Poi ho capito subito perché.

Tempo fa un altro addetto mi aveva raccontato di come non ci sia più il due novembre di un tempo.

Con traffico nei pressi del cimitero e ai banchi dei fiorai.

Che ormai le inumazioni sono una cosa che sta passando di moda, le sepolture diminuiscono, e quindi i visitatori del cimitero.

Nell’era materialista in cui l’uomo non è altro che il suo corpo e l’anima non esiste, il suo corpo ha perso qualunque valore.

Tutti vogliono essere cremati.

Un’urna cineraria da tenere a casa, accanto al televisore.

Niente più viali alberati con pietre marmoree con sopra foto e nomi di sconosciuti, da osservare, da leggere, da incontrare, sempre quelli, per abitudine una volta a settimana, una volta al mese, una volta all’anno, che divengono familiari pur rimanendo estranei come succede con i vivi nella vita reale, su cui immaginare storie aiutati dagli epitaffi, come Totò o Edgar Lee Masters.

Niente più la voglia ed il bisogno per i congiunti di lasciare alla memoria degli altri un’immagine, anche se solo di un umile netturbino, su cui mettere un fiore, passeggiando su un viale alberato.

Niente più il bisogno di scrivere il ricordo di un amore perduto su una lapide in un campo fiorito sotto i raggi del sole e gli occhi degli altri.

L’ultima vittima di Internet.

Era lasciare una traccia del nostro passaggio e di quello dei nostri cari, sul suolo terrestre, sotto gli occhi di tutti, uno dei più intimi bisogni umani, in attesa del giorno del giudizio dell’Altissimo e della resurrezione dei morti dalle loro tombe.

Ora non più.

“Ed il giorno del giudizio l’ultimo Internauta prenderà le migliori nostre vite prese dal web e da whatsap, ci scriverà un romanzo pieno di citazioni, e il mondo avrà un nuovo inizio”.

La nuova resurrezione dei morti.

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editoriale di sotomayor

Dopo aver letto una recensione su questo sito relativamente l'ultima pubblicazione de gli Stone Temple Pilots, incuriosito dai suoi contenuti e sulla discussione che è seguita, mi sono documentato brevemente sul conto di questo gruppo che conosco ma che non ha mai storicamente fatto parte dei miei ascolti. In particolare ovviamente più che sui contenuti della loro musica, mi sono interessato alle vicende che hanno riguardato i diversi cambi di line-up dal 2015 ad oggi e che hanno scatenato una specie di dibattito in merito alle scelte operate dal nucleo storico de gli STP composto dai fratelli DeLeo e il batterista Eric Kretz. Fatti che proverò a commentare dalla posizione privilegiata di non essere uno storico ascoltatore della band e quindi pertanto privo di qualsiasi tipo di coinvolgimento emotivo relativamente i fatti.

I fatti sono che nel 2015 Scott Weiland, che morirà alla fine di quell'anno mentre è un tour con la sua nuova band, veniva praticamente 'licenziato' dagli altri componenti della band, che peraltro vincevano anche una causa nei suoi confronti relativa alcuni diritti come l'utilizzo del nome. Contemporaneamente lo sostituiscono, in via provvisoria, con il frontman dei Linkin Park, Chester Bennington e poi, recentemente, con Jeff Gutt.

Nel commentare la vicenda trascurerei, se possibile, tutta la parte relativa la question dei diritti. I cosiddetti aspetti legali. Non che questi abbiano un carattere secondario ma non incidono in ogni caso (se non in maniera negativa) su possibili riflessioni relative le scelte del gruppo in merito alla posizione di Scott Weiland e l'opportunità di continuare il progetto STP senza la sua presenza.

Non considererei altresì ogni possibile giudizio su Jeff Gutt che mi sembra di capire sia emerso come concorrente di un programma televisivo, qualche cosa che come tale sicuramente lo marchia in maniera negativa e indelebile presso i fan storici e più duri e puri della band.

Mi concentrerei invero solo su se e come valutare la scelta di portare avanti il progetto STP senza un elemento fondamentale come Scott Weiland e dopo la sua morte, consdierando che questi abbia contribuito in maniera pesante alla storia della band (più o meno di altri non lo so, ma non è rilevante) e che comunque di questa egli costituiva in qualche maniera il simbolo, perché era sempre e comunque il frontman di una band sicuramente popolare (penso di non sbaglaire se dico che gli STP siano una band che abbia un rapporto forte, praticamente viscerale con il proprio pubblico) e in cui il seguito in qualche maniera si identifica perché immediatamente riconoscibile in maniera simbolica e anche se vogliamo 'iconografica'.

Adesso la storia della musica è piena di esempi di situazioni che possono essere comparate a questa che menzionarle tutte è impossibile. Faccio tre esempi.

1. Brian Jones. Il suo contributo alla nascita e al suono dei Rolling Stones fu determinante. Eppure egli fu di fatto licenziato da Mick Jagger e Keith Richards. Poco dopo morì in circostanze mai del tutto chiarite. Con un certo cinismo gli Stones ritornano praticamente mai su questa questione che pure costituisce uno dei tanti motivi di critica (inevitabile) alla band più grande della storia del rock and roll.

2. Ian Curtis. Dopo il suo decesso Bernie e gli altri decidono di continuare comunque a suonare assieme e con Gillian Gilbert danno vita ai New Order, che via via si distaccheranno dal sound tipico dei Joy Division, facendo la storia della musica britannica negli anni ottanta. Anche loro hanno ricevuto comunque delle critiche negli anni: per avere continuato; per avere cambiato sound. Non hanno suonato le canzoni dei Joy Division per molti anni prima di ricominciare a farlo. Poi dopo che Bernie ha rotto con Peter Hook abbiamo adesso una ulteriore situazione di contrasto e che richiama le critiche dei fan storici del gruppo (oppure dei gruppi...) e in cui i New Order senza Peter Hook e questi da solo continuano a suonare sia le canzoni del repertorio Joy Division che quelle dei New Order.

3. Andrew Wood. Al suo decesso Stone Gossard e Jeff Ament sciolgono i Mother Love Bone e ricominciano da zero con i Pearl Jam.

A questo punto secondo me, senza andare ulteriormente avanti nella rappresentazione dei fatti, ci dobbiamo fare due domande fondamentali.

La prima domanda è: perché gli Stone Temple Pilots abbiano deciso di continuare a suonare e ritenuto di farlo continuando a adoperare lo stesso nome e senza fondare da zero un nuovo progetto.

Da una parte, è evidente, si potrebbero menzionare quelle che sono ragioni di opportunità a livello di visibilità e sul piano commerciale; dall'altra però, perché no, si potrebbe richiamare anche il forte legame emotivo a una storia o a una pagina di storia che evidentemetne non considerano chiusa nonostante la morte di Weiland. Quest'ultimo è un punto di vista che si può condividere oppure no. Considerare più o meno discutibile. Però, chi lo sa, immagino che come ci siano dei fan contrari al prosieguo di questa storia, ce ne siano anche altri che invece siano contenti di poter ancora vedere dal vivoo suonare gli STP.

La seconda domanda è tuttavia più importante e non riguarda tanto chi possa dire che cosa sia giusto o sbagliato fare in questi casi, ma fino a che punto le decisioni di questo tipo riguardino solo direttamente i membri del gruppo e non una 'comunità' più ampia e che comprenda anche i fan storici della band. Certo, sul piano della autodeterminazione e rivendicazione alla propria libertà personale (sacrosanta) e in termini puramente legali è ovvio che i fratelli DeLeo e Eric Kretz possano e debbano (tanto più dopo aver vinto una disputa giudiziaria) fare delle scelte in piena autonomia e secondo quello che è il loro sentire. Ma sul piano invece diciamo etico e morale, sul piano puramente emozionale, gli ascoltatori e i fan della band dovrebbero avere anche loro un ruolo in questa cosa oppure no? E se la risposta è 'Sì': in che misura?

Penso che rispondere in maniera netta a questa domanda sia difficile. Non riesco personalmente a quantificare quanto questa cosa possa essere rilevante, ma questo non c'entra niente con il caso specifico. Penso che quando fai della musica tu lo faccia per entrare in comunione con i tuoi ascoltatori e che quindi questi abbiano un ruolo fondamentale in quello che fai. D'altro canto questo può succedere se e solo se tu fai quello che senti di voler fare. Voglio dire che se uno suona tanto perché sia costretto a farlo alla fine te ne accorgi e in questo senso sarebbe forse o tendenzioso oppure fallace sostenere che ci siano esclusivamente ragioni di convenienza nel portare avanti questo progetto. Giudicare da fuori se sia moralmente giusto o sbagliato continuare dopo la morte di Weiland del resto non è possibile. Giudicare se invece questa cosa abbia 'storicamente' un senso può essere possibile, ma qui il giudizio di ciascuno è individuale tanto quanto quello dei diretti interessati.

Quanto ci appartengono veramente i presonaggi pubblici del mondo della musica e dello spettacolo. Persino della politica. Ma soprattutto, mi domando, se questi non facessero comunque delle scelte, come potrebbero essere definiti e considerati come tali. In qualche modo sono proprio le loro scelte e le loro decisioni e le reazioni del pubblico a tenere in piedi questo legame tra la band e i suoi ascoltatori in quello che si traduce in un vero e proprio show. Questo nel caso di una band conta tanto quanto i contenuti delle loro canzoni e un ascoltatore penso possa giudicare se le loro scelte siano più o meno giuste tanto quanto possa considerare se le sue canzoni siano più o meno buone. Perché funziona così: queste sono le regole del gioco.

Ma questo penso che gli STP lo sappiano benissimo. Lo sapeva anche Scott Weiland. La domanda è se noi che assistiamo a questo 'spettacolo' facendone comunque parte, siamo più o meno consapevoli di questa cosa. Forse, per quanto una scelta come questa ci possa in qualche modo toccare profondamente (perché no), la cosa più giusta è comunque relativizzare i fatti e considerarli nella loro giusta dimensione. Avere sostituito Scott Weiland con un nuovo cantante non è esattamente come profanare una tomba. Nessuno infatti in ogni caso ti potrà togliere quello che è il tuo vissuto e quelle che sono le emozioni che una certa musica ti ha dato e che potrà continuare a darti ieri come oggi ogni volta che la ascolterai.

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editoriale di lector

Non era mia intenzione distruggere l’equilibrio del giorno, in un luogo – oltretutto – dove non ero mai stato felice. E quelli battuti alla porta della sventura, sono stati ben più di quattro colpi secchi.

E’ che stamani mi sono svegliato dopo un sonno agitato ed ero trasformato.

Un enorme insetto splendente senza mele nel fianco, un immondo angelo della vendetta.

E poi è arrivata la nausea.

Perché, vedi, se nulla ha senso allora tutto è gratuito. Quando ti capita di rendertene conto, ti si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare.

Così ho cercato un posto che mi sembrasse adatto.

Una scuola, un supermercato, una sala da concerto, una piazza affollata.

Uno vale l’altro, poiché lo Spirito è a sé stesso dimora e può farsi del Cielo un Inferno e dell’Inferno un Cielo.

Così questo è il luogo, questa l’ora e questo il giorno!

Accarezzo la mia Uzi calibro 9 parabellum, fredda e fedele amica, ora sei libera di cantare il tuo canto d'odio. Il tuo canto di liberazione.

I primi se ne sono andati senza nemmeno accorgersene.

Poi l’incredulità, lo smarrimento, il caos, il terrore.

Chiamate il vostro Dio? Io potrei credere solo a un dio che sapesse danzare.

Volevate essere salvati? Io crederei all’esistenza del Salvatore se voi aveste una faccia da salvati.

E poi una di quelle facce mi insinua due occhi bistrati sulla punta delle mani. L’abitino della festa, le unghie dipinte coi colori della bandiera, i leziosi fermagli luccicanti fra i capelli.

Oggi ti aspettavi, forse, di rubare un bacio? O di riderne con le amiche?

E mi biascica insinuante, con rabbia lamentosa, la sua domanda: “perché?”

Interessante….

Cosa dovrei risponderle? Che bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante?

Ma davvero crede che ci sia un perché, un senso, una motivazione?

Questo non è mica un film dell’orrore, un banale b movie per adolescenti dove il Male appare sempre per un motivo ed agisce sempre secondo una sua logica, anche se assurda.

Questa è la realtà e il Male trova la sua ragion d’essere solo in sé stesso.

Il Male non è banale: è ottuso. E’ libero dalla prigione della logica.

Pape Satan, pape Satan aleppe.

L’Agnello ha infranto il Settimo Sigillo, le porte si sono aperte, presto si udranno le trombe dei Sette Messaggeri.

“Et vidi aliud signum in caelo magnum et mirabile angelos septem habentes plagas septem novissimas quoniam in illis consummata est ira Dei.”

Le porte, ormai, sono spalancate: psicopatici, terroristi, depressi, invasati religiosi, rivoluzionari, vittime, carnefici. Stanno arrivando, sono già qui, altri ne arriveranno.

Noi siamo la malattia, noi siamo la cura.

Saranno, poi, psicologi e sociologi, giornalisti, preti, politici ed esperti vari a doversi guadagnare il loro guiderdone. A doversi inventare un significato. Politico, religioso, psichiatrico, sociologico. A doversi sforzare di vederci un senso quale che sia, pur di non dover sopportare il peso della Verità.

In quanto a me, io indosso una corona.

“una corona degna è d'alti pensieri, ancor che splenda

su questo abisso di dolori. Oh, meglio

Re nell'inferno che vassallo in cielo!”

Ma come glielo spiego? Così le rispondo in fretta: “perché no?”

Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione.

Così la libero dal peso di un futuro fatto di rimpianti e di un matrimonio da poco. E poi faccio lo stesso dono ad un futuro avvocato. E poi pensionati, casalinghe, studenti, fiscalisti, disoccupati, stagnini, gelatai….

Intanto canticchio “Cease to Exist”.

Madri, e padri, figli, fratelli, amici, amanti. Di qualcuno.

Giudice, finalmente, arbitro in terra del bene e del male.

Ed Eric disse a Dylan: “cerchiamo di divertirci mentre lo facciamo”.

Laggiù a Columbine.

Poi, liberatorie, ho sentito le sirene.

Temevo che non mi bastassero le pallottole.

Stanno arrivando. Arrivano per me.

Peccato che non siano ancora le tre. Le tre è sempre troppo tardi o troppo presto per quello che si vuol fare. È la più stramba ora del pomeriggio.

Devo trovare il tempo di scrivere – da qualche parte – “Healter Skelter” (si, io lo so che è scritto male, non sono mica “Tex” Watson!).

Arrivano.

Finalmente.

Ora, perché tutto sia consumato, perché io mi senta meno solo, non mi resta che augurarmi che ci siano molti spettatori alla mia esecuzione.

E che mi accolgano con delle grida di odio.

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Campionamenti: “Lo straniero”; “La metamorfosi”; “Il processo”; “La nausea”; “Così parlò Zarathustra”; “Umano, troppo umano”; “La Divina Commedia”; “Apocalisse di S. Giovanni”; “The Paradise Lost”; “Cease To Exist” (Lie: The Love and Terror Cult); “Bowling a Columbine”; “Un Giudice” (Non al denaro, non all’amore né al cielo).

Solo un piccolo raccontino natalizio in questi giorni già pregni della futura atmosfera di festa.

Dedicato a Charles Manson e Leslie Van Houten (che non è la mamma di Milhouse).

Che brucino all’Inferno.

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editoriale di zaireeka

Dice Rovelli nel suo ultimo libro, e non e’ il primo, ed e’ convincente, che il tempo non esiste, quello fisico, quello assoluto, quello che passa uguale per tutti.

Che lo ha erroneamente legittimato Newton apposta per dare un senso alle sue leggi.

Esistono in verità solo misurazioni di quantità, di cambiamento dello stato di cose rispetto ad altre.

Numero di volte che hai visto per strada la donna della tua vita rispetto a battiti del cuore.

Battiti del cuore rispetto a numeri di passi inquieti nel corridoio aspettando che tua figlia rientri a casa.

Giri completi della lancetta delle ore rispetto a giri su se stessa della Terra.

In questa ottica io ho cinquantadue anni (quasi cinquantatrè...) ma in verità ho solo cinquantadue giri completi della terra intorno al sole.

Un anno sappiamo che è lungo, ma un giro della terra intorno al sole è solo un termine di confronto, senza dimensione, come tanti altri.

Come un viaggio di mia figlia nel Regno Unito, l’andata a un concerto dei Flaming Lips, un ascolto della settima di Beethoven, o un esplosione di felicità.

Conta solo il cinquantadue, che non è un numero altissimo.

Sono cinquantadue anche le carte di un mazzo di carte da poker.

Le conto in un attimo, non più di un minuto.

Un giro completo della lancetta dei secondi.

La mia vita è durata solo un giro completo della lancetta dei secondi.

Ricordando Il Miracolo Segreto di Borges, ora mi sento molto, ma molto, più giovane.

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editoriale di MikiNigagi

Ha perso l'allegra baldanza in tempo zero. Mi è bastato risponderle che fa freddo, oggi, che siamo soli, e siamo morti. Si è voltata perplessa verso l'uomo alla camera. Ha abbandonato il tono di sufficienza quando poi, interrotta mentre rinnovava l'aggressività della domanda, le ho fatto notare che in un mondo retto, una donna incravattata come lei, gli occhiali in tartaruga sul naso elegante adunco, la prima pagina di Tropico del Cancro avrebbe dovuto coglierla, anzi accoglierla con un brillìo, e di non provare a muoversi o mi sarei fatto brillare io lì sul posto, che avrei risposto alla sua domanda ma ci sarei arrivato a modo mio, e di continuare a filmare.

Risollevo la lampo del bomber, sorrido coi denti alla camera, dico che possiamo cominciare, allora.

Dico vedi, l'ultimo libro che ho letto è Memorie dal sottosuolo del povero Fedor Dostoevskij, semper laudetur, ma è passato tanto tempo. Smisi del tutto di leggere quando a otto anni vidi un'immagine di cui tra poco ti vorrei parlare, ti prego di concedermi un istante.

Lei tace, in preda a un percettibile tremito. Tiene il braccio teso davanti a sé, le dita dorate salde sul microfono, tanto salde da sembrare Raynaud. Ma Raynaud è una malattia e penso a Onder e a quanto sarebbe inopportuno se Onder, a un medico che sostiene la necessità di limitare il burro nella dieta per tenere nella norma il livello di colesterolo, rispondesse che lui mangia mezzo panetto di burro al giorno, a morsi, e non ha mai avuto problemi di colesterolemia, scopa come un bastardo, riesce a saltare due metri e mezzo in alto e infilare una serie di venti triple, quindi che sarebbe inopportuno e tendenzioso come accogliere le testimonianze di attrici mai molestate, mai stuprate in tent'anni di onorata carriera, mentre sul divanetto dello studio televisivo abbiamo questa donna che dice di essersi sentita paralizzata al contatto di quel piccolo pene venoso con la sua spalla: incredula lei, e impotente, figurarsi credibile agli occhi dei giurati. Che la soldatessa Jane è in realtà Demi Moore che è Diana Murphy in Proposta indecente, mi ritrovo a pensare.

Fa piuttosto due passi indietro per lasciarmi più spazio quando dalla tasca del bomber estraggo una busta di American Spirit giallo e con la calma del Cristo e fare ieratico mi infilo un filtro tra le labbra, mentre rivolgo un sorriso di mezza bocca ai suoi occhi carichi.

Ma sto ancora pensando alla per nulla clamorosa assenza del macellaio di fiducia di Rudolf Hess in qualità di testimone al processo di Norimberga, a dire che per quanto gli riguardava, il Landjäger glielo aveva sempre pagato, e il resto mancia. Che a un potere mediatico si faccia un processo mediatico, allora. E che il fine sia didattico, educativo: che si dica vacci piano con quel burro, Marlon Brando, come da Onder.

Il gelo di prima mattina le mangia la faccia e le crepa le mani. Quindi seleziono un ciuffo di tabacco, lo avvolgo in una Rizla arancione, quelle alla liquirizia, sfilo il filtro dalle labbra, mi schiarisco baritono la voce, e mentre rollo la sigaretta tengo ben ancorato lo sguardo sulla scritta SPQR, coperchio di un tombino, un paio di metri a sinistra delle sue creepers nere.

Quando accendo, hanno un sussulto. Ma le ginocchia sono troppo deboli adesso, sanno che neanche con uno scatto olimpico da centometrista potrebbero portarsi in salvo.
Dico state tranquilli che ne usciremo tutti vivi.
Insomma, era l'illustrazione di un ragazzino occhialuto che lasciava cadere un grosso libro, gli occhi sgranati e il cranio enorme spaccato, con cervella per aria, lettere e numeri. Aveva otto anni come me, e i suoi amici lo sfottevano: dicevano che un giorno gli sarebbe esploso quel testone che cresceva e cresceva, e ogni volta che leggeva un libro diventava più grande, fino a farlo somigliare a una piccola mongolfiera. Pensava che un giorno, come una mongolfiera, sarebbe volato via verso la Luna, e avrebbe trovato altri ragazzini che come lui leggevano tanto. Avrebbero potuto parlare di Jack London, e magari si sarebbe fatto la ragazza. Perciò continuò a leggere, recluso, i medici e i familiari rassegnati, finché la testa gli esplose.

[Immagine rubata a Thomas Ott, via Twitter: https://twitter.com/thomasott_tott]

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editoriale di CosmicJocker

La pagina bianca.

La sua perfezione, la sua infallibilità, la sua chiaroveggenza.

L'aroma che tesse.

Pura, incontaminata, regno del possibile.

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