editoriale di macaco

É risaputo, a 27 anni molte grandi rockstar schiattano. Io che al massimo riesco a fare le prime dodici note di Smoke on the Water su una corda sola, invece scelsi la vita, che si tradusse nella volontá di compiere qualche attivitá fisica. Cosí fra libri, lavoro ed altre utilitá ed inutilitá quotidiane, mi sarei ritagliato il tempo per prendermi cura del mio corpo. Il problema era come.

Il mio esiguo storico sportivo si limita a due settimane di pallacanestro ed un allenamento di kickbox, senza contare le partitacce all´oratorio, nelle quali, sia per pigrizia, sia per non avere nulla alle spalle di cui dovermi preoccupare, sceglievo sempre il ruolo del portiere.

La palestra é per me un luogo ignoto di culto della bellezza e tale resterá. Correre coi piedi e andare in bicicletta mi intedia mortalmente. Gli sport di squadra o competitivi sono roba da perdenti.

Ma prima che scartassi ancora opzioni, seppi da un amica, che a Pordenone un tale dava lezioni di capoeira. Non avevo la piú pallida idea di cosa fosse la capoeira e ne cosa fosse il Brasile, peró Gabriella era bella. L´incentivo non mi mancava.

E cosí, molto gradativamente, entrai com grande passione a far parte del mondo di questa grande arte. La capoeira é anche uno stile di vita, é stata la lotta che permise a tanti schiavi di fuggire e rifugiarsi nei quilombos, ed ancora oggi é, adattandosi, una lotta di liberazione. La capoeira chiama a sé principalmente i disadattati. La capoeira é per tutti, ma pochi sono per lei. La capoeira non é folklore, é una cosa viva che evolve. La capoeira é gioco, danza, lotta, musica, canto, magia.

Quando scrivo capoeira, é importantissimo precisare, mi riferisco esclusivamente allo stile Angola, il piú tradizionale e l´unico di cui abbia padronanza, a differenza dello stile Regional Baiano e quello contemporaneo. La capoeira é difficilmente comprensibile dai profani, per questo ed anche per mio diletto, procederó per similitudini e differenze in relazioni al mondo dello sport, della qual cultura siam tutti pregni:

LA COMPETIZIONE

Che gli sport siano roba da perdenti é dimostrabile matematicamente, dato:

Pa = numero di partecipanti di un torneo

1 = il vincitore

Pe = numero dei perdenti

Pe =Pa-1

Da cui si deduce che: il numero dei perdenti Pe differisce dal numero dei partecipanti Pa di solo una unitá.

Se ipotizzassimo adesso un campo di energie emozionali e sentimentali che comprendesse un evento sportivo ci troveremmo un quadro di desolazione, fatto dalla stragrande maggioranza dei perdenti frustrati e infelici. Se ampliamo il campo a tutti i tifosi, si moltiplicherebbe in estensione, diminuendo in intensitá.

Nella capoeira invece non esiste una competizione determistica, in quanto non esiste un risultato, un punteggio, la competizione esiste come componete creativa alla collaborazione. Un buon gioco di capóeira deve essere il risultato di un equilibrio fra le due vertenti. Se fosse solo competizione diventerebbe lotta, se solo collaborazione diventerebbe danza. Tutti giocano se ne hanno voglia, donne con uomini, bambini con vecchi, ciccioni con magri, ricchi con poveri, israeliani con palestinesi. Nella roda di capoeira si lasciano fuori le categorie e le differenze. Il ludico prevale, esso non é misurabile perché costituito da sentimento, istinto, emozione.

IL GIUOCO DEL CALCIO

La ginga é il passo base della capoeira, si definisce ginga anche l´atto di destreggiarsi col corpo in modo da ingannare l´avversario; fingo che vado in una direzione mentre prendo l´altra. I giuocatori brasilani sono infatti famosi per il gioco individuale e nel dribblaggio.

Come nel calcio anche nella capoeira angola non si dovrebbero usare le mani, niente sberle ne pugni ne prese varie. Le mani invece servono per sostenere il corpo, visto che la maggior parte dei movimenti sono rasenti il pavimento e gli attacchi sono proferiti esclusivamente coi piedi o con la testa. Quindi é fondalmentalmente una disciplina, come il calcio, fatta coi piedi. Ma mentre nel calcio se si sgambetta o falcia qualcuno é fallo, nella capoeira se riesci a far cadere il tuo compagno di gioco sará motivo di grande gioia per tutti ( meno per chi cade). Lo stesso dicasi per le testate, che nel calcio si dovrebbero dare soltanto al pallone, e nella capoeira sono un colpo di grande efficacia e pericolositá, che hanno come bersaglio l´addome o la faccia. Chiaramente i colpi proferiti sono simulati, ossia gli attacchi ci sono ma non affondano, sono mostrati o applicati con grande controllo in modo da non offendere l´altro giocatore. Il rispetto é uno dei valori piú importanti nella capoeira.

MMA

Infine, come non citare la lotta piú famosa dell´attualitá che ha soppiantato il pugilato, ormai relegato a cimelio olimpico. L´mma é una disciplina che valorizza al massimo l´efficacia

buttando via quel minimo di senso estetico che anche nella box sopravviveva.

Uno spettacolo che púo annoiare per minuti o risolversi in secondi, una sveltina di sangue e sudore, lo spettacolo della carne di uomini che si rotolano abbracciati in amplessi furibondi. Una bruttezza tale che rispecchia senza filtri l´aurea dei nostri tempi. La capoeira angola, invece rinuncia all´ efficacia in favore della bellezza, della leggerezza e dell´armonia. Ispirandosi alla natura che ne suggerisce i movimenti; leggeri come una farfalla, agili come il morso del serpente, misteriosi come il risucchio delle onde, passivi come le fronde degli alberi al vento, decisivi come le testate del muflone.

IN-SOMMA

Anche se non ci avete capito molto, converrete con me che il tutto é bellissimo.

Il gioco dlla capoeira é una sorta di dialogo di corpi, composto da domande (attacco) e risposte (difesa o contrattacco). Sta nell´armonia e nell`intelligenzia di utilizzare gli elementi a disposizione, la capacitá di costruire un gioco che sia efficace, senza perdere la bellezza nell´eleganza dei movimenti.

La capoeira é l´unica attivitá fisica che si compie a ritmo di musica, un buon capoeirista deve saper suonare, cantare, giocare, conoscere i maestri piú vecchi e saper costruire un berimbau. É una disciplina che richiede molto impegno e compromesso essendo probabilmente quella con la formazione piú lunga in assoluto; per diventare maestri ci vogliono circa trent´anni di pratica.

So di per certo che tale scritto non sará esaustivo e di certo non a tutti interesserá approfondire, ad ogni modo sappiate che non esiste nulla di comparabile nel globo terraqueo a quella che a mio avviso é l´attivitá ludico sportiva piú completa e bella della storia dell´uomo sapiens.

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editoriale di Hcerebilnavols7

Ora che ricorre il bi-ventennale del tristemente noto sequestro gallurese di Dori Ghezzi e Fabrizio de André, tutte le persone che han vissuto di persona..niglianni di piombo si chiederanno: ma.. esiste forse tuttora l'associazione criminaloide dell' Anonima sequestri? Qualora sì, quanti penserebbero che dietro ci siano Finanza e Massoneria, o, ancora alcune lobbies del cemento? A questa seconda domanda rispondo io: una popolazione comunque numericamente inferiore alla Lombardia. E il perché è semplice: il pericoloso fenomeno delle sottrazioni eversivo-mafiose fatte ad innocenti è {dasempre} tradizionalmente associato, nell'ambito mainstream della telenovela\sitcom o commediola/varieté/satirico soft, all'ex Magna Grecia italiana. Per cui solo dietro ndranghetisti, Camorre e Stidde e Corone Unite risulterà esserci, per l'utente di medie facoltà, un appoggio di nature massonico-lobbistica. Direte: in codesto grosso schifo che ci pervade, ci fossero mai sequestri di robots factotum nelle fabbriche, gcome subdolo mezzo deviatorio..! Le teste pensanti che stan fuori dal cerchio zeccoso-liberista, è assodato, non fanno certo bene al progresso sopradescritto. Avessi detto "liberal-letamoso", avrei contradetto quanto espresso {ritornando all'incipit}nella faberiana Via del Campo.

Epilogo:

Da alcune, timide, recenti acquisizioni, chi nega la necessità di fare inchiesta su rapimenti improvvisi di esseri viventi, ha troppo poca compassione di sé, persone buone fisicamente deboli{aka-malati sensati},

e anime socialmente recluse,

impoveritesi la tasca pur di non tornare alla mercé di egotici, e spesso ambigui, bullismi.

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editoriale di CosmicJocker

"Per molto tempo sono andato a letto presto la sera" diceva il caro buon Marcel.

Io solo per due mesi, in concomitanza di voragini economiche che ho cercato di livellare e che, dopo cena, mi lasciavano steso a pelle di leopardo con tanto di fauci spalancate per il gran caldo.

E, si sa, nella Palude Padana la canicola è sempre invariabilmente accompagnata dal funesto gironzolare degli alati-demoni-succhia-sangue (volgarmente detti zanzare) che tormentano il riposo de(gl)i (in)giusti una volta entrati nelle loro magioni.

Se avete esperienza di torturatori di cotal fatta, sarete certo a conoscenza dei loro modus-operandi più diffusi:

C'è la zanzara lenta e greve (già per metà gonfia di sangue) che quando si appoggia al vostro delicato corpicino, lo fa in modo talmente massiccio (ma forse è il caso di dire "alticcio") che avete tutto il tempo di arricciarvi i baffi e sistemarvi il monocolo all' occhio destro prima di spiaccicarla sdegnosamente.

C'è quella veloce e ronzante che ama ballarvi intorno prima di cibarsi di voi e che richiede un po' di astuzia supplementare: lungi dal seguir il suo strepitìo svolazzante (del quale dovete diffidare come del canto di una Sirena), dovete immobilizzarvi e tenere gli occhi bene aperti. La sua velocità la rende imprudente e nove volte su dieci si posizionerà su una porzione di pelle ben visibile: uccidetela allora, dopo che vi ha succhiato un poco. Il prezzo da pagare per la sua morte sarà una puntura soltanto.

C'è infine la più pericolosa fra tutte. La silenziosa e leggiadra zanzara mordi-e-fuggi. Astuta come il Sistema e vorace come un Padrone lei non vi dà requie: pensate che vi stìa mordendo? No, è suggestione. Lei ora si nasconde. Forse è andata via? No, è stanchezza. Lei ora vi morde. Con lei l'astuzia non è sufficiente, ci vuole quel qualcosa in più chiamato Fortuna.

Orbene, in una di quelle sere in cui sul divano le palpebre mi si stavano chiudendo a doppia mandata fu proprio una mordi-e-fuggi a usarmi la cortesia di farmi vista.

Vi risparmio l'esposizione di tutte quelle tecniche di difesa, di tutto quell' arsenale di conoscenze che ogni Padano d.o.p. (di origine prolungata) mette in pratica fin dalla più tenera età per esorcizzare questi vampiri. Vi basti sapere che la mia gatta, accovacciata sulla poltrona, osservava con una certa commiserazione tutti i miei maldestri (e inutili) tentativi e il suo sguardo pareva dicesse: "Povero, povero il mio essere umano!".

Sfinito, sudato, punto e, ormai, completamente sveglio mi sono accasciato sul divano maledicendo tutto il corollario di Dei e semi-Dei di cui sono a conoscenza fino a che... Ho visto la zanzara svolazzare impavida vicino alla mia gatta...

ZAC!!

Un solo balzo. Preciso, netto, senza esitazioni.

Esplosività muscolare, tempismo perfetto e zanne ben appuntite...

... Così si rovescia il Sistema, così s'inghiotte il Padrone.

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editoriale di Bubi

Riporto un paio di frasi da: Realismo capitalista, un libro di Mark Fisher...

“è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”

"il capitalismo è invincibile perché ingloba tutto e trasforma tutto in oggetto da mercanteggiare."

"Un fare soldi per fare soldi, senza radici, perché non sappiamo fare altro."

Sono d'accordo su tutto.

Storicamente si è iniziato a far uso del denaro come strumento di contrattazione, era il mezzo per comprare quello che era utile per noi e la nostra famiglia. Gradualmente, col tempo, il denaro ha mutato lo scopo originario fino a raggiungere la dimensione che ha oggi: è diventato la misura di ogni cosa, il generatore simbolico di tutti i valori, per cui non capiamo più cosa è vero, cosa è giusto, capiamo solo cosa è utile. Giudichiamo tutto rapportandolo al denaro, chi è ricco è invidiato e spesso anche considerato degno di stima. Oggi non scegliamo più il lavoro in ragione delle nostre attitudini e alla gratificazione che ne possiamo trarre, ammesso che lo troviamo, scegliamo quello che è pagato meglio. Da molti anni ormai, cresciamo convinti che le COSE ci rendano felici, di conseguenza attribuiamo agli oggetti, [belle automobili, etc.] la condizione del piacere e della soddisfazione, come se potessero davvero essere l’origine della felicità. È una visione distorta della realtà, il nostro benessere interiore non è dovuto a quello che possediamo e non è direttamente proporzionale al conto in banca. Ci siamo dimenticati, che i soldi sono pezzi di carta che servono a comprare COSE, ci siamo dimenticati, che la felicità è uno stato d'animo che dipende da pochi importanti elementi che niente hanno a che fare con il denaro: godere di buona salute, avere una famiglia e buoni rapporti sociali. La vita reale è costituita da queste tre o quattro componenti.

C'è anche la vita virtuale, Facebook, Twitter, Instagram, DeBaser, per citare i più famosi. I social network consentono di "parlare" con qualcuno all'altro capo del mondo, ma è una relazione incompiuta e lacunosa. Ci siamo evoluti come animali sociali, oltre che della parola, abbiamo bisogno del contatto oculare, della gestualità, di sentire il tono della voce, di fare pause, di silenzi, di abbracci, di sorrisi e anche di lacrime. In breve, fin dalla nascita, del contatto fisico e visivo. Questo è il linguaggio che abbiamo interiorizzato nel corso della nostra evoluzione. In internet si può solo scrivere e per capirsi meglio ci dobbiamo avvalere di emoticons, quei disegnini stilizzati che ormai conosciamo tutti e che cercano di riprodurre le emozioni ed i sentimenti umani. Però, una conoscenza intima, che possa essere comparabile a quello cui accennavo prima, non potrà mai essere raggiunta. Sui social, molti hanno centinaia di "amici" dei quali ne conoscono personalmente una cinquantina, a essere generosi. Sui social si comunica condividendo foto o commentando aforismi e articoli ritenuti interessanti. Questo è positivo, ma lo sarebbe molto più su una panchina di un parco, guardandosi. Sempre più, si vive in un mondo di persone sole, spesso disperatamente sole. Internet non avvicina, allontana. La grande carenza dei social è che manca la vicinanza fisica, ciò che viene postato lo si fa senza un moto interiore che ti spinge a farlo, lo si fa perché non abbiamo niente di meglio di cui occuparci. Pian piano lo stiamo assimilando, sta diventando una pratica quotidiana, molto simile a quella di lavarsi i denti. Ma per socializzare sul serio, vale di più una litigata e una riappacificazione fatta al tavolo di un bar, che qualsiasi cosa pubblicata sui social network.

[Ho preso spunto da un mio commento sulla recensione di Joe Strummer]

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editoriale di macaco

I.

I miei genitori nacquero durante la seconda grande guerra. Io vicino alla prima crisi petrolifera.

Che la mia famiglia paterna uscí dalla mezzadria, grazie ad un buon padrone, é uno dei pochi fatti storici che conosca. Nonostante le origini contadine, le condizioni originarie dello sviluppo economico della loro generazione hanno qualcosa di irripetibile. Dopo il fascismo e la guerra, la vera forza motrice fu uno spirito di rinascita, con la ricostruzione materiale e l´edificazione della "meravigliosa" democrazia.

La mia infanzia al contrario non dovette subire alcuna privazione; riscaldamento a termosifoni, pavimento specchievole in granito, ampio giardino con merli e lombrichi, boschetti e campi da esplorare ed i Lego per il natale.

Poi la bolla dell´infanzia scoppia e il soffio fetido del pattume umano fa battere forte il cuore e girare la testa.

L´adolescenza sembra non finire mai. La ribellione é una cosa distruttiva, quando si manifesta é una forza contraria e deve mettere tutto in discussione.

Il potere peró lo sa bene e inverte tutte le forze contrarie neutralizzandole o giocandosele a suo favore. Come una vela controvento. Come il lottatore di tao chi chuan. E anche se non lo ammettiamo ne siamo tutti un poco consapevoli.

Il fuoco principale della ribellione colletiva in atto col decadere degli anni ottanta é il capitalismo nelle sue multiple facce; il materialismo, il consumismo, l´apparenza, il lavoro, i soldi.

I soldi maledetti, sono sporchi e puzzano di sudore

Tempo é denaro.

Nessun ricco entra nel regno dei cieli

E cosí mentre la massa operaia spende in minigonne per la macchina, gli alternativi scelgono la camice di flanella del papá, guardano Trainspotting e Fight Club, ma sono operai pure loro e spendono in ganja.

Intanto alla televisione passa un film col boss e una valigia di soldi, cocaina e revolver e al telegiornale un servizio su di un politico flagrato coi soldi nelle mutande.

II.

Non é un impresa da tutti cancellare parametri senza costruirne altri. La vera forza della ribellione non sta nel suo oggetto, ma in quello che ci si vuol lasciare al suo posto.

Costruiamo dei valori senza rendercene conto con le informazioni che ci circondano, soprattutto durante l´infanzia.

Se facessimo una lista onesta dei nostri valori, otterremo l´immagine della nostra vita, e se fra questi valori non ci sono i soldi sicuramente non saremo ricchi.

E se fra questi valori ci fosse la libertá, quale sarebbe il suo prezzo?

La gestione dei soldi dovrebbe essere un ramo della pedagogia. Nessuno della mia generazione avrebbe problemi economici oggi.

Il mantra politico del paradosso repressione e consentimento riverbera anche nelle strutture dei desideri, imprigionando nella sua polaritá lo spirito dell´uomo contemporaneo.

La coscienza dei meccanismi in gioco é la base per costruire una nuova realtá e la realtá di ogni persona e definita da valori.

É una sfida senza tregua, una lotta con noi stessi e non con il sistema.

E forse una vita non basterá.

III.

Forse...

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editoriale di ALFAMA

Stamattina alla Ragnatela ho venduto a circa 2 euro : 1°RAIN PARAIDE

DISCOGRAFIA DURUTTI COLUMN ( primi 5 -prima tiratura ooriginale)

Roberrt Wyatt ( 1*/ raccolta fantasttica singol-/ Old roderhat)

KIng kingcromns( Island)

Shamen "Drop"

SArah Compilalation vol 1

GONG

WEBCORE

E altri vinili fantastici.

IO VENDUTI CIRCA 2 EUEO; SE VI INTERESSA BUTTATTEVI " LA RAGNATELA" E TIRATE SU IL PREZZO. FARETE AFFARI

IO HO DOVOTO CEDERE PERCHE ERO INSCIMMIATO

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editoriale di Isvd

"Tezuka nasce il 3 novembre 1928 a Toyonaka, nella prefettura di Osaka. All'età di cinque anni si trasferisce nella piccola città di Takarazuka. Da ragazzo lo appassionano anche il contatto con la natura e la vita combattiva degli insetti. Scriverà: «Tanto tempo fa, molti dei piccoli inferni che si svolgevano nei campi proprio vicino a casa mia mostravano la gioia del vivere, instancabilmente e nonostante tutto»."

Questa breve citazione, presa dal web, descrive nella maniera più opportuna l'immagine di Osamu T.

Il padre dei mangaka ha dedicato la sua vita al fumetto giapponese, ed è considerato dalla critica il più grande mangaka del ventesimo secolo. Colui che Shotaro Ishinomori( l'autore di cyborg 009, e molto altro) e Go Nagai( Devilman, Mao Dante, Violence Jack e Goldrake) chiamavano maestro, ha avuto una vita molto intensa e molto particolare. Ad esempio, una malattia chiamata micosi per poco non gli fa perdere l'uso degli arti superiori, ma la sua guarigione, lo convince a diventare un medico, professione che però non eserciterà mai perchè inizia scrivere opere d'arte in forma animata.

Black Jack, Astroboy e il leone Kimba sono solo alcuni lavori fra i tanti, ma il suo percorso artistico nel 1983 trova il suo culmine.

Essendo nato nel 1928, la seconda guerra mondiale, ha creato in lui un determinato senso della giustizia, che nel 1983 l'ha portato a realizzare questa opera monumentale che si chiama '' La storia dei tre Adolf''.

Partendo da una teoria mai comprovata che avrebbe previsto una parentela di Hilter con un lontano avo ebraico, Tezuka descrive le vicende di tre persone '' Adolf Hilter'', ''Adolf Kamil'' ebreo di origine tedesca che vive nella città giapponese di Kobe e '' Adolf Kauffman'' tedesco per metà giapponese perchè figlio di madre nipponica e padre tedesco.

A raccontare la vicenda, come personaggio narratore dell'opera, è Sohei Toge giornalista giapponese, che incontriamo all'inizio della storia in un cimitero davanti ad una tomba, la tomba di uno dei protagonisti.

L'opera di Osamu Tezuka è davvero monumentale perchè l'autore partendo da un vicenda interessante come l'esistenza di documenti preziosi che dimostrerebbero le origini ebraiche di Hilter, costruisce una serie di intrecci narrativi ed emotivi, che rendono la vicenda appassionante e ricca di colpi di scena. Tezuka gioca come un abile scrittore all'interno del canovaccio dell'opera perchè crea continui momenti di suspense che si alternano a momenti di riflessione sulla natura dell'uomo e della condizione umana.

Tezuka, attraverso quest'opera, vuole denunciare la miseria umana che lui è stato costretto a subire durante la sua giovinezza.

Molti mangaka, avendo vissuto nel giappone post bellico, hanno sofferto la povertà e la ricostruzione di un paese che ha subito per la prima nella storia l'olocausto nucleare, ma pochi hanno saputo creare un messaggio così diretto e razionale come quesllo di Tezuka.

'' La storia dei tre Adolf '' è un storia di denuncia, contro la guerra e l'ideologia, e per questo va considerata un'opera d'arte contemporanea.

Colui che avrebbe potuto vincere il proprio Nobel per la letteratura, e uno dei pochi a fregiarsi delle simpatie di Kubrick, rappresenta un faro per tutti i mangaka giovani e meno giovani, per capacità teniche e visive.

Tezuka ci pone una domanda con la sua opera, può un manga descrivere e analizzare l'ideologia che porta ad un conflitto?

La cultura manga esprime letteratura, '' La storia dei tre Adolf'' può essere considerata un'opera letteraria?

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editoriale di harlequin

Sono iscritto da eoni a Debaser, ma solo molto di recente sto diventando attivo. Come mai? Ma soprattutto come mai? (alcune arguzie di questo sito le de-amo tanto).

In realtà ciò che sta accadendo è che sto ascoltando in modo diverso la mia musica, cercando di approfondire alcuni album su cui avevo lasciato che si posasse la polvere, e ascoltando in modo più "studiato" (per quanto mi è possibile, visto che non sono musicista) gli album che già conosco bene. Il tutto facendo attenzione al periodo in cui un album è uscito. Per questo vengo più spesso su Debaser e l'appetito vien leggendo. Sto imparando a capire alcune dinamiche di Debaser, comincio ad intuire lo stile apprezzato e ciò che irrita (i luoghi comuni, il track by track, i doppioni che non aggiungono nulla, il concetto di "oggettività"...). Ma non ho ancora notato critiche nei confronti dei concetti di musica sopravvalutata e musica sottovalutata.

Per me questi due aggettivi sono... sopravvalutati! Eh, scusate la contraddizione in termini, ma credo che ci sia un abuso di questi vocaboli. Cosa intendo per "sopravvalutato"? Intendo che un gruppo o un artista sia valutato positivamente da più persone che, secondo me, merita. Certo, se qualcuno mi parla di Gangnam Style e il suo record di visualizzazioni sul tubo, magari posso considerare valido l'uso della parola "sopravvalutatissimo". Ma spesso è abusato, secondo me. Insomma, parliamone...

Gli U2 sono sopravvalutati, Ivan Graziani (sì, @1986, è colpa tua se oggi me ne esco con questo editoriale) è sottovalutato, ecc.

Finchè dico: mi fa schifo e mi meraviglio che piaccia ad altri. (o al contrario; mi piace tantissimo ma non capisco come non sia apprezzato su questo pianeta e su quelli vicini, satelliti ed astri compresi) ci può pure stare. Ma poi spesso si finisce col fare il salto della quaglia e si pensa, dice, scrive "Mi fa schifo e tutti voi che amate Costui/ei/oro non capite nulla, state facendovi abbagliare dalla bigiotteria" o "Fantastico! Ma bastardi voi che l'avete ascoltato e non ve lo fate piacere a forza".
Insomma, oggettivizzo la mia valutazione e la faccio diventare metro di misura per le altre. Io valuto, tu stai o sopra o sotto. Ma il mio parere è il discrimine. Ovviamente il mio e quelli che collimano col mio.

Personalmente limiterei molto l'uso di questi termini o mi farei qualche domanda quando mi viene da usarli (e capita anche a me, non sto facendo la lezioncina a nessuno, eh?).

Ed eccomi qua, con il mio primo editoriale; scusate la premessa più personale, spero sia un pensiero utile su cui riflettere e discutere. Tanti salumi a tutti!

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editoriale di Tucidide

Fa caldo.

Ho caldo.

Pure il mio cane ha caldo.

Ci rifugiamo in un centro commerciale.

Nel centro commerciale ci rifugiamo da Mekki.

Sul tabellone schifezze ordino una schifezza gelata.

Mi metto in coda e ritiro un cono gusto tipopanna. Sagomato bene, la crema ha una consistenza marmorea.

Il cane mi guarda. Un assaggio, solo un assaggio.

Appoggio il mignolo sulla punta del gelato. La crema è tornita, al tocco resiste.

Sguardo famelico, il cane insiste.

La supplica sussiste. Anche la bavetta persiste, agli angoli delle fauci amorose.

Sed non satiata, insaziabile gola di cane.

Affondo il mignolo sulla punta del gelato, scalfisco un angolo di crema, lo allungo verso le fauci.

La linguetta raspa la pelle. Ancora, eddai.

Cambio dito. Affondo l’indice.

Allungo di nuovo verso la lingua raspante.

In breve finisco le dita disponibili.

Il cane rassegnato mi segue fuori dalla coda di Mekki, mentre una tipa mi allunga uno sguardo sdegnato.

Dovrei dirle Oh tipa, desideri anche tu qualcosa da leccare?

Ma c’è sempre il rischio di essere preso in parola.

Fa caldo.

Tanto caldo.

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editoriale di splinter

Premessa: sì, lo so, i problemi della vita sono ben altri, ma ogni tanto bisogna trovarsi qualche finto problema su cui dibattere, il fascino del porsi interrogativi e cercare di dare spiegazioni è uno dei piaceri della vita. Per esempio...

Tutti ce la siamo fatta una partita a UNO, il celeberrimo gioco di carte colorate e numerate di casa Mattel, e lo abbiamo fatto nelle occasioni più disparate, in famiglia, a scuola nelle ore buche, a Natale al posto della noiosissima tombola, in spiaggia, alle grigliate.

Però… c’è un però…: praticamente nessuno calcola il punteggio come da regolamento, giuro, non l’ho visto praticamente fare a nessuno, qualsiasi gruppo che ho visto giocare si limitava semplicemente ad assegnare un semplice punto di chiusura a colui che esauriva per primo le carte. Ci ho giocato più volte con gli amici e con i compagni di scuola ma ho partecipato senza troppo entusiasmo proprio per questo motivo; una volta ad una grigliata ho detto “raga però si gioca con i punti!” e la risposta che ho ottenuto è stata un secco “ma quali punti, chi chiude un punto!”, un’altra volta, l’unica in cui io ed un mio amico siamo riusciti a far applicare il punteggio, l’altro amico diceva “ah perché esiste un punteggio?”, ma anche su YouTube si trovano diversi challange e praticamente tutti si concludono senza calcolo del punteggio, persino su Yahoo Answer ad un quesito su quanto valessero le carte al fine del calcolo del punteggio c’è chi ha avuto il coraggio di rispondere “non c’è nessun punteggio, chi vince ottiene un punto”, ma pure le versioni che giocavo anni fa su Facebook non lo applicavano.

In sostanza il punteggio non è mai entrato nell’immaginario collettivo dei giocatori di UNO, sembra siano in pochi a sapere che quando un giocatore chiude si prendono le carte rimaste in mano agli avversari e con esse si determina il punteggio, quindi che le carte numerate dallo 0 al 9 hanno il valore riportato sulla carta mentre quelle speciali colorate (SALTO, CAMBIO GIRO e PESCA 2) hanno valore 20 punti e i due jolly (CAMBIO COLORE e PESCA 4) hanno valore 50, e che vince chi arriva prima a 500 (oppure si può fare come a Scala 40, calcolando quanti punti rimangono in mano a ciascun giocatore ed eliminando chi man mano arriva a 500).

Per quanto mi riguarda trovo le partite a UNO senza punteggio vero e proprio assolutamente insulse, il gioco sembra proprio non avere un senso, uno scopo, se non quello di cazzeggiare, il gioco è assolutamente piatto e privo di imprevedibilità e veri e propri colpi di scena, viene meno persino il vero valore e la vera potenza delle carte speciali… Dove sta il coinvolgimento emotivo nel sapere che dopo una manche movimentata il fortunato vincitore si beccherà un misero punto? Non è più bello sapere che il vincitore potrà incassare dalla miseria di pochi punti fino a qualche centinaio avvicinandosi alla vittoria? Non è più coinvolgente cercare di sbolognarsi le carte più valorose per non lasciare punti agli avversari? Non dà più soddisfazione vedere che l’avversario è rimasto con un sacco di carte in mano (magari fatte pescare proprio alla fine del gioco) e che alcune hanno anche un certo valore piuttosto che dire semplicemente “chiuso” e beccarsi un misero punto? Non vi piace l’idea che da una manche all’altra tutto si possa ribaltare, l’idea di poter innescare un meccanismo di inseguimenti, di distacchi e rimonte come in una gara di motociclismo? Sincero, non vi capisco!

Però ho provato a fare delle ipotesi sul perché calcolare il punteggio a UNO non è prassi come dovrebbe. Vediamo. Potrebbe darsi che molti, dopo aver comprato la scatola di carte da gioco, non abbiano mai davvero letto, forse nemmeno cagato di striscio, il bugiardino in essa contenuto, che conoscano le regole soltanto perché tramandate di amico in amico, chissene se spesso inesatte; infatti si noti come oltre alla presunta inesistenza di un punteggio da calcolare si siano diffuse anche altre regole non previste dal regolamento ufficiale ma spacciate per basilari; una su tutte quella della possibilità di cumulare le carte di pesca, quindi di ribattere un PESCA 2 o un PESCA 4 facendo pescare all’avversario un numero spropositato di carte (6, 8, 10, 12) anziché pescare semplicemente le carte e saltare il turno come si dovrebbe, una regola che tutto sommato può anche essere divertente ma è bene sapere che si tratta di una variante, una regola peraltro recentemente sconfessata dalla stessa pagina Twitter del gioco con un tweet molto chiaro; molti pensano poi che non si possa né cominciare né chiudere con una carta azione, falsissimo, basta leggere il foglietto per scoprire che l’unica carta che non può aprire il gioco è il PESCA 4 e che se si chiude con una carta di pesca il giocatore successivo deve comunque prendere le carte, che contribuiranno anch’esse a formare il punteggio; o anche la totale libertà con cui viene giocato proprio il PESCA 4, ignari del regolamento che ne consente lo scarto soltanto nel caso non si abbiano carte dello stesso colore dell’ultima giocata, nonché della possibilità del giocatore condannato alla pesca di poter contestare la giocata, con tutte le conseguenze del caso…

Un’altra ipotesi potrebbe consistere nella natura spesso totalmente informale, leggera e scazzata del gioco, basti pensare ai contesti e alle modalità con cui solitamente si svolgono le partite: si gioca su un telo da mare, su uno striminzito tavolino da spiaggia o da pic-nic, su banchi di scuola uniti, su letti di hotel sgangherati, in momenti spesso morti e ristretti, il gioco viene poi organizzato in maniera assolutamente disordinata, con i giocatori disposti in maniera spesso non lineare e persino in posizioni scomode, persino il modo in cui viene trattato il mazzo degli scarti è discutibile, i giocatori scartano le carte allungando le braccia e gettando letteralmente la carta sul mazzo che dopo pochi scarti diventa un qualcosa di simile ad una discarica, un mucchio selvaggio che rende persino difficile capire qual è l’ultima carta giocata, manco si riesce a trovare quel nanosecondo necessario per sistemarlo (figuriamoci per calcolare il punteggio)… Sembrerebbe quindi che il gioco sia visto più come un semplice modo per ammazzare il tempo che un vero e proprio gioco in cui mettere impegno e concentrazione; infatti il gioco è accessibilissimo a tutti, facile da imparare e non comporta particolari strategie di gioco per vincere, non serve essere giocatori esperti o abili strateghi per vincere, vince semplicemente chi ha la fortuna di ricevere le carte giuste, non è come giocare a scopone o a briscola, dove bisogna metterci testa ed analizzare l’andamento del gioco e l’operato degli altri giocatori; non è un gioco per veri appassionati di giochi di carte, chi ama davvero i giochi di carte predilige le partite a burraco, a scala 40, a bridge o a poker e ci mette il 101%, si metterebbe quasi a ridere a sentire che vi state ritrovando per una partita a UNO; da sottolineare che il gioco è prodotto dalla Mattel, una casa che produce giocattoli, non certo specializzata in giochi di carte, non è la Dal Negro o la Modiano, ciò suggerisce che in pratica UNO non è nemmeno un gioco di carte ma più un gioco di società basato sulle carte, ma forse è addirittura un vero e proprio giocattolo che viene di fatto trattato come tale, non seriamente. Alla luce di ciò si direbbe quindi che il calcolo del punteggio verrebbe considerato dai più una perdita di tempo o renderebbe troppo seria una situazione che invece non lo è, inoltre la cifra di 500 punti (e qui mi riferisco a chi in qualche modo sa qualcosa a proposito del calcolo del punteggio) risulta probabilmente troppo alta e lunga da raggiungere agli occhi di ha deciso di cominciare una partita giusto per vincere la noia, preferisce quindi assegnare un punto al vincitore della manche e non fissare nemmeno un punto di arrivo in modo da poter interrompere il gioco non appena stufi… In un mondo fatto di spot dove non si ha pazienza e propensione all’ascolto e domina l’astio verso le cose lunghe capisci che un gioco che prevede di arrivare a 500 punti può risultare troppo lungo e anacronistico…

Ma sono tutte supposizioni che trovano il tempo che trovano, considerazioni che mi sono semplicemente venute in mente e che ovviamente non si pongono come verità assolute, non mi dispiacerebbe sentire il parere degli altri utenti in merito a questa questione. In ogni caso sappiatelo: se volete tirarmi in ballo in una partita a UNO, il punteggio si deve applicare, altrimenti cercatevi qualcun altro…

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editoriale di kloo

Era il 1997 ed avevo 8 anni la prima volta che lo vidi: ero con mio Nonno e lui era in Francia, noi seduti sul divano e lui sotto quel sole che stava rompendo le rocce. Ne avevo già sentito parlare e mio nonno, al nominarlo, si emozionava come un bambino di fronte alle caramelle. Era appena iniziata e già si stava salendo, ma lo spazio ed il tempo in quel momento erano relativi. Si sentiva spingere solo a voce, si vedeva il diavolo ed il colore giallo, l'aridità metro dopo metro.

L'anno dopo in Italia ho visto mille scatti ed un russo inflessibile cedere, mio nonno mi parlava di Kubler e di Koblet e li vedevo giganti e lontani, come il mondo del mio caro in Svizzera a lavorare per tornare con un pugno di mosche, o forse, nemmeno quelle. Poi nuovamente in Francia tra le montagne vidi il fossile, vedemmo tutti quel fossile: stavolta la pioggia, la bandana in testa e non erano più i secondi a scorrere ma i minuti, come quei fossili giganti e lontani. Il tedesco di ferro a capo chino e con la schiena spezzata avrebbe rischiato di saltare per aria l'indomani.

Torna l'estate e torna l'Italia, stavolta il fossile cannibalizza, mangia strada e mangia giovani prede. Ad Oropa vidi qualcosa che, se ci penso, non ci posso credere. Vidi un fulmine a ciel sereno, vidi un fossile volare, vidi una maglia rosa recuperare quasi un minuto.

Ma, qualcosa di grandioso non può che finire in maniera atroce, grottesca. Io ho amato tanto questo fossile, fossile come lo erano negli anni '50-'60-'70 anni dorati e mai dimenticati. Nel '99 passò per il mio paese e passò per ultimo, avevo 10 anni, alzai il mio cartello con scritto "Forza Pantani"; se ci penso, ancora piango.

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editoriale di Bubi

Il denaro dovrebbe essere un mezzo, dovrebbe servire a raggiungere la soddisfazione dei bisogni.

Mangiare, bere, istruirsi, distrarsi in vacanza, acqua potabile, farina, etc.

Ma oggi il denaro è diventato il fine e, col denaro come fine, le cose non possono andare bene. Non c'è più una distinzione fra beni necessari e beni superflui, esiste soltanto il mezzo necessario ad ottenerli, il denaro. Se essere ricco, ti dà la stima, la reputazione, l'onore, tutto il resto passa in secondo piano. Col consumismo, il denaro è divenuto la misura di ogni cosa.

Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale l’economia dei paesi occidentali attraversò un periodo di sviluppo senza precedenti, il benessere economico raggiunse quasi ogni famiglia. Era arrivato il boom o l'età dell'oro, si produceva e si doveva vendere. Anche i beni voluttuari, quelli non strettamente necessari alla sopravvivenza, all'alimentazione. La società dei consumi si fonda in larga parte anche sull’acquisto di questi beni superflui, lavastoviglie, telefonini sempre più complicati, playstation, automobili che sono solo Il segno visibile di una condizione economica privilegiata, etc, etc.

Alcuni beni sono indispensabili, l'acqua, il pane, ad es. Si producono, ma si tende a raggiungerli spendendo il meno possibile, quindi SI SFRUTTA chi lavora o si usano prodotti cancerogeni come i pesticidi, che hanno il pregio di consentire produzioni abbondanti. Inoltre, si può aggiungere che per trarre il massimo profitto, alcuni se ne fregano della dignità degli animali da allevamento. Basta andare a guardare dove "coltivano" i polli o le oche, queste vengono letteralmente ingozzate di mangiare (con l'imbuto), al solo scopo di far ingrossare il fegato. Tante persone amano il paté di fegato, quindi per venderlo si superano i propri principi morali (quando ci sono) e non si considera minimamente il rispetto che dovremmo avere per gli altri animali.

Immaginiamo che per tutta la vita ci siamo dati da fare solo per guadagnare denaro. Nel contempo, tutti gli altri aspetti della nostra esistenza sono naufragati perché non ci siamo presi cura a sufficienza della nostra famiglia, delle relazioni con gli altri e della nostra salute. Cosa avremo ottenuto?

Molto denaro e un effimera felicità legata alla ricchezza accumulata. Nient'altro.

[Ho scritto questo editoriale attingendo alla mia esperienza e, informandomi su internet]

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editoriale di sfascia carrozze

Oh!

Ma si da pozzu narai nà gosittedda?

Kustu kazz'è scimprotteddu fissu kistionendi senz'è narai nudda m'ari cagau su Kazzu.

Diaderusu.

Aiò!

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editoriale di sfascia carrozze

"Bei tempi, sospira Gesuino, quando solo i galeotti si tatuavano e l'Asinara era un'isola serena.”

E oggi?

Oggi la beatitudine dell'Asinara è tutta da dimostrare (se lo dice Gesuino Cuccureddu possiamo fidarci, che lì dentro c'ha passato mezza vita), ma in compenso si tatuano tutti, tranne qualche vecchio ergastolano in segno di civile protesta.

Poco importa se non si ha esattamente il fisico da adoni, più si è sgraziati e peggio ci si tatua, ovunque: dai maniglioni dell’ammmore ai popliti.

E sarebbe bellissimo se ci si accontentasse di un’ancora sul braccio, alla stregua del mitopoietico Braccio di Ferro.

Se le soubrettes d'alto borgo hanno le farfalline proprio lì, noi moderni cavernicoli replichiamo con le nostre aquile della Kamchatka, le nostre dee Kali dalle cento braccia: ogni millimetro quadrato a disposizione è pronto a competere con gli affreschi cinquecenteschi della Cappella Sistina.

Perché andare in estatico pellegrinaggio fino ad un lontano stato straniero, quando per sfidare un qualsiasi Leonardo basta semplicemente denudarsi e riflettersi allo specchio?
E chi se ne importa di come ci si sarà ridotti tra qualche anno, con la pelle che si sciupa teoricamente molto prima del cervello.

Mi TATTOO, Ergo Sum.

L'infestazione dei tatuaggi ormai è divenuta peggio dell'invasione biblica delle locuste: e questa autentica ossessione per l'immagine del corpo non riguarda solo le giovani generazioni.

Un’ossessione trasversale che vanamente spera nel miracolo della bellezza eterna, ma che spesso è l'esatto contrario dello stile, dove le muse ispiratrici sono le nuove e uniche Divinità scese in terra, i depositari unici dell'eleganza dei nostri tempi: i calciatori.

Dagli ormai desueti tribali maori si è giunti alla raffigurazione del giudizio universale, alla intera guerra delle galassie, passando per Thor, Heidi e Tiramolla.
Siamo al corpo-bacheca ingolfato di messaggi, scritte e ammennicoli grafici illeggibili assortiti.

Effigi rupestri in corsivo, in latino, in carattere Morse senza tralasciare il sempreverde cuneiforme.

Di tutto di più: dai nomi della prole, a quello del cane, a quello degli amici degli amici per arrivare al protagonista del film che ti ha fatto ridere: magari solo perchè ti eri scolato un paio di gin-tonic più del solito.

Il limite al peggio è sempre lì da dover essere oltrepassato, si sà.

Le mortifere “frasi motivazionali” che in teoria dovrebbero dire agli altri chi siamo veramente: ma non sarebbe molto meglio dirlo con parole tue?
Sui corpi martoriati a colpi di macchinette e aghi ogni estate in spiaggia ci si può fare una autentica cultura: forse è per questo che l'editoria è in crisi.

Chi si tatua Platone o Epitteto sul gomito probabilmente non ha mai letto una singola riga nè dell'uno tantomeno dell'altro: ma chi se ne importa.
Ciò che conta è quello splendido, incomprensibile, ghirigoro che fa bella mostra di sé e che ti è costato lo stipendio di intere settimane, mesi, anni di lavoro.
Intere generazioni in lotta per l'ottenimento di una paga non troppo miserabile e qualche diritto sacrosanto, buttate nel cesso. O sull'altare del prossimo scarabocchio.

Comunque se questo inutile DeEditroiale Vi è piaciuto leggerlo come a mè è garbato (tra)scriverlo, mi permetto un suggerimento: tatuatevelo sul corpicino inerme, un paragrafo alla volta, dove meglio ritenete opportuno.

UH!

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editoriale di Bubi

Mi chiamo Giorgio e non sono del lago maggiore, abito in un casolare di campagna, vicino ai Castelli Romani. Vi racconterò del mio amore per i gatti, di Faustina e un cappuccino. La casa dovrebbe essere un'oasi di benessere, anche se, a volte, nei romanzi gialli può essere teatro di atroci delitti o, nelle fiabe, è spesso la casa degli orrori. Nella mia, niente di tutto questo, ci sono solo animali docili, galline, caprette, piccioni, ma soprattutto gatti. Tanti trovatelli inselvatichiti, che sarebbero finiti male, se non li avessi adottati. Amo i gatti e le donnine grasse. Concedetemelo, sono le uniche ricompense che mi sono regalato da quando sono in pensione. Faustina soddisfa pienamente le mie esigenze di bellezza, è alta un metro e mezzo e pesa centodue chili. Per qualche motivo, odia i gatti ed ho sempre pensato che non me se filasse pe' niente, per giunta, ama oltremodo il cappuccino. A me il cappuccino non piace, in quanto ai gatti, lo sapete. L'ultimo che ho accolto, era in uno stato pietoso, era triste e le zecche lo divoravano, l'ho curato e adesso sta bene. Ovviamente l'ho chiamato Zac.

Dovevo capire che sentimenti provava il mio riccioluto amore, e se non erano quelli che desideravo, volevo conquistarla. Quindi, la invitai a bere un cappuccino nel mio rustico. Non badai a spese e comprai la miscela migliore, si chiamava "Aroma del mattino di suor crocifissa". Era fatto in maniera artigianale e costava, ammazza se costava. Ma erano soldi ben spesi se servivano per convincerla ad accettare il mio invito. Quel mucchietto di carne soffice, mi piaceva così tanto, che le dissi che quel coacervo di pensierini zuccherosi che lei chiamava "poesie" erano versi bellissimi. Gliel'avevo detto mentre mi eccitavo a sbirciarle tra le coscie. Ero così perso in lei, che l'idea di baciarle i piccoli piedini con le unghie dipinte, mi faceva stare bene tutto il giorno. Mi veniva bene idealizzarla e spasimare per lei, non era faticoso e durava a lungo. Ma, tutto sommato non bastava, mi mancava tanto il BACIO. Allora mi decisi a farle la dichiarazione. Mentre procedeva sulla stradina che portava a casa mia, la guardavo da dietro i vetri. Camminava a disagio sul ciottolato, lottando a ogni passo per rimanere in piedi. Non mi sembrava un difetto, anzi, aumentava il desiderio che provavo per lei. Quando suonò il campanello sentìi un tuffo al cuore. Faustina era lì con tutte le rotondità al posto giusto, quel suo bel culone e quel musotto che era tutto da mangiare. Ma lentamente, a bocconcini. Era bellissima.

La bevanda era già pronta, gliela porsi. Si sedette. A fatica accavallò le sue belle coscétte ed iniziò a mescolare il cappuccio. Intanto io, mi sentivo come sui carboni ardenti. Avevo ingoiato almeno sei o sette tranquillanti e lei stava seduta imperturbabile e girava il cappuccio. Le dissi: «Quanto sei bella Faustina... io ti piaccio? Almeno un po'?». Non so se fece finta di non capire, o se non sentí davvero. Era presa completamente dall'arnese che faceva roteare nel liquido. Mentre girava, la schiuma arrivava fino all’orlo, sollevato dall’azione dell’utensile. Il bicchiere era ordinario, il cucchiaino opaco e consumato dall’uso. Si udiva il rumore del metallo contro il vetro. Tin, tin, tin, tin. Mentre carezzavo Zac, la tirai lievemente a me. Con lo sguardo perso nei suoi occhi, le dissi ancora che la desideravo, che un solo bacio sarebbe bastato. E lei girava e rigirava il caffelatte, tanto che si era formato un gorgo nel mezzo. Un Maelstrom. «Bravo, non devo neanche assaggiarlo per sapere che è buonissimo. Capisco subito che è una perfetta combinazione di colori, sapori e aromi», replicò senza considerare la mia avance. Seduti l'uno di fronte all'altro, io aspettavo una risposta adeguata, lei continuava a sorridere e girare il caffellatte. Disse: «Lo zucchero non si è ancora sciolto». Per dimostrarmelo dette dei colpetti sul fondo del bicchiere. Subito riprese con rinnovata energia a mescolare metodicamente il cappuccino. Gira e rigira, senza fermarsi mai, e il rumore del cucchiaino sul bordo del vetro. Tan, tan, tan. Di seguito, di seguito, senza posa, eternamente. Gira, e gira, e gira, e rigira. Guardava me, guardava il cappuccino e sorrideva. Era dolce come quello zucchero che sembrava non volersi sciogliere.

Appoggiai teneramente la mano sulla sua spalla e feci un altro approccio, giocherellando coi suoi riccioli. Si rigirò come una tigre. Non sorrideva più. «La vuoi smettere!? Voglio bere il cappuccino!!» urlò. «Ma come puoi dare tutta sta importanza ad un cappuccino?» pensai. «Meglio morire che essere sfiorata da te!» aggiunse inviperita. Non avrebbe dovuto dirla quella frase, era come se m'avesse passato il trapano sul nervo. Ogni espressione, anche la più insignificante, sparì dal mio volto. M'apparve per quel che era. Brutta, un insulto al creato. Mi sembrò di vederle uscire delle mosche dalla bocca. «Meglio morta che essere sfiorata da te» si era permessa di dire. A me. A me che sono bello, intelligente e nei cassetti ho sempre i coltelli molto affilati. Dovevo farlo quell'atto di carità. Presi un Bowie con il manico in corno di bufalo e glielo infilai sotto l'ombelico. La aprii come fanno coi maiali al macello. Le budella uscirono dal buzzo e si sparsero sul pavimento. Dovrei sentirmi colpevole del fatto che avesse la pancia così molle? Che si fosse messa così a portata di mano? Dovrei anche sentirmi colpevole che era un pezzo di merda?

Zac balzò sul pavimento e iniziò a rosicchiare il fegato. Feci un fischio e gli altri venti gatti che avevo adottato arrivarono uno dopo l'altro. Billi, Joe, Piccina, Aisha, Coccolina e tutti gli altri si disposero attorno al corpo. La sgranocchiavano senza fretta, tenendo la coda ritta. Faustina piaceva anche a loro. Un po' di rimorso lo sentivo, ma l'idea di passare il resto dei miei giorni in prigione, era più angosciante del senso di colpa. In poche ore, del corpo sano, rimasero solo le ossa. Raccolsi le povere resta in tre o quattro sacchetti della spazzatura. Non era un gran fardello perché era tutta ciccia e lo scheletro pesava poco. Camminando per il Viale Manzoni, buttai i sacchetti in alcuni bidoni dell'immondizia. Tornai il giorno dopo e li controllai. Erano vuoti. (vuoti a Roma!! Credo di poter dire che quel giorno, Dio era ben disposto al miracolo). Ripensai a Faustina e scoprii che non sentivo poi tutta sta sofferenza. Quasi cento chili erano nella pancia di una ventina di gatti, ed ero più contento per loro che dispiaciuto per la brutta fine del mio perduto amore. In fin dei conti cos'è l'amore? Una dedizione appassionata fra due persone, volta ad assicurare la reciproca felicità? No. È più semplicemente una forma di egoismo. Temperato, regolato in modo da permetterci di vivere in armonia con la persona amata. Con Faustina questo non era possibile, per lei, il cappuccino era più importante di ogni altra cosa, anche dei nobilissimi sentimenti che avevo nutrito per lei. Prima di squartarla.

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editoriale di mrbluesky

In vita mia ho sempre passato le vacanze nelle seconde case, solo negli ultimi anni mi sono concesso il lusso di qualche soggiorno in albergo, ma volete mettere?
Le seconde case sono luoghi della memoria, non hanno visto i bambini crescere e nemmeno i vecchi morire, no. Loro stanno li da sempre e aspettano solo che qualcuno posi le valigie sullo zerbino e infili la chiave nella toppa per accoglierlo, come in un abbraccio, in quell' atmosfera irreale, dove il tempo sembra essersi fermato. Là, dietro la porta, lo spazzolone con lo straccio ormai rinsecchito che qualcuno aveva passato prima di partire e poi, alzando le tapparelle, ecco che ogni cosa, ogni oggetto si risveglia, pigramente, come da un lungo sonno.
Del resto, si sà, finiti i soldini per comprare la casa restava poco per arredarla, e cosi ecco ogni anno il solito campionario di oggetti recuperati chissa dove, o saggiamente occultati dalla vista di tutti i giorni (perche spiace buttarlo via). Come lo splendido vaso beige con intarsi in pietra verde che troneggia all'entrata, un mobile in bambù a fianco di uno in ferro battuto; in bagno, specchio in Moplen, acqua di colonia che nessuno ha mai nemmeno osato aprire, rasoio Remington ricordo dello sbarco degli alleati, boccettino collirio Stilla scadenza ottobre 1973. In cucina stelle marine appese e l'immancabile orologio con Ancora in rame e termometro, immagini di Saronni e Bitossi sulle piastrelle, in camera, stampe vecchia Milano e quadretto ricordo di Canazei, anche se dalle finestre si intavede il mare. Ma non andava meglio in montagna; all'ingresso bastoni da passeggio recuperati nel bosco e cerate tascabili, in camera Madonna con rosario in onice (peso 25 chili) e, unico soprammobile, una scatola di veline (valore 80 centesimi di oggi) che però non si potevano adoperare perche profumavano l'ambiente. In cucina pentole deformate, tovaglia in plastica con bruciatura di sigaretta, bicchieri scompagnati, radio onde medie rivestita in cuoio, settimana enigmistica dell'86 con schema in bianco ancora da completare, posacenere in plastica Cinzano preso (in prestito) da chissà qualche osteria.
Se non fosse vero sembrerebbe un film di Fantozzi, ma io vi voglio ringraziare lo stesso cari nonni che non ci siete più, per averci regalato comunque un infanzia così felice.
Buone Vacanze!!

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editoriale di Bubi

JFK è generalmente considerato un politico illuminato e lungimirante. Ma fu presidente per due soli anni, dal 61 al 63, un periodo troppo breve per esprimere un giudizio netto. Il fallito assalto alla baia dei porci (volto a rovesciare il regime di Fidel Castro) è da ascrivere alla sua indeterminatezza, la conseguenza fu la crisi missilistica coi russi che portò il mondo sull'orlo della guerra nucleare. Vediamo di provare a capire cosa c'è dietro la sua elezione e anche la sua morte. Sono due le figure che hanno determinato il suo destino. Anzitutto il padre...

Joseph Patrick Kennedy Sr. era una figura di spicco del partito democratico, ed anche uomo d’affari di successo. Fece fortuna acquistando e fondendo insieme diversi studi cinematografici e contrabbandando alcool durante il proibizionismo. Dal 1938 al 1940 fu ambasciatore degli Stati Uniti, nel Regno Unito. Aveva la ricchezza, l’influenza e le connessioni giuste per raggiungere la Casa Bianca. Tuttavia la simpatia che nutriva verso Hitler, indussero Roosevelt a richiamarlo in patria. Così, l'ambizioso patriarca della famiglia più famosa degli Stati Uniti, spostò sui suoi figli, il desiderio di diventare presidente degli Stati Uniti. Dopo la morte del primogenito in un incidente aereo, si concentrò sulla carriera politica del suo secondo figlio, John Fitzgerald Kennedy.

Sam Giancana, fu uno dei più potenti boss mafiosi americani. Iniziò la sua carriera criminale negli anni venti. Ex guardiaspalle di Al Capone, divenne uno dei boss mafiosi più ricchi e potenti negli USA degli anni sessanta e capo indiscusso della temutissima “Chicago Outfit”. Personalmente ritengo verosimile che sia stato Joseph P. Kennedy, (tramite Frank Sinatra) a mettersi in contatto con Sam Giancana, per ottenere i voti che gli poteva procurare il boss di Chicago. Molti giornalisti che si sono occupati del caso, affermano che sia stato il principale artefice della vittoria John Fitzgerald Kennedy alle elezioni del 1960. Gli storici, che hanno rivisitato le liste elettorali, calcolano che 15 mila morti abbiano votato, così Kennedy vinse con 9 mila voti di maggioranza. Il Boss di Chicago sperava di poterne trarre vantaggio, ma...

... dopo l'elezione, JFK nominò suo fratello Robert ministro della giustizia. Come prima iniziativa, Robert Kennedy accelerò la campagna contro il crimine organizzato. Durante il suo mandato, le condanne contro i mafiosi aumentarono in modo esponenziale. Questo non fece piacere a Sam Giancana. Il boss di Chicago aveva l'audacia e i mezzi per compiere l'attentato a JFK. il vero assassino del presidente è presumibilmente John Roselli, "Handsome Johnny". Fonti ben accreditate rivelano che fu lui a sparare con un fucile di precisione, su ordine del suo capo. Giancana sarebbe stato anche reclutato dalla CIA per assassinare il nuovo leader cubano Fidel Castro che aveva preso il potere nel 1959. Il piano tuttavia non fu mai messo in atto. Con riferimento a quell'episodio, Giancana ebbe modo di affermare spavaldamente che la mafia e la CIA erano due facce della stessa moneta.

Secondo lo: United States House Select Committee on Assassinations, (un organo istituito nel 1976 per investigare sulle circostanze della morte di John Fitzgerald Kennedy e di Martin Luther King). Giancana è ritenuto il mandante dell'assassinio del presidente Kennedy.

C'è anche la versione di Judith Exner, moglie dell'attore William Campbell. La riporto anche se non la ritengo molto attendibile. Nel 1975 dichiarò che era stata l'amante di John Kennedy. "La notte prima delle primarie in New Hampshire ci incontrammo all' hotel Plaza di New York", ricorda. "Facemmo l'amore tutta la notte. John non mi parlò una sola volta di politica. Era un amante molto attivo". La Exner dice che Kennedy era avido di pettegolezzi su Hollywood e in particolare su Sinatra. Quando seppe che Sinatra conosceva Sam Giancana, Kennedy chiese all'amante di procurargli un incontro con il boss mafioso. Il meeting avvenne all' hotel Fontainebleau di Miami, in piena campagna elettorale: secondo la Exner, il candidato chiese l'appoggio e i soldi della mafia per la sua campagna. John Kennedy non sarebbe mai diventato presidente senza il nostro aiuto, le dirà in seguito Sam Giancana.

Ho letto alcuni alcuni articoli sui rapporti tra I Kennedy e Giancana, mi sembra interessante riassumerli in un editoriale, perché non ho mai creduto che Lee Oswald fosse stato l'unico esecutore dell'omicidio. Però queste furono le conclusioni a cui giunse la commissione Warren istituita nel 1963 dal Presidente Lyndon B. Johnson.

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editoriale di Bubi

Idi Amin Dada, prese il potere con un colpo di Stato nel 1971, approfittando dell’assenza del Presidente Milton Obote. Alto due metri ed ex campione di pugilato, si riteneva in grado di controllare i coccodrilli col pensiero. Tutti gli stati europei e gli USA, sottovalutarono la natura di un regime che, secondo alcune stime, portò alla morte di oltre 300 mila persone, eliminate da squadroni della morte. L’11 aprile 1979 si concluse questo tragico regime: L’esercito della Tanzania, raggiunse Kampala, la capitale dell’Uganda. Idi Amin Dada riparò in Arabia Saudita, dove visse in una lussuosa villa, per altri 14 anni, insieme alle sue quattro mogli e a circa trenta figli. Nell'immaginario collettivo, il nome del dittatore ugandese significa ancora megalomania, crudeltà e stravaganza ai limiti della follia.

Quando i giornalisti gli chiedevano di rispondere alle accuse di cannibalismo, rispondeva: «Non mi piace la carne umana. È troppo salata».

Il titolo ufficiale che decise di adottare per sé nel 1977 era: “Sua Eccellenza, presidente a vita di tutte le bestie sulla terra e dei pesci nei mari... ”.

Alla regina Elisabetta scrisse: «Ho saputo che l’Inghilterra ha problemi economici. Sto inviando una nave piena di banane per ringraziarvi dei bei giorni dell’amministrazione coloniale».

Quest'ultima frase, rivela in effetti cosa ci fu dietro le sciagure del continente Africano: Colonialisti BIANCHI e dittatori NERI.

Di seguito, con l'unico scopo di far riflettere sull'immane disastro del colonialismo, riporto solo una parte dei dittatori africani.

Il congolese Sese Seku Mobutu, salì al potere nel 1960 con l’appoggio degli USA e del Belgio.

Jean-Bedel Bokassa, fu il dittatore dell'Impero Centrafricano, (impero fu aggiunto da lui stesso).

Ian Smith, guidò la secessione della Rhodesia (l’attuale Zimbabwe) dall’impero britannico nel 1965 con l’intenzione di preservare il comando da parte dei bianchi, in una colonia a grande maggioranza nera. Nel 1980 fu sostituto da Mugabe, "l'ultimo re politico africano" che governò in modo dittatoriale per 37 anni.

Michel Micombero, aveva 26 anni quando, nel 1966, guidò il colpo di stato che lo portò alla poltrona di primo ministro in Burundi.

Francisco Macías Nguema, primo presidente della Guinea Equatoriale era un cleptocrate paranoico, teneva la gran parte delle ricchezze del paese in valigie sotto al letto.

Teodoro Obiang, dittatore della Guinea Equatoriale.

Theodore Sindikubwabo, ha poca responsabilità personale nel genocidio del Ruanda, l’ex pediatra era però la testa ufficiale di un governo che perpetrò lo sterminio di circa 800.000 persone.

Isaias Afwerki, realizzò una delle dittature più atroci in Eritrea.

Yahya Jammeh, presidente del Gambia costituì uno degli stati più oppressivi sulla terra.

Siad Barre, dittatore militare socialista della Somalia.

Dos Santos, fu alla guida dell’Angola per 38 anni.

Circa due terzi degli Stati africani sono stati guidati da presidenti che governano in modo autocratico per più di due, tre decenni. Dal Ciad al Congo, passando per Gabon, fino in Africa australe, sino all’ultima monarchia assoluta e tiranna di re Mswati III di Swaziland.

Saddam Hussein in Iraq e Muʿammar Gheddafi in Libia, sono i più conosciuti in Italia... Lascio perdere tutti i dittatori del Sud America, dell'Indocina e del medio oriente per non fare una semplice lista di nomi.

(Dopo aver letto tre o quattro articoli sui dittatori africani e sul colonialismo, ho ritenuto interessante riassumerli in un editoriale)

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editoriale di ALFAMA

non sono sicuro se questa è la pagina più adatta per parlare del mio problema..Il mio pisicologo non non riescesce a darmi tranqyuillitità. i medici nulla. .Si parla di una cosa che ancora ai nostri giorni se non sai navigarare da solo sei solo

Cerco di farla semplice, da anni cerco di leberarmi da una fortissima dipendenzza eroina. coca, farmaci vari. Con la roba sono orma pulito i, dem per la svelta. Il mio problema sono i farmaci .a mia vera droga stastale. Premdo 40 mg di metadone denza essere in terapia,, 6 mg Xanax a gior, coma antidepressivi pappo 40 mg di Prozac ora sostituiti con Paroxatina +pregabalalin, , antidolorifici oppiaccei ( Mai usato L'ago) e di giorno mi bevo quasi un fraccccine si sinniffero

Ultimamente ho aggiunto il Rivotril 2m , solo chi ha fatto uso di Rivrtril può capire in quale inferno ti trov. . Molli la roba ma l'imferno è lo stesso.

I , medici non capiscono non capiscono in quale paratro priscologico ti trovi. per non parlare dei dolori. , le sue direttive sembrano fatto fa chi non sa di che parla, estranei al problema.

Il Rivotril è infernale, ma quando sei inscimmiatto , ognoi 2 giormi l'umica fuga no Antidolororogici e 4/6 rivotril, ho on pio di overdose alle spalle e non pblattero quando dicco che il sonno senna uscita è l'unica soluzione.

Il mio inferno ormai dura 15 anni, un serie di medici , pisichiatri e pisicologi che mi hanno scaricato.

ELIMINATI TUTTI GLI ERRORRI.non auguro a nessuno di sentirsi come me., una MERDA

Vorrei della pagine amiche che facciano sentitrmi meno solo. soffrire di meno con qulche trucco che non conosno, e qualche paoola amimca che fa tanto bene.

Una parola amica un acarezza sincera immginata ti tira su pìù di quanto immaggini.

ANCHE QUESTE SERVONO MOLTO PIU' IMMAGINI , UNA CARREZZA di UN?AMICO.

SPERANNDO CHE NON SIA SOLA, MA UNA MELLA RIDENTE COMPAGLIA

GRAZIE e CON LA SPERANZA SI CHIAMARVI "AMICI"

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editoriale di Stanlio

Non me ne vogliate cari amici del DeBasio se mi scappa da scrivere su quel che mi diverto a leggere e a farvene poi partecipi, ma avendo pochi contatti col mondo esterno a parte il lavoro c/o il ministero, cerco affetto e stimoli dove posso e nel dubbio pure qui sul DeBbio, come dicono in sicilia “cu va pi chisti mari chisti pisci s’a da pigliari”

Ordunque veniamo al contenuto della presente, in queste ultime settimane ho scaricato aggratis una caterba di ebook (ehm, centinaia…) da un sito italiano che presumo chiuderanno presto, non credo che riuscirò a leggerli tutti in questa vita, vista la mia modesta velocità di lettura ed i tempi ritagliati a lei dedicati, però intanto ho creato una piccola biblioteca privata da cui attingere di volta in volta qualcosa da leggere per passare meglio il tempo, tra i tanti libri offerti m’è venuto il ghiribizzo di calarmi nell’arte pittorica et scultorea (per iniziare a conoscerle un po’ di più), descritte in 4 o 5 volumi dal critico Vittorio Sgarbi, e di cominciare a leggermene uno a caso, ovvero “Dall'ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo. Il tesoro d'Italia. Vol. VI” quello che qui descriverò.

Tenete presente che prima di iniziarlo stavo già leggendomi una cosa totalmente diversa che nulla ha a che vedere con Sgarbi (a parte l’esser entrambi Professori) o l’arte, e cioè “A passo di gambero: Guerre calde e populismo mediatico” by Umberto Eco di cui Vi farò grazia non recensedolo affatto, insomma ho terminato prima “Dall'ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo” nonostante le sue XXVI + 574 pagine e illustrazioni a colori contro le 368 pagine senza illustrazioni di Eco, di cui sono arrivato appena a metà mentre scrivo, quindi se mi scappa qualche cenno sui conflitti in Iraq o in Afghanistan, o sul World Trade Center e le sue Twin Towers, (ma non credo che vi accennerò a meno che non vengano citate le sculture danneggiate per sempre nei paesi medio-orientali dai terroristi col cervello dislavato e ormai del tutto fuso, che sperano così di ottenere illusori benefici ultraterreni nell’aldilà presunto dove li attende anche un harem con decine di vergini a testa con cui poi sollazzarsi) non badateci più di tanto, comunque starò attento a che ciò non accada, promesso.

Sgarbi scrive abbastanza frettolosamente di vari artisti intorno al periodo “seicentesco”, soffermandosi appena su alcuni dei loro trascorsi ed alcune delle loro opere e comparandoli spesso a Caravaggio e/o a Tiepolo, preferendo (Sgarbi) però molti dei “minori” e semi sconosciuti ai più e detenendo (cioè avendole acquistate) anche alcune preziose opere, (nella sua collezione privata) scovate qua e là nei suoi peregrinaggi museali e chiesistici in Italia, in Europa e financo negli States, a volte va in sollucchero per delle sfumature o degli abbinamenti di colori e altrettanto per i temi perlopiù biblici dove la fanno da padrone la madonna, San Giuseppe, Gesù bambino (ehm, circonciso, e poi ci avanza di criticare i sopradetti popoli di cui fanno parte anche i terroristi per la loro pratica secolare della circoncisione… o altre pratiche che qui in occidente non ci siamo mai fatti mancare), Maria Maddalena, San Giovanni decollato e i San Sebastiani vari o le sante in estasi, temi mitologici grechi o romani e a volte (poche) temi contemporanei, legati alla vita reale del popolo con le loro abitudini o arti e mestieri e ritratti di gente comune e di nobili personaggi.

Alla fin fine di quel che ho letto m’è rimasto poco o nulla dentro se non la voglia di approfondire meglio quell’arte di cui Sgarbi con le sue scarne descrizioni m’ha invogliato a conoscere meglio per capire chi eravamo e perché siamo diventanti in parte ciò che siamo, leggendo di questi artisti e del mondo in cui vivevano, i più stentatamente e alcuni fortunati nella ricchezza a discapito di quei più… e niente mò mi restano gli altri volumi da finire o iniziare, invece che dormire.

ps Sempre m’è piaciuta fin da piccolo anche la massima o il proverbio “impara l’arte e mettila da parte” che qui ci sta a ehm, pennello…

ps2 poi dicono che il Professor Vittorio Umberto Antonio Maria Sgarbi, non ami le capre, ehm, qui le ha volute perfino in copertina e dentro ne parla anche (strano ma vero) in una maniera molto interessante con una certa dolcezza e positività…

ps3 ora posso tornare al libro che raccoglie i testi di diverse conferenze ed articoli apparsi anche su La Repubblica e L'Espresso nel periodo tra il 2000 ed il 2005 del Professor Umberto Eco per finirlo entro breve o quando capiterà…

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