editoriale di Bubi

È dura, a Modena, per i leghisti. Dopo le primarie democratiche, Salvini andò dal barbiere, mentre lo radeva, l'uomo gli aveva chiesto: “Per chi ha intenzione di votare?” “Per me stesso, anzi no, per Di Maio... ci devo ancora pensare”. “Allora lei tiene per i Grillini?” "Deciderò nell'urna all'ultimo momento." Replicò Salvini. "Ma lei è il capo dei leghisti!" Gli urlò in faccia il barbiere. Salvini aveva sussultato nella poltrona. Non si era aspettato un approccio così brutale. “No, anzi non lo so, mi lascio sempre la possibilità di cambiare idea” aveva detto. Se non fosse stato colto di sorpresa, avrebbe detto: “Io non tengo né per i Grillini né per i democratici.” Il barbiere tracciò un sentiero netto nella schiuma, poi puntò il rasoio contro Salvini. “Voglio dirle una cosa,” fece, "i veri politici non sono quelli che governano bene, no, no, no, sono quelli che sanno usare il cervello, e lei... lei lo sa usare" posò il rasoio, continuando risoluto, “ormai ci sono solo due partiti: i Grillini e i Leghisti. Basta guardare questa campagna. Sa cos’ha detto Renzi? Ha detto che meno di dieci anni fa, quelli non sapevano nemmeno allacciarsi le scarpe. A Bologna, se un grillino entrava in un negozio di barbiere per democratici e chiedeva barba e capelli, l'avrebbero buttato fuori, ma adesso... capisce cosa voglio dire? E senta questa, lasci che le dica ancora una cosa: niente andrà più per il verso giusto fino a quando non ci libereremo di tutti questi Grillini, finché non troveremo qualcuno capace di mettere quella gentaglia al suo posto. Ora la faccio saltare sulla poltrona. I negri sono più forti di noi, i nostri giovani sono tutti figli di mammina, invece loro, loro no! Dovremmo farli governare! Un governo e un parlamento di culi neri! Sicuro! Mi hai sentito, Mohammed?” urlò al ragazzo di colore che stava pulendo il pavimento. “Sicuro,” fece Mohammed. Era il momento buono per dire qualcosa, ma Salvini non riuscì a trovare niente di appropriato. Avrebbe voluto dire qualcosa che fosse comprensibile anche a Mohammed. Era stupefatto che il barbiere avesse tirato in ballo Mohammed. Salvini si chiese di quale tendenza fosse il ragazzo. Aveva l’aria del bravo ragazzo, pulito e a posto. “Se qualche Grillino entrasse nel negozio a parlare di tagli di capelli, ci penserei io a tagliarglieli davvero, senza scherzi.” disse il ragazzo di colore mostrando ben bene la scopa a tutti gli astanti. "Ci penserei io a metterli a posto..." Salvini si alzò dalla poltrona con la faccia ancora piena di schiuma da barba... "Si è arrabbiato signore?" disse il barbiere. "Su, si rimetta a sedere non parleremo più di politica" “Ascoltate!” urlò Salvini, “credete che io stia cercando di cambiare quelle vostre teste di cazzo? Ma con chi credete di avere a che fare?” Afferrò il barbiere per una spalla e lo costrinse a voltarsi. “Credete forse che voglia mescolarmi a un branco di idioti come voi?” Il barbiere si liberò dalla stretta. “Non se la prenda,” disse, “il suo è stato un bel discorso, una presa di posizione che è piaciuta a tutti. È proprio come dicevo io: bisogna usare il cervello, bisogna...” Salvini tornò a sedersi sulla poltrona e adagio' il capo al poggiatesta. “Davvero una bella presa di posizione, decisa," finì il barbiere mentre afferrava nuovamente il rasoio. Guardò ancora la faccia di Salvini, per metà coperta di schiuma. Il sangue cominciò a pulsare nel collo di Salvini, sotto la pelle. Si alzò e si fece largo velocemente tra gli altri clienti, diretto alla porta. Fuori il sole sospendeva tutto in una pozza di calore, e prima che potesse girare l'angolo, schiuma e sangue iniziarono a colargli giù dentro il colletto, lungo l’asciugamano che portava ancora appeso al collo, ciondoloni, fino alle ginocchia.

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editoriale di sfascia carrozze

Quando mi addentro in un editoriale mi incuriosisce capire se sarà un editoriale curioso.

Se ci si trova innanzi a qualcosa di interessante o di particolare da leggere: diciamo che preferisco quelli che per convenzione potrei definire editoriali frì-gezz.
Editoriali PeterBrötzmannPaalNilssenLoveKenVandermarkJoeMcPhee, per brevità.

Questo chiaramente non è uno di quelli; non è neanche un editoriale: è la traslazione di un incartapecorito papiro-egizio scoperto in un fetido baule in soffitta.
Quando da giovane vagabondavo per il Cairo.

Ammetto che per i simboli più complessi mi sono avvalso dell'immarcescibile traslatore di Gugol: perdonerete perciò qualche lieve imprecisione dal geroglifico all'itagliano.

Nel papiro dovrebbe esserci scritto che sarebbero da preferire quelli squagliati che permettono di astrarci anche solo per qualche minuto dalle quotidiane vicissitudini più o meno tribolate che ci attanagliano.

Sarei poco incline a quelli troppo avvinghiati alla realtà e/o all'accadimento quotidiano tavolta più tragico chè comico.
Basta guardarsi un po' intorno: di quelli se ne trovano a bizzeffe ovunque: quotidiani, tivvù e network più o meno sociali ne sono strapieni.
E poco spesso, seppur non volentieri, risultano memorabili e degni dello spazio concesso.

L'analisi a caldo sull'onda dell'umano disagio dell'ennesimo sconquasso, perlopiù con argomentazioni scarse o per nulla conosciute, è poco produttiva se non totalmente fallace.

Tanti sembrano detenere la soluzione in tasca ma in pochi sembrano in grado si estrapolarla efficacemente dalla saccoccia.

E' il predominio del decisionismo pret-a-porter, del parerismo indiscutibile: della facile soluzione al problema complesso.
Anche se anch'io sono sostanzialmente in linea con i post-platonici Brutal Truth, i quali sostenevano che a domande estreme si risponde con estreme risposte, direi comunque di cercare di restare coi piedi per Terra.

Per restare nell'ambito, conscio che forse non mi si crederà, mi è parso di scorgere Gengis Khan rampicarsi su un rododendro gigante nell'atto di avvistare cefalopodi imbizzarriti prima dell'impanatura irridere cariatidi catarifrangenti prive di occhiali da sole.

Testuggini fluorescenti sfrecciare alla velocità del suono per tuffarsi tra benefici effluvi e deiezioni nauseabonde. Imbottigliate all'unisono. Menadi astemie che si dilatano e dilaniano il petto senza aver bevuto neppure un singolo calice.

E infine, laggiù, australopitechi ingobbiti su geisers di naftalina compressa che schiantano al suolo meteore di panna montata.

Uhm.. ammetto di non essere proprio sicurissimo della fedeltà della traduzione.

Ma questo è (o ambirebbe ad essere) un editoriale PeterBrötzmannPaalNilssenLoveKenVandermarkJoeMcPhee.

Sempre per brevità.

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editoriale di Bearry

Non c'e verso in questo Paese, tantomeno una possibile soluzione a breve.

La mia non prendetela come una triste resa, anzi, perchè se avessi abbastanza strada davanti, tanto da proseguire ancora qualche decina di anni, è più che sicuro che sarei già altrove, lontano da questo Paese alieno ormai senza futuro.

Dopo il crollo del ponte Morandi di pochi giorni fa, tutti Noi siamo inevitabilmente portati a trarre qualche riflessione al riguardo.

Seppur non attendo questa evenienza con inquieto timore, purtroppo la mia strada non sarà così lunga, tanto che mi aspetto anch'io "idealmente" qualche ponte che mi crolli davanti, chissà quando, che mi costringa a lasciar il mio posto a qualcun altro, anche se spero avvenga il più tardi possibile, poichè qui avrei ancora qualcosa da dire e da fare.

Ormai da tempo viviamo una brutta storia, dove chi può fugge da questo Paese, mentre un'elite arrogante si arricchisce sempre più, ed un malaffare, a volte malavitoso, è sempre più invasivo.

Una brutta realtà, dove chi non ha santi in paradiso, grazie ad una sregolata globalizzazione, si impoveraccia sempre più, perdendo diritti e lavoro, mentre da un rapace colonialismo del passato giunge sino ai giorni nostri una ridondante immigrazione, che, alibi per molti, distrae risorse verso chissà dove.

Il tutto mentre una sinistra e dei sindacati, che dovrebbero fungere da argine difensivo, invece sono colpevolmente sempre più distanti dalla realtà, condividendo spesso una politica economica infausta, mentre chi giustamente li abbandona lo fa come il marito che se lo taglia per far dispetto alla moglie.

Ahhh, mentre mi son tolto finalmente un po' di peso dalle palle, mi disturba dover abbandonare i miei cari affetti, ed amate consuetudini, forte però dell'idea che quel ponte non è così prossimo a crollare, e mi giungerà davanti non così tanto presto.

Tieeè, per il momento vade retro Signora in nero, insieme alla tua affilata falce…

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editoriale di Bubi

Quando sentivo che stavo per venire, prima ancora di godere fino in fondo dell'orgasmo, già la mano cercava il telecomando sul comodino, volevo vedere almeno la fine del documentario su Giulio Cesare. L'avevo già visto, ma non riuscivo a mantenere costante l'attenzione neanche guardando la televisione, così, quando una cosa mi interessava guardavo anche la replica. Questo era il cazzo di vita che facevo. Tutti i giorni. Sempre uguale. Ma da quando l'avevo conosciuta, sempre più spesso pensavo con tenerezza ad Isabella, il tempo scorreva veloce quando fantasticavo sulle cose che avrei voluto fare con lei. Mi faceva stare bene. Un piacere legato solo al pensiero di una persona, non l'avevo mai provato. Bastavano due parole per farglielo capire: ti amo. Ma non l'avevo mai detto a nessuno, e nessuno mai l'aveva detto a me. Ti amo. Bastava quello. Due parole ti cambiano la vita e non hai il coraggio di dirle. Era che, avevo una grandissima paura della relazione, temevo di essere inadeguato, che sarebbe finita presto se ci fossimo frequentati regolarmente, se ci fossimo conosciuti meglio. Dio mio che insicurezza. Ero così, lo ero diventato negli anni. Il mio percorso. Forse era meglio lasciare le cose come stavano, era tutto più facile se la relazione rimaneva in quella sorta di limbo dov'era adesso e tenere Isabella lì, come un santino da guardare ogni tanto, e magari ogni tanto farsi anche una sega pensando a lei. Così, era molto più semplice che amarla, dimostrandolo giorno dopo giorno. L'amore chiede la rinuncia a occuparsi solo di sé stessi, dedizione, lealtà, tante cose impegnative che non ero abituato a fare. Quindi, era giusto amarla? Era un bene farglielo capire? Naturale che era un bene ed era anche giusto, così come era chiaro che le domande che mi stavo ponendo, erano generate dalla paura, da quell'ansia congenita che mi accompagnava fin da bambino. Siccome ero abituato a fare tutto lentamente, anche questa questione andava affrontata con calma, non si può cambiare in fretta, bisogna farlo gradualmente e, da sobri. Certo che volevo cambiare il mio destino, sapevo benissimo che la forza di volontà non serve a niente, quindi senza troppi sforzi, senza sofferenza, magari senza cambiare proprio un bel niente! Cambiare tutto, ma senza fare niente, senza lottare o soffrire, non ne avevo la forza, ma soprattutto me ne mancava la voglia, e questa, mi mancava per qualsiasi cosa dovessi o volessi fare. C'era un solo modo, doveva accadere come per magia, uno schiocco di dita e ti ritrovi ad avere la vita che vorresti, la donna, il rispetto, cos'altro? Nient'altro, quelle due cose bastavano... Dovevo soltanto smettere di bere, solo quello. Soltanto smettere di bere, solo quello, era il "solo quello" che stonava. Perché mentivo a me stesso pensando che era facile? Non era facile, era difficilissimo, e poi, nel profondo, ero consapevole che i miei problemi andavano molto al di là del bere. Dio mio basta! Pensai. Ma perché dovevo torturarmi da solo con queste domande e tutti questi dubbi del cazzo? Non bastava quello che stavo vivendo? Questa vita insulsa senza mai una gioia vera? La felicità l'avevo cercata a Ketama a Chiang Mei, sempre nei posti sbagliati, forse era molto più vicina, sapeva sorridere e aveva anche un nome. Era quasi mezzanotte, tra poche ore si faceva l'alba, non mi ero mosso dal letto da almeno quindici ore. Domani è un altro giorno, è meglio rimandare, domani ci penserò bene, aspettare un po', si domani da sobrio avrò le idee più chiare. Pensai. Sul comodino, vicino al telecomando, era appoggiata una bottiglia di Sambuca la afferrai e diedi un lungo sorso, mi girai su un fianco e mi addormentai.

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editoriale di splinter

Una cosa che non ho mai sopportato nell’umanità è il cinismo con cui vengono miserabilmente trattate ed emarginate le persone insicure, abbattute, che tendono a fare le vittime. E ignorano tutto ciò che ci può essere dietro queste persone e le conseguenze del trattamento che loro riservano. Queste persone vengono derise manco fossero un cancro per la società ignorando ciò che invece potrebbero custodire ed offrire.

Innanzitutto viene ignorata una cosa: queste persone non stanno facendo le vittime o denunciando il loro disagio per niente, così tanto per mostrarlo, non si può fingere un disagio, se non a teatro, nessuno si sente davvero di inventarsi un problema solo per suscitare compassione; anzi, se non ci fosse un disagio di fondo non ci sarebbe nemmeno bisogno di attirare compassione. Queste sono solitamente persone che hanno davvero sofferto; può trattarsi di situazioni familiari complicate e magari poco amore all’interno della famiglia; può trattarsi di sogni non realizzati e magari proprio perché il mondo circostante non ha permesso loro di realizzarli; può trattarsi di personalità originali che nessuno ha saputo capire perché, diciamocelo fra i denti, la gente è stupida; può trattarsi di adolescenza difficile segnata da episodi di bullismo o di emarginazione; può trattarsi di qualsiasi cosa che rende questa vittima legittimamente insoddisfatta nonché desiderosa di un riscatto. Ed è assolutamente normale che lo cerchi nelle nuove persone che conosce nel suo percorso. Questa persona è inoltre molto fiduciosa, nonostante tutto, di ottenere qualcosa da queste persone, spesso ignara del fatto che esse si riveleranno poi come tutte le altre; e sente quindi il bisogno di sfogarsi, sperando in una reazione, reazione che arriva ma come al solito negativa. “Ma che palle ‘sto/a qua, sempre che si piange addosso, una flebo ogni volta…”, questa è la reazione tipo, molto triste da dirsi.

E in tutto ciò arriviamo a credere che questo atteggiamento così cattivo sia la soluzione migliore per liberarci delle loro lamentele, anzi, pensiamo perfino che sia perfettamente normale, magari giustificati da quello studio scientifico di turno che ci dice che “le persone negative influiscono negativamente su di noi e sul nostro stato d’animo” e noi vi crediamo ciecamente. In realtà quello che stiamo facendo è soltanto alimentare ancora di più il loro vittimismo ed il loro senso di sconforto e desolazione, ci stiamo solo aggiungendo alla lista dei numerosi carnefici che potrebbero portare fino allo spegnimento della persona; o addirittura può darsi che siamo noi stessi i principali artefici della sua tristezza, se magari siamo i primi ad avere a che fare con quella persona.

Nessuno mai però che cerca di andare in controtendenza provando ad essere la rinascita di quella persona anziché l’ennesimo macigno o peggio il tracollo definitivo. Penso che non sarebbe una cattiva idea passare con quella persona un pomeriggio al parco, la sera al bar, il sabato sera con gli amici, magari provare ad inserirla nella propria compagnia (sempre che vi siano le persone giuste con la stessa sensibilità e senza pregiudizi). Se la cosa funziona la persona potrebbe pian piano cominciare a sentirsi importante e a lasciarsi il passato alle spalle, riacquistare fiducia in se stessa, e noi potremmo orgogliosamente ed umanamente divenire responsabili di un’opera di bene, e direi che far sentire bene una persona e risollevarle lo stato d’animo lo è a tutti gli effetti. Tentar non nuoce, è che forse siamo noi stessi troppo deboli per dialogare e per dare aiuto a chi ha bisogno d’amore, dovremmo prendere in considerazione questa ipotesi.

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editoriale di Bearry

Con il cuore provi tanto dolore nel ripensare a tanti morti e feriti dovuti al crollo di quel ponte, poiché con lui è venuto meno il nostro vissuto di genovesi, così anche fortissima rabbia quando scopri che lo stesso da anni era noto come un ponte malato, e che questa tragedia, se monitorato e rinnovato come necessario, forse poteva essere evitata.

Mentre sulla Città diluviava, seppur additato da tempo come critico, il Ponte Morandi da anni stava lì in mezzo a quei palazzi popolari, da quando fu costruito irresponsabilmente sopra gli stessi, abitato da povera gente, che, pur di aver un tetto sopra la testa, aveva accettato la sua degradante presenza, quando, crollando, ha travolto e cambiato le sorti di tante persone.

Sono le 11:50 del 14 agosto 2018 quando di colpo una delle sue arcate precipita, uccidendo chi sta sotto, ed anche chi, ignaro, sta transitando sopra in auto, com’è già stato un'infinità di volte per moltissimi che hanno avuto a che fare con quel ponte, sotto o sopra che fosse.

Tutto è ancora più drammatico, quando apprendi che quel crollo, così devastante, non era poi così inevitabile, tenuto conto delle tante evidenze provenienti da quel Ponte maledetto, a cominciare da quanto emerso nei carteggi ed accertamenti riguardanti lo stesso, e dal fatto, come scrivono i giornali, che da tempo i sottostanti capannoni erano costretti a proteggersi dai suoi detriti mediante delle reti metalliche.

Ancora un tragedia, rabbiosa, su di una Città costruita male, già provata più volte da accadimenti luttuosi, come le reiterate e drammatiche esondazioni, frutto dell’incapacità di difendersi da un’urbanizzazione sregolata, ed incidenti causati da insediamenti industriali ad alto rischio ubicati al suo interno.

Quasi fosse stata vittima d’improvviso di un evento bellico o di un atto terroristico, da quel momento Genova, dopo decine di lutti, tante rovine, una viabilità ormai imperfetta causa di danni incalcolabili, ed un quartiere quasi fantasma costretto ad esodare altrove, vive una fortissima domanda di giustizia, per una tragedia che ha sconvolto tutti, che con buone probabilità poteva invece essere evitata.

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editoriale di Bubi

Isabella era bella e di buone maniere, sembrava una fatina da Café Cantantes, deliziosa. Tutto di lei affascinava, il suo modo di fare e i sui pensieri erano sempre originali e poetici. Cercava il grande amore, ma in campo amoroso erano stati solo fallimenti, solo molto tempo dopo capii perché, era stato il diavolo, proprio lui, era lui che ci aveva messo la coda. Ma le avversità non l'avevano piegata, altre meno forti si sarebbero rassegnate. Ma lei, oltre una innata forza d'animo aveva una cura tutta sua, la sua cura era il flamenco. Per tutta la sua vita, nei momenti bui trovava conforto in questa danza spirituale e carica di emozioni. La aiutava, le dava la forza per mettere a tacere i propri dolori esistenziali col linguaggio nascosto e viscerale del ballo andaluso. Vestita di una spumeggiante guirca, Isabella camminava sempre con passo leggero e aveva sempre il volto illuminato dal sorriso. Ditemi, non è quanto di più affascinante si possa immaginare? Non è incantevole una creatura del genere? Chi non vorrebbe sentire il suo respiro stando abbracciati sul letto?

Quando i nostri destini si incontrarono, riuscì a dirottare i miei passi verso l'unico cammino possibile, quello segnato dalle sue impronte, le sue impronte che mentre avanzavo, cancellavano ogni cosa, inizio e fine. Fu un amore inevitabile, naturale, gravido di morte.

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editoriale di luludia

Se penso a Iggy mi vengono in mente due cose: una notte d'inverno del 77 e un suo concerto a Parma nel 79...

Che poi, a dirla tutta, le cose sarebbero tre, ma facciamo che l'ultima me la tengo per il finale.

Il concerto di Parma avevo sedici anni e fu una storia del tipo “allora il rock'n'roll esiste davvero”.

Che poi, con mio grande stupore, scoprii che esistevano pure i punk, quel posto ne era pieno.

I punk, figuriamoci...io venivo dal paesello...

Beh, fu un concerto favoloso. Con un sacco di pezzi degli Stooges.

E, se si parla di un certo tipo di rock tra garage e punk (più garage che punk), i primi due album degli Stooges fanno il culo a tutti, Non ce n'è per nessuno. Per nessuno...

Oscura , oscurissima,energia primordiale..

E, ok, , avevo detto che me la tenevo per il finale, ma ci sta bene qui: “IL SUONO CHE INGOIA LA SOFFERENZA TUTTA INTERA”, una frase che il nostro ha detto una volta, chissà dove e chissà a chi...

E poi mi ricordo i suoi occhi, non ho mai visto occhi più folli e penetranti...ed era posseduto già un decimo rispetto a quando era folle davvero...

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La notte d'inverno del 77. invece andò così..

Una cameretta (la mia ) e una radiolina gracchiante (mia pure quella).

Con un tizio collegato da Londra che raccontava del ritorno sulle scene di un certo Iggy Pop. Non prima o dopo il concerto, durante... E un torvo rumore di sottofondo ne era la prova.

Iggy Pop, che nome del cazzo pensai subito...

Era quella, infatti, la prima volta che lo sentivo nominare.

Però ero fresco dell'acquisto di “Low”. Che c'entra? C'entra. Uno, ero fiero dell'acquisto, e due...

E due dobbiamo tornare alla radiolina e alla cameretta...

Che, improvvisamente, quello speaker disse che il duca (il duca?), si il duca, era il tastierista del gruppo di quel tal Iggy, e mica solo per quella sera, ma per tutto il tour...

Cosa???? Cosa??????????????????????????

Non solo, il tizio, quasi a calcare quella che a me sembrava una cosa incredibile, se ne uscì, petto in fuori e mano sul cuore, con una frase del tipo “Mr Bowie suona nell'ombra” Inutile dire che all'epoca l'ombra aveva una certa importanza...

Beh signori, quella radiolina collegata col centro (del centro) del mondo è uno dei miei ricordi musicali più preziosi. Anche se è una cosa da niente. Ma col niente o col poco le facoltà immaginative viaggiano a mille.

Non ci misi molto a mettermi in pari e, ben presto, il signor Iggy divenne membro del sacro quadriunvirato dell'epoca.

Iggy, Jim, Lou e David...

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Questo breve scritto è nato dall'aver scovato sul tubo la registrazione di un concerto di Iggy Pop, proprio del 77, proprio a Londra, proprio in inverno...

Chissà magari è lo stesso di quella notte alla radio...

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editoriale di Bearry

"Vuoi sapere come cancellare un Uomo, senza dover agire con violenza?" chiese Criminal Man al suo Interlocutore, fornendo allo stesso anche la risposta: "Portagli via le sue passioni più autentiche, e Lui non avrà più motivi per vivere felice".

Mentre Bearry dormiva ancora, arrivò una notte in cui Criminal Man, forzato l’ingresso, si diresse verso il suo angolo musicale, consapevole che lo stesso senza la sua Musica preferita avrebbe perso anche ogni ragione di vita.

Portava con se anche due ampi borsoni, dove intendeva riporre i tanti album una volta sottratti a Bearry, dallo stesso raccolti ed ascoltati amorevolmente in tanti di anni.

Come fu finalmente nella sua sala d'ascolto, vicino ai suoi preziosi album musicali trovò anche Richard, che, ancora nascosto nell'ombra, era pronto a fermarlo ad ogni costo.

Quando Criminal Man allungò la mano verso quegli Album, con l'intenzione di portarli via nei suoi due borsoni, togliendo così a Bearry ogni passionevole ragione di vita, Richard uscì finalmente allo scoperto, insegui lo stesso sino alla finestra, che, urlante, precipitò tragicamente verso terra da quel 4° piano dov'era posto l'alloggio del suo Amico.

Scampata quella minaccia, Richard rientrò rapidamente nella sua casa, mediante i solchi di "If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You" dei Caravan, dove risiedeva felicemente dal 1970, contribuendo alla magia della rivoluzione gentile di Canterbury.

La mattina dopo Bearry, ignaro di quanto sopra, estrasse dalla sua custodia quel cd, lo introdusse nel cassetto del lettore, e schiacciò il tasto play, dopo di che risuonò nella sua stanza le note dell'imponente suite "Can't Be Long Now/ Françoise/ For Richard/ Warlock", che comprendeva tra i suoi solchi anche il suo Amico Richard, artefice del suo salvataggio notturno di qualche ora prima.

Felice di tanta passione musicale, riguardò nuovamente le note di copertina dello splendido "If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You" dei Caravan, con in 4^ pagina delle belle immagini di un loro concerto live, e finalmente sorrise finalmente soddisfatto...

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editoriale di Bearry

Appena rientrato, dopo l'ennesima trasferta di lavoro, tolta la giacca, Christoffer Anberg si buttò sfinito sul divano del suo rifugio.

Troppo stanco per prepararsi da solo la cena, pensò di ordinare qualcosa di pronto dal bar lì vicino, con l'idea, nel mentre che aspettava, di ascoltare un po' di buona musica tanto per raddrizzare il verso di quella giornata.

Era di nuovo a Hjertvika, suo paese natale, dove aveva portato il suo punto d’appoggio tra un viaggio e l’altro, poco distante da Molde, famosa per l'omonimo festival jazz che si tiene ogni luglio.

Dopo un’interminabile viaggio, che toccò anche l’Atlantic Ocean Road, che sarà pure la strada più bella del mondo per i turisti, ma che era per lui solo un menoso dejavù ripercorso all'infinito, Christoffer si trovò nuovamente nel suo spartano Rorbu in legno.

Finalmente era di nuovo a casa, nei luoghi della sua infanzia, indifferente ai rinomati punti panoramici a strapiombo sul mare di quella strada, che, saltando da un’isola all’altra grazie a ben 7 ponti, by passa l'arcipelago, collegando Molde a Kristiansund, dov’era allocato il suo lavoro ed anche la sua dimora, famiglia inclusa.

Costruito a mò di palafitta sul mare, a ridosso di terraferma e soprastante vegetazione, quel rifugio consisteva in realtà in un modesto capanno, già base per dei pescatori sino a qualche anno prima, epicentro sia del miglior paesaggio che delle turbolenze meteoriche che spesso impattano su quel tratto di costa.

Lo stesso, ancora riscaldato a legna, era incentrato su di un ampio monovano, con funzione di soggiorno e camera da letto, dotato sui tre lati di gabinetto, deposito per la legna e piccola cucina, mentre sul quarto lo stesso prospettava, attraverso la bella vetrata d'ingresso, sull'ampia balconata coperta con vista sul Mare di Norvegia.

Fatta una breve doccia, ed estratte dal trolley le sue poche cose d'ordinanza, lo stesso ordinò per telefono al bar la sua cena; in attesa del suo arrivo, scelse di ascoltare Dead Man di Neil Young, acquistato tempo prima su vinile nello storico Muzak Store, posto nel centro di Molde, con l’auspicio di rinverdire così quell'Amore un po' sfiorito.

Estratto quell’ellepi dal cartone, si avviò verso la postazione musicale, lo centrò sul piatto del giradischi, e fece scendere lentamente la puntina sullo stesso, che iniziò a percorrerne i solchi concentrici, mentre partivano le sue note emozionanti e potenti, grazie al vecchio e prezioso ampli valvolare ed ai due pregiati speakers, compagni di tanti bei ascolti.

Attempato studioso della Groningen Research Institute, noto per la sua solare presenza, Christoffer, impostata la sua cena, così come anche quel ascolto, si accomodò piacevolmente sul divano, esattamente al vertice del triangolo musicale con i due speakers, in modo di cogliere dagli stessi ogni piccola sfumatura di Dead Man.

Appena avviato quell'ellepi, Christoffer apprese dalle note di copertina il suo senso, avvertendo così tutto la sua tragicità, grazie agli obliqui riff chitarritici di Neil Young, intrinsecamente legati all'omonimo film di Jim Jarmusch del 1995, dedicato alle drammatiche vicende umane di William Blake, giovane poeta e pittore inglese di fine '800, interpretato nello stesso da Johnny Depp.

Apparve subito chiara la bellezza, non solo del film, ma anche della sua colonna sonora, così intensa da riconquistare anche l'amore perduto di Christoffer.

Quella musica, seppur scevra delle necessarie immagini, grazie alle note strazianti dell’Old Black di Neil Young, era capace di evocare perfettamente la vita del suo protagonista, che, in un lontano ed ancora selvaggio West, attirato da un'allettante offerta di lavoro, intraprendeva un avventuroso viaggio, anche interiore, che, prima di vederlo scendere verso la terra degli spiriti, travolto infine dalla morte, lo portava ad una profonda rivisitazione mistica di sè stesso.

Prima del previsto, arrivò il ragazzo del bar, che posò sul tavolo quanto ordinato, ma Christoffer, anzichè cenare, preferì concludere Dead Man, affascinato dalle sue note, malgrado il suo stomaco fosse vuoto ormai da ore.

La sua attenzione fu distratta da una certa presenza che avvertì nei suoi pressi, e che si concretizzò con un'impronta sul divano, mentre gli evocativi riff chitarristici di Neil Young via via venivano amplificati dai suoni, ugualmente laceranti, che giungevano da fuori, dietro la porta d'ingresso, di sicuro estranei alle forti raffiche di vento che nel mentre stavano battendo furiosamente la costa.

Decise di non silenziare la musica, ma la riascoltò più volte, tanto che apparve sempre più netta quella presenza seduta sul divano al suo fianco.

Anzichè farsi prendere dal panico, rimase immobile, in attesa del rassicurante giorno dopo, convinto che la miglior guerra è quella vinta senza combattere nessuna battaglia, anche se poi, prima che sorgesse il sole, si decise a chiamare la polizia.


Pochi attimi dopo giunse il Tenente Olsen, che, non riscontrando alcun pericolo, dopo aver ascoltato il racconto di quella notte insonne, ritornò verso la balconata indicando una preziosa Gibson Les Paul Gold Top del '53 lì appoggiata, per poi rientrare di nuovo verso il divano dov’era rimasta la copertina di Dead Man.

Olsen, un po’ scocciato completò il suo mero lavoro, e mentre si avviava verso il suo fottutissimo ufficio indirizzò a Christoffer un mezzo sorriso, aggiungendo infine:

“Ciao Amico, là fuori c’è la mitica Old Black di Neil Young, e ci sono anche segni che lì la stessa ha suonato ininterrottamente per tutta la notte, e che Neil Young sia stato pure qui vicino a te, anche se ormai è andato via, quindi fammi un piacere, quando avrai modo di rivederlo mandagli un saluto anche da parte mia".

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editoriale di Bearry

Poco prima di entrare in autostrada c’è un bar, frequentato come ovvio da automobilisti, che ad ogni occorrenza diventa una sala concerti affollata di curiosi ed appassionati musicofili.

Se provenite dal centro non potete non vederne l’insegna, accesa giorno e notte, con la scritta lampeggiante “Qui Musica”, che indica l’unico posto della zona, nel giro di chilometri, in cui si suona musica dal vivo giorno e notte, e dove puoi mangiare semplice e casalingo.

È un posto simpatico, come i suoi gestori, che al momento di chiudere, ormai a notte fonda, ha davanti all’ingresso più gatti che clienti, dove capita che trovi della bella musica, anche se la stessa a volte appare annacquata come certa birra che ti servono al banco.

Dopo tante belle cose dal vivo, i concerti iniziarono a scarseggiare, anche in termini di qualità, tanto che una sera una band chiamata a suonare delle cover hard rock per pochi euro, prima che iniziasse a suonare, fu letteralmente bottigliata, con annientamento della relativa strumentazione, mentre i più contemplativi si domandavano attoniti se tanta intemperanza dipendesse dai presenti oppure dalla loro pessima qualità musicale.

Intanto che si avvicendavano pseudo cantanti a pseudo gruppi, seguì un inevitabile spopolamento del locale, mentre tale andazzo proseguiva immutato, tanto che un giorno le esibizioni dal vivo furono sostituite da uno stereo posto in pianta stabile sul palco, ciò al fine di evitare ingaggi scadenti, a cui i gestori sopperivano, per abbandono del palco, da abbondanti stuzzichini ed aperitivi al posto di artisti decenti.

Eravamo nel ’71, appena prima che il locale fallisse del tutto, quando una sera si presentò al bancone un tizio, insolitamente diverso dai tanti musicisti scalcinati visti sinora, con in testa uno strano copricapo, che pareva giungere da un altro mondo; lo stesso, mentre sorseggiava una birra, in un inglese quasi italiano, chiese: “Qui live music?” stupendosi della reazione del barista, che tentò di spedirlo malamente fuori dalla porta d’uscita, mentre gli astanti assistevano in silenzio alla scena, con uno sguardo che fu tutto un programma, in cui gettavano gli occhi al cielo disperati e memori dell’ultimo concerto…

“Vedi Amico, io la serata te la farei anche fare” esordì il titolare, tra lo stizzito e l’annoiato, proseguendo: “il problema è che qui non suoniamo certa musica, perché i più pensano che Vasco Rossi sia un rivoluzionario e che il rock l’abbia inventato Ligabue…”

Senza aggiunger parola, David Jackson, questo era l’Inglese, chiamò dentro gli altri tre della Band, che, accomodatisi ad un tavolone nei pressi del palco, iniziarono un’abbondante cena a base di pastasciutte, frittate, spezzatini, tiramisù, insomma tutta roba nostrana di qualità in grande quantità.

Intanto la sala stava animandosi dei soliti abituè, impazienti di ascoltare il Blasco, in formato cover, quando alle 22 in punto, senza presentazione alcuna, i Nostri, ormai madidi, recuperata dal parcheggio fuori la loro strumentazione, raggiunsero di botto il palco iniziando un concerto mai annunciato.

Seguirono brani emotivamente forti, in continuo addivenire, portati avanti senza alcun risparmio di energia,e capaci di suscitare stupore ed entusiasmo tra i presenti, specie in occasione di veri eventi “assoluti” come Killer, Refugees, House With No Door, Lemmings, A Plague Of Lighthouse Keepers, mentre qualcuno dei presenti iniziò a domandarsi se quelli che stavano esibendosi erano i grandi Van Der Graaf Generator in persona, protagonisti di uno strano baratto, tanta buona musica contro qualche abbondante e gustoso piatto di cucina casalinga.

Poi, quando gli stessi passarono infine all’entusiastica Man Erg, tutto fu finalmente chiaro, su quel palco, quasi buio, c’era una grande Band all’ordine di un grande Artista, poco più ventenne, di nome Peter Hamill.

Ed a seguire tutto riniziò miracolosamente a funzionare, grazie ad una rinnovata ed eccellente musica dal vivo, tanto che quel locale, sempre meno bar, diventò una sala concerti rinomata “Big Soundy ‘71”, in onore di quel inconsueto concerto...

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editoriale di Bearry

E' sicuro, che in quegli anni chi viveva la Musica solo da ascoltatore, lo faceva senza conoscere i meccanismi economici che stanno dietro alla stessa, cosa che avviene anche ai giorni nostri, non immaginando quanto questi il più delle volte cambino la sua storia, fatte salve quelle volte che è il Destino a deciderne le sorti...

In una storia verosimilmente di fine anni '60 il ruolo di determinatore delle scelte musicali di quei tempi era il potente, e sconosciuto ai più, Mr.Nicholas Busienes; diversamente dai promoter che proponevano nuovi talenti, mettendoci la propria faccia, Nick, questo era il suo nome per gli amici, era il decisore finale, ben più autorevole dei primi, capace di segnarne veramente le sorti.

Seppur di modeste origini, partito dal minuscolo St.Malo in Louisiana (Usa), sito nei pressi di New Orleans, in meno di 20 anni da semplice costruttore di sondaggi musicali, aveva scalato la Sounds the Music, trasformandola in un team, ugualmente piccolo, ma ineditamente più intrusivo, volto a studiare ed influenzare, a loro insaputa, la vita di Artisti specie se emergenti.

Schivo, ed ancora minimalista in ogni suo aspetto, non certo per questioni di budget, e cresciuto all’ombra del jazz di New Orleans, grazie alla sua esperienza nella Musica era diventato il più importante influencer, capace di condizionare con le sue scelte ogni sua sfumatura espressiva.

Da esterno, l'ultimo incarico di Nick era quello della Corporation Bell's Sound, preminente editor di musica folk, psichedelica ed idealista di allora, che intendeva eliminare dall'orizzonte musicale una nascente Band, con alle spalle già un bel passato, pronta ad imporre un sound rozzo e rocciosamente blues, destinato ad offuscare le loro vendite, seppur non ancora apprezzati dai critici più colti.

Era giusto il '69 e Nick, vista l'urgenza della questione, portò avanti i contatti con quei ragazzi, incontrandoli ugualmente nel piccolo cottage di St.Malo fronteggiante il vicino Lake Borgne, posto ai margini dell’Oceano Atlantico, dove sin da bambino tornava a trascorrere i fine settimana, piuttosto che nei suoi uffici come di consueto.

Come già in tante altre occasioni, dove aveva concluso positivamente la sua mission, li aveva invitati per un'audizione privata nella saletta nel piano fondi di quella sua dimora estiva, dove gli stessi lo sbalordirono con una folgorante esibizione dal vivo.


Subito dopo, propose agli stessi un interessante contratto discografico della Hidden Worlds, ramo secco della Corporation Bell's Sound, predisposto ad hoc per questo tipo di evenienze, con l'idea di portarli avanti invano, sino a farli scomparire, insieme alle loro belle velleità artistiche.

Contenti, con in tasca quel Contratto, Billy G., Dusty H. e Rube B., lasciarono Nick con un sorriso, che, ugualmente soddisfatto li salutò, entusiasta del bel risultato appena conseguito.

Era il 14 agosto , e differentemente da altre volte, fu il Destino a dire la sua su questa Band, perchè, mentre Nick riposava nel suo bel pensatoio all’aperto, dal sottostante Lake Borgne saliva devastante la furia dell’Uragano Camille, uno dei più catastrofici di sempre, che dall’Oceano Atlantico portò morte e distruzione, per poi dissolversi verso il Nord alla velocità di 280 Km/h, sradicando il pensatoio all’aperto, il cottage e tutto quello che ci stava dentro, proiettandoli verso l’Oceano.

Miracolosamente, qualche ora dopo quando l’onda venì meno, Nick capì di essere un sopravissuto, poichè sfuggito alla furia dell’Uragano; rimasto a lungo indenne in quell’ambito, sino all’arrivo dei soccorsi, nel mentre ripensò inevitabilmente al suo lavoro, approntando bilanci ed ipotesi per il futuro.

Debitore di un grazie al Destino, decise di lasciar libera quella Band, capendo il loro valore, e svincolandola dal Contratto appena sottoscritto, con lo sbigottimento dei suoi componenti, che, dopo numerosi contatti, il 16 gennaio 1971 pubblicarono, grazie ad un'altra major discografica, il loro First Album, dando vita finalmente ai grandi ZZ Top !!!

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editoriale di zaireeka

Si, lo so che siamo in piena estate, e l’estate è fatta di sole, allegria, di spiagge, di culi a mandolino da ammirare nel loro splendore, di nuovi amori da pedinare.

Oh, quanto mi piacerebbe crederci ancora.

Di discoteche all’aperto, di ferie, di morale alle stelle.

Prima o poi, giuro, ci riuscirò.

Ma c’è sempre una prima volta nella vita, o almeno quella che si ricorda come tale, e, quando capita, importante è prenderne nota.

Già in passato mi era capitato di trovarmi in mare durante un temporale, ma sempre con i piedi che potevano saldamente toccare un fondo sabbioso, sempre più o meno indice di un mare addomesticato.

Oggi, anzi proprio stamattina, mi sono immerso, volontariamente all'inizio di un temporale, fino alla testa in un mare scoglioso, sempre più o meno indice di un mare selvaggio, anche se a due passi dalla riva.

Da quella posizione, ad altezza pelo dell’acqua, mi sono ritrovato, mia moglie poco lontana, ad osservare tutto intorno a me il tuffarsi vorticoso nel mare di un numero innumerevole di gocce di pioggia.

Ed e stato uno spettacolo bellissimo.

Erano tutte simili e profondamente diverse.

Illuminate da quella pallidissima luce del sole che filtrava dalle nuvole.

Allegre, alcune, precipitavano nel mare quasi abbracciate.

Altre solitarie con un plin sordo, una dopo l’altra.

Proprio ieri (che sfortuna, in piena estate...) ho ripreso fra i miei ascolti un brano di quel depresso cronico (oltre che leader dei fu Beach Boys) di Brian Wilson.

'Til I Die.

Strana coincidenza che Wilson abbia scritto/ispirato versi per quella canzone che sarebbero stati molto bene come colonna sonora di quel precipitare di gocce di pioggia.

Dall’indefinito delle nuvole da cui provenivano all’indefinito del mare.

Ed io li ad osservarle alla fine del loro viaggio, dalla posizione di Dio.

Qualunque cosa ciò significhi.

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editoriale di Stanlio

Non avendo oggi una mazza da fare qua in Marocco (come anche gli altri giorni del resto) e dopo aver messo mi piace ieri sulla pagina facebucchiana di DeBaser ed averlo tolto oggi solo per non infrangere uno stentato voto all'insegna dell'anonimato, ho deciso di intraprendere un (breve per oggi)percorso non a senso unico su un testo che una membra (una delle più fighe a mio modo di vedere) del DeB ha faticosamente steso a beneficio delle ffss e del resto del pianeta nostrano (e per inciso tale percorso non sarà affatto serioso altrimenti nemanco mi ci mettevo, ciò non toglie che non sarà non serio...), “perchè” vi chiederete voi, “così” vi risponderò io.

Lungi da me dal muovere qualsiasi critica formale, mi appresterò qui a spulciare tra le righe trovando ciò che più mi piace tra i vocaboli (delle 98 pagine in pdf) usati e farne un uso editorialisticistico a mio uso e vostro consumo.

Ok, si parte...

  • a pag. 9 troviamo:

    […] limitandosi a confermarne gusti e preferenze, mentre la prosa giornalistica viene ormai considerata il caso più rappresentativo del cosiddetto “italiano dell’uso medio” […]

    eccolo qui rappresentato per brevità e riconosciuto ormai anche dagli analfabeti a livello internazionale:

    .. ............./´¯/)....
    . ............/....//......
    .. ........./....//. ...
    ...../´¯/..../´¯\........
    .././.../..../..../.|_...
    (.(....(....(..../.).)...
    .\..................../
    ...\................ /......
    .....\..............(....
    .......\.............\...

  • a pag. 10 c'è una supposta che non è una supposta e tale supposta è pure legata all'eleganza (se così si può dire e non se l'abbia a male la scienza medica o chi è costretto/a ad usufruire a volte di una supposta che non è la stessa supposta di cui si narra a pag. 10)

    Ecco questo è quanto son riuscito a scavare o scovare finora in quella miniera che è la Presentazione a cura di Stefano Ondelli, e per oggi accontentatevi che qui fa caldo e son già esausto, tra l'altro mi par di sentir odor non di cristanucci ma di cous cous, se soppravviverò al lauto pasto servito da Aicha, probabilmente vi sarà un seguito editorialisticistico che seguirà alla mia lettura delle pagine in pdf di Sono solo coincidenze? Proposte a Trenitalia per farsi capire (meglio) dai viaggiatori scritto amabilmente da Carlotta.

    P.S. non me ne volete se son scaduto così in basso

    ma (a far rima in venexian) non ci posso far un casso

    : : : fine del primo (e forse ultimo) capitolo : : :

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editoriale di Bearry

A proposito dei King Crimson, forte di tanti anni spesi bene nei loro ascolti, Vi intratterò con una strana storia nata per le strade della cittadina di Brunico in Val Pusteria (BZ), mio grande amore del passato.

Siamo nel '75, più di 40 anni fa, quando Rupert, nomignolo d’arte con cui il mio amico Gunther K. era chiamato simpaticamente dai suoi compari, prendendo spunto dall’omonimo brano dei King Crimson, si appresta quotidianamente a suonare dal vivo le sue canzoni preferite di quel Gruppo meraviglioso.

Condiviso anche dal sottoscritto era il suo amore per quella Band, tanto che ogni mattina, appena smontato dal turno di notte presso l’Hotel Blitzburg, si reca velocemente nella centrale Via dei Bastioni, e inizia a suonare a modo suo la loro magnifica Musica, mentre è seduto a margine della storica fontana in marmo sita nei pressi della quieta ed elegante Birreria Forsterbräu.

Quella strada a quell’ora è ancora deserta, ed unico aperto è l'antico Cafè Restaurant dell’Hotel Post, sito nei pressi ma sul lato opposto della strada, unanimemente apprezzato per la sua pasticceria artigianale, e per il suo arredamento un po’ retrò fatto di divani damascati, tappezzerie in tinta e lumi soffusi.

A dispetto delle gelide temperature tipiche di questi posti, specie sui monti, dove scendono nei periodi invernali sino a meno 15-20 sottozero, il sole mattutino iniziava a scaldare l’antico ed ordinato selciato, mentre il Quartiere si riavviava gradualmente come ogni giorno, dando vita anche ai Mercatini di Natale ivi presenti, approntati per l’occorrenza davanti a quella Birreria come di consueto.

Il tempo passa veloce, ed ora Rupert si trova con le sue vicende a metà anni '80, e non lavora più di notte al Blitzburg, ma lavora come intrattenitore musicale al Forsterbräu, grazie ai suoi apprezzati "assoli" di chitarra acustica, impreziositi dalla sua bella voce, alternando dei suoi amati King Crimson brani del calibro di Cadence and Cascade, Sailor's Tale, Exiles e Book of Saturday

E’ finalmente soddisfatto dei suoi successi musicali, poichè, sempre più bravo e stimato, il suo palcoscenico ora non è più l’antistante fontana, a volte battuta dalla pioggia, o peggio ancora ghiacciata dalla neve o dal troppo freddo, ma si è spostato in un'accogliente saletta al primo piano di quel locale.

Dopo tanti sacrifici, i tempi per Lui sono cambiati in meglio, grazie a Forsterbräu che lo paga mensilmente, permettendogli di metter su famiglia, grazie anche alle sue partecipazioni musicali a Feste popolari che di tanto in tanto si tengono in Val Pusteria a Campo Tures, San Candido, Dobbiaco, San Lorenzo, etc.

Chi scrive, nel mentre è tornato a vivere nel Nord Ovest, pur mantenendo saldi contatti con quel mondo, tanto che ogni tanto fa un passo a Brunico, specie in occasione dei Mercatini di Natale, quando dorme nel vicino Blitzburg, e la sera ascolta le canzoni suonate da Rupert in quella saletta.

Tutto corre veloce, compresa la sua notorietà musicale, tanto che una sera, mentre sta intrattenendo come di consueto i suoi ascoltatori, riceve da un importante producer una buona proposta discografica in grado finalmente di assicurargli un futuro migliore.

Rupert ci pensa un po’ e poi si convince, perchè questa è l'occasione della sua vita, trasferendosi rapidamente prima a Bolzano e poi a Milano, quando le sue prospettive di lavoro diventano ancora più importanti.

Pare tutto perfetto, poiché lo stesso compone anche la musica che poi suona, mentre al Forsterbräu è calato il silenzio in quanto l’intrattenimento musicale a cui prima dava vita ora non c’è più; analogamente Rupert a Milano ha perso il suo slancio iniziale, e progetta da un po’ di tornare alla sua Musica, in quella saletta al cospetto dei suoi frequentatori.

Spesso i ricordi però ti scavano l’anima, tanto che un giorno il nostro Amico, anzichè rinnovare il suo contratto, chiude ogni eventuale prospettiva musicale e torna deciso al Forsterbräu, anche se, dispiaciuto, non trova più tra il suo pubblico chi sta scrivendo in questo momento.

Passa ancora qualche anno, tanto che ora siamo ai giorni nostri, ed il sottoscritto, libero dagli impegni che lo tenevano distante da Brunico, un giorno decide che la stessa per un po’ sarà nuovamente la sua casa, ed appena giunto in Città corre in Birreria, e poi rapidamente verso quella saletta al primo piano dedicata ai King Crimson, da cui sente suonare la loro Musica come una volta.

Il loro suono, magistralmente condotto dalle evoluzioni acustiche di Robert Fripp, appare perfetto, anche se suona stranamente lontano; anziché esserci Rupert con le note di Epitaph, scopro con mio grande stupore al suo posto due diffusori musicali, fatto che viene spiegato dai presenti con un chiarimento da me purtroppo tristemente atteso:

Ormai è tardi caro Amico mio per cercare Rupert, perché qualche giorno fa è salito in Paradiso, unendosi a Greg Lake nel suo ultimo viaggio, con cui ora suona felicemente insieme a tanti altri ugualmente Grandi come Jimi Hendrix, Frank Zappa, Janis Joplin, Nick Drake, Jim Morrison, Lowell George, John Martyn, e tanti altri di cotanto peso.

Forse però tutto ciò non ha avuto ancora un fine, e mentre esco dal Forsterbräu, anziché non credere ai miracoli impossibili, mi accingo a comprare presso lo stesso i biglietti per i suoi prossimi concerti che si terranno in Paradiso; poi, passando davanti all'antica fontana in pietra, suo primo palcoscenico, gli mando sottovoce un amorevole saluto, Ciao Rupert a presto !!!

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editoriale di Bearry

Ma quale felicità, se oggi è lunedì mattina e fuori diluvia, ed hai appena perso l'autobus e in ufficio ti aspetta una seccatura che ti terrà incollato alla scrivania per le prossime 10 ore?

Che i prossimi siano gli anni della rivincita degli eterni Ultimi? Forse. È anche vero che usare il termine sfigati, quando è il momento di definirci, non è che sia proprio il massimo…

Se volete approfondire la questione, sappiate che qui non si parla di musica o storie simpatiche, come mio solito, ma di vicende nostrane, anche se poi, dopo mezza pagina di disgrazie, finalmente si disquisisce finalmente con tono allegro su come tener distante l’infelicità.


E’ ormai da tempo che pochi la mattina escono di casa col sorriso, colpa forse del terrorismo brigatista, alimentato da chissà quale oscuro mittente, poi di quello globale, con le sue tragedie, come quel maledetto 11 settembre, portatore di dolori e diffidenza verso il diverso, ma soprattutto di una grave crisi economica avviata circa un decennio fa, che ci ha brutalmente buttato dentro ad un disagio sociale a noi sinora sconosciuto.

Senza approfondirne noiosamente le ragioni, viviamo in mezzo ad un mare di emergenze, nel timore di mille potenziali nemici, amplificati dai media che mostrano pericoli e tragedie ovunque, facendoci percepire il male non più così “rassicurantemente” lontano, perché lo stesso può giungere da tuo figlio, tua moglie, il vicino di casa, o chiunque altro.

Farà forse comodo a qualcuno, ma il bello della questione che, seppur perfettamente inconsapevoli, viviamo in una continua emergenza, che ci porta ad accettare proni ed acritici qualunque compromesso e sacrificio, senza renderci conto che ormai la nostra è quasi una vita da schiavi, però attrezzati di smartphone, appassionati webnauti.

In questo medioevo tecnologizzato, dove nessuno protesta e scende in piazza, guardi desolati panorami, in cui convivono senza confliggere vincitori e perdenti; il tutto in una società spietatamente individualista, che nega e monetizza i diritti più basilari, dove oggi, chi è un’ “Ultimo”, corrisponde ad un dimenticato, o peggio un fantasma senza volto incapace di qualsiasi emozione, a volte con la morte dentro.

Se è vero che essere felici vuol dire essere vincenti, ed affrontare la giornata con il sorriso è di sicuro più facile che farlo da imbronciati, per arrivare al buonumore, che induce poi alla felicità, bisogna assolutamente disinnescare la paura che parte in modo automatico in nostra difesa quando temiamo un ipotetico pericolo.

Stiate più attenti verso il circostante, e mantenete attivo il buonumore, perché lo stesso ci facilita in tal senso, riducendo i potenziali pericoli che riteniamo più prossimi; aumentate le relazioni sociali, sempre con una mano sul portafoglio, e siate più fiduciosi verso il prossimo; piuttosto che mandare al diavolo gli astanti, se importanti sopportate di buon grado le loro critiche, salutandoli con un sorriso.

Dedicatevi unicamente ai film comici, andandoli a vedere in gruppo da gregari ed un po’ ruffiani, organizzando piacevoli gite aziendali.

Fate sempre l’antinfluenzale, evitate persone raffreddate, ed aumentate le difese immunitarie, mangiando chili e chili di arance e bacche di ribes nero, evitando misere diete salutiste.

Preferibilmente frequentate persone importanti, con attenzione che le stesse stiano sempre in buona salute non solo sanitaria, cercando di carpirne i segreti del loro successo, mandando spesso fiori alle loro compagne e regali possibilmente costosi ai loro figli.

Escludete dalle vostre frequentazioni tutti quelli che possono avere potenzialmente dei problemi, come vedovi, sfrattati, senza casa, senza lavoro, licenziati, ammalati di ogni genere, siate egocentrici ed auto-centrati, ed infischiatevene del mondo esterno, mostrandovi scherzosi, buontemponi e di buonumore.

Siate più smemorati dei vostri problemi, e curate la vostra istruzione, e le vostre conoscenze in generale, iscrivendovi contemporaneamente a 3-4 corsi di laurea, preferibilmente di indirizzo manageriale, perché una persona informata è maggiormente felice.

Ascoltate il cuore e non il cervello e cercate di diventare molto ricchi in fretta; migliorate l’autostima, evitando accuratamente le persone tristi e problematiche, e gli eventi sgradevoli, compresi funerali e lutti, e fate molto sport, possibilmente con persone molto belle, esteticamente parlando.

Se dopo tutti questi miei consigli la vostra vita non ha ancora conosciuto felicità, gioia e speranza, malgrado le stesse siano così contagiose, e questo mio prezioso manuale non ha sortito nulla, mi raccomando, non uscite di casa, limitatandovi a guardare il mondo solo dalla finestra, perché diversamente fuori c’è un mare di male che sarà per Voi solo fonte di tristezze, preoccupazioni e pericoli !!!

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editoriale di Bearry

Sarebbe bello poter vedere tutte le sfumature dell’arcobaleno…

Sarebbe bello poter alzare al massimo il volume della propria Musica preferita, e sentirsi felici di farlo, così come quando la stessa finisce...

Sarebbe bello poter vedere l’arcobaleno e sentire la propria Musica da persone veramente libere, lasciandosi dietro tutto il superfluo, tranne quello mentalmente necessario, e partire finalmente per un lungo viaggio attraverso il mondo intero…

Sarebbe bello esplorare il mondo, in quel viaggio, in modo semplice e genuino, fuori dagli schemi quotidiani, noiosi, pieni di limiti, consuetudini, obblighi, doppi sensi ed inganni, dimenticandosi calendari ed appuntamenti, e passare il proprio tempo in lunghe passeggiate assolate...

Sarebbe bello, così facendo, sorridere, e ridere di gusto, ritrovando energia ed equilibrio, pronti a fare finalmente ciò che veramente amiamo, da noi oggi definito pura pazzia poiché privo di qualunque secondo fine…

Sarebbe bello poter fare tutto ciò da persone libere, lasciandosi dietro i propri trascorsi, specie quelli negativi…

Sarebbe bello fare tutto ciò insieme ad una persona che ti rispetti, e che non ti imprigioni nella sua vita, provando amore, quello semplice, verso sè stessi, i propri affetti e tutto quanto ci circonda…

Sarebbe bello fare tutto ciò nell’ambito di una vita solare, dove il mondo rispetta il mondo stesso…

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editoriale di Bearry

Premesso che da tempo sono convinto che, per la Gente qualunquemente sfortunata come chi scrive, il diametro del foro del lavandino è sempre maggiore del diametro del tappo del dentifricio, quando ritenevo le mie vicende prossime felicemente color rosa, grazie all’insipienza della mia giovane età, vivevo le stesse con tanta serenità "in discesa", e con la forza di chi vuol coglierne solo i lati positivi...

"Quando avevo cinque anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la chiave della vita. Quando andai a scuola mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi: felice. Mi dissero che non avevo capito il compito, e io dissi loro che non avevano capito la vita"

Qualcosa è cominciato a cambiare quando, non più appartenente all’età degli “enne”, ho visto via via ingrigire sia quella mia serena percezione che i miei capelli, a fronte di un percorso sempre più accidentato, di cui ho cercato di minimizzarne il karma negativo, a volte così infausto, incrementando i miei brio e giovialità, pur preservando integro il mio serioso profilo...

"La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buon umore"

Messo ormai alle spalle il mio slancio iniziale, paragonabile a quello di un pittore alla sua prima tela, eccomi qui ai giorni nostri con la sufficienza di un imbianchino che ha sempre meno risorse a disposizione...

"Si hanno due vite. La seconda comincia il giorno in cui ci si rende conto che non se ne ha che una"

Dopo aver più volte sfiorato il "via", ancora in modo infruttuoso per mia fortuna, un giorno, improrogabile ed improgrammabile, potrebbe giungere anche al sottoscritto l’avviso di sfratto, con invito ad attraversare il cosidetto “Ponte dell’Arcobaleno”, a cui prima potrei oppormi invano con questa domanda senza risposta...

"Mi disturba la morte, è vero. Credo che sia un errore del padreterno. Non mi ritengo per niente indispensabile, ma immaginare il mondo senza di me: che farete da soli?"

Anche se con qualche malinconia, potrei avviarmi volentieri verso quella nuova dimensione, conscio che quel “Ponte”, in base ad una Leggenda degli Indiani d’America, mi porterebbe ad un livello soprastante, dedicato agli Umani ed Animali ormai passati “oltre”, che in vita hanno condiviso ogni sentimento e sofferenza, che è ricco di prati e verdi colline, cibo, acqua e sole, e dove chi è malato, e ferito, può ritornare sano e felice…

Ma cosa accidenti avete capito?

Rimettete pure al loro posto i vostri vestiti, cappellini e bei discorsi giusti per l’occasione, pronti all’evenienza per ogni “saluto finale”, perché questo al momento è stato solo un divertente tour virtuale, consapevole che ad ogni morte segue una rinascita, visto che a pagare e a morire c’è sempre tempo…

"Nun c’è niente de più bello de na persona in rinascita. Quanno s’ariarza dopo na caduta, dopo na tempesta e ritorna più forte e bella de prima. Con qualche cicatrice in più ner core sotto la pelle, ma co la voglia de stravorge er monno, anche solo co un sorriso"


N.B.: a chi può interessare, le citazioni di cui sopra sono di:
John Lennon, Voltaire, Confucio, Vittorio Gassman, Anna Magnani.

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editoriale di zaireeka

Questo è il mio primo editoriale scritto in diretta dall’estero (anche se trasmesso in differita).

Sono a Berlino.

Sono seduto nei pressi della fontana dell’amicizia dei popoli, in Alexanderplatz.

Un gruppetto colorato di tifosi francesi festeggia davanti ai miei occhi la vittoria di oggi sull’Uruguay, ai mondiali di Russia.

Vi devo confessare una cosa. A me i francesi stanno sulle palle.

Ma loro sono divertenti, anche quando cantano a squarciagola la marsigliese.

Che invidia. Per consolarmi penso a cosa dobbiamo aver combinato noi in quell’estate del 2006, qui a Berlino, dopo le vittorie sulla Germania e poi sulla Francia. Il massimo della goduria. Roba da far impallidire questo gruppetto di tifosi transalpini. Che sono divertenti però, anche quando cantano la marsigliese. Un’altra cosa vi devo confessare. Io ho uno spirito, o almeno una parte di esso, abbastanza nazionalista, direi quasi patriottico, sovranista, per usare un termine in voga di questi tempi. Lo ho ereditato da mia madre. Mi ricordo quando tifava con ardore dannunziano per il paesello italiano, qualunque fosse, in quel gioioso e scanzonato tentativo di contribuire al progetto di un’Europa unita che fu Giochi senza Frontiere. Ma una parte di me tifa per l’Europa. E anche questo sfottere provocatorio dei tifosi francesi mi diverte e mi fa sorridere come lo sfottò di un amico tifoso della juve, ed io (facciamo il caso) sono tifoso dell’Inter, ma davanti alla nazionale non possiamo che tifare tutti uniti dalla stessa parte, in quanto tutti italiani. Che fine farà l’Europa se le cose continueranno ad andare come negli ultimi tempi (e non è detto per colpa, o almeno non solo per colpa, dell’Italia)? Se vogliamo usare la bellissima metafora buddista nel quale la pace di un individuo con il resto del mondo e’ vista come un corpo umano nel quale, se il corpo non ha problemi, nessuna parte e nessun organo in particolare fa sentire la sua presenza, mi sa che il corpo dell’Europa sta messo davvero male. Spero solo che il cervello dell’Europa (chiunque sia), non ordini ad una delle gambe (chiunque sia), di prendersi a auto-calci nel culo (chiunque sia) così che il corpone litigioso dell’Europa unita non finisca definitivamente nel mondo dei sogni irrealizzati.

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editoriale di Hank Monk

È proprio vero che si nasce incendiari e si muore pompieri.

Ma magari anche no; cazzo.

Ultimamente sono molto confuso e non capisco se sto diventando uno sbirro o se, au contraire, gli autoproclamatisi "intellettuali progressisti de' sinistra" degli ultimi anni siano una massa di deficienti:

- Ho provato un fastidio vero, un misto di latte alle ginocchia\cascamento di palle\Fremdschämen l'altro giorno entrando in edicola e vedendo questa copertina

A mio discapito, mi dico:

- dai suvvia, è Rolling Stone Italia...ha sempre fatto schifo

Più in generale però mi viene da riflettere sul vuoto ideologico e, probabilmente anche, culturale di questa "intellighenzia" progressista che pur di sentirsi in qualche modo "antifascio" non si accorge di stare difendendo da anni gli organi più classisti di tutti, del suo disprezzo verso laggente, di come questa presunta superiorità intellettuale che manifesta sia un qualcosa di così fastidiosamente fasullo da fare venire rabbia.

Qualche esempio:

- la genialità della classe dirigente di un partito nell'usare "sovranista" come sinonimo di "fascio".

- l'avere come paladini dei Bocconiani di ferro che militano per il liberismo finanziario più spinto

- il predicare lo sterminio delle piccole e medie imprese e delle piccole medio banche

- Fazio, Littizzetto, Gruber e Volo

Insomma ragazzi, la vedo grigia.

Torno ad appendere le croci al contrario e mettere a palla Reign In Blood.

Pregate per la mia anima

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