editoriale di Falloppio

Il povero Bruce Dickinson stavolta s'incazza con l'organizzazione della Rock Hall of Fame.
Nonostante la band sia eleggibile dal 2004, gli Iron Maiden non sono ancora stati nominati.
Malgrado le milioni di copie vendute, il grande merchandising mondiale, il successo della New Wave of British Heavy Metal, niente da fare.
In un intervista con il giornalista australiano Martin Kielty, Bruce sbotta ad una domanda provocatoria sulla loro assenza nell'olimpo del Rock.
"Onestamente penso che che gli organizzatori del Rock & Roll Hall of Fame siano un gruppo di coglioni..
Sono gestiti da americani sanguinari che non riconoscono il rock 'n' roll manco se li colpisce in faccia. Devono smettere di prendere il Prozac e iniziare a bere una cazzo di birra.'
Chi gli può dare torto.
Per anni, la musica Metal è stata ignorata. Pochi riconoscimenti.
Recentemente sono stati fatti piccoli passi nella giusta direzione con l'accesso di Metallica, Black Sabbath, KISS e infine Deep Purple.
L'elenco dei metallari che spingono alla porta è folto. Insieme agli Iron, ci sono i Motorhead, Judas Priest, Whitesnake, Thin Lizzy, Dio, Motley, Slayer.
Tutti hanno influenzato il Rock.
E diamogli sto riconoscimento, così poi ci beviamo insieme sta cazzo di birra.

di più
editoriale di Elfo Cattivone

“They keep coming: savage brown-skinned poors. Across the custom checkpoints in San Diego between rack of cars on our freeways. They hang their laundry out of window, they do jobs white people are too cool to do themselves. I don’t care if it starts a race war, I don’t care if it brings every picked out of the class and gets every brown-skinned savage beaten out on the street. Who cares as long as I, Pete Wilson, am governor and president?

Qui dalle mie parti la gente faceva contrabbando: uno zaino bello pieno di tabacco e su per i colli, perché spaccarsi la schiena a coltivar patate su ripidi prati, tirar a campare con quattro porri e un po’ di polenta? In fondo si trattava semplicemente di attraversare una linea immaginaria con delle foglie nello zaino. Eh ma vallo a spiegare alla finanza… Se andava male buttavi via tutto e scappavi, se andava ancora peggio ti prendevano e finivi in gabbia, magari dopo aver tirato quattro sganassoni ai malcapitati finanzieri. Rude gente di montagna…

Adesso i sentieri del contrabbando vedono organizzare gare di corsa, con ramponcini obbligatori per arrivare giù in Svizzera. Ah la trail mania… Son convinto che dietro ci sia la lobby dei fisioterapisti.

In antichità invece la gente si spostava da una parte all’altra delle Alpi in cerca di un posto migliore da chiamare casa, quindi caro amico subsahariano, se vuoi ricongiungerti ai tuoi familiari nella terra degli imperialisti francesi ti indicherò volentieri tutti i valichi a titolo gratuito, d’altronde se Annibale con gli elefanti ha fatto il percorso inverso non vedo perché tu debba fallire a farlo al contrario. Prima però, se arrivi dal mare, devi attraversare tutta la grande pianura e ormai tira aria di migra padana. Regolati tu.

di più
editoriale di Falloppio

Ragazzi vi presento Tim "Ripper" Owens. Cantante Metal di tutto rispetto nato nello stato dell'Ohio nel 1967.
Ha una timbrica vocale ottima. Una voce unica e riconoscibile che spazia tra gli acuti e i controcazzi di acuti.
È veramente un ottimo interprete.
Recentemente ho letto un suo sfogo.
Durante l'assenza nei Judas Priest di Rob Halford (leader storico ), il posto di frontman divenne suo.
Adesso che tutti i cataloghi degli album sono in rete su Spotify, i Judas hanno evitato i due dischi con Ripper. Jugulator e Demolition.
Sapete quanto costa pubblicare un cd su Spotify? 75 euro.
Così per 3 pizze e 3 birre il sig. Ripper è sparito dalla discografia dei Judas.
Povero.
Tutto qui? Ma va. Entra a far parte della Metal band Iced Earth e pubblica con loro The Glorious Burden. Disco bellissimo, epico, potente, Metal come non si vede da tempo. E il cantante, Zioporko, è al top. (Zioporko quando ci vuole ci vuole)
Quindi cerco su Spotify e cosa scopro?
Che gli Iced Earth hanno tutta la discografia tranne i due dischi fatti con Ripper.
Povero. perché è stato trattato così?
Cosa avrà fatto di così grave per essere cancellato?
Quindi non è sufficiente avere una voce fuori dal comune per meritare l'attenzione mediatica?
Qualcosa avrà avuto per essere messo da parte come il bordo avanzato della pizza, come il fondo di bottiglia di birra calda, come pane del giorno prima.
Non ho la più pallida idea.
Forse gli puzzano i piedi.

di più
editoriale di Flame

Una delle ultime volte che sono venuto su a Turin sulla solita scatoletta di manzo di pendolare, mentre dentro si era tutti in attesa che la lasciassero entrare al Lingotto (stazione Lingotto, per chi non fosse mai stato a Torino, è un posto di una tristezza inenarrabile), sono andato a cercare meccanicamente con lo sguardo oltre il finestrino la tag dei miei eroi dove sapevo l’avrei trovata: su di un muro, sotto un ponte.

… e non c’era più!!! Come è possibile?! Mi sono messo a cercare meglio… niente … gli indomiti cowboy di onde di sesso contaminato erano stati cancellati.

Mentre cercavo faticosamente di farmene una ragione, la scatoletta manzotin si era rimessa in moto verso il Lingotto, e mentre si palesava davanti ai miei occhi l’enorme pisellone della Regione Piemonte in eterna costruzione mi è venuto da pensare che la Turin dei Gonorrea Surfers, la mia Turin, non esisteva più.

Quella con lo skyline senza i due piselloni, quella dell’intenso afrore di figa alle feste dell’ISEF che manco in piazza Duomo a Milano, quella dell'esame di matematica finanziaria al Palazzo del Lavoro prima che diventasse un ammasso di ruggine, quella del puttantour alla Pellerina, quella dei Murazzi un pelo prima che diventasse un posto per cabinotti e poi un bel niente per sempre, quella degli zamarri come mamma non ne fa più, quelli del Le Palace , quelli del tipo “Oh tu,minkia oh,ignorantedimmmerda, oh-vengo-li-e-ti-tiro-calci-nelle-costine”, quella del titolo di Gran Chiavone tra i goliardi del sangiuseppe, quella della pizzeria Arcicioch, quella dell’ultimo Gipo Farassino, quella dei Subsonica al Barrumba, quella del 10 stracolmo di ingegneri e di palazzonuovo stracolmo di fricchettoni radical chic quando non sapevano ancora di esserlo, quella di apple seed e ken shiro in mano agli studenti sui tram, quella di Jim Lee a Torino Comics, delle tequila bum bum al pub irlandese di Corso Vittorio, di Rock&Folk stracolmo di gente … adieu vecchia Turin … adieu Gonorrea Surfers … tempo fa avevo pensato anche ad un pezzo, ma mi erano venuti fuori solo un paio di versi del cazzo. Li riporto solo a titolo di saluto.

Al binario quattro c’è un Torino Salerno che non finisce più

Ringo scrive “Puttana la Uefa” sulla fiancata blu

Gino scrive “amore mio arrivederci”

Su un vagone di un treno merci

Vanda fa Minnie in guepiere sul rapido delle sette

Joe sbombola vicino ai binari con le chiappe strette

Gino esprime il suo bisogno di affetto

sul fianco di un vagone letto

di più
editoriale di Falloppio

Siamo prossimi all'apocalisse.
Quanto manca? 5 anni? Forse 10?
Non di più.
Ci sarà una strage.
Noi che viviamo di musica, non siamo pronti.
Pensate il contrario?
Vi immaginate un mondo senza Ozzy Osbourne? Ha 70 anni e gira ancora il pianeta gridando Crazy Train.
E Il più grande cantante solista di tutti i tempi? Quel 70enne che porta il nome di Robert Plant?
Di anni ne ha ben 73 l'interprete di Jesus Christ Superstar, il mitico Ian Gillan.
Sir George Roger Waters ne ha addirittura 75.
Il baronetto Paul McCartney è un arzillo di 76 anni che ha appena inciso un nuovo disco.
Fortunatamente Mick Jagger ha solo 75 anni, e guarda come si muove ancora sul palco.
Dio, il cui nome di battesimo è Eric Patrick Clapton, ha festeggiato il 70esimo compleanno già due anni fa.

L'elenco dei "veterani" è lungo.
Ed io non sono pronto per l'apocalisse.

di più
editoriale di CosmicJocker

Chi di voi ha avuto la (s)fortuna di imbattersi in qualche mia/o paginetta/delirio/commentucolo ha forse intuito la mia indomita passione per il randagismo cittadino.

C'è chi si inerpica in catartici cammini verso una qualche Santiago, io, più modestamente, mi accontento di trotterellare per le vie e purificare la mia anima sostando talvolta in qualche bar dimenticato da Dio.

Settimana scorsa, in una di queste peregrinazioni, mi sentivo insolitamente loquace (oltreché insolitamente sobrio).

Arenandomi in un tempio a me (ancora) sconosciuto e notando la scarsità di fedeli genuflessi ai tavoli, decisi di attaccare bottone con il Sommo Sacerdote del luogo.

Rubizzo, pingue, sgrammaticato e vagamente manesco, non mi ispirava nessuna fiducia, ma la sobrietà è una brutta bestia per me, tende a farmi abbassare le difese immunitarie e a dare possibilità a persone che d'istinto mi respingono.

Voleva assolutamente sapere cosa facessi per sbarcare il lunario ed io, vista la sua insistenza e nonostante la mia ritrosia, ho ammesso il mio percorso teatrale: la mia compagnia, le date e il fatto che, visto che il denaro che ne ricavavo era sempre piuttosto esiguo, puntellavo le mie entrate con lo scarico-farina.

Lui mi fissava in silenzio, ma la luce del suo sguardo e il sottotesto del suo immobilismo era:

"Ma tu guarda 'sto minchione! Il teatro a quasi quarant'anni! Che pena! Se non paga il vino lo ribalto!".

Io capivo tutto ciò (o almeno mi sembrava di capire, da sobrio non sono sicuro di niente) e, cominciando a divertirmi, ho giocato la carta della conduzione di laboratori teatrali per persone con disagio psichico che, essendo un lavoro istituzionalmente riconosciuto ed anche discretamente pagato, sortisce di solito un certo effetto con persone tendenti ad una forte semplificazione di tutto ciò che le circonda.

Ho salutato il buon uomo e, uscendo dal locale, mi sembrava che il suo abbozzo di sorriso dicesse:

"Bah, in fondo un bravo ragazzo. Non un coglione totale. E poi ha pagato senza problemi. Non ho perso troppo tempo con lui"...

...E il tempo, si sa, è denaro.

di più
editoriale di zaireeka

Negli ultimi tempi mi sono messo più volte davanti al computer con la voglia di scrivere qualcosa su Lucio Battisti.

Per quelli come me nati a metà degli anni 60 del secolo scorso (che impressione fa a dirlo..) Battisti e’ stato la musica che suonava nell'aria il primo giorno di scuola, il giorno in cui si è riusciti finalmente a togliere le rotelle alla bici, nei campi di periferia giocando a pallone con due sassi come pali delle porte.

Ci sono delle canzoni che sono degli attaccapanni.

Attaccapanni a cui sono attaccati ricordi.

Come dice Camus, in fondo il vero scopo dell'arte non è altro che quello di aiutare l'uomo a riscoprire, per suo tramite, “quelle due o tre immagini grandi e semplici nella cui presenza il suo cuore si è aperto per la prima volta”.

Non per tutti Lucio Battisti può evocare le stesse cose, evocare ricordi, sicuramente non per mia figlia, ad esempio, che ha solo diciotto anni (beata lei).

Come fa notare Hofstadter noi non ascoltiamo Bach come lo ascoltavano i suoi contemporanei o quelli che sono venuti subito dopo di lui.

Per quanto mi riguarda quando penso alla mia infanzia/adolescenza penso in massima parte alle canzoni di Mina, Celentano, Modugno.

E Lucio Battisti, quelle degli anni 70.

A “E penso a te”, che mi ricorda la tipica malinconia di alcune domeniche sere davanti al televisore in bianco e nero.

A “La canzone del sole”, che mi ricorda mia sorella che la cantava in macchina durante i nostri viaggi in giro per l’Italia.

Ma in generale, senza nessuna canzone in particolare, e’ la musica di Battisti che è il foglio colorato su cui sono scritti quasi tutti i miei ricordi di vita di quegli anni.

Come dice Manuel Agnelli, e’ la luce che era diversa negli anni 70.

E il merito era soprattutto della musica di Lucio Battisti.

L'altro giorno mi è capitato di vedere su Youtube un’intervista fatta al nipote, il figlio della sorella, tale Andrea Barbacane.

Piena di aneddoti, di cose interessanti, alcune anche spiacevoli, sullo zio.

Oggi ne ho trovata un’altra, sempre su YouTube, direttamente a lui, l’ultima, del '79.

Se penso che in questa intervista aveva solo trentasei anni, che parla come se avesse avuto un lunghissimo passato alle spalle, che se ne è andato a soli cinquantacinque anni (tre più di me in questo momento), mi rendo conto che la sua vita è stata davvero estremamente intensa e che in fondo era quello che voleva, almeno musicalmente, sempre stando all’intervista. Quasi come sapesse che sarebbe finito tutto troppo presto. 

Al di la di quello che si legge e si ascolta in giro, ma anche basandomi su quello, mi sono fatto l’idea di quello che era soprattutto Battisti, a parte un grande compositore di musica.

Era una persona estremamente vogliosa di trovare un senso alla sua vita.

Il suo Dio non era quello ortodosso, delle religioni, ma ne aveva uno, perché tutti ne abbiamo uno.

Dopo il grande successo (i suoi album e singoli concorrevano sempre fra di loro per i primi posti nelle classifiche) aveva voluto cercare di stanarlo, con scelte illogiche e inopportune (vedi pubblicazione del suo album americano), per capire quanto questo Dio fosse davvero dalla sua parte.

Sentiva l’amore di Dio ma voleva la prova definitiva.

Chiamatelo pure delirio di onnipotenza.

E così si giustificano i dischi bianchi in cui per sua stessa ammissione l’esperimento ardito (preconizzato nell’ultima intervista) consisteva nel mettere insieme melodie e ritmiche ossessive facendo in modo che le prime continuassero a trionfare.

Lucio Battisti, già al tempo dell’ultima intervista, sapeva che non sarebbe vissuto per sempre, anzi.

E per questo, alla maniera di Borges, e del suo racconto “Borges e io”, aveva disconosciuto il personaggio pubblico Lucio Battisti.

Dopo di che l’uomo Battisti era rimasto solo con la sua musica.

Bianca e pronta a sfidare il giudizio di Dio.

Che forse non ha fatto in tempo a dimostrargli quanto bene gli volesse davvero.

di più
editoriale di CTanis

“Canterbury College of Art”, Pedale (settimo mese del calendario patafisico) del 1966, Robert Wyatt, Daevid Allen, Kevin Ayers, Mike Ratledge, i fratelli Hopper, fondano la “macchina morbida” (Soft Machine).

Il 45 giri “Feelin Reelin Soveelin/Love Makes Sweet Music” è il manifesto della patafisica in musica, una gemma dalle forme bucoliche tardo-psichedeliche.

Nel migliore spirito patafisico il successivo “Box 25/4 lid” che portano i nostri ad aggiudicarsi una nomina al merito dal “Collegio della Patafisica” parigino: 48 secondi minimali senza fronzoli lessicali, un haiku musicale con l’orecchio rivolto a John Cage ed a Terry Riley.

E’ ormai evidente una tendenza all’opera transdisciplinare (in seguito maggiormente palesata nell’album “Third”) con un vero e proprio superamento dei confini tra generi artistici.

Le esibizioni sono caratterizzate dalla collaborazione di Mark Boyle, considerato il capostipite dei “light shows”, ed è con Boyle che nel 1967 i Soft Machine intrapresero una tournee in Francia con l’opera multimediale “Le desi attrapè par la queque” di Pablo Picasso sotto la direzione artistica del dadaista-surrealista Jean-Jacques Label.

Nel 1968 Kevin Ayers a tal proposito ebbe a dire: “sta nascendo o emergendo un nuovo genere di artista che proporrà un tipo di interpretazione radicalmente diversa. Anziché provare piacere di fronte ad uno spettacolo, le persone proveranno piacere con se stessi sotto la direzione del Nuovo Interprete. Il piacere non sarà più una fantasia rappresentata ma prenderà forma di una scoperta ed esperienza di sé, che – speriamo – determinerà la distruzione delle inibizioni che impediscono l’esperienza totale”.

Third, si diceva! Senza Daevid Allen e Kevin Ayers già per altri lidi, esce il 6 giugno del 1970 la Terza fatica.

Facelit (H. Hopper) è un tema fortemente influenzato dal minimalismo di T. Riley e dal Davis elettrico (In a silent day). Il basso di Hopper guida le improvvisazioni collettive in un atanor crimsoniano (In the Court…esce l’anno prima).

Slightly all the time (M. Ratledge) è un “viaggio inusuale” nel jazz modale con cortei di sax e tastiere.

Moon in June ( R. Wyatt) un mantra prichedelico e patafisico con la voce di Wyatt che fa pensare al mito di Er dove le Sirene emettono, ciascuna, una sola nota che unendosi alle altre formano l’Armonia. Il finale è concitato, tastiere agonizzanti, linee di basso fortemente ritmate e deliqui sonori.

Out-bloody-Rageous ( M. Ratledge) cellule melodiche si ripetono con variazioni a tema ( A Rainbow il Curved Air- T. Riley) per sfociare in un raga jazzistico di fiati e tastiere su un tappeto di basso che delinea la “strada” in un percorso circolare di continuo ritorno.

Musica e immagine formano, nei vari “happenings” di Third un flusso con interruzioni e esplosioni inattese suggerendo continuamente nuovi significati e relazioni. La dimensione visiva è parte integrante del messaggio musicale.

Alfred Jarry in “Gesta e opinioni del dott. Faustroll Patafisico” diceva che la patafisica “studierà le leggi che veggono le eccezioni e esplicherà l’universo supplementare a questo; o meno ambiziosamente descriverà un universo che si può vedere e che forse si deve vedere al posto tradizionale…”

  1. Facelift – 18:45 (Hugh Hopper)
  2. Slightly All the Time – 18:12 (Mike Ratledge)
  3. Moon in June – 19:08 (Robert Wyatt)
  4. Out-Bloody-Rageous – 19:10 (Mike Ratledge)

Mike Ratledge: Keyboards, Organ, Piano
Robert Wyatt: Drums, Vocals
Hugh Hopper: Bass
Elton Dean: Alto Saxophone, Saxello, Saxophone
Lyn Dobson: Flute, Horn, Soprano Saxophone
Nick Evans: Trombone
Jimmy Hastings: Bass Clarinet, Flute, Wind
Rab Spall: Violin

di più
editoriale di Mark76

Jimmy Wayne ”Jimi” Jamison (1951-2014)

In us we all have the power
But sometimes it's so hard to see
And instinct is stronger than reason
It's just human nature to me

I’ll be ready

Don’t you fear

Forever and always

I’m always here.

Nel giro degli ultimi 5 anni, i cultori del rock adulto hanno dovuto assistere impotenti alla scomparsa di B. Walker, F. Frederiksen, A. Fritsch, J. Jamison: dando prova di un realismo eroico di tratto jüngeriano, pure trasposto dalle “tempeste di acciaio” alle sofisticate atmosfere statunitensi da inoltrata nottata metropolitana. Altri luoghi, altri tempi, altre guerre. Dell’ultimo crooner menzionato, di diritto nella “top five” dei vocalist AOR, oggi ricorre il quarto anniversario (il dies natalis occorse il 1/9/2014); Jimi fu, tra l’altro, singer dei leggendari Survivor tra il 1984 ed il 1989 (oltre che tra il 2000 ed il 2006, e dal 2011 fino alla improvvisa, ed improvvida, dipartita verso le sfere celesti): epoca d’oro di uno stile metamusicale che ancor oggi molti rimpiangono, spesso rifugiandosi -- per scomposta ma umanamente comprensibile reazione -- in un intimismo solo eticamente provvidenziale.

Uomo verace del Mississippi, probo ma non succube della retorica abolizionista, Jimi non negava mai un autografo o una pacca sulla spalla agli innumerevoli fan: neppure all’ultimo dei garzoni da salotto postatomico. Avrebbe sorriso, riteniamo, anche all’orripilante Saviano, se avesse avuto la sventura di incontrarlo.

Chi, ci chiediamo retoricamente tra il trasognato e l’ossequioso, non ha almeno una volta versato una lacrima auscultando le sue maschie, preziose romanticherie in “The Search Is Over” (n. 4 USA; video patinatissimo eppure di sottile autenticità), “I Can’t Hold Back”, “Man Against the World” (splendida glossa filmica, ad omaggiare l’ingenuo titanismo a stelle e strisce), “Burning Heart” (n. 2 USA, nella colonna sonora di “Rocky III”: Stallone sostenne di aver alzato 40 kg più del solito, solo odendone in lontananza lo stentoreo refrain, che incredibilmente coincide con la strofa), “I’m Always Here” (tema del clamoroso, avveniristico per i tempi, “Baywatch”), “Desperate Dreams” (riff e dialogo chitarra-tastiere che sostiene ex nihilo ogni incontro galante degno di codesto nome), “Rebel Son”, “It’s the Singer Not the Song” (sorta di manifesto programmatico per teoreti dello chic rock), “Ever Since the World Began” (tema di “Sorvegliato Speciale” – rivoluzionario blockbuster di Stallone: perché col negro inflessibile ma misericorde --, che fece impazzire l’antico, ma già lobotomizzato sodale nipponico), o anche nella struggente “Across the Miles”: magari solcando la 101 tra la California e l’Oregon, terre di elezione dei commoventi “Goonies” e dell’epico, protofascistico “Mercoledì da Leoni”?

Con la morte di Jimi, crediamo, si pone un pregiato sigillo su tutto un universo simbolico – estetico prima che sonoro: etico-antropologico e poietico, dunque, prima che musicale -- ormai ermeticamente conchiuso. Con Gramm mezzo malaticcio, Perry blandamente tornato ai fasti del buon tempo antico, Free segretaria di banca gendericamente modificata e Mardones ridotto ad una larva (abita, si vocifera, una baracca tra i metalmeccanici della periferia della stolida Syracuse), ora qualcuno si dovrà pur prendere la briga – e con questa la responsabilità esiziale -- di fare la storia del rock adulto: sussumendo, in tal modo, il mistero della storia nella fuggevole diacronia di una epoché attraversata e risolta per iatum. Epperò, in ultima istanza e come già il valente Rocchi sostenne a suo tempo, la realtà non esiste. Essa è il languido sogno di un camaleontico, malevolo trickster, che alcuni si ostinano a scambiare per demiurgo (conferendole così una insussistente dignità ontologica): una sorta di riverbero immaginale, tutto formalmente concentrato negli anni ’80 (in specie, lo rammentiamo per chi non se ne sia ancora avveduto, tra il 1984 ed il 1987/1989), e materialmente nei vinili accatastati in mansarde, ripostigli, anfratti ubiqui e volatili.

Jamison riposa a Newport, Ms, prossimo ai luoghi natali. The search is over, Jimi.

di più
editoriale di Bearry

Se è vero, come dicono, che nella nostra esistenza terrena viviamo momenti chiari ed altri più scuri, quelli dei Dè Noot sinora erano stati decisamente i più bui, comunque e sempre, di quei poveracci che abitavano quel gruppo di case, oscillando dalla penombra dei casi migliori alle tenebre di quelli più tristi.

Qualcosa però forse stava cambiando in meglio per la Famiglia di Angelo, da quando, insperatamente, erano diventati con poco i nuovi proprietari di quella villa d’epoca arroccata sopra la città di Gevona, che a breve avrebbe permesso loro di allontanarsi da quei ruderi dove aveva vissuto in passato il Conte Vlad, che da tempo li costringeva a convivere con la sua ingombrante presenza.

A poche ore dall’imbrunire, con l'aiuto della consorte Eveline, detta anche Smile per il perenne sorriso, lo stesso aveva accatastato lo stretto necessario in quella grande stanza del primo piano, rimandando al giorno dopo, con l’arrivo del mobilio, a sistemare il resto dei loro averi, ancora stipati negli scatoloni rimasti nell’ingresso.

“L’acquisto di questa casa, Cari miei, nel tempo sarà il nostro riscatto”

sostenne convinto Angelo, conosciuto come Tumòrro nàit (tomorrow night) da quelli del bar vicino per i suoi eccessi notturni dovuti all'acool.

“eh già, un po’ d'affare 'sta villa del 'zzo, con tutti ‘sti ambienti uno dentro l'altro, chiusi tra loro come in una matrioska da porte interne, con su scritto: chiudere bene a chiave la notte, che terminano contro le stanze da letto del primo piano”.

questa fu la risposta del solito prendingiro di Andrea, loro ultimo genito rinominato dagli stessi come Bimbo Stress.

In attesa di migliorie a quello strano assetto interno, i nostri ligi a quei cartelli serrarono tutte le porte interne, pronti a dormire in fondo a quella lunga serie di stanze chiuse, adattandosi all'occorrenza anche, femmine incluse, a fare i propri bisogni notturni, qualunque fossero, giù dalle finestre verso il sottostante giardino, con l’incredulità della bella Catterina, la prima genita, detta anche la Bronzsa Cuerta (brace coperta), perennemente alla ricerca del moroso perfetto...

Un attimo prima di prender sonno ci fu la buonanotte di Angelo, che, rassicurante, chiosò:

" ’notte, domani finalmente arrivano mobili ed utenze…, le torce elettriche sono ormai scariche, per stanotte usate il grosso cero trovato sopra quella vecchia cassa che è sotto…”.

Contro ogni regola della fisica, erano ormai le tre quando quel cero, anziché continuar a far luce, si spense di colpo.

Rimasti al buio i presenti, si divisero tra quelli che continuarono a dormire, e chi, ancora sveglio, si rigirava nel letto, facendo strane ipotesi su quel posto così isolato e disabitato da anni, come Catterina, che nel mentre guardava fuori silente.

BOOM! Un tuono li svegliò. Si guardarono per un attimo intorno, cercando di capire se era realtà o frutto della loro immaginazione, mentre Andrea guardò l’ora del cellulare, purtroppo senza campo, ma erano solo le quattro, e grazie alla sua luce si apprestarono preoccupati verso la porta interna, mentre continuavano i boati.

In un primo momento, pensarono che qualcuno fosse entrato in casa a loro insaputa, poi rimasero in silenzio sino a che dal sottostante salone partirono fortissimi stridii e riverberi che evocavano atmosfere inquiete e rumori da vecchio film horror, portando dentro la stanza tanta inquietudine, paura e malvagità.

Poi quei rumori si mischiarono gradualmente ad una Musica, sempre più forte ed angosciante, a cui Andrea diede subito un senso: tutto viene dallo stereo di sotto, ieri sera ho sentito "Bela Lugosi's Dead", primo singolo dei Bauhaus del 1979, si vede che quel CD ora inspiegabilmente ha ripreso a suonare..."

Mentre tutto proseguiva ancora, fuori nel sottostante giardino ecco una sagoma. È quella di uno indefinitamente pericoloso, che indossa strani abiti neri, in piedi di fronte alla luce della luna, con la schiena rivolta verso di loro.

Anche se tutto sembra reale, il loro sguardo va oltre la sua inconsistente figura. Immobilizzati dalla paura, respirano a fatica, quando lo stesso, lentamente, guarda poco a poco verso di loro.

I loro occhi strabuzzano quando si accorgono delle sue sembianze così poco umane, mentre quella visione si offusca e si dilegua, ritornando a giacere in quella vecchia cassa di legno, da cui Angelo la sera prima aveva recuperato quel cero.

Un suono li sveglia, è il cellulare di Andrea che vibra contro il pavimento. È mattina. La luce filtra attraverso la finestra, ed i tecnici per attivare le utenze sono rassicurantemente sotto casa ad aspettarli, mentre i Dè Noot finalmente scendono, per riappropriarsi delle loro cose, anche se ancora spaventati per quella notte.

Intanto Angelo si attarda per cercare Catterina, e quando non la trova pensa tranquillo "sarà sicuramente scesa a Gevona", mentre il Conte Vlad ritorna polvere per sempre, anche se non più solo come prima, libero finalmente da quel maleficio, scomparendo dalla sua vista...

di più
editoriale di HOPELESS

Jim Crow ha fatto fuoco, i numeri sull'airplay (Get Down!). Un parcheggio sotterraneo pieno di pozzanghere e buche illuminato dalla luce fredda dei neon. Tarda serata e sovrappensiero urbano. Il battito buio della metropoli. Daddy G è un uomo di colore che parcheggia l'auto, scende e si incammina altrove. La solitudine e l'inquietudine sottopelle della grande città che inghiotte tutto e il passo che diventa veloce. Una persona alle spalle e non bisognerebbe voltarsi indietro, mai. Due persone, poi tre, poi sempre di più. Il passo svelto che si trasforma in una fuga preventiva. Centinaia di individui alle costole, la corsa che si interrompe al limite di un muro. Bisogna scegliere. Finirsi contro quel cemento o guardare in faccia le proprie paure. L'uomo in fuga appare intimorito e i volti dei predatori diventano sempre più minacciosi e raccapriccianti. Poi succede qualcosa. L'uomo in fuga avanza piano contro di loro, a pugni stretti, volto rigato, muso serrato. Gli inseguitori cominciano ad indietreggiare, penseranno che quello ora li farà a pezzi, perché ora il terrore lo ha guardato negli occhi, perché non ha più paura di niente adesso. Un uomo solo che rincorre una massa oceanica di gente che adesso fugge. Credevate di essere i randagi, ma adesso i topi siete voi. Ed è così che andrà.
Il video di Angel (virgolettato a latere inteso tra questa) rischia sempre di far esplodere un'ilarità esagerata e ingiustificata, ma il concept che ci sta dietro è tutt'altro che un gioco d'azzardo poco serio. No Protection.
Un aspetto dell'Europa paranoide del 1998.
USA is us NOWADAYS. Childish Gambino in This Is America and it goes like this...


Divertìti alla morte, e questa è l'America che ti ammazza mentre ti stordisce di musichette da Broadway che a sentirle sanno già di morte come la muzak negli ascensori e l'annoyance. Una danza sudafricana che ti alleggerisce il cervello, il Gwara Gwara, la Shoot Dance che diventa virale come questo video, perché i neri non potevano sedere al tuo posto sull'autobus e a qualcuno dà fastidio ancora oggi, ma potevano farti divertire se avessero accettato di interpretarsi in scene caricaturali e deformi, non potevano occupare un posto nello stardom ma se pitturavi di trucco nero e labbra bianche Judy Garland poteva andare bene, perché quelli veramente neri puzzavano e puzzano e ti fanno schifo e andavano addomesticati, ma nei vostri locali da bianchi potevano suonarti il Jazz che a volte prima ti ipnotizzava e poi ti portava via nelle sue spirali magiche di cui non sapevi i perché e forse non l'avresti ammesso nemmeno e neanche che Billie Holiday nei club doveva utilizzare l'ingresso riservato alla gente come lei e doveva rimanere chiusa in camerino fino al momento dell’entrata in scena e dagli alberi del Sud continuavano a spenzolare Strani Frutti. Ma dopo lo spettacolo tutti che vuol dire tutti quelli lì dovevano girare i tacchi perché puzzavano e altri come loro li prendevi a farti gli schiavi domestici già da prima, ma solo in caso di denti bianchissimi, altezze adeguate e buona salute stivati insieme nelle tue triangolazioni commerciali d'acqua e sudore. E così li hai trasformati. Pelle Nera, Maschere Bianche.


Questa è l'America, che dopo uno Spiritual ti spara alla testa in cappuccio bianco, tra Ku Klux Klan e sedia elettrica, che ti sprofonda nell'angoscia col suo beat scuro che sfonderebbe tutti i Ghetto Blaster dell'Harlem che fu con basi sotto bassi e atmosfere Bristol Sound Revisited che sembra di percepire Andrew Vowles meglio conosciuto come Mushroom sotto un rapping/talk over attoriale da situation tragedy, bronchiale e violento che oh my god that's the real new funky black shit, contorto, che avanza a spasmi, nero e pettonudo coi pantaloni dell'esercito confederato come uno zombie haitiano ebbro di un'euforia spaventosa e immotivata che ti viene a turbare nel sonno incurante del tuo cortile da difendere, con la faccia demente tra un grottesco e un terrificante. Vai e fai i cents nigger che sennò sei nessuno ed è già tua madre che comincia a dirtelo e saltella coi tuoi occhi ebano fuori dal cranio che a New Orleans fa caldo di questi tempi ed è così da sempre e Katrina che potrebbe tornare.


Rainy Days. Quello che loro guardano al posto tuo, viso pallido, e con cui ci fanno anche di te quello che vogliono. E Questa e l'America. E questa è un'altra parte di te America e del tuo luogo comune or common ground, che sei una fabbrica depressa larga quanto il mondo di intrattenimento che ti rintrona coi suoi amplificatori giganteschi di distorsione di massa elettrica, mentre quello che veramente conta è quello che succede sullo sfondo e che tu altro stelle e strisce continui a non voler vedere mentre loro vanno avanti a guardarlo per te. Divertiti, tanto ti girerai di nuovo dall'altra parte quando correrai il rischio di vedere qualcuno vomitare la vita all'angolo della strada, girerai un altro video con l'iPhone per i morti sparsi su una Highway 41, tanto morirai anche tu di diabete in uno dei tanti fast food unti di sangue misto merda che ti ritrovi o qualcun altro come te che prima o poi ti seccherà alla nuca. I polli d'allevamento guardano in direzioni opposte e basta guardarne i colori, la morte ti passa alle spalle sul cavallo bianco dell'Apocalisse, tu continua a girare, Clint Eastwood in un film di Don Siegel, che neanche potevi riconoscerne i tratti di quelle marce militanti, le pistole le trattiamo con cura, tu pensa a scavarti la fossa, Funky-Deficient entra nel campo da pallacanestro ed è in Zona Magica, tu continua a girare, continua ad adorare chi ti sta schiacciando, ma non dormire più nei sonni tranquilli dispensati dalle tue sleeping pills. Dylann Roof il suprematista bianco che uccide tutto quel che può a Charleston e Gambino che mitraglia il coro Gospel sono la stessa cosa ma c'è manifesta differenza tra le realtà, persuasi di essere costretti in una guerrilla nell'intestino della Nazione, e le Colt si vendono tutte nella tua Area e tu sei un codice a barre e le news hanno il compito di deprimerti e reprimerti, ma il pop è qui per renderti felice e sempre sorridente ed alleviato nel disimpegno, così, senza motivo e le paralisi facciali chirurgia plastica a basso costo.
Ma Johnny è in America e a Johnny non piace la scuola. La vita ridotta ad un magazzino e questa è l'America Online & Store & Take Away senza deposito che lo svuota quel magazzino, l'America fordista dei sentimenti che continua senza sosta a riverniciare la sua anima pellegrina tinta di nero catrame, pece, petrolio. Melanina. L'Africa in ginocchio che ti dice di vedere Tiāmat in un pronto soccorso e se guardi fuori il processo sembra cominciato già da un bel pezzo e sembra già l'America.


Chiedersi cosa c'è dietro una produzione del genere. Chiedersi cosa viene dopo le verità. Donald Glover, Ludwig Göransson, Hiro Murai stanno sotto quest'azione di Childish Gambino, uno pseudonimo italo-americano che non significa un cazzo. Vi rompono il culo in quattro minuti di sintetica e videoclip, perché qui è il videoclip che conta ché la gente ha bisogno della fotografia per capirci qualcosa e bersi tutte le stronzate. Ma tanto continuerete a vincere voi, vince chi fa più soldi e questo sembra essere. Non esiste religione, esistono i soldi. Pure in un'operazione finzionale come questa.
Trayvon Benjamin Martin. Ci si dimentica di chi fosse.
Ma morirete ancora. Morirete di divertimento, d'ologramma apparente. Morirete nelle aule scolastiche e nelle cattedrali di polvere, morirete a Las Vegas squartati e sbudellati come i porci e il vostro sangue li disseterà di vendette. La Bullet Theory che non media più il massaggio del messaggio e non era nemmeno così, ma piombo che pioverà orizzontale e no, non è un brutto sogno e non ne sarà uno solo, tutto questo non è vero così come niente è vero che Del Naja e Banksy siano la stessa persona, ma stanno tutti male - stanno tutti male, tutto molto male, ma procede tutto molto bene, ed è così che deve andare. L'entertainment vi ammazzerà tutti col cancro dell'american way of life dove, nel mentre, siete già tutti morti..
Undergod, Underdog. Here's something you can't understand.


Non c'è un cazzo da ridere nel Soul uomo bianco e alla fine è difficile non scegliere di oltrepassarsi contro quel muro. Grant Marshall aveva trovato un modo, ma era tutta un'altra storia e non può in nessun modo essere la stessa cosa.
Gambino invece fugge via terrorizzato e la fuga continua, e continua e continua e continua.... AWAY WITH YOU.


PARENTAL ADVISORY EXPLICIT CONTENT
THE AUDIO VISUAL MATERIAL COMING OUT FROM THIS SESSION
IN THIS WAREHOUSE IS INTENDED FOR ADULT AUDIENCE ONLY.

di più
editoriale di Bearry

Mi chiamo Leon, sono un tizio ben strano, un vero cane sciolto, dal carattere aspro e spigoloso, da tutti ritenuto, purtroppo con giusta ragione, un figuro sprezzante e malvagio, umanamente un vero demonio, con cui è meglio non scontrarsi mai, che, malgrado la mia vetusta età posso ancora vantare un fisico asciutto e prestante, mentre mi ritrovo a coprire, direi sempre, la mia crescente calvizia, mio vero tallone d’Achille, con dei vistosi capelli colorati, ormai convinto che la stessa sia un castigo del Creatore, contro la mia straripante cattiveria, aumentata a dismisura con l’avanzare dell’età.

Da pochi minuti, ormai libero da qualunque impegno, sono nuovamente tra le mura di casa, ho appena dismesso la mia ingombrante armatura psicologica, pronto ad ascoltare quel vecchio disco come tanti anni fa, con l’anima candida dei miei 16anni, anche se non sono mai stato un fan così “a prescindere” del suo rinomato Autore, di cui, diciamocelo, non ho mai abbastanza apprezzato la sua Musica.

Solo ieri sono riuscito grazie a quel negozio un po' vintage, frequentato da attempati musicofili, a recuperare la ristampa originale del 45 giri di Space Oddity di David Bowie, pubblicato l'11 luglio 1969, pochi giorni prima della discesa sulla Luna di Neil Armstrong con l'Apollo 11, con l'intento di rinserirlo di nuovo nella mia discoteca com'era già stato molti anni prima, in occasione di quell'evento così epocale, perché è diventata una mia fissazione quella di disporre di ogni Artista famoso tutti i suoi dischi, dall’inizio alla fine della sua carriera.

La mia casa ora mi protegge di nuovo, insieme alle mie rughe, sprofondato nel divano, mentre dal mio angolo musicale inizia a suonare quel disco, con l'idea, tutta mia, che lo stesso possa riportarmi indietro ai miei beati anni giovanili, mantenendo invece fuori dalla porta di casa, almeno per il tempo del suo ascolto, quel mondo dove domani ritornerò inevitabilmente, costringendomi ad armarmi con la mia inseparabile e precisissima Smith & Wesson M&P 9 Shield.

Ma qualcosa incombe sulla mia apparente tranquillità di quel momento, perchè, tutto preso da quell'ascolto, sinora non ho avvertito cosa sta avvenendo fuori, evocato dalle note di Space Oddity, sino a quando mi giunge netta la sensazione che qualcuno mi sta osservando tra gli arbusti del mio giardino...

Apro incuriosito la porta di casa, pronto a far fuoco con la mia pistola, che come detto mi porto con mè ogni mattina uscendo di casa, ma non vedo nessuno, a questo punto decido di uscire, seppur c’è solo la notte ad illuminare gli alberi circostanti, e rimango quasi impietrito per lo spettacolo che si presenta ai miei occhi: laggiù sull'asfalto, insieme alle auto parcheggiate, c’e anche un oggetto che assomiglia ad un grande piatto rovesciato.

Rimango attonito a guardare, quando mi sento sollevare di forza dalle onde mentali di un Androide, che, guardandomi tra il sorridente ed il sottilmente minaccioso, mi scaraventa brutalmente dentro casa, dopo aver intuito la mia prossima e violentissima reazione

Vorrei urlare e dibattermi, ma lui mi paralizza con lo sguardo, tanto che non riesco a reagire in alcun modo. Dotato di un impressionante sguardo magnetico e di una strana e fluente chioma rossa, inizia a parlare, e dopo pochi attimi come per magia continua nella mia lingua, dicendomi che non devo aver paura perché nessuno mi farà del male, a condizione che...

Mentre migliaia di altri Androidi, da quel disco volante si allontanano, alla ricerca della propria cavia umana, quello che ormai pare chiaramente uno dei loro capi, una volta seduto sul mio divano insieme a chi scrive, mentre continua ad immobilizzarmi, con un cenno perentorio mi ordina di far suonare ancora quel 45 giri.

Tutto pare finalmente tranquillo, grazie alle radiazioni positive emesse dall'Androide, tanto che, con mia grande sorpresa, l’ascolto di Space Oddity diventa anche per le mie orecchie meraviglioso, come giusto che sia.

Dopo tanti preamboli, finalmente il mio nuovo coinquilino si presenta: mi chiamo Neo, che poi è il vostro Attilio, mi spiega, dimostrandosi, mentre parla, di essere un essere intellettualmente superiore, leader indiscusso, dotato di un intelligenza straordinaria, in grado di distinguersi per comprensione ed umanità molto più di molti umani, me compreso.

Mi racconta che viene da un altro pianeta, molto lontano, dove alla loro civiltà incredibilmente perfetta, e straordinariamente buona, manca ancora qualcosa per completare tanta perfezione, la nostra Musica, visto che nel loro pianeta regna dovunque il silenzio.

Già da tanto tempo ci stanno osservando, spiega Neo, mentre David Bowie continua a cantare:

Though I’m past one hundred thousand miles

(Malgrado sia lontano più di centomila miglia)

I’m feeling very still

(Mi sento molto tranquillo)

And I think my spaceship knows which way to go...

(E penso che la mia astronave sappia dove andare)

Lo stesso poi precisa che, una volta conosciuto il nostro mondo, molti hanno deciso che non se ne sarebbero più andati, incorporandosi nell'ombra di noi umani, visto che il nostro mondo, se vissuto a lungo, per loro diventa mortale, tanto che, per convincermi delle sue buone intenzioni, prende gradualmente sempre più forme umane, le mie.

Ormai Neo è quasi di casa, mentre Leon pare finalmente privo delle sue negatività, tanto che lo stesso dal divano si dirige autonomamente verso i CD e gli LP appilati disordinatamente su di una mensola, per guardarli con interesse, e leggerne le note di copertine, e poi i nomi dei loro Autori: King Crimson, Van Der Graaf Generator, Led Zeppelin, e tanti altri ancora...

Dopo aver ascoltato insieme tanti dischi, finalmente, come detto avviene l’incorporazione, quando Leon, con una rinnovata capigliatura da ragazzino, ed uno splendido carattere, aperto e solare, torna verso la sua postazione musicale per passare al lato B dell’ultimo ascolto, mentre Neo, malgrado la poca luce elettrica che dà luce alla stanza, ne diventa rapidamente la sua ombra, dopo aver trasferito al suo nuovo Amico i tanti bei lati del suo carattere, convinto che tutto il suo mondo ormai si trova dentro quella sua nuova passione musicale...

di più
editoriale di zaireeka

Oggi voglio scrivere un editoriale che è una leccata di c… di Debaser di dimensioni stratosferiche.

Esplicita e diretta, non come altre del passato fatte da queste pagine, troppo timide e introverse.

Un po’ me ne vergogno.

Prego tutti di fornire una giusta risposta a questo mio atto subdolo e ruffiano.

Questo agosto, almeno dalle mie parti, e’ proprio strano.

Sembra che un gruppo fisso di nuvole con il maldipancia stiano costantemente pronte con il pantalone abbassato a scorreggiarci in testa aspettando che passiamo sotto ad una ora fissa del giorno, di solito quella di pranzo.

Per poi di solito divertirsi a pisciarci addosso qualche goccia di pioggia più calda dell’aria che respiriamo.

Ci sono nuvole e nuvole, non c’è che dire, come le persone.

Spesso, per ingannare il tempo e capirci qualcosa di più, mi trovo in questi giorni di ferie, nell’attesa dell’appuntamento con le nuvole, a navigare sui profili Facebook di politici molto di moda in questo periodo.

Ne esco di solito a pezzi, di solito le cose funzionano così.

Il politico scrive una cosa.

Il primo lettore fa un commento di apprezzamento su quanto scritto dal politico e di esaltazione del politico stesso.

Tutti gli altri a seguire si affrettano a scrivere:

“Vedi sopra”.

Vorrei tanto scrivere un commento che passi sufficientemente inosservato del tipo “scemo chi scrive”.

E tutti gli altri pappagalli che continuano a scrivere:

“Vedi sopra, vedi sopra, vedi sopra…”

Sarebbe molto divertente.

Tutto questo per dire che altrettanto spesso mi trovo a navigare su Debaser, e a scrivere anche qualcosa.

Anche qui ci sono tanti utenti, come su Facebook.

Ognuno ha le sue convinzioni, i suoi gusti, ed anche i suoi problemi.

Io ad esempio sto scoprendo che ho davvero troppi capelli grigi (vabbè, bianchi) per la mia età, tanto da trovarmi ad invidiare chi di capelli non ne ha proprio.

Ma poi, pensandoci, e’ come invidiare chi è morto giovane perché così rimane giovane e bello per sempre.

Non tutti andiamo d’accordo, di solito non ci accodiamo con un "vedi sopra" di ordinanza al commento del primo arrivato.

Non ci sono politici social 2.0 con la loro corte.

Possiamo parlare liberamente senza timori di essere linciati.

Di solito, come ha scritto splendidamente un utente, ci si stima anche fra quelli che si stanno sul cazzo.

E così può anche capitare che due utenti con sensibilità diverse si trovino a scoprire, a condividere e apprezzare, seppure separatamente nello spazio-tempo, una situazione e un esperienza simile, con la musica solo sullo sfondo.

Utenti con sensibilità diverse un po’ come il tenente Dan e Forrest Gump sulla barca per pescare i gamberi in mezzo al mare, sotto la pioggia e il temporale.

E a riuscire, grazie a quella esperienza, a fare pace con Dio, come il tenente Dan nel film.

E a trovare qualcosa di bello anche in quelle nuvole dispettose.

Anche per questa piccola cosa, grazie Debaser.

E’ tutto.

Ps.

Per chi non ci ha capito niente di questo editoriale, qui l’antefatto:

https://www.debaser.it/main/editoriale.aspx?EDITOR_ID=1146

di più
editoriale di Bearry

Due realtà parallele, così distanti tra loro, com'è giusto che sia per chi conosce da sempre tale loro lontananza.

Poi, di tanto in tanto, c'è qualcosa che porta questi due mondi ad entrare obbligatoriamente in contatto, coinvolgendo anche quelli allocati nelle posizioni migliori, per poi rivedere subito dopo gli stessi riallontanarsi verso le loro postazioni originarie.

E così via in un movimento infinito, dove a volte figure ormai vetuste vengono sostituite da forze più giovani, pur mantenendo le stesse abitudini ed i medesimi rituali della propria cerchia di appartenenza.

Due realtà parallele che ieri sono entrate ancora in contatto, come di tanto in tanto succede, quando cariche istituzionali, politici di turno, rappresentanze sindacali, alti ufficiali e dirigenti, etc., del mondo di sopra, a cui a volte si aggiungono, a secondo delle situazioni, imprenditori, finanzieri, giornalisti, scrittori, filosofi, etc., hanno interagito e condiviso per un’intera giornata le vicende di quelli del mondo di sotto, fatto di noi gente comune impegnata nella solita vita, con i nostri mille problemi di tutti i giorni, sconosciuti ai primi come ovvio che sia.

Ieri ricorrevano due anni dall’inizio di quella prolungata sequenza sismica che, in mille crolli, ha devastato i paesi, ed i loro abitanti, di Amatrice, Arquata del Tronto, Norcia e tante altre località umbro-marchigiane, quando ecco quel mondo di sopra, fatto di cariche istituzionali, politici di turno, rappresentanze sindacali, alti ufficiali e dirigenti e figure affini, mischiarsi ai terremotati nel ricordo e nelle commemorazioni di quei crolli.

Il ricordo di allora è ancora ben presente tra quelle macerie, dolorosamente sentito da Tutti, tanto che la distanza tra quei due mondi pare scomparire, sino a quando, conclusa quella giornata di tristi ricordi, ed anche di qualche speranza, i convenuti del mondo di sopra salutano, salgono sulle auto di rappresentanza e se ne vanno, mentre gli altri rimangono in mezzo alle proprie vicende, impegnati nella ricostruzione delle proprie case, grazie anche al lavoro, grande e piccolo, di migliaia di Volontari, Protezione Civile, Operatori vari.

Due realtà parallele, che, come dicevo prima, dopo questo contatto, sono ritornate nuovamente distanti tra loro com'è giusto che sia.

di più
editoriale di Bubi

È dura, a Modena, per i leghisti. Dopo le primarie democratiche, Salvini andò dal barbiere, mentre lo radeva, l'uomo gli aveva chiesto: “Per chi ha intenzione di votare?” “Per me stesso, anzi no, per Di Maio... ci devo ancora pensare”. “Allora lei tiene per i Grillini?” "Deciderò nell'urna all'ultimo momento." Replicò Salvini. "Ma lei è il capo dei leghisti!" Gli urlò in faccia il barbiere. Salvini aveva sussultato nella poltrona. Non si era aspettato un approccio così brutale. “No, anzi non lo so, mi lascio sempre la possibilità di cambiare idea” aveva detto. Se non fosse stato colto di sorpresa, avrebbe detto: “Io non tengo né per i Grillini né per i democratici.” Il barbiere tracciò un sentiero netto nella schiuma, poi puntò il rasoio contro Salvini. “Voglio dirle una cosa,” fece, "i veri politici non sono quelli che governano bene, no, no, no, sono quelli che sanno usare il cervello, e lei... lei lo sa usare" posò il rasoio, continuando risoluto, “ormai ci sono solo due partiti: i Grillini e i Leghisti. Basta guardare questa campagna. Sa cos’ha detto Renzi? Ha detto che meno di dieci anni fa, quelli non sapevano nemmeno allacciarsi le scarpe. A Bologna, se un grillino entrava in un negozio di barbiere per democratici e chiedeva barba e capelli, l'avrebbero buttato fuori, ma adesso... capisce cosa voglio dire? E senta questa, lasci che le dica ancora una cosa: niente andrà più per il verso giusto fino a quando non ci libereremo di tutti questi Grillini, finché non troveremo qualcuno capace di mettere quella gentaglia al suo posto. Ora la faccio saltare sulla poltrona. I negri sono più forti di noi, i nostri giovani sono tutti figli di mammina, invece loro, loro no! Dovremmo farli governare! Un governo e un parlamento di culi neri! Sicuro! Mi hai sentito, Mohammed?” urlò al ragazzo di colore che stava pulendo il pavimento. “Sicuro,” fece Mohammed. Era il momento buono per dire qualcosa, ma Salvini non riuscì a trovare niente di appropriato. Avrebbe voluto dire qualcosa che fosse comprensibile anche a Mohammed. Era stupefatto che il barbiere avesse tirato in ballo Mohammed. Salvini si chiese di quale tendenza fosse il ragazzo. Aveva l’aria del bravo ragazzo, pulito e a posto. “Se qualche Grillino entrasse nel negozio a parlare di tagli di capelli, ci penserei io a tagliarglieli davvero, senza scherzi.” disse il ragazzo di colore mostrando ben bene la scopa a tutti gli astanti. "Ci penserei io a metterli a posto..." Salvini si alzò dalla poltrona con la faccia ancora piena di schiuma da barba... "Si è arrabbiato signore?" disse il barbiere. "Su, si rimetta a sedere non parleremo più di politica" “Ascoltate!” urlò Salvini, “credete che io stia cercando di cambiare quelle vostre teste di cazzo? Ma con chi credete di avere a che fare?” Afferrò il barbiere per una spalla e lo costrinse a voltarsi. “Credete forse che voglia mescolarmi a un branco di idioti come voi?” Il barbiere si liberò dalla stretta. “Non se la prenda,” disse, “il suo è stato un bel discorso, una presa di posizione che è piaciuta a tutti. È proprio come dicevo io: bisogna usare il cervello, bisogna...” Salvini tornò a sedersi sulla poltrona e adagio' il capo al poggiatesta. “Davvero una bella presa di posizione, decisa," finì il barbiere mentre afferrava nuovamente il rasoio. Guardò ancora la faccia di Salvini, per metà coperta di schiuma. Il sangue cominciò a pulsare nel collo di Salvini, sotto la pelle. Si alzò e si fece largo velocemente tra gli altri clienti, diretto alla porta. Fuori il sole sospendeva tutto in una pozza di calore, e prima che potesse girare l'angolo, schiuma e sangue iniziarono a colargli giù dentro il colletto, lungo l’asciugamano che portava ancora appeso al collo, ciondoloni, fino alle ginocchia.

di più
editoriale di sfascia carrozze

Quando mi addentro in un editoriale mi incuriosisce capire se sarà un editoriale curioso.

Se ci si trova innanzi a qualcosa di interessante o di particolare da leggere: diciamo che preferisco quelli che per convenzione potrei definire editoriali frì-gezz.
Editoriali PeterBrötzmannPaalNilssenLoveKenVandermarkJoeMcPhee, per brevità.

Questo chiaramente non è uno di quelli; non è neanche un editoriale: è la traslazione di un incartapecorito papiro-egizio scoperto in un fetido baule in soffitta.
Quando da giovane vagabondavo per il Cairo.

Ammetto che per i simboli più complessi mi sono avvalso dell'immarcescibile traslatore di Gugol: perdonerete perciò qualche lieve imprecisione dal geroglifico all'itagliano.

Nel papiro dovrebbe esserci scritto che sarebbero da preferire quelli squagliati che permettono di astrarci anche solo per qualche minuto dalle quotidiane vicissitudini più o meno tribolate che ci attanagliano.

Sarei poco incline a quelli troppo avvinghiati alla realtà e/o all'accadimento quotidiano tavolta più tragico chè comico.
Basta guardarsi un po' intorno: di quelli se ne trovano a bizzeffe ovunque: quotidiani, tivvù e network più o meno sociali ne sono strapieni.
E poco spesso, seppur non volentieri, risultano memorabili e degni dello spazio concesso.

L'analisi a caldo sull'onda dell'umano disagio dell'ennesimo sconquasso, perlopiù con argomentazioni scarse o per nulla conosciute, è poco produttiva se non totalmente fallace.

Tanti sembrano detenere la soluzione in tasca ma in pochi sembrano in grado si estrapolarla efficacemente dalla saccoccia.

E' il predominio del decisionismo pret-a-porter, del parerismo indiscutibile: della facile soluzione al problema complesso.
Anche se anch'io sono sostanzialmente in linea con i post-platonici Brutal Truth, i quali sostenevano che a domande estreme si risponde con estreme risposte, direi comunque di cercare di restare coi piedi per Terra.

Per restare nell'ambito, conscio che forse non mi si crederà, mi è parso di scorgere Gengis Khan rampicarsi su un rododendro gigante nell'atto di avvistare cefalopodi imbizzarriti prima dell'impanatura irridere cariatidi catarifrangenti prive di occhiali da sole.

Testuggini fluorescenti sfrecciare alla velocità del suono per tuffarsi tra benefici effluvi e deiezioni nauseabonde. Imbottigliate all'unisono. Menadi astemie che si dilatano e dilaniano il petto senza aver bevuto neppure un singolo calice.

E infine, laggiù, australopitechi ingobbiti su geisers di naftalina compressa che schiantano al suolo meteore di panna montata.

Uhm.. ammetto di non essere proprio sicurissimo della fedeltà della traduzione.

Ma questo è (o ambirebbe ad essere) un editoriale PeterBrötzmannPaalNilssenLoveKenVandermarkJoeMcPhee.

Sempre per brevità.

di più
editoriale di Bearry

Non c'e verso in questo Paese, tantomeno una possibile soluzione a breve.

La mia non prendetela come una triste resa, anzi, perchè se avessi abbastanza strada davanti, tanto da proseguire ancora qualche decina di anni, è più che sicuro che sarei già altrove, lontano da questo Paese alieno ormai senza futuro.

Dopo il crollo del ponte Morandi di pochi giorni fa, tutti Noi siamo inevitabilmente portati a trarre qualche riflessione al riguardo.

Seppur non attendo questa evenienza con inquieto timore, purtroppo la mia strada non sarà così lunga, tanto che mi aspetto anch'io "idealmente" qualche ponte che mi crolli davanti, chissà quando, che mi costringa a lasciar il mio posto a qualcun altro, anche se spero avvenga il più tardi possibile, poichè qui avrei ancora qualcosa da dire e da fare.

Ormai da tempo viviamo una brutta storia, dove chi può fugge da questo Paese, mentre un'elite arrogante si arricchisce sempre più, ed un malaffare, a volte malavitoso, è sempre più invasivo.

Una brutta realtà, dove chi non ha santi in paradiso, grazie ad una sregolata globalizzazione, si impoveraccia sempre più, perdendo diritti e lavoro, mentre da un rapace colonialismo del passato giunge sino ai giorni nostri una ridondante immigrazione, che, alibi per molti, distrae risorse verso chissà dove.

Il tutto mentre una sinistra e dei sindacati, che dovrebbero fungere da argine difensivo, invece sono colpevolmente sempre più distanti dalla realtà, condividendo spesso una politica economica infausta, mentre chi giustamente li abbandona lo fa come il marito che se lo taglia per far dispetto alla moglie.

Ahhh, mentre mi son tolto finalmente un po' di peso dalle palle, mi disturba dover abbandonare i miei cari affetti, ed amate consuetudini, forte però dell'idea che quel ponte non è così prossimo a crollare, e mi giungerà davanti non così tanto presto.

Tieeè, per il momento vade retro Signora in nero, insieme alla tua affilata falce…

di più
editoriale di Bubi

Quando sentivo che stavo per venire, prima ancora di godere fino in fondo dell'orgasmo, già la mano cercava il telecomando sul comodino, volevo vedere almeno la fine del documentario su Giulio Cesare. L'avevo già visto, ma non riuscivo a mantenere costante l'attenzione neanche guardando la televisione, così, quando una cosa mi interessava guardavo anche la replica. Questo era il cazzo di vita che facevo. Tutti i giorni. Sempre uguale. Ma da quando l'avevo conosciuta, sempre più spesso pensavo con tenerezza ad Isabella, il tempo scorreva veloce quando fantasticavo sulle cose che avrei voluto fare con lei. Mi faceva stare bene. Un piacere legato solo al pensiero di una persona, non l'avevo mai provato. Bastavano due parole per farglielo capire: ti amo. Ma non l'avevo mai detto a nessuno, e nessuno mai l'aveva detto a me. Ti amo. Bastava quello. Due parole ti cambiano la vita e non hai il coraggio di dirle. Era che, avevo una grandissima paura della relazione, temevo di essere inadeguato, che sarebbe finita presto se ci fossimo frequentati regolarmente, se ci fossimo conosciuti meglio. Dio mio che insicurezza. Ero così, lo ero diventato negli anni. Il mio percorso. Forse era meglio lasciare le cose come stavano, era tutto più facile se la relazione rimaneva in quella sorta di limbo dov'era adesso e tenere Isabella lì, come un santino da guardare ogni tanto, e magari ogni tanto farsi anche una sega pensando a lei. Così, era molto più semplice che amarla, dimostrandolo giorno dopo giorno. L'amore chiede la rinuncia a occuparsi solo di sé stessi, dedizione, lealtà, tante cose impegnative che non ero abituato a fare. Quindi, era giusto amarla? Era un bene farglielo capire? Naturale che era un bene ed era anche giusto, così come era chiaro che le domande che mi stavo ponendo, erano generate dalla paura, da quell'ansia congenita che mi accompagnava fin da bambino. Siccome ero abituato a fare tutto lentamente, anche questa questione andava affrontata con calma, non si può cambiare in fretta, bisogna farlo gradualmente e, da sobri. Certo che volevo cambiare il mio destino, sapevo benissimo che la forza di volontà non serve a niente, quindi senza troppi sforzi, senza sofferenza, magari senza cambiare proprio un bel niente! Cambiare tutto, ma senza fare niente, senza lottare o soffrire, non ne avevo la forza, ma soprattutto me ne mancava la voglia, e questa, mi mancava per qualsiasi cosa dovessi o volessi fare. C'era un solo modo, doveva accadere come per magia, uno schiocco di dita e ti ritrovi ad avere la vita che vorresti, la donna, il rispetto, cos'altro? Nient'altro, quelle due cose bastavano... Dovevo soltanto smettere di bere, solo quello. Soltanto smettere di bere, solo quello, era il "solo quello" che stonava. Perché mentivo a me stesso pensando che era facile? Non era facile, era difficilissimo, e poi, nel profondo, ero consapevole che i miei problemi andavano molto al di là del bere. Dio mio basta! Pensai. Ma perché dovevo torturarmi da solo con queste domande e tutti questi dubbi del cazzo? Non bastava quello che stavo vivendo? Questa vita insulsa senza mai una gioia vera? La felicità l'avevo cercata a Ketama a Chiang Mei, sempre nei posti sbagliati, forse era molto più vicina, sapeva sorridere e aveva anche un nome. Era quasi mezzanotte, tra poche ore si faceva l'alba, non mi ero mosso dal letto da almeno quindici ore. Domani è un altro giorno, è meglio rimandare, domani ci penserò bene, aspettare un po', si domani da sobrio avrò le idee più chiare. Pensai. Sul comodino, vicino al telecomando, era appoggiata una bottiglia di Sambuca la afferrai e diedi un lungo sorso, mi girai su un fianco e mi addormentai.

di più
editoriale di splinter

Una cosa che non ho mai sopportato nell’umanità è il cinismo con cui vengono miserabilmente trattate ed emarginate le persone insicure, abbattute, che tendono a fare le vittime. E ignorano tutto ciò che ci può essere dietro queste persone e le conseguenze del trattamento che loro riservano. Queste persone vengono derise manco fossero un cancro per la società ignorando ciò che invece potrebbero custodire ed offrire.

Innanzitutto viene ignorata una cosa: queste persone non stanno facendo le vittime o denunciando il loro disagio per niente, così tanto per mostrarlo, non si può fingere un disagio, se non a teatro, nessuno si sente davvero di inventarsi un problema solo per suscitare compassione; anzi, se non ci fosse un disagio di fondo non ci sarebbe nemmeno bisogno di attirare compassione. Queste sono solitamente persone che hanno davvero sofferto; può trattarsi di situazioni familiari complicate e magari poco amore all’interno della famiglia; può trattarsi di sogni non realizzati e magari proprio perché il mondo circostante non ha permesso loro di realizzarli; può trattarsi di personalità originali che nessuno ha saputo capire perché, diciamocelo fra i denti, la gente è stupida; può trattarsi di adolescenza difficile segnata da episodi di bullismo o di emarginazione; può trattarsi di qualsiasi cosa che rende questa vittima legittimamente insoddisfatta nonché desiderosa di un riscatto. Ed è assolutamente normale che lo cerchi nelle nuove persone che conosce nel suo percorso. Questa persona è inoltre molto fiduciosa, nonostante tutto, di ottenere qualcosa da queste persone, spesso ignara del fatto che esse si riveleranno poi come tutte le altre; e sente quindi il bisogno di sfogarsi, sperando in una reazione, reazione che arriva ma come al solito negativa. “Ma che palle ‘sto/a qua, sempre che si piange addosso, una flebo ogni volta…”, questa è la reazione tipo, molto triste da dirsi.

E in tutto ciò arriviamo a credere che questo atteggiamento così cattivo sia la soluzione migliore per liberarci delle loro lamentele, anzi, pensiamo perfino che sia perfettamente normale, magari giustificati da quello studio scientifico di turno che ci dice che “le persone negative influiscono negativamente su di noi e sul nostro stato d’animo” e noi vi crediamo ciecamente. In realtà quello che stiamo facendo è soltanto alimentare ancora di più il loro vittimismo ed il loro senso di sconforto e desolazione, ci stiamo solo aggiungendo alla lista dei numerosi carnefici che potrebbero portare fino allo spegnimento della persona; o addirittura può darsi che siamo noi stessi i principali artefici della sua tristezza, se magari siamo i primi ad avere a che fare con quella persona.

Nessuno mai però che cerca di andare in controtendenza provando ad essere la rinascita di quella persona anziché l’ennesimo macigno o peggio il tracollo definitivo. Penso che non sarebbe una cattiva idea passare con quella persona un pomeriggio al parco, la sera al bar, il sabato sera con gli amici, magari provare ad inserirla nella propria compagnia (sempre che vi siano le persone giuste con la stessa sensibilità e senza pregiudizi). Se la cosa funziona la persona potrebbe pian piano cominciare a sentirsi importante e a lasciarsi il passato alle spalle, riacquistare fiducia in se stessa, e noi potremmo orgogliosamente ed umanamente divenire responsabili di un’opera di bene, e direi che far sentire bene una persona e risollevarle lo stato d’animo lo è a tutti gli effetti. Tentar non nuoce, è che forse siamo noi stessi troppo deboli per dialogare e per dare aiuto a chi ha bisogno d’amore, dovremmo prendere in considerazione questa ipotesi.

di più
editoriale di Bearry

Con il cuore provi tanto dolore nel ripensare a tanti morti e feriti dovuti al crollo di quel ponte, poiché con lui è venuto meno il nostro vissuto di genovesi, così anche fortissima rabbia quando scopri che lo stesso da anni era noto come un ponte malato, e che questa tragedia, se monitorato e rinnovato come necessario, forse poteva essere evitata.

Mentre sulla Città diluviava, seppur additato da tempo come critico, il Ponte Morandi da anni stava lì in mezzo a quei palazzi popolari, da quando fu costruito irresponsabilmente sopra gli stessi, abitato da povera gente, che, pur di aver un tetto sopra la testa, aveva accettato la sua degradante presenza, quando, crollando, ha travolto e cambiato le sorti di tante persone.

Sono le 11:50 del 14 agosto 2018 quando di colpo una delle sue arcate precipita, uccidendo chi sta sotto, ed anche chi, ignaro, sta transitando sopra in auto, com’è già stato un'infinità di volte per moltissimi che hanno avuto a che fare con quel ponte, sotto o sopra che fosse.

Tutto è ancora più drammatico, quando apprendi che quel crollo, così devastante, non era poi così inevitabile, tenuto conto delle tante evidenze provenienti da quel Ponte maledetto, a cominciare da quanto emerso nei carteggi ed accertamenti riguardanti lo stesso, e dal fatto, come scrivono i giornali, che da tempo i sottostanti capannoni erano costretti a proteggersi dai suoi detriti mediante delle reti metalliche.

Ancora un tragedia, rabbiosa, su di una Città costruita male, già provata più volte da accadimenti luttuosi, come le reiterate e drammatiche esondazioni, frutto dell’incapacità di difendersi da un’urbanizzazione sregolata, ed incidenti causati da insediamenti industriali ad alto rischio ubicati al suo interno.

Quasi fosse stata vittima d’improvviso di un evento bellico o di un atto terroristico, da quel momento Genova, dopo decine di lutti, tante rovine, una viabilità ormai imperfetta causa di danni incalcolabili, ed un quartiere quasi fantasma costretto ad esodare altrove, vive una fortissima domanda di giustizia, per una tragedia che ha sconvolto tutti, che con buone probabilità poteva invece essere evitata.

di più