editoriale di Bubi

Isabella era bella e di buone maniere, sembrava una fatina da Café Cantantes, deliziosa. Tutto di lei affascinava, il suo modo di fare e i sui pensieri erano sempre originali e poetici. Cercava il grande amore, ma in campo amoroso erano stati solo fallimenti, solo molto tempo dopo capii perché, era stato il diavolo, proprio lui, era lui che ci aveva messo la coda. Ma le avversità non l'avevano piegata, altre meno forti si sarebbero rassegnate. Ma lei, oltre una innata forza d'animo aveva una cura tutta sua, la sua cura era il flamenco. Per tutta la sua vita, nei momenti bui trovava conforto in questa danza spirituale e carica di emozioni. La aiutava, le dava la forza per mettere a tacere i propri dolori esistenziali col linguaggio nascosto e viscerale del ballo andaluso. Vestita di una spumeggiante guirca, Isabella camminava sempre con passo leggero e aveva sempre il volto illuminato dal sorriso. Ditemi, non è quanto di più affascinante si possa immaginare? Non è incantevole una creatura del genere? Chi non vorrebbe sentire il suo respiro stando abbracciati sul letto?

Quando i nostri destini si incontrarono, riuscì a dirottare i miei passi verso l'unico cammino possibile, quello segnato dalle sue impronte, le sue impronte che mentre avanzavo, cancellavano ogni cosa, inizio e fine. Fu un amore inevitabile, naturale, gravido di morte.

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editoriale di luludia

Se penso a Iggy mi vengono in mente due cose: una notte d'inverno del 77 e un suo concerto a Parma nel 79...

Che poi, a dirla tutta, le cose sarebbero tre, ma facciamo che l'ultima me la tengo per il finale.

Il concerto di Parma avevo sedici anni e fu una storia del tipo “allora il rock'n'roll esiste davvero”.

Che poi, con mio grande stupore, scoprii che esistevano pure i punk, quel posto ne era pieno.

I punk, figuriamoci...io venivo dal paesello...

Beh, fu un concerto favoloso. Con un sacco di pezzi degli Stooges.

E, se si parla di un certo tipo di rock tra garage e punk (più garage che punk), i primi due album degli Stooges fanno il culo a tutti, Non ce n'è per nessuno. Per nessuno...

Oscura , oscurissima,energia primordiale..

E, ok, , avevo detto che me la tenevo per il finale, ma ci sta bene qui: “IL SUONO CHE INGOIA LA SOFFERENZA TUTTA INTERA”, una frase che il nostro ha detto una volta, chissà dove e chissà a chi...

E poi mi ricordo i suoi occhi, non ho mai visto occhi più folli e penetranti...ed era posseduto già un decimo rispetto a quando era folle davvero...

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La notte d'inverno del 77. invece andò così..

Una cameretta (la mia ) e una radiolina gracchiante (mia pure quella).

Con un tizio collegato da Londra che raccontava del ritorno sulle scene di un certo Iggy Pop. Non prima o dopo il concerto, durante... E un torvo rumore di sottofondo ne era la prova.

Iggy Pop, che nome del cazzo pensai subito...

Era quella, infatti, la prima volta che lo sentivo nominare.

Però ero fresco dell'acquisto di “Low”. Che c'entra? C'entra. Uno, ero fiero dell'acquisto, e due...

E due dobbiamo tornare alla radiolina e alla cameretta...

Che, improvvisamente, quello speaker disse che il duca (il duca?), si il duca, era il tastierista del gruppo di quel tal Iggy, e mica solo per quella sera, ma per tutto il tour...

Cosa???? Cosa??????????????????????????

Non solo, il tizio, quasi a calcare quella che a me sembrava una cosa incredibile, se ne uscì, petto in fuori e mano sul cuore, con una frase del tipo “Mr Bowie suona nell'ombra” Inutile dire che all'epoca l'ombra aveva una certa importanza...

Beh signori, quella radiolina collegata col centro (del centro) del mondo è uno dei miei ricordi musicali più preziosi. Anche se è una cosa da niente. Ma col niente o col poco le facoltà immaginative viaggiano a mille.

Non ci misi molto a mettermi in pari e, ben presto, il signor Iggy divenne membro del sacro quadriunvirato dell'epoca.

Iggy, Jim, Lou e David...

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Questo breve scritto è nato dall'aver scovato sul tubo la registrazione di un concerto di Iggy Pop, proprio del 77, proprio a Londra, proprio in inverno...

Chissà magari è lo stesso di quella notte alla radio...

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editoriale di Bearry

"Vuoi sapere come cancellare un Uomo, senza dover agire con violenza?" chiese Criminal Man al suo Interlocutore, fornendo allo stesso anche la risposta: "Portagli via le sue passioni più autentiche, e Lui non avrà più motivi per vivere felice".

Mentre Bearry dormiva ancora, arrivò una notte in cui Criminal Man, forzato l’ingresso, si diresse verso il suo angolo musicale, consapevole che lo stesso senza la sua Musica preferita avrebbe perso anche ogni ragione di vita.

Portava con se anche due ampi borsoni, dove intendeva riporre i tanti album una volta sottratti a Bearry, dallo stesso raccolti ed ascoltati amorevolmente in tanti di anni.

Come fu finalmente nella sua sala d'ascolto, vicino ai suoi preziosi album musicali trovò anche Richard, che, ancora nascosto nell'ombra, era pronto a fermarlo ad ogni costo.

Quando Criminal Man allungò la mano verso quegli Album, con l'intenzione di portarli via nei suoi due borsoni, togliendo così a Bearry ogni passionevole ragione di vita, Richard uscì finalmente allo scoperto, insegui lo stesso sino alla finestra, che, urlante, precipitò tragicamente verso terra da quel 4° piano dov'era posto l'alloggio del suo Amico.

Scampata quella minaccia, Richard rientrò rapidamente nella sua casa, mediante i solchi di "If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You" dei Caravan, dove risiedeva felicemente dal 1970, contribuendo alla magia della rivoluzione gentile di Canterbury.

La mattina dopo Bearry, ignaro di quanto sopra, estrasse dalla sua custodia quel cd, lo introdusse nel cassetto del lettore, e schiacciò il tasto play, dopo di che risuonò nella sua stanza le note dell'imponente suite "Can't Be Long Now/ Françoise/ For Richard/ Warlock", che comprendeva tra i suoi solchi anche il suo Amico Richard, artefice del suo salvataggio notturno di qualche ora prima.

Felice di tanta passione musicale, riguardò nuovamente le note di copertina dello splendido "If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You" dei Caravan, con in 4^ pagina delle belle immagini di un loro concerto live, e finalmente sorrise finalmente soddisfatto...

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editoriale di Bearry

Appena rientrato, dopo l'ennesima trasferta di lavoro, tolta la giacca, Christoffer Anberg si buttò sfinito sul divano del suo rifugio.

Troppo stanco per prepararsi da solo la cena, pensò di ordinare qualcosa di pronto dal bar lì vicino, con l'idea, nel mentre che aspettava, di ascoltare un po' di buona musica tanto per raddrizzare il verso di quella giornata.

Era di nuovo a Hjertvika, suo paese natale, dove aveva portato il suo punto d’appoggio tra un viaggio e l’altro, poco distante da Molde, famosa per l'omonimo festival jazz che si tiene ogni luglio.

Dopo un’interminabile viaggio, che toccò anche l’Atlantic Ocean Road, che sarà pure la strada più bella del mondo per i turisti, ma che era per lui solo un menoso dejavù ripercorso all'infinito, Christoffer si trovò nuovamente nel suo spartano Rorbu in legno.

Finalmente era di nuovo a casa, nei luoghi della sua infanzia, indifferente ai rinomati punti panoramici a strapiombo sul mare di quella strada, che, saltando da un’isola all’altra grazie a ben 7 ponti, by passa l'arcipelago, collegando Molde a Kristiansund, dov’era allocato il suo lavoro ed anche la sua dimora, famiglia inclusa.

Costruito a mò di palafitta sul mare, a ridosso di terraferma e soprastante vegetazione, quel rifugio consisteva in realtà in un modesto capanno, già base per dei pescatori sino a qualche anno prima, epicentro sia del miglior paesaggio che delle turbolenze meteoriche che spesso impattano su quel tratto di costa.

Lo stesso, ancora riscaldato a legna, era incentrato su di un ampio monovano, con funzione di soggiorno e camera da letto, dotato sui tre lati di gabinetto, deposito per la legna e piccola cucina, mentre sul quarto lo stesso prospettava, attraverso la bella vetrata d'ingresso, sull'ampia balconata coperta con vista sul Mare di Norvegia.

Fatta una breve doccia, ed estratte dal trolley le sue poche cose d'ordinanza, lo stesso ordinò per telefono al bar la sua cena; in attesa del suo arrivo, scelse di ascoltare Dead Man di Neil Young, acquistato tempo prima su vinile nello storico Muzak Store, posto nel centro di Molde, con l’auspicio di rinverdire così quell'Amore un po' sfiorito.

Estratto quell’ellepi dal cartone, si avviò verso la postazione musicale, lo centrò sul piatto del giradischi, e fece scendere lentamente la puntina sullo stesso, che iniziò a percorrerne i solchi concentrici, mentre partivano le sue note emozionanti e potenti, grazie al vecchio e prezioso ampli valvolare ed ai due pregiati speakers, compagni di tanti bei ascolti.

Attempato studioso della Groningen Research Institute, noto per la sua solare presenza, Christoffer, impostata la sua cena, così come anche quel ascolto, si accomodò piacevolmente sul divano, esattamente al vertice del triangolo musicale con i due speakers, in modo di cogliere dagli stessi ogni piccola sfumatura di Dead Man.

Appena avviato quell'ellepi, Christoffer apprese dalle note di copertina il suo senso, avvertendo così tutto la sua tragicità, grazie agli obliqui riff chitarritici di Neil Young, intrinsecamente legati all'omonimo film di Jim Jarmusch del 1995, dedicato alle drammatiche vicende umane di William Blake, giovane poeta e pittore inglese di fine '800, interpretato nello stesso da Johnny Depp.

Apparve subito chiara la bellezza, non solo del film, ma anche della sua colonna sonora, così intensa da riconquistare anche l'amore perduto di Christoffer.

Quella musica, seppur scevra delle necessarie immagini, grazie alle note strazianti dell’Old Black di Neil Young, era capace di evocare perfettamente la vita del suo protagonista, che, in un lontano ed ancora selvaggio West, attirato da un'allettante offerta di lavoro, intraprendeva un avventuroso viaggio, anche interiore, che, prima di vederlo scendere verso la terra degli spiriti, travolto infine dalla morte, lo portava ad una profonda rivisitazione mistica di sè stesso.

Prima del previsto, arrivò il ragazzo del bar, che posò sul tavolo quanto ordinato, ma Christoffer, anzichè cenare, preferì concludere Dead Man, affascinato dalle sue note, malgrado il suo stomaco fosse vuoto ormai da ore.

La sua attenzione fu distratta da una certa presenza che avvertì nei suoi pressi, e che si concretizzò con un'impronta sul divano, mentre gli evocativi riff chitarristici di Neil Young via via venivano amplificati dai suoni, ugualmente laceranti, che giungevano da fuori, dietro la porta d'ingresso, di sicuro estranei alle forti raffiche di vento che nel mentre stavano battendo furiosamente la costa.

Decise di non silenziare la musica, ma la riascoltò più volte, tanto che apparve sempre più netta quella presenza seduta sul divano al suo fianco.

Anzichè farsi prendere dal panico, rimase immobile, in attesa del rassicurante giorno dopo, convinto che la miglior guerra è quella vinta senza combattere nessuna battaglia, anche se poi, prima che sorgesse il sole, si decise a chiamare la polizia.


Pochi attimi dopo giunse il Tenente Olsen, che, non riscontrando alcun pericolo, dopo aver ascoltato il racconto di quella notte insonne, ritornò verso la balconata indicando una preziosa Gibson Les Paul Gold Top del '53 lì appoggiata, per poi rientrare di nuovo verso il divano dov’era rimasta la copertina di Dead Man.

Olsen, un po’ scocciato completò il suo mero lavoro, e mentre si avviava verso il suo fottutissimo ufficio indirizzò a Christoffer un mezzo sorriso, aggiungendo infine:

“Ciao Amico, là fuori c’è la mitica Old Black di Neil Young, e ci sono anche segni che lì la stessa ha suonato ininterrottamente per tutta la notte, e che Neil Young sia stato pure qui vicino a te, anche se ormai è andato via, quindi fammi un piacere, quando avrai modo di rivederlo mandagli un saluto anche da parte mia".

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editoriale di Bearry

Poco prima di entrare in autostrada c’è un bar, frequentato come ovvio da automobilisti, che ad ogni occorrenza diventa una sala concerti affollata di curiosi ed appassionati musicofili.

Se provenite dal centro non potete non vederne l’insegna, accesa giorno e notte, con la scritta lampeggiante “Qui Musica”, che indica l’unico posto della zona, nel giro di chilometri, in cui si suona musica dal vivo giorno e notte, e dove puoi mangiare semplice e casalingo.

È un posto simpatico, come i suoi gestori, che al momento di chiudere, ormai a notte fonda, ha davanti all’ingresso più gatti che clienti, dove capita che trovi della bella musica, anche se la stessa a volte appare annacquata come certa birra che ti servono al banco.

Dopo tante belle cose dal vivo, i concerti iniziarono a scarseggiare, anche in termini di qualità, tanto che una sera una band chiamata a suonare delle cover hard rock per pochi euro, prima che iniziasse a suonare, fu letteralmente bottigliata, con annientamento della relativa strumentazione, mentre i più contemplativi si domandavano attoniti se tanta intemperanza dipendesse dai presenti oppure dalla loro pessima qualità musicale.

Intanto che si avvicendavano pseudo cantanti a pseudo gruppi, seguì un inevitabile spopolamento del locale, mentre tale andazzo proseguiva immutato, tanto che un giorno le esibizioni dal vivo furono sostituite da uno stereo posto in pianta stabile sul palco, ciò al fine di evitare ingaggi scadenti, a cui i gestori sopperivano, per abbandono del palco, da abbondanti stuzzichini ed aperitivi al posto di artisti decenti.

Eravamo nel ’71, appena prima che il locale fallisse del tutto, quando una sera si presentò al bancone un tizio, insolitamente diverso dai tanti musicisti scalcinati visti sinora, con in testa uno strano copricapo, che pareva giungere da un altro mondo; lo stesso, mentre sorseggiava una birra, in un inglese quasi italiano, chiese: “Qui live music?” stupendosi della reazione del barista, che tentò di spedirlo malamente fuori dalla porta d’uscita, mentre gli astanti assistevano in silenzio alla scena, con uno sguardo che fu tutto un programma, in cui gettavano gli occhi al cielo disperati e memori dell’ultimo concerto…

“Vedi Amico, io la serata te la farei anche fare” esordì il titolare, tra lo stizzito e l’annoiato, proseguendo: “il problema è che qui non suoniamo certa musica, perché i più pensano che Vasco Rossi sia un rivoluzionario e che il rock l’abbia inventato Ligabue…”

Senza aggiunger parola, David Jackson, questo era l’Inglese, chiamò dentro gli altri tre della Band, che, accomodatisi ad un tavolone nei pressi del palco, iniziarono un’abbondante cena a base di pastasciutte, frittate, spezzatini, tiramisù, insomma tutta roba nostrana di qualità in grande quantità.

Intanto la sala stava animandosi dei soliti abituè, impazienti di ascoltare il Blasco, in formato cover, quando alle 22 in punto, senza presentazione alcuna, i Nostri, ormai madidi, recuperata dal parcheggio fuori la loro strumentazione, raggiunsero di botto il palco iniziando un concerto mai annunciato.

Seguirono brani emotivamente forti, in continuo addivenire, portati avanti senza alcun risparmio di energia,e capaci di suscitare stupore ed entusiasmo tra i presenti, specie in occasione di veri eventi “assoluti” come Killer, Refugees, House With No Door, Lemmings, A Plague Of Lighthouse Keepers, mentre qualcuno dei presenti iniziò a domandarsi se quelli che stavano esibendosi erano i grandi Van Der Graaf Generator in persona, protagonisti di uno strano baratto, tanta buona musica contro qualche abbondante e gustoso piatto di cucina casalinga.

Poi, quando gli stessi passarono infine all’entusiastica Man Erg, tutto fu finalmente chiaro, su quel palco, quasi buio, c’era una grande Band all’ordine di un grande Artista, poco più ventenne, di nome Peter Hamill.

Ed a seguire tutto riniziò miracolosamente a funzionare, grazie ad una rinnovata ed eccellente musica dal vivo, tanto che quel locale, sempre meno bar, diventò una sala concerti rinomata “Big Soundy ‘71”, in onore di quel inconsueto concerto...

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editoriale di Bearry

E' sicuro, che in quegli anni chi viveva la Musica solo da ascoltatore, lo faceva senza conoscere i meccanismi economici che stanno dietro alla stessa, cosa che avviene anche ai giorni nostri, non immaginando quanto questi il più delle volte cambino la sua storia, fatte salve quelle volte che è il Destino a deciderne le sorti...

In una storia verosimilmente di fine anni '60 il ruolo di determinatore delle scelte musicali di quei tempi era il potente, e sconosciuto ai più, Mr.Nicholas Busienes; diversamente dai promoter che proponevano nuovi talenti, mettendoci la propria faccia, Nick, questo era il suo nome per gli amici, era il decisore finale, ben più autorevole dei primi, capace di segnarne veramente le sorti.

Seppur di modeste origini, partito dal minuscolo St.Malo in Louisiana (Usa), sito nei pressi di New Orleans, in meno di 20 anni da semplice costruttore di sondaggi musicali, aveva scalato la Sounds the Music, trasformandola in un team, ugualmente piccolo, ma ineditamente più intrusivo, volto a studiare ed influenzare, a loro insaputa, la vita di Artisti specie se emergenti.

Schivo, ed ancora minimalista in ogni suo aspetto, non certo per questioni di budget, e cresciuto all’ombra del jazz di New Orleans, grazie alla sua esperienza nella Musica era diventato il più importante influencer, capace di condizionare con le sue scelte ogni sua sfumatura espressiva.

Da esterno, l'ultimo incarico di Nick era quello della Corporation Bell's Sound, preminente editor di musica folk, psichedelica ed idealista di allora, che intendeva eliminare dall'orizzonte musicale una nascente Band, con alle spalle già un bel passato, pronta ad imporre un sound rozzo e rocciosamente blues, destinato ad offuscare le loro vendite, seppur non ancora apprezzati dai critici più colti.

Era giusto il '69 e Nick, vista l'urgenza della questione, portò avanti i contatti con quei ragazzi, incontrandoli ugualmente nel piccolo cottage di St.Malo fronteggiante il vicino Lake Borgne, posto ai margini dell’Oceano Atlantico, dove sin da bambino tornava a trascorrere i fine settimana, piuttosto che nei suoi uffici come di consueto.

Come già in tante altre occasioni, dove aveva concluso positivamente la sua mission, li aveva invitati per un'audizione privata nella saletta nel piano fondi di quella sua dimora estiva, dove gli stessi lo sbalordirono con una folgorante esibizione dal vivo.


Subito dopo, propose agli stessi un interessante contratto discografico della Hidden Worlds, ramo secco della Corporation Bell's Sound, predisposto ad hoc per questo tipo di evenienze, con l'idea di portarli avanti invano, sino a farli scomparire, insieme alle loro belle velleità artistiche.

Contenti, con in tasca quel Contratto, Billy G., Dusty H. e Rube B., lasciarono Nick con un sorriso, che, ugualmente soddisfatto li salutò, entusiasta del bel risultato appena conseguito.

Era il 14 agosto , e differentemente da altre volte, fu il Destino a dire la sua su questa Band, perchè, mentre Nick riposava nel suo bel pensatoio all’aperto, dal sottostante Lake Borgne saliva devastante la furia dell’Uragano Camille, uno dei più catastrofici di sempre, che dall’Oceano Atlantico portò morte e distruzione, per poi dissolversi verso il Nord alla velocità di 280 Km/h, sradicando il pensatoio all’aperto, il cottage e tutto quello che ci stava dentro, proiettandoli verso l’Oceano.

Miracolosamente, qualche ora dopo quando l’onda venì meno, Nick capì di essere un sopravissuto, poichè sfuggito alla furia dell’Uragano; rimasto a lungo indenne in quell’ambito, sino all’arrivo dei soccorsi, nel mentre ripensò inevitabilmente al suo lavoro, approntando bilanci ed ipotesi per il futuro.

Debitore di un grazie al Destino, decise di lasciar libera quella Band, capendo il loro valore, e svincolandola dal Contratto appena sottoscritto, con lo sbigottimento dei suoi componenti, che, dopo numerosi contatti, il 16 gennaio 1971 pubblicarono, grazie ad un'altra major discografica, il loro First Album, dando vita finalmente ai grandi ZZ Top !!!

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editoriale di zaireeka

Si, lo so che siamo in piena estate, e l’estate è fatta di sole, allegria, di spiagge, di culi a mandolino da ammirare nel loro splendore, di nuovi amori da pedinare.

Oh, quanto mi piacerebbe crederci ancora.

Di discoteche all’aperto, di ferie, di morale alle stelle.

Prima o poi, giuro, ci riuscirò.

Ma c’è sempre una prima volta nella vita, o almeno quella che si ricorda come tale, e, quando capita, importante è prenderne nota.

Già in passato mi era capitato di trovarmi in mare durante un temporale, ma sempre con i piedi che potevano saldamente toccare un fondo sabbioso, sempre più o meno indice di un mare addomesticato.

Oggi, anzi proprio stamattina, mi sono immerso, volontariamente all'inizio di un temporale, fino alla testa in un mare scoglioso, sempre più o meno indice di un mare selvaggio, anche se a due passi dalla riva.

Da quella posizione, ad altezza pelo dell’acqua, mi sono ritrovato, mia moglie poco lontana, ad osservare tutto intorno a me il tuffarsi vorticoso nel mare di un numero innumerevole di gocce di pioggia.

Ed e stato uno spettacolo bellissimo.

Erano tutte simili e profondamente diverse.

Illuminate da quella pallidissima luce del sole che filtrava dalle nuvole.

Allegre, alcune, precipitavano nel mare quasi abbracciate.

Altre solitarie con un plin sordo, una dopo l’altra.

Proprio ieri (che sfortuna, in piena estate...) ho ripreso fra i miei ascolti un brano di quel depresso cronico (oltre che leader dei fu Beach Boys) di Brian Wilson.

'Til I Die.

Strana coincidenza che Wilson abbia scritto/ispirato versi per quella canzone che sarebbero stati molto bene come colonna sonora di quel precipitare di gocce di pioggia.

Dall’indefinito delle nuvole da cui provenivano all’indefinito del mare.

Ed io li ad osservarle alla fine del loro viaggio, dalla posizione di Dio.

Qualunque cosa ciò significhi.

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editoriale di Stanlio

Non avendo oggi una mazza da fare qua in Marocco (come anche gli altri giorni del resto) e dopo aver messo mi piace ieri sulla pagina facebucchiana di DeBaser ed averlo tolto oggi solo per non infrangere uno stentato voto all'insegna dell'anonimato, ho deciso di intraprendere un (breve per oggi)percorso non a senso unico su un testo che una membra (una delle più fighe a mio modo di vedere) del DeB ha faticosamente steso a beneficio delle ffss e del resto del pianeta nostrano (e per inciso tale percorso non sarà affatto serioso altrimenti nemanco mi ci mettevo, ciò non toglie che non sarà non serio...), “perchè” vi chiederete voi, “così” vi risponderò io.

Lungi da me dal muovere qualsiasi critica formale, mi appresterò qui a spulciare tra le righe trovando ciò che più mi piace tra i vocaboli (delle 98 pagine in pdf) usati e farne un uso editorialisticistico a mio uso e vostro consumo.

Ok, si parte...

  • a pag. 9 troviamo:

    […] limitandosi a confermarne gusti e preferenze, mentre la prosa giornalistica viene ormai considerata il caso più rappresentativo del cosiddetto “italiano dell’uso medio” […]

    eccolo qui rappresentato per brevità e riconosciuto ormai anche dagli analfabeti a livello internazionale:

    .. ............./´¯/)....
    . ............/....//......
    .. ........./....//. ...
    ...../´¯/..../´¯\........
    .././.../..../..../.|_...
    (.(....(....(..../.).)...
    .\..................../
    ...\................ /......
    .....\..............(....
    .......\.............\...

  • a pag. 10 c'è una supposta che non è una supposta e tale supposta è pure legata all'eleganza (se così si può dire e non se l'abbia a male la scienza medica o chi è costretto/a ad usufruire a volte di una supposta che non è la stessa supposta di cui si narra a pag. 10)

    Ecco questo è quanto son riuscito a scavare o scovare finora in quella miniera che è la Presentazione a cura di Stefano Ondelli, e per oggi accontentatevi che qui fa caldo e son già esausto, tra l'altro mi par di sentir odor non di cristanucci ma di cous cous, se soppravviverò al lauto pasto servito da Aicha, probabilmente vi sarà un seguito editorialisticistico che seguirà alla mia lettura delle pagine in pdf di Sono solo coincidenze? Proposte a Trenitalia per farsi capire (meglio) dai viaggiatori scritto amabilmente da Carlotta.

    P.S. non me ne volete se son scaduto così in basso

    ma (a far rima in venexian) non ci posso far un casso

    : : : fine del primo (e forse ultimo) capitolo : : :

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editoriale di Bearry

A proposito dei King Crimson, forte di tanti anni spesi bene nei loro ascolti, Vi intratterò con una strana storia nata per le strade della cittadina di Brunico in Val Pusteria (BZ), mio grande amore del passato.

Siamo nel '75, più di 40 anni fa, quando Rupert, nomignolo d’arte con cui il mio amico Gunther K. era chiamato simpaticamente dai suoi compari, prendendo spunto dall’omonimo brano dei King Crimson, si appresta quotidianamente a suonare dal vivo le sue canzoni preferite di quel Gruppo meraviglioso.

Condiviso anche dal sottoscritto era il suo amore per quella Band, tanto che ogni mattina, appena smontato dal turno di notte presso l’Hotel Blitzburg, si reca velocemente nella centrale Via dei Bastioni, e inizia a suonare a modo suo la loro magnifica Musica, mentre è seduto a margine della storica fontana in marmo sita nei pressi della quieta ed elegante Birreria Forsterbräu.

Quella strada a quell’ora è ancora deserta, ed unico aperto è l'antico Cafè Restaurant dell’Hotel Post, sito nei pressi ma sul lato opposto della strada, unanimemente apprezzato per la sua pasticceria artigianale, e per il suo arredamento un po’ retrò fatto di divani damascati, tappezzerie in tinta e lumi soffusi.

A dispetto delle gelide temperature tipiche di questi posti, specie sui monti, dove scendono nei periodi invernali sino a meno 15-20 sottozero, il sole mattutino iniziava a scaldare l’antico ed ordinato selciato, mentre il Quartiere si riavviava gradualmente come ogni giorno, dando vita anche ai Mercatini di Natale ivi presenti, approntati per l’occorrenza davanti a quella Birreria come di consueto.

Il tempo passa veloce, ed ora Rupert si trova con le sue vicende a metà anni '80, e non lavora più di notte al Blitzburg, ma lavora come intrattenitore musicale al Forsterbräu, grazie ai suoi apprezzati "assoli" di chitarra acustica, impreziositi dalla sua bella voce, alternando dei suoi amati King Crimson brani del calibro di Cadence and Cascade, Sailor's Tale, Exiles e Book of Saturday

E’ finalmente soddisfatto dei suoi successi musicali, poichè, sempre più bravo e stimato, il suo palcoscenico ora non è più l’antistante fontana, a volte battuta dalla pioggia, o peggio ancora ghiacciata dalla neve o dal troppo freddo, ma si è spostato in un'accogliente saletta al primo piano di quel locale.

Dopo tanti sacrifici, i tempi per Lui sono cambiati in meglio, grazie a Forsterbräu che lo paga mensilmente, permettendogli di metter su famiglia, grazie anche alle sue partecipazioni musicali a Feste popolari che di tanto in tanto si tengono in Val Pusteria a Campo Tures, San Candido, Dobbiaco, San Lorenzo, etc.

Chi scrive, nel mentre è tornato a vivere nel Nord Ovest, pur mantenendo saldi contatti con quel mondo, tanto che ogni tanto fa un passo a Brunico, specie in occasione dei Mercatini di Natale, quando dorme nel vicino Blitzburg, e la sera ascolta le canzoni suonate da Rupert in quella saletta.

Tutto corre veloce, compresa la sua notorietà musicale, tanto che una sera, mentre sta intrattenendo come di consueto i suoi ascoltatori, riceve da un importante producer una buona proposta discografica in grado finalmente di assicurargli un futuro migliore.

Rupert ci pensa un po’ e poi si convince, perchè questa è l'occasione della sua vita, trasferendosi rapidamente prima a Bolzano e poi a Milano, quando le sue prospettive di lavoro diventano ancora più importanti.

Pare tutto perfetto, poiché lo stesso compone anche la musica che poi suona, mentre al Forsterbräu è calato il silenzio in quanto l’intrattenimento musicale a cui prima dava vita ora non c’è più; analogamente Rupert a Milano ha perso il suo slancio iniziale, e progetta da un po’ di tornare alla sua Musica, in quella saletta al cospetto dei suoi frequentatori.

Spesso i ricordi però ti scavano l’anima, tanto che un giorno il nostro Amico, anzichè rinnovare il suo contratto, chiude ogni eventuale prospettiva musicale e torna deciso al Forsterbräu, anche se, dispiaciuto, non trova più tra il suo pubblico chi sta scrivendo in questo momento.

Passa ancora qualche anno, tanto che ora siamo ai giorni nostri, ed il sottoscritto, libero dagli impegni che lo tenevano distante da Brunico, un giorno decide che la stessa per un po’ sarà nuovamente la sua casa, ed appena giunto in Città corre in Birreria, e poi rapidamente verso quella saletta al primo piano dedicata ai King Crimson, da cui sente suonare la loro Musica come una volta.

Il loro suono, magistralmente condotto dalle evoluzioni acustiche di Robert Fripp, appare perfetto, anche se suona stranamente lontano; anziché esserci Rupert con le note di Epitaph, scopro con mio grande stupore al suo posto due diffusori musicali, fatto che viene spiegato dai presenti con un chiarimento da me purtroppo tristemente atteso:

Ormai è tardi caro Amico mio per cercare Rupert, perché qualche giorno fa è salito in Paradiso, unendosi a Greg Lake nel suo ultimo viaggio, con cui ora suona felicemente insieme a tanti altri ugualmente Grandi come Jimi Hendrix, Frank Zappa, Janis Joplin, Nick Drake, Jim Morrison, Lowell George, John Martyn, e tanti altri di cotanto peso.

Forse però tutto ciò non ha avuto ancora un fine, e mentre esco dal Forsterbräu, anziché non credere ai miracoli impossibili, mi accingo a comprare presso lo stesso i biglietti per i suoi prossimi concerti che si terranno in Paradiso; poi, passando davanti all'antica fontana in pietra, suo primo palcoscenico, gli mando sottovoce un amorevole saluto, Ciao Rupert a presto !!!

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editoriale di Bearry

Ma quale felicità, se oggi è lunedì mattina e fuori diluvia, ed hai appena perso l'autobus e in ufficio ti aspetta una seccatura che ti terrà incollato alla scrivania per le prossime 10 ore?

Che i prossimi siano gli anni della rivincita degli eterni Ultimi? Forse. È anche vero che usare il termine sfigati, quando è il momento di definirci, non è che sia proprio il massimo…

Se volete approfondire la questione, sappiate che qui non si parla di musica o storie simpatiche, come mio solito, ma di vicende nostrane, anche se poi, dopo mezza pagina di disgrazie, finalmente si disquisisce finalmente con tono allegro su come tener distante l’infelicità.


E’ ormai da tempo che pochi la mattina escono di casa col sorriso, colpa forse del terrorismo brigatista, alimentato da chissà quale oscuro mittente, poi di quello globale, con le sue tragedie, come quel maledetto 11 settembre, portatore di dolori e diffidenza verso il diverso, ma soprattutto di una grave crisi economica avviata circa un decennio fa, che ci ha brutalmente buttato dentro ad un disagio sociale a noi sinora sconosciuto.

Senza approfondirne noiosamente le ragioni, viviamo in mezzo ad un mare di emergenze, nel timore di mille potenziali nemici, amplificati dai media che mostrano pericoli e tragedie ovunque, facendoci percepire il male non più così “rassicurantemente” lontano, perché lo stesso può giungere da tuo figlio, tua moglie, il vicino di casa, o chiunque altro.

Farà forse comodo a qualcuno, ma il bello della questione che, seppur perfettamente inconsapevoli, viviamo in una continua emergenza, che ci porta ad accettare proni ed acritici qualunque compromesso e sacrificio, senza renderci conto che ormai la nostra è quasi una vita da schiavi, però attrezzati di smartphone, appassionati webnauti.

In questo medioevo tecnologizzato, dove nessuno protesta e scende in piazza, guardi desolati panorami, in cui convivono senza confliggere vincitori e perdenti; il tutto in una società spietatamente individualista, che nega e monetizza i diritti più basilari, dove oggi, chi è un’ “Ultimo”, corrisponde ad un dimenticato, o peggio un fantasma senza volto incapace di qualsiasi emozione, a volte con la morte dentro.

Se è vero che essere felici vuol dire essere vincenti, ed affrontare la giornata con il sorriso è di sicuro più facile che farlo da imbronciati, per arrivare al buonumore, che induce poi alla felicità, bisogna assolutamente disinnescare la paura che parte in modo automatico in nostra difesa quando temiamo un ipotetico pericolo.

Stiate più attenti verso il circostante, e mantenete attivo il buonumore, perché lo stesso ci facilita in tal senso, riducendo i potenziali pericoli che riteniamo più prossimi; aumentate le relazioni sociali, sempre con una mano sul portafoglio, e siate più fiduciosi verso il prossimo; piuttosto che mandare al diavolo gli astanti, se importanti sopportate di buon grado le loro critiche, salutandoli con un sorriso.

Dedicatevi unicamente ai film comici, andandoli a vedere in gruppo da gregari ed un po’ ruffiani, organizzando piacevoli gite aziendali.

Fate sempre l’antinfluenzale, evitate persone raffreddate, ed aumentate le difese immunitarie, mangiando chili e chili di arance e bacche di ribes nero, evitando misere diete salutiste.

Preferibilmente frequentate persone importanti, con attenzione che le stesse stiano sempre in buona salute non solo sanitaria, cercando di carpirne i segreti del loro successo, mandando spesso fiori alle loro compagne e regali possibilmente costosi ai loro figli.

Escludete dalle vostre frequentazioni tutti quelli che possono avere potenzialmente dei problemi, come vedovi, sfrattati, senza casa, senza lavoro, licenziati, ammalati di ogni genere, siate egocentrici ed auto-centrati, ed infischiatevene del mondo esterno, mostrandovi scherzosi, buontemponi e di buonumore.

Siate più smemorati dei vostri problemi, e curate la vostra istruzione, e le vostre conoscenze in generale, iscrivendovi contemporaneamente a 3-4 corsi di laurea, preferibilmente di indirizzo manageriale, perché una persona informata è maggiormente felice.

Ascoltate il cuore e non il cervello e cercate di diventare molto ricchi in fretta; migliorate l’autostima, evitando accuratamente le persone tristi e problematiche, e gli eventi sgradevoli, compresi funerali e lutti, e fate molto sport, possibilmente con persone molto belle, esteticamente parlando.

Se dopo tutti questi miei consigli la vostra vita non ha ancora conosciuto felicità, gioia e speranza, malgrado le stesse siano così contagiose, e questo mio prezioso manuale non ha sortito nulla, mi raccomando, non uscite di casa, limitatandovi a guardare il mondo solo dalla finestra, perché diversamente fuori c’è un mare di male che sarà per Voi solo fonte di tristezze, preoccupazioni e pericoli !!!

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editoriale di Bearry

Sarebbe bello poter vedere tutte le sfumature dell’arcobaleno…

Sarebbe bello poter alzare al massimo il volume della propria Musica preferita, e sentirsi felici di farlo, così come quando la stessa finisce...

Sarebbe bello poter vedere l’arcobaleno e sentire la propria Musica da persone veramente libere, lasciandosi dietro tutto il superfluo, tranne quello mentalmente necessario, e partire finalmente per un lungo viaggio attraverso il mondo intero…

Sarebbe bello esplorare il mondo, in quel viaggio, in modo semplice e genuino, fuori dagli schemi quotidiani, noiosi, pieni di limiti, consuetudini, obblighi, doppi sensi ed inganni, dimenticandosi calendari ed appuntamenti, e passare il proprio tempo in lunghe passeggiate assolate...

Sarebbe bello, così facendo, sorridere, e ridere di gusto, ritrovando energia ed equilibrio, pronti a fare finalmente ciò che veramente amiamo, da noi oggi definito pura pazzia poiché privo di qualunque secondo fine…

Sarebbe bello poter fare tutto ciò da persone libere, lasciandosi dietro i propri trascorsi, specie quelli negativi…

Sarebbe bello fare tutto ciò insieme ad una persona che ti rispetti, e che non ti imprigioni nella sua vita, provando amore, quello semplice, verso sè stessi, i propri affetti e tutto quanto ci circonda…

Sarebbe bello fare tutto ciò nell’ambito di una vita solare, dove il mondo rispetta il mondo stesso…

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editoriale di Bearry

Premesso che da tempo sono convinto che, per la Gente qualunquemente sfortunata come chi scrive, il diametro del foro del lavandino è sempre maggiore del diametro del tappo del dentifricio, quando ritenevo le mie vicende prossime felicemente color rosa, grazie all’insipienza della mia giovane età, vivevo le stesse con tanta serenità "in discesa", e con la forza di chi vuol coglierne solo i lati positivi...

"Quando avevo cinque anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la chiave della vita. Quando andai a scuola mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi: felice. Mi dissero che non avevo capito il compito, e io dissi loro che non avevano capito la vita"

Qualcosa è cominciato a cambiare quando, non più appartenente all’età degli “enne”, ho visto via via ingrigire sia quella mia serena percezione che i miei capelli, a fronte di un percorso sempre più accidentato, di cui ho cercato di minimizzarne il karma negativo, a volte così infausto, incrementando i miei brio e giovialità, pur preservando integro il mio serioso profilo...

"La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buon umore"

Messo ormai alle spalle il mio slancio iniziale, paragonabile a quello di un pittore alla sua prima tela, eccomi qui ai giorni nostri con la sufficienza di un imbianchino che ha sempre meno risorse a disposizione...

"Si hanno due vite. La seconda comincia il giorno in cui ci si rende conto che non se ne ha che una"

Dopo aver più volte sfiorato il "via", ancora in modo infruttuoso per mia fortuna, un giorno, improrogabile ed improgrammabile, potrebbe giungere anche al sottoscritto l’avviso di sfratto, con invito ad attraversare il cosidetto “Ponte dell’Arcobaleno”, a cui prima potrei oppormi invano con questa domanda senza risposta...

"Mi disturba la morte, è vero. Credo che sia un errore del padreterno. Non mi ritengo per niente indispensabile, ma immaginare il mondo senza di me: che farete da soli?"

Anche se con qualche malinconia, potrei avviarmi volentieri verso quella nuova dimensione, conscio che quel “Ponte”, in base ad una Leggenda degli Indiani d’America, mi porterebbe ad un livello soprastante, dedicato agli Umani ed Animali ormai passati “oltre”, che in vita hanno condiviso ogni sentimento e sofferenza, che è ricco di prati e verdi colline, cibo, acqua e sole, e dove chi è malato, e ferito, può ritornare sano e felice…

Ma cosa accidenti avete capito?

Rimettete pure al loro posto i vostri vestiti, cappellini e bei discorsi giusti per l’occasione, pronti all’evenienza per ogni “saluto finale”, perché questo al momento è stato solo un divertente tour virtuale, consapevole che ad ogni morte segue una rinascita, visto che a pagare e a morire c’è sempre tempo…

"Nun c’è niente de più bello de na persona in rinascita. Quanno s’ariarza dopo na caduta, dopo na tempesta e ritorna più forte e bella de prima. Con qualche cicatrice in più ner core sotto la pelle, ma co la voglia de stravorge er monno, anche solo co un sorriso"


N.B.: a chi può interessare, le citazioni di cui sopra sono di:
John Lennon, Voltaire, Confucio, Vittorio Gassman, Anna Magnani.

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editoriale di zaireeka

Questo è il mio primo editoriale scritto in diretta dall’estero (anche se trasmesso in differita).

Sono a Berlino.

Sono seduto nei pressi della fontana dell’amicizia dei popoli, in Alexanderplatz.

Un gruppetto colorato di tifosi francesi festeggia davanti ai miei occhi la vittoria di oggi sull’Uruguay, ai mondiali di Russia.

Vi devo confessare una cosa. A me i francesi stanno sulle palle.

Ma loro sono divertenti, anche quando cantano a squarciagola la marsigliese.

Che invidia. Per consolarmi penso a cosa dobbiamo aver combinato noi in quell’estate del 2006, qui a Berlino, dopo le vittorie sulla Germania e poi sulla Francia. Il massimo della goduria. Roba da far impallidire questo gruppetto di tifosi transalpini. Che sono divertenti però, anche quando cantano la marsigliese. Un’altra cosa vi devo confessare. Io ho uno spirito, o almeno una parte di esso, abbastanza nazionalista, direi quasi patriottico, sovranista, per usare un termine in voga di questi tempi. Lo ho ereditato da mia madre. Mi ricordo quando tifava con ardore dannunziano per il paesello italiano, qualunque fosse, in quel gioioso e scanzonato tentativo di contribuire al progetto di un’Europa unita che fu Giochi senza Frontiere. Ma una parte di me tifa per l’Europa. E anche questo sfottere provocatorio dei tifosi francesi mi diverte e mi fa sorridere come lo sfottò di un amico tifoso della juve, ed io (facciamo il caso) sono tifoso dell’Inter, ma davanti alla nazionale non possiamo che tifare tutti uniti dalla stessa parte, in quanto tutti italiani. Che fine farà l’Europa se le cose continueranno ad andare come negli ultimi tempi (e non è detto per colpa, o almeno non solo per colpa, dell’Italia)? Se vogliamo usare la bellissima metafora buddista nel quale la pace di un individuo con il resto del mondo e’ vista come un corpo umano nel quale, se il corpo non ha problemi, nessuna parte e nessun organo in particolare fa sentire la sua presenza, mi sa che il corpo dell’Europa sta messo davvero male. Spero solo che il cervello dell’Europa (chiunque sia), non ordini ad una delle gambe (chiunque sia), di prendersi a auto-calci nel culo (chiunque sia) così che il corpone litigioso dell’Europa unita non finisca definitivamente nel mondo dei sogni irrealizzati.

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editoriale di Hank Monk

È proprio vero che si nasce incendiari e si muore pompieri.

Ma magari anche no; cazzo.

Ultimamente sono molto confuso e non capisco se sto diventando uno sbirro o se, au contraire, gli autoproclamatisi "intellettuali progressisti de' sinistra" degli ultimi anni siano una massa di deficienti:

- Ho provato un fastidio vero, un misto di latte alle ginocchia\cascamento di palle\Fremdschämen l'altro giorno entrando in edicola e vedendo questa copertina

A mio discapito, mi dico:

- dai suvvia, è Rolling Stone Italia...ha sempre fatto schifo

Più in generale però mi viene da riflettere sul vuoto ideologico e, probabilmente anche, culturale di questa "intellighenzia" progressista che pur di sentirsi in qualche modo "antifascio" non si accorge di stare difendendo da anni gli organi più classisti di tutti, del suo disprezzo verso laggente, di come questa presunta superiorità intellettuale che manifesta sia un qualcosa di così fastidiosamente fasullo da fare venire rabbia.

Qualche esempio:

- la genialità della classe dirigente di un partito nell'usare "sovranista" come sinonimo di "fascio".

- l'avere come paladini dei Bocconiani di ferro che militano per il liberismo finanziario più spinto

- il predicare lo sterminio delle piccole e medie imprese e delle piccole medio banche

- Fazio, Littizzetto, Gruber e Volo

Insomma ragazzi, la vedo grigia.

Torno ad appendere le croci al contrario e mettere a palla Reign In Blood.

Pregate per la mia anima

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editoriale di iside

E così dopo quarant'anni ci siamo reincontrati.
Tu a sedici anni avevi preso il tuo cane e te ne andasti definitivamente da casa, dimostrando d'avere più palle tu tra le tue gambe da "Olivia", che noi.
Noi che a sedici anni correvamo ancora dietro al pallone oppure ci masturbavamo fra un "Lando" o un "LeOre" sottratti dal comodino di tuo padre.
E dopo quarant'anni eccoci di nuovo tutti qua a parlare di quanto erano frequentati i sette bar in cinquecento metri del nostro quartiere, di come io non abbia mai visto mio padre ubriaco ed invece il tuo, parole tue, lo era due volte al giorno.
L'incontro l'hai voluto tu come se alla fine qualcosa ti mancasse, forse non la stamberga in cui sei cresciuta, sicuramente non il ricordo di un'infanzia infelice dove, a parte la mia famiglia, non avevi amici, forse è che ti eri dimenticata di salutare chi ti tirava le trecce.
PS "i miei genitori hanno avuto una figlia io non ho mai avuto genitori." cit. S.B.

una canzone https://youtu.be/oGCsOOm3tDs

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editoriale di Bubi

Sto abbandonato nel mio casino e penso. Illimitato è il numero dei miei sogni, sono giovane, ma lo spirito no, nella mente c'è energia, ma il corpo sta appassendo. Batti cuore mio, ho bisogno di sentimenti. Quante volte ho visto la mano tremare? Gli occhi palpitare? Il cuore fremere di paura? Mi sento inutile come un preservativo usato, superfluo come la spazzatura. Uno sputo sul muro. È la solitudine che mi alimenta, mi dà rifugio, ed é il solo stato dove reggo la vita. È la mia prigione, una condizione del non essere, un giogo. Ma la forza di mettermi a nudo e vivere, non c'è. L'anima vuole la pace, gli occhi, un sorriso di gioia, niente gioia e niente pace, tutto si perderà nel mio caos. Il cuore non batte, sono cosa inerte, imbalsamato, rinsecchisco al sole come uno stronzo.

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editoriale di Pinhead

Aveva proprio ragione Jeff Buckley, quando cantava "Maybe I was too young to keep good love from going wrong", forse ero troppo giovane per evitare che l'amore si corrompesse.

Mi sa che siamo sempre troppo giovani per non mandare in malora le cose belle.

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editoriale di ALFAMA

Camminavo con lo sguardo basso, dietro di me il cane ballava.

Vedo un scarabeo a pancia all'aria, un miriade di formiche danzava sul suo ventre divorandolo lentamente e lui si univa alla danza. Guardo quella piccola scena pensando.

Arriva il cane, fa la pipi, annega il tutto. La fine.

Accarezzo il cane, come un Dio.

Accendo la Televisione, immigrati, zingari, disoccupati, politici. opinionisti, giornalisti. Ballano sul corpo di uno scarabeo, come formiche lentamente lo divorano diventando sempre più gonfi. Prendono forma, una forma quasi umana.Crescono,braccia,telefonini e volti e frasi, frasi, frasi sempre più grandi.

Pronti a divorare e il cane li guarda ballando.

Ho visto il cane ballare. Mi guarda, mi prende a braccetto,balliamo su pagine di giornali ingiallite, balliamo sopra telecomandi a pancia all'aria. Divoriamo lentamente e balliamo.

Balliamo guardandoci, sempre più veloci, lo sfinimento.

Cadiamo a pancia all'aria.

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editoriale di lector

Mio padre amava il mare e sognava la Rivoluzione. Dalla sua stanza d’ospedale non si poteva vedere il mare, ma si vedeva – anche da lì – che la Rivoluzione era, ancora, solo un sogno.

Le stanze d’ospedale sono tutte uguali. Vuote, amorfe, inospitali. Minacciose.

Anche quando non sei lì per una “brutta” malattia, ma per una più banale, una di quelle per cui non si dovrebbe morire.

Così, mentre aspetti (questo si fa negli ospedali: si aspetta), magari ti immagini il mare e continui a sognare.

E quei sogni me li ha lasciati in eredità.

Sono il suo lascito.

Ma diventa sempre più difficile e, a parlare di queste cose, ci si sente sempre un po’ stupidi.

Si dovrebbe imparare dalle sconfitte, si dovrebbe capire che il mondo ha una scorza dura, che i sogni la semplificano la realtà, sono cose da ragazzini, che anche se ti sembra – anzi ne sei proprio convinto – di avere ragione, di essere nel giusto, ecco che poi non è proprio così.

Si dovrebbe imparare dai propri compromessi, dalle proprie meschinità, che le cose importanti sono altre, che bisogna tirare avanti, che si deve combattere la propria battaglia, che non si può vincere sempre, che bisogna perdonarsi, accettare le proprie mediocrità.

Insomma crescere.

Ed è questo quello che dovrebbe fare un padre: insegnarti a crescere.

Il padre si insinua nel rapporto madre-figlio, ne spezza la dinamica incestuosa ed impone il senso del limite, cioè stabilisce la Legge.

Almeno questo dicono i sacri testi.

Solo che non è più così. Il principio di autorità è crollato sotto i colpi delle spinte libertarie ed innovatrici, prima, ed edoniste poi. La famiglia patriarcale era già morta da tempo ed i modelli morali di riferimento hanno, ormai, perso ogni credibilità ed attrattiva. La Legge è diventata imposizione e i padri insegne da abbattere.

E così i padri sono scomparsi.

Nessuno vuole fare più il padre. Ed in effetti è dura accettare un ruolo che, se ben svolto, ha come senso finale la messa in scena simbolica della propria morte. Un ruolo che è testimonianza, farsi carico, assumersi la responsabilità di indicare un senso. Sognare un futuro.

Siamo immersi in una cultura dominata dal feticcio della madre. Dominata da parole d’ordine materne: accoglienza, comprensione, accudimento, protezione, sicurezza, soddisfazione.

Siamo tutti figli unici.

Ma lo sguardo della madre non arriva dappertutto e, negli anfratti bui, si annidano i lupi.

Ho ripensato a mio padre vedendo questi lupi mostrare le loro zanne in televisione, pronti a sbranare e sbranarsi per difendere il loro diritto di figli unici. Deridere ogni principio di Legge Morale per difendere il proprio boccone. Senza passato e senza futuro, perché il desiderio (che è il fondamento del rapporto figlio-madre) vive in un eterno presente.

Li ho visti lasciar buttare i cadaveri in mare, mettere bambini - soli – in una cella, lasciare naufraghi alla deriva e chiedere di schedare i diversi.

Senza pietà, senza memoria.

E cosa gli hanno detto altre anime belle?

Accoglienza, comprensione, accudimento, solidarietà……

Soluzioni provvisorie, pannicelli caldi, abbracci ipocriti, attesa.

Nel frattempo facciamo il possibile, gestiamo l’emergenza (ci sarà sempre un’emergenza da gestire), si deve essere realisti, non si possono cambiare le cose. Una soluzione arriverà.

Non arriverà.

La soluzione bisogna inventarla, costruirla, farsene carico, assumersi la responsabilità di deciderne il senso.

Sognarla.

E vorrei sapere cosa ne pensa mio padre di ciò che ne ho fatto della sua eredità, dell’uomo che sono. Vorrei sapere come ha fatto lui, se anche lui – come me – aveva paura.

Ma, in fondo, non è questo che mi manca, alla fine le risposte a quelle domande le conosco.

Quello che mi manca, veramente, è di non avere mai potuto offrirgli il mio braccio. Dirgli “appoggiati, riposati, ora ci penso io”. Solo a me è toccato il destino d’invecchiare.

Perché è questo che c’è di innaturale nel nostro rapporto: io diventerò il più vecchio, ma lui sarà sempre il più grande.

Qualche giorno fa, il mio pulcino ne ha fatta una delle sue. Una delle solite. Una delle tante.

L’ho punito. Ho dovuto.

Sono stato inflessibile. Sordo ai suoi pianti, alle sue recriminazioni, alle sue proteste, alla sua rabbia.

Poi ho aspettato che venisse sera, che andasse a letto, che scivolasse nel sonno.

Mi sono seduto vicino a lui.

E l’ho soffocato di baci.

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editoriale di Bromike

So che assolutamente non sarebbe da scrivere in un editoriale ma spero che sia possibile, secondo le grandi tavole che illustrano le leggi del mondo DeBaseriano, festeggiare i miei primi 100 giorni su DeBaser

Ringrazio chi mi ha aiutato ad abituarmi ai modi di fare e di condividere elementi e opinioni sul "sito più fiko dell'internette"

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