editoriale di Isvd

"Tezuka nasce il 3 novembre 1928 a Toyonaka, nella prefettura di Osaka. All'età di cinque anni si trasferisce nella piccola città di Takarazuka. Da ragazzo lo appassionano anche il contatto con la natura e la vita combattiva degli insetti. Scriverà: «Tanto tempo fa, molti dei piccoli inferni che si svolgevano nei campi proprio vicino a casa mia mostravano la gioia del vivere, instancabilmente e nonostante tutto»."

Questa breve citazione, presa dal web, descrive nella maniera più opportuna l'immagine di Osamu T.

Il padre dei mangaka ha dedicato la sua vita al fumetto giapponese, ed è considerato dalla critica il più grande mangaka del ventesimo secolo. Colui che Shotaro Ishinomori( l'autore di cyborg 009, e molto altro) e Go Nagai( Devilman, Mao Dante, Violence Jack e Goldrake) chiamavano maestro, ha avuto una vita molto intensa e molto particolare. Ad esempio, una malattia chiamata micosi per poco non gli fa perdere l'uso degli arti superiori, ma la sua guarigione, lo convince a diventare un medico, professione che però non eserciterà mai perchè inizia scrivere opere d'arte in forma animata.

Black Jack, Astroboy e il leone Kimba sono solo alcuni lavori fra i tanti, ma il suo percorso artistico nel 1983 trova il suo culmine.

Essendo nato nel 1928, la seconda guerra mondiale, ha creato in lui un determinato senso della giustizia, che nel 1983 l'ha portato a realizzare questa opera monumentale che si chiama '' La storia dei tre Adolf''.

Partendo da una teoria mai comprovata che avrebbe previsto una parentela di Hilter con un lontano avo ebraico, Tezuka descrive le vicende di tre persone '' Adolf Hilter'', ''Adolf Kamil'' ebreo di origine tedesca che vive nella città giapponese di Kobe e '' Adolf Kauffman'' tedesco per metà giapponese perchè figlio di madre nipponica e padre tedesco.

A raccontare la vicenda, come personaggio narratore dell'opera, è Sohei Toge giornalista giapponese, che incontriamo all'inizio della storia in un cimitero davanti ad una tomba, la tomba di uno dei protagonisti.

L'opera di Osamu Tezuka è davvero monumentale perchè l'autore partendo da un vicenda interessante come l'esistenza di documenti preziosi che dimostrerebbero le origini ebraiche di Hilter, costruisce una serie di intrecci narrativi ed emotivi, che rendono la vicenda appassionante e ricca di colpi di scena. Tezuka gioca come un abile scrittore all'interno del canovaccio dell'opera perchè crea continui momenti di suspense che si alternano a momenti di riflessione sulla natura dell'uomo e della condizione umana.

Tezuka, attraverso quest'opera, vuole denunciare la miseria umana che lui è stato costretto a subire durante la sua giovinezza.

Molti mangaka, avendo vissuto nel giappone post bellico, hanno sofferto la povertà e la ricostruzione di un paese che ha subito per la prima nella storia l'olocausto nucleare, ma pochi hanno saputo creare un messaggio così diretto e razionale come quesllo di Tezuka.

'' La storia dei tre Adolf '' è un storia di denuncia, contro la guerra e l'ideologia, e per questo va considerata un'opera d'arte contemporanea.

Colui che avrebbe potuto vincere il proprio Nobel per la letteratura, e uno dei pochi a fregiarsi delle simpatie di Kubrick, rappresenta un faro per tutti i mangaka giovani e meno giovani, per capacità teniche e visive.

Tezuka ci pone una domanda con la sua opera, può un manga descrivere e analizzare l'ideologia che porta ad un conflitto?

La cultura manga esprime letteratura, '' La storia dei tre Adolf'' può essere considerata un'opera letteraria?

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editoriale di harlequin

Sono iscritto da eoni a Debaser, ma solo molto di recente sto diventando attivo. Come mai? Ma soprattutto come mai? (alcune arguzie di questo sito le de-amo tanto).

In realtà ciò che sta accadendo è che sto ascoltando in modo diverso la mia musica, cercando di approfondire alcuni album su cui avevo lasciato che si posasse la polvere, e ascoltando in modo più "studiato" (per quanto mi è possibile, visto che non sono musicista) gli album che già conosco bene. Il tutto facendo attenzione al periodo in cui un album è uscito. Per questo vengo più spesso su Debaser e l'appetito vien leggendo. Sto imparando a capire alcune dinamiche di Debaser, comincio ad intuire lo stile apprezzato e ciò che irrita (i luoghi comuni, il track by track, i doppioni che non aggiungono nulla, il concetto di "oggettività"...). Ma non ho ancora notato critiche nei confronti dei concetti di musica sopravvalutata e musica sottovalutata.

Per me questi due aggettivi sono... sopravvalutati! Eh, scusate la contraddizione in termini, ma credo che ci sia un abuso di questi vocaboli. Cosa intendo per "sopravvalutato"? Intendo che un gruppo o un artista sia valutato positivamente da più persone che, secondo me, merita. Certo, se qualcuno mi parla di Gangnam Style e il suo record di visualizzazioni sul tubo, magari posso considerare valido l'uso della parola "sopravvalutatissimo". Ma spesso è abusato, secondo me. Insomma, parliamone...

Gli U2 sono sopravvalutati, Ivan Graziani (sì, @1986, è colpa tua se oggi me ne esco con questo editoriale) è sottovalutato, ecc.

Finchè dico: mi fa schifo e mi meraviglio che piaccia ad altri. (o al contrario; mi piace tantissimo ma non capisco come non sia apprezzato su questo pianeta e su quelli vicini, satelliti ed astri compresi) ci può pure stare. Ma poi spesso si finisce col fare il salto della quaglia e si pensa, dice, scrive "Mi fa schifo e tutti voi che amate Costui/ei/oro non capite nulla, state facendovi abbagliare dalla bigiotteria" o "Fantastico! Ma bastardi voi che l'avete ascoltato e non ve lo fate piacere a forza".
Insomma, oggettivizzo la mia valutazione e la faccio diventare metro di misura per le altre. Io valuto, tu stai o sopra o sotto. Ma il mio parere è il discrimine. Ovviamente il mio e quelli che collimano col mio.

Personalmente limiterei molto l'uso di questi termini o mi farei qualche domanda quando mi viene da usarli (e capita anche a me, non sto facendo la lezioncina a nessuno, eh?).

Ed eccomi qua, con il mio primo editoriale; scusate la premessa più personale, spero sia un pensiero utile su cui riflettere e discutere. Tanti salumi a tutti!

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editoriale di Tucidide

Fa caldo.

Ho caldo.

Pure il mio cane ha caldo.

Ci rifugiamo in un centro commerciale.

Nel centro commerciale ci rifugiamo da Mekki.

Sul tabellone schifezze ordino una schifezza gelata.

Mi metto in coda e ritiro un cono gusto tipopanna. Sagomato bene, la crema ha una consistenza marmorea.

Il cane mi guarda. Un assaggio, solo un assaggio.

Appoggio il mignolo sulla punta del gelato. La crema è tornita, al tocco resiste.

Sguardo famelico, il cane insiste.

La supplica sussiste. Anche la bavetta persiste, agli angoli delle fauci amorose.

Sed non satiata, insaziabile gola di cane.

Affondo il mignolo sulla punta del gelato, scalfisco un angolo di crema, lo allungo verso le fauci.

La linguetta raspa la pelle. Ancora, eddai.

Cambio dito. Affondo l’indice.

Allungo di nuovo verso la lingua raspante.

In breve finisco le dita disponibili.

Il cane rassegnato mi segue fuori dalla coda di Mekki, mentre una tipa mi allunga uno sguardo sdegnato.

Dovrei dirle Oh tipa, desideri anche tu qualcosa da leccare?

Ma c’è sempre il rischio di essere preso in parola.

Fa caldo.

Tanto caldo.

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editoriale di splinter

Premessa: sì, lo so, i problemi della vita sono ben altri, ma ogni tanto bisogna trovarsi qualche finto problema su cui dibattere, il fascino del porsi interrogativi e cercare di dare spiegazioni è uno dei piaceri della vita. Per esempio...

Tutti ce la siamo fatta una partita a UNO, il celeberrimo gioco di carte colorate e numerate di casa Mattel, e lo abbiamo fatto nelle occasioni più disparate, in famiglia, a scuola nelle ore buche, a Natale al posto della noiosissima tombola, in spiaggia, alle grigliate.

Però… c’è un però…: praticamente nessuno calcola il punteggio come da regolamento, giuro, non l’ho visto praticamente fare a nessuno, qualsiasi gruppo che ho visto giocare si limitava semplicemente ad assegnare un semplice punto di chiusura a colui che esauriva per primo le carte. Ci ho giocato più volte con gli amici e con i compagni di scuola ma ho partecipato senza troppo entusiasmo proprio per questo motivo; una volta ad una grigliata ho detto “raga però si gioca con i punti!” e la risposta che ho ottenuto è stata un secco “ma quali punti, chi chiude un punto!”, un’altra volta, l’unica in cui io ed un mio amico siamo riusciti a far applicare il punteggio, l’altro amico diceva “ah perché esiste un punteggio?”, ma anche su YouTube si trovano diversi challange e praticamente tutti si concludono senza calcolo del punteggio, persino su Yahoo Answer ad un quesito su quanto valessero le carte al fine del calcolo del punteggio c’è chi ha avuto il coraggio di rispondere “non c’è nessun punteggio, chi vince ottiene un punto”, ma pure le versioni che giocavo anni fa su Facebook non lo applicavano.

In sostanza il punteggio non è mai entrato nell’immaginario collettivo dei giocatori di UNO, sembra siano in pochi a sapere che quando un giocatore chiude si prendono le carte rimaste in mano agli avversari e con esse si determina il punteggio, quindi che le carte numerate dallo 0 al 9 hanno il valore riportato sulla carta mentre quelle speciali colorate (SALTO, CAMBIO GIRO e PESCA 2) hanno valore 20 punti e i due jolly (CAMBIO COLORE e PESCA 4) hanno valore 50, e che vince chi arriva prima a 500 (oppure si può fare come a Scala 40, calcolando quanti punti rimangono in mano a ciascun giocatore ed eliminando chi man mano arriva a 500).

Per quanto mi riguarda trovo le partite a UNO senza punteggio vero e proprio assolutamente insulse, il gioco sembra proprio non avere un senso, uno scopo, se non quello di cazzeggiare, il gioco è assolutamente piatto e privo di imprevedibilità e veri e propri colpi di scena, viene meno persino il vero valore e la vera potenza delle carte speciali… Dove sta il coinvolgimento emotivo nel sapere che dopo una manche movimentata il fortunato vincitore si beccherà un misero punto? Non è più bello sapere che il vincitore potrà incassare dalla miseria di pochi punti fino a qualche centinaio avvicinandosi alla vittoria? Non è più coinvolgente cercare di sbolognarsi le carte più valorose per non lasciare punti agli avversari? Non dà più soddisfazione vedere che l’avversario è rimasto con un sacco di carte in mano (magari fatte pescare proprio alla fine del gioco) e che alcune hanno anche un certo valore piuttosto che dire semplicemente “chiuso” e beccarsi un misero punto? Non vi piace l’idea che da una manche all’altra tutto si possa ribaltare, l’idea di poter innescare un meccanismo di inseguimenti, di distacchi e rimonte come in una gara di motociclismo? Sincero, non vi capisco!

Però ho provato a fare delle ipotesi sul perché calcolare il punteggio a UNO non è prassi come dovrebbe. Vediamo. Potrebbe darsi che molti, dopo aver comprato la scatola di carte da gioco, non abbiano mai davvero letto, forse nemmeno cagato di striscio, il bugiardino in essa contenuto, che conoscano le regole soltanto perché tramandate di amico in amico, chissene se spesso inesatte; infatti si noti come oltre alla presunta inesistenza di un punteggio da calcolare si siano diffuse anche altre regole non previste dal regolamento ufficiale ma spacciate per basilari; una su tutte quella della possibilità di cumulare le carte di pesca, quindi di ribattere un PESCA 2 o un PESCA 4 facendo pescare all’avversario un numero spropositato di carte (6, 8, 10, 12) anziché pescare semplicemente le carte e saltare il turno come si dovrebbe, una regola che tutto sommato può anche essere divertente ma è bene sapere che si tratta di una variante, una regola peraltro recentemente sconfessata dalla stessa pagina Twitter del gioco con un tweet molto chiaro; molti pensano poi che non si possa né cominciare né chiudere con una carta azione, falsissimo, basta leggere il foglietto per scoprire che l’unica carta che non può aprire il gioco è il PESCA 4 e che se si chiude con una carta di pesca il giocatore successivo deve comunque prendere le carte, che contribuiranno anch’esse a formare il punteggio; o anche la totale libertà con cui viene giocato proprio il PESCA 4, ignari del regolamento che ne consente lo scarto soltanto nel caso non si abbiano carte dello stesso colore dell’ultima giocata, nonché della possibilità del giocatore condannato alla pesca di poter contestare la giocata, con tutte le conseguenze del caso…

Un’altra ipotesi potrebbe consistere nella natura spesso totalmente informale, leggera e scazzata del gioco, basti pensare ai contesti e alle modalità con cui solitamente si svolgono le partite: si gioca su un telo da mare, su uno striminzito tavolino da spiaggia o da pic-nic, su banchi di scuola uniti, su letti di hotel sgangherati, in momenti spesso morti e ristretti, il gioco viene poi organizzato in maniera assolutamente disordinata, con i giocatori disposti in maniera spesso non lineare e persino in posizioni scomode, persino il modo in cui viene trattato il mazzo degli scarti è discutibile, i giocatori scartano le carte allungando le braccia e gettando letteralmente la carta sul mazzo che dopo pochi scarti diventa un qualcosa di simile ad una discarica, un mucchio selvaggio che rende persino difficile capire qual è l’ultima carta giocata, manco si riesce a trovare quel nanosecondo necessario per sistemarlo (figuriamoci per calcolare il punteggio)… Sembrerebbe quindi che il gioco sia visto più come un semplice modo per ammazzare il tempo che un vero e proprio gioco in cui mettere impegno e concentrazione; infatti il gioco è accessibilissimo a tutti, facile da imparare e non comporta particolari strategie di gioco per vincere, non serve essere giocatori esperti o abili strateghi per vincere, vince semplicemente chi ha la fortuna di ricevere le carte giuste, non è come giocare a scopone o a briscola, dove bisogna metterci testa ed analizzare l’andamento del gioco e l’operato degli altri giocatori; non è un gioco per veri appassionati di giochi di carte, chi ama davvero i giochi di carte predilige le partite a burraco, a scala 40, a bridge o a poker e ci mette il 101%, si metterebbe quasi a ridere a sentire che vi state ritrovando per una partita a UNO; da sottolineare che il gioco è prodotto dalla Mattel, una casa che produce giocattoli, non certo specializzata in giochi di carte, non è la Dal Negro o la Modiano, ciò suggerisce che in pratica UNO non è nemmeno un gioco di carte ma più un gioco di società basato sulle carte, ma forse è addirittura un vero e proprio giocattolo che viene di fatto trattato come tale, non seriamente. Alla luce di ciò si direbbe quindi che il calcolo del punteggio verrebbe considerato dai più una perdita di tempo o renderebbe troppo seria una situazione che invece non lo è, inoltre la cifra di 500 punti (e qui mi riferisco a chi in qualche modo sa qualcosa a proposito del calcolo del punteggio) risulta probabilmente troppo alta e lunga da raggiungere agli occhi di ha deciso di cominciare una partita giusto per vincere la noia, preferisce quindi assegnare un punto al vincitore della manche e non fissare nemmeno un punto di arrivo in modo da poter interrompere il gioco non appena stufi… In un mondo fatto di spot dove non si ha pazienza e propensione all’ascolto e domina l’astio verso le cose lunghe capisci che un gioco che prevede di arrivare a 500 punti può risultare troppo lungo e anacronistico…

Ma sono tutte supposizioni che trovano il tempo che trovano, considerazioni che mi sono semplicemente venute in mente e che ovviamente non si pongono come verità assolute, non mi dispiacerebbe sentire il parere degli altri utenti in merito a questa questione. In ogni caso sappiatelo: se volete tirarmi in ballo in una partita a UNO, il punteggio si deve applicare, altrimenti cercatevi qualcun altro…

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editoriale di kloo

Era il 1997 ed avevo 8 anni la prima volta che lo vidi: ero con mio Nonno e lui era in Francia, noi seduti sul divano e lui sotto quel sole che stava rompendo le rocce. Ne avevo già sentito parlare e mio nonno, al nominarlo, si emozionava come un bambino di fronte alle caramelle. Era appena iniziata e già si stava salendo, ma lo spazio ed il tempo in quel momento erano relativi. Si sentiva spingere solo a voce, si vedeva il diavolo ed il colore giallo, l'aridità metro dopo metro.

L'anno dopo in Italia ho visto mille scatti ed un russo inflessibile cedere, mio nonno mi parlava di Kubler e di Koblet e li vedevo giganti e lontani, come il mondo del mio caro in Svizzera a lavorare per tornare con un pugno di mosche, o forse, nemmeno quelle. Poi nuovamente in Francia tra le montagne vidi il fossile, vedemmo tutti quel fossile: stavolta la pioggia, la bandana in testa e non erano più i secondi a scorrere ma i minuti, come quei fossili giganti e lontani. Il tedesco di ferro a capo chino e con la schiena spezzata avrebbe rischiato di saltare per aria l'indomani.

Torna l'estate e torna l'Italia, stavolta il fossile cannibalizza, mangia strada e mangia giovani prede. Ad Oropa vidi qualcosa che, se ci penso, non ci posso credere. Vidi un fulmine a ciel sereno, vidi un fossile volare, vidi una maglia rosa recuperare quasi un minuto.

Ma, qualcosa di grandioso non può che finire in maniera atroce, grottesca. Io ho amato tanto questo fossile, fossile come lo erano negli anni '50-'60-'70 anni dorati e mai dimenticati. Nel '99 passò per il mio paese e passò per ultimo, avevo 10 anni, alzai il mio cartello con scritto "Forza Pantani"; se ci penso, ancora piango.

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editoriale di Bubi

Il denaro dovrebbe essere un mezzo, dovrebbe servire a raggiungere la soddisfazione dei bisogni.

Mangiare, bere, istruirsi, distrarsi in vacanza, acqua potabile, farina, etc.

Ma oggi il denaro è diventato il fine e, col denaro come fine, le cose non possono andare bene. Non c'è più una distinzione fra beni necessari e beni superflui, esiste soltanto il mezzo necessario ad ottenerli, il denaro. Se essere ricco, ti dà la stima, la reputazione, l'onore, tutto il resto passa in secondo piano. Col consumismo, il denaro è divenuto la misura di ogni cosa.

Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale l’economia dei paesi occidentali attraversò un periodo di sviluppo senza precedenti, il benessere economico raggiunse quasi ogni famiglia. Era arrivato il boom o l'età dell'oro, si produceva e si doveva vendere. Anche i beni voluttuari, quelli non strettamente necessari alla sopravvivenza, all'alimentazione. La società dei consumi si fonda in larga parte anche sull’acquisto di questi beni superflui, lavastoviglie, telefonini sempre più complicati, playstation, automobili che sono solo Il segno visibile di una condizione economica privilegiata, etc, etc.

Alcuni beni sono indispensabili, l'acqua, il pane, ad es. Si producono, ma si tende a raggiungerli spendendo il meno possibile, quindi SI SFRUTTA chi lavora o si usano prodotti cancerogeni come i pesticidi, che hanno il pregio di consentire produzioni abbondanti. Inoltre, si può aggiungere che per trarre il massimo profitto, alcuni se ne fregano della dignità degli animali da allevamento. Basta andare a guardare dove "coltivano" i polli o le oche, queste vengono letteralmente ingozzate di mangiare (con l'imbuto), al solo scopo di far ingrossare il fegato. Tante persone amano il paté di fegato, quindi per venderlo si superano i propri principi morali (quando ci sono) e non si considera minimamente il rispetto che dovremmo avere per gli altri animali.

Immaginiamo che per tutta la vita ci siamo dati da fare solo per guadagnare denaro. Nel contempo, tutti gli altri aspetti della nostra esistenza sono naufragati perché non ci siamo presi cura a sufficienza della nostra famiglia, delle relazioni con gli altri e della nostra salute. Cosa avremo ottenuto?

Molto denaro e un effimera felicità legata alla ricchezza accumulata. Nient'altro.

[Ho scritto questo editoriale attingendo alla mia esperienza e, informandomi su internet]

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editoriale di sfascia carrozze

Oh!

Ma si da pozzu narai nà gosittedda?

Kustu kazz'è scimprotteddu fissu kistionendi senz'è narai nudda m'ari cagau su Kazzu.

Diaderusu.

Aiò!

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editoriale di sfascia carrozze

"Bei tempi, sospira Gesuino, quando solo i galeotti si tatuavano e l'Asinara era un'isola serena.”

E oggi?

Oggi la beatitudine dell'Asinara è tutta da dimostrare (se lo dice Gesuino Cuccureddu possiamo fidarci, che lì dentro c'ha passato mezza vita), ma in compenso si tatuano tutti, tranne qualche vecchio ergastolano in segno di civile protesta.

Poco importa se non si ha esattamente il fisico da adoni, più si è sgraziati e peggio ci si tatua, ovunque: dai maniglioni dell’ammmore ai popliti.

E sarebbe bellissimo se ci si accontentasse di un’ancora sul braccio, alla stregua del mitopoietico Braccio di Ferro.

Se le soubrettes d'alto borgo hanno le farfalline proprio lì, noi moderni cavernicoli replichiamo con le nostre aquile della Kamchatka, le nostre dee Kali dalle cento braccia: ogni millimetro quadrato a disposizione è pronto a competere con gli affreschi cinquecenteschi della Cappella Sistina.

Perché andare in estatico pellegrinaggio fino ad un lontano stato straniero, quando per sfidare un qualsiasi Leonardo basta semplicemente denudarsi e riflettersi allo specchio?
E chi se ne importa di come ci si sarà ridotti tra qualche anno, con la pelle che si sciupa teoricamente molto prima del cervello.

Mi TATTOO, Ergo Sum.

L'infestazione dei tatuaggi ormai è divenuta peggio dell'invasione biblica delle locuste: e questa autentica ossessione per l'immagine del corpo non riguarda solo le giovani generazioni.

Un’ossessione trasversale che vanamente spera nel miracolo della bellezza eterna, ma che spesso è l'esatto contrario dello stile, dove le muse ispiratrici sono le nuove e uniche Divinità scese in terra, i depositari unici dell'eleganza dei nostri tempi: i calciatori.

Dagli ormai desueti tribali maori si è giunti alla raffigurazione del giudizio universale, alla intera guerra delle galassie, passando per Thor, Heidi e Tiramolla.
Siamo al corpo-bacheca ingolfato di messaggi, scritte e ammennicoli grafici illeggibili assortiti.

Effigi rupestri in corsivo, in latino, in carattere Morse senza tralasciare il sempreverde cuneiforme.

Di tutto di più: dai nomi della prole, a quello del cane, a quello degli amici degli amici per arrivare al protagonista del film che ti ha fatto ridere: magari solo perchè ti eri scolato un paio di gin-tonic più del solito.

Il limite al peggio è sempre lì da dover essere oltrepassato, si sà.

Le mortifere “frasi motivazionali” che in teoria dovrebbero dire agli altri chi siamo veramente: ma non sarebbe molto meglio dirlo con parole tue?
Sui corpi martoriati a colpi di macchinette e aghi ogni estate in spiaggia ci si può fare una autentica cultura: forse è per questo che l'editoria è in crisi.

Chi si tatua Platone o Epitteto sul gomito probabilmente non ha mai letto una singola riga nè dell'uno tantomeno dell'altro: ma chi se ne importa.
Ciò che conta è quello splendido, incomprensibile, ghirigoro che fa bella mostra di sé e che ti è costato lo stipendio di intere settimane, mesi, anni di lavoro.
Intere generazioni in lotta per l'ottenimento di una paga non troppo miserabile e qualche diritto sacrosanto, buttate nel cesso. O sull'altare del prossimo scarabocchio.

Comunque se questo inutile DeEditroiale Vi è piaciuto leggerlo come a mè è garbato (tra)scriverlo, mi permetto un suggerimento: tatuatevelo sul corpicino inerme, un paragrafo alla volta, dove meglio ritenete opportuno.

UH!

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editoriale di Bubi

Mi chiamo Giorgio e non sono del lago maggiore, abito in un casolare di campagna, vicino ai Castelli Romani. Vi racconterò del mio amore per i gatti, di Faustina e un cappuccino. La casa dovrebbe essere un'oasi di benessere, anche se, a volte, nei romanzi gialli può essere teatro di atroci delitti o, nelle fiabe, è spesso la casa degli orrori. Nella mia, niente di tutto questo, ci sono solo animali docili, galline, caprette, piccioni, ma soprattutto gatti. Tanti trovatelli inselvatichiti, che sarebbero finiti male, se non li avessi adottati. Amo i gatti e le donnine grasse. Concedetemelo, sono le uniche ricompense che mi sono regalato da quando sono in pensione. Faustina soddisfa pienamente le mie esigenze di bellezza, è alta un metro e mezzo e pesa centodue chili. Per qualche motivo, odia i gatti ed ho sempre pensato che non me se filasse pe' niente, per giunta, ama oltremodo il cappuccino. A me il cappuccino non piace, in quanto ai gatti, lo sapete. L'ultimo che ho accolto, era in uno stato pietoso, era triste e le zecche lo divoravano, l'ho curato e adesso sta bene. Ovviamente l'ho chiamato Zac.

Dovevo capire che sentimenti provava il mio riccioluto amore, e se non erano quelli che desideravo, volevo conquistarla. Quindi, la invitai a bere un cappuccino nel mio rustico. Non badai a spese e comprai la miscela migliore, si chiamava "Aroma del mattino di suor crocifissa". Era fatto in maniera artigianale e costava, ammazza se costava. Ma erano soldi ben spesi se servivano per convincerla ad accettare il mio invito. Quel mucchietto di carne soffice, mi piaceva così tanto, che le dissi che quel coacervo di pensierini zuccherosi che lei chiamava "poesie" erano versi bellissimi. Gliel'avevo detto mentre mi eccitavo a sbirciarle tra le coscie. Ero così perso in lei, che l'idea di baciarle i piccoli piedini con le unghie dipinte, mi faceva stare bene tutto il giorno. Mi veniva bene idealizzarla e spasimare per lei, non era faticoso e durava a lungo. Ma, tutto sommato non bastava, mi mancava tanto il BACIO. Allora mi decisi a farle la dichiarazione. Mentre procedeva sulla stradina che portava a casa mia, la guardavo da dietro i vetri. Camminava a disagio sul ciottolato, lottando a ogni passo per rimanere in piedi. Non mi sembrava un difetto, anzi, aumentava il desiderio che provavo per lei. Quando suonò il campanello sentìi un tuffo al cuore. Faustina era lì con tutte le rotondità al posto giusto, quel suo bel culone e quel musotto che era tutto da mangiare. Ma lentamente, a bocconcini. Era bellissima.

La bevanda era già pronta, gliela porsi. Si sedette. A fatica accavallò le sue belle coscétte ed iniziò a mescolare il cappuccio. Intanto io, mi sentivo come sui carboni ardenti. Avevo ingoiato almeno sei o sette tranquillanti e lei stava seduta imperturbabile e girava il cappuccio. Le dissi: «Quanto sei bella Faustina... io ti piaccio? Almeno un po'?». Non so se fece finta di non capire, o se non sentí davvero. Era presa completamente dall'arnese che faceva roteare nel liquido. Mentre girava, la schiuma arrivava fino all’orlo, sollevato dall’azione dell’utensile. Il bicchiere era ordinario, il cucchiaino opaco e consumato dall’uso. Si udiva il rumore del metallo contro il vetro. Tin, tin, tin, tin. Mentre carezzavo Zac, la tirai lievemente a me. Con lo sguardo perso nei suoi occhi, le dissi ancora che la desideravo, che un solo bacio sarebbe bastato. E lei girava e rigirava il caffelatte, tanto che si era formato un gorgo nel mezzo. Un Maelstrom. «Bravo, non devo neanche assaggiarlo per sapere che è buonissimo. Capisco subito che è una perfetta combinazione di colori, sapori e aromi», replicò senza considerare la mia avance. Seduti l'uno di fronte all'altro, io aspettavo una risposta adeguata, lei continuava a sorridere e girare il caffellatte. Disse: «Lo zucchero non si è ancora sciolto». Per dimostrarmelo dette dei colpetti sul fondo del bicchiere. Subito riprese con rinnovata energia a mescolare metodicamente il cappuccino. Gira e rigira, senza fermarsi mai, e il rumore del cucchiaino sul bordo del vetro. Tan, tan, tan. Di seguito, di seguito, senza posa, eternamente. Gira, e gira, e gira, e rigira. Guardava me, guardava il cappuccino e sorrideva. Era dolce come quello zucchero che sembrava non volersi sciogliere.

Appoggiai teneramente la mano sulla sua spalla e feci un altro approccio, giocherellando coi suoi riccioli. Si rigirò come una tigre. Non sorrideva più. «La vuoi smettere!? Voglio bere il cappuccino!!» urlò. «Ma come puoi dare tutta sta importanza ad un cappuccino?» pensai. «Meglio morire che essere sfiorata da te!» aggiunse inviperita. Non avrebbe dovuto dirla quella frase, era come se m'avesse passato il trapano sul nervo. Ogni espressione, anche la più insignificante, sparì dal mio volto. M'apparve per quel che era. Brutta, un insulto al creato. Mi sembrò di vederle uscire delle mosche dalla bocca. «Meglio morta che essere sfiorata da te» si era permessa di dire. A me. A me che sono bello, intelligente e nei cassetti ho sempre i coltelli molto affilati. Dovevo farlo quell'atto di carità. Presi un Bowie con il manico in corno di bufalo e glielo infilai sotto l'ombelico. La aprii come fanno coi maiali al macello. Le budella uscirono dal buzzo e si sparsero sul pavimento. Dovrei sentirmi colpevole del fatto che avesse la pancia così molle? Che si fosse messa così a portata di mano? Dovrei anche sentirmi colpevole che era un pezzo di merda?

Zac balzò sul pavimento e iniziò a rosicchiare il fegato. Feci un fischio e gli altri venti gatti che avevo adottato arrivarono uno dopo l'altro. Billi, Joe, Piccina, Aisha, Coccolina e tutti gli altri si disposero attorno al corpo. La sgranocchiavano senza fretta, tenendo la coda ritta. Faustina piaceva anche a loro. Un po' di rimorso lo sentivo, ma l'idea di passare il resto dei miei giorni in prigione, era più angosciante del senso di colpa. In poche ore, del corpo sano, rimasero solo le ossa. Raccolsi le povere resta in tre o quattro sacchetti della spazzatura. Non era un gran fardello perché era tutta ciccia e lo scheletro pesava poco. Camminando per il Viale Manzoni, buttai i sacchetti in alcuni bidoni dell'immondizia. Tornai il giorno dopo e li controllai. Erano vuoti. (vuoti a Roma!! Credo di poter dire che quel giorno, Dio era ben disposto al miracolo). Ripensai a Faustina e scoprii che non sentivo poi tutta sta sofferenza. Quasi cento chili erano nella pancia di una ventina di gatti, ed ero più contento per loro che dispiaciuto per la brutta fine del mio perduto amore. In fin dei conti cos'è l'amore? Una dedizione appassionata fra due persone, volta ad assicurare la reciproca felicità? No. È più semplicemente una forma di egoismo. Temperato, regolato in modo da permetterci di vivere in armonia con la persona amata. Con Faustina questo non era possibile, per lei, il cappuccino era più importante di ogni altra cosa, anche dei nobilissimi sentimenti che avevo nutrito per lei. Prima di squartarla.

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editoriale di mrbluesky

In vita mia ho sempre passato le vacanze nelle seconde case, solo negli ultimi anni mi sono concesso il lusso di qualche soggiorno in albergo, ma volete mettere?
Le seconde case sono luoghi della memoria, non hanno visto i bambini crescere e nemmeno i vecchi morire, no. Loro stanno li da sempre e aspettano solo che qualcuno posi le valigie sullo zerbino e infili la chiave nella toppa per accoglierlo, come in un abbraccio, in quell' atmosfera irreale, dove il tempo sembra essersi fermato. Là, dietro la porta, lo spazzolone con lo straccio ormai rinsecchito che qualcuno aveva passato prima di partire e poi, alzando le tapparelle, ecco che ogni cosa, ogni oggetto si risveglia, pigramente, come da un lungo sonno.
Del resto, si sà, finiti i soldini per comprare la casa restava poco per arredarla, e cosi ecco ogni anno il solito campionario di oggetti recuperati chissa dove, o saggiamente occultati dalla vista di tutti i giorni (perche spiace buttarlo via). Come lo splendido vaso beige con intarsi in pietra verde che troneggia all'entrata, un mobile in bambù a fianco di uno in ferro battuto; in bagno, specchio in Moplen, acqua di colonia che nessuno ha mai nemmeno osato aprire, rasoio Remington ricordo dello sbarco degli alleati, boccettino collirio Stilla scadenza ottobre 1973. In cucina stelle marine appese e l'immancabile orologio con Ancora in rame e termometro, immagini di Saronni e Bitossi sulle piastrelle, in camera, stampe vecchia Milano e quadretto ricordo di Canazei, anche se dalle finestre si intavede il mare. Ma non andava meglio in montagna; all'ingresso bastoni da passeggio recuperati nel bosco e cerate tascabili, in camera Madonna con rosario in onice (peso 25 chili) e, unico soprammobile, una scatola di veline (valore 80 centesimi di oggi) che però non si potevano adoperare perche profumavano l'ambiente. In cucina pentole deformate, tovaglia in plastica con bruciatura di sigaretta, bicchieri scompagnati, radio onde medie rivestita in cuoio, settimana enigmistica dell'86 con schema in bianco ancora da completare, posacenere in plastica Cinzano preso (in prestito) da chissà qualche osteria.
Se non fosse vero sembrerebbe un film di Fantozzi, ma io vi voglio ringraziare lo stesso cari nonni che non ci siete più, per averci regalato comunque un infanzia così felice.
Buone Vacanze!!

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editoriale di Bubi

JFK è generalmente considerato un politico illuminato e lungimirante. Ma fu presidente per due soli anni, dal 61 al 63, un periodo troppo breve per esprimere un giudizio netto. Il fallito assalto alla baia dei porci (volto a rovesciare il regime di Fidel Castro) è da ascrivere alla sua indeterminatezza, la conseguenza fu la crisi missilistica coi russi che portò il mondo sull'orlo della guerra nucleare. Vediamo di provare a capire cosa c'è dietro la sua elezione e anche la sua morte. Sono due le figure che hanno determinato il suo destino. Anzitutto il padre...

Joseph Patrick Kennedy Sr. era una figura di spicco del partito democratico, ed anche uomo d’affari di successo. Fece fortuna acquistando e fondendo insieme diversi studi cinematografici e contrabbandando alcool durante il proibizionismo. Dal 1938 al 1940 fu ambasciatore degli Stati Uniti, nel Regno Unito. Aveva la ricchezza, l’influenza e le connessioni giuste per raggiungere la Casa Bianca. Tuttavia la simpatia che nutriva verso Hitler, indussero Roosevelt a richiamarlo in patria. Così, l'ambizioso patriarca della famiglia più famosa degli Stati Uniti, spostò sui suoi figli, il desiderio di diventare presidente degli Stati Uniti. Dopo la morte del primogenito in un incidente aereo, si concentrò sulla carriera politica del suo secondo figlio, John Fitzgerald Kennedy.

Sam Giancana, fu uno dei più potenti boss mafiosi americani. Iniziò la sua carriera criminale negli anni venti. Ex guardiaspalle di Al Capone, divenne uno dei boss mafiosi più ricchi e potenti negli USA degli anni sessanta e capo indiscusso della temutissima “Chicago Outfit”. Personalmente ritengo verosimile che sia stato Joseph P. Kennedy, (tramite Frank Sinatra) a mettersi in contatto con Sam Giancana, per ottenere i voti che gli poteva procurare il boss di Chicago. Molti giornalisti che si sono occupati del caso, affermano che sia stato il principale artefice della vittoria John Fitzgerald Kennedy alle elezioni del 1960. Gli storici, che hanno rivisitato le liste elettorali, calcolano che 15 mila morti abbiano votato, così Kennedy vinse con 9 mila voti di maggioranza. Il Boss di Chicago sperava di poterne trarre vantaggio, ma...

... dopo l'elezione, JFK nominò suo fratello Robert ministro della giustizia. Come prima iniziativa, Robert Kennedy accelerò la campagna contro il crimine organizzato. Durante il suo mandato, le condanne contro i mafiosi aumentarono in modo esponenziale. Questo non fece piacere a Sam Giancana. Il boss di Chicago aveva l'audacia e i mezzi per compiere l'attentato a JFK. il vero assassino del presidente è presumibilmente John Roselli, "Handsome Johnny". Fonti ben accreditate rivelano che fu lui a sparare con un fucile di precisione, su ordine del suo capo. Giancana sarebbe stato anche reclutato dalla CIA per assassinare il nuovo leader cubano Fidel Castro che aveva preso il potere nel 1959. Il piano tuttavia non fu mai messo in atto. Con riferimento a quell'episodio, Giancana ebbe modo di affermare spavaldamente che la mafia e la CIA erano due facce della stessa moneta.

Secondo lo: United States House Select Committee on Assassinations, (un organo istituito nel 1976 per investigare sulle circostanze della morte di John Fitzgerald Kennedy e di Martin Luther King). Giancana è ritenuto il mandante dell'assassinio del presidente Kennedy.

C'è anche la versione di Judith Exner, moglie dell'attore William Campbell. La riporto anche se non la ritengo molto attendibile. Nel 1975 dichiarò che era stata l'amante di John Kennedy. "La notte prima delle primarie in New Hampshire ci incontrammo all' hotel Plaza di New York", ricorda. "Facemmo l'amore tutta la notte. John non mi parlò una sola volta di politica. Era un amante molto attivo". La Exner dice che Kennedy era avido di pettegolezzi su Hollywood e in particolare su Sinatra. Quando seppe che Sinatra conosceva Sam Giancana, Kennedy chiese all'amante di procurargli un incontro con il boss mafioso. Il meeting avvenne all' hotel Fontainebleau di Miami, in piena campagna elettorale: secondo la Exner, il candidato chiese l'appoggio e i soldi della mafia per la sua campagna. John Kennedy non sarebbe mai diventato presidente senza il nostro aiuto, le dirà in seguito Sam Giancana.

Ho letto alcuni alcuni articoli sui rapporti tra I Kennedy e Giancana, mi sembra interessante riassumerli in un editoriale, perché non ho mai creduto che Lee Oswald fosse stato l'unico esecutore dell'omicidio. Però queste furono le conclusioni a cui giunse la commissione Warren istituita nel 1963 dal Presidente Lyndon B. Johnson.

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editoriale di Bubi

Idi Amin Dada, prese il potere con un colpo di Stato nel 1971, approfittando dell’assenza del Presidente Milton Obote. Alto due metri ed ex campione di pugilato, si riteneva in grado di controllare i coccodrilli col pensiero. Tutti gli stati europei e gli USA, sottovalutarono la natura di un regime che, secondo alcune stime, portò alla morte di oltre 300 mila persone, eliminate da squadroni della morte. L’11 aprile 1979 si concluse questo tragico regime: L’esercito della Tanzania, raggiunse Kampala, la capitale dell’Uganda. Idi Amin Dada riparò in Arabia Saudita, dove visse in una lussuosa villa, per altri 14 anni, insieme alle sue quattro mogli e a circa trenta figli. Nell'immaginario collettivo, il nome del dittatore ugandese significa ancora megalomania, crudeltà e stravaganza ai limiti della follia.

Quando i giornalisti gli chiedevano di rispondere alle accuse di cannibalismo, rispondeva: «Non mi piace la carne umana. È troppo salata».

Il titolo ufficiale che decise di adottare per sé nel 1977 era: “Sua Eccellenza, presidente a vita di tutte le bestie sulla terra e dei pesci nei mari... ”.

Alla regina Elisabetta scrisse: «Ho saputo che l’Inghilterra ha problemi economici. Sto inviando una nave piena di banane per ringraziarvi dei bei giorni dell’amministrazione coloniale».

Quest'ultima frase, rivela in effetti cosa ci fu dietro le sciagure del continente Africano: Colonialisti BIANCHI e dittatori NERI.

Di seguito, con l'unico scopo di far riflettere sull'immane disastro del colonialismo, riporto solo una parte dei dittatori africani.

Il congolese Sese Seku Mobutu, salì al potere nel 1960 con l’appoggio degli USA e del Belgio.

Jean-Bedel Bokassa, fu il dittatore dell'Impero Centrafricano, (impero fu aggiunto da lui stesso).

Ian Smith, guidò la secessione della Rhodesia (l’attuale Zimbabwe) dall’impero britannico nel 1965 con l’intenzione di preservare il comando da parte dei bianchi, in una colonia a grande maggioranza nera. Nel 1980 fu sostituto da Mugabe, "l'ultimo re politico africano" che governò in modo dittatoriale per 37 anni.

Michel Micombero, aveva 26 anni quando, nel 1966, guidò il colpo di stato che lo portò alla poltrona di primo ministro in Burundi.

Francisco Macías Nguema, primo presidente della Guinea Equatoriale era un cleptocrate paranoico, teneva la gran parte delle ricchezze del paese in valigie sotto al letto.

Teodoro Obiang, dittatore della Guinea Equatoriale.

Theodore Sindikubwabo, ha poca responsabilità personale nel genocidio del Ruanda, l’ex pediatra era però la testa ufficiale di un governo che perpetrò lo sterminio di circa 800.000 persone.

Isaias Afwerki, realizzò una delle dittature più atroci in Eritrea.

Yahya Jammeh, presidente del Gambia costituì uno degli stati più oppressivi sulla terra.

Siad Barre, dittatore militare socialista della Somalia.

Dos Santos, fu alla guida dell’Angola per 38 anni.

Circa due terzi degli Stati africani sono stati guidati da presidenti che governano in modo autocratico per più di due, tre decenni. Dal Ciad al Congo, passando per Gabon, fino in Africa australe, sino all’ultima monarchia assoluta e tiranna di re Mswati III di Swaziland.

Saddam Hussein in Iraq e Muʿammar Gheddafi in Libia, sono i più conosciuti in Italia... Lascio perdere tutti i dittatori del Sud America, dell'Indocina e del medio oriente per non fare una semplice lista di nomi.

(Dopo aver letto tre o quattro articoli sui dittatori africani e sul colonialismo, ho ritenuto interessante riassumerli in un editoriale)

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editoriale di ALFAMA

non sono sicuro se questa è la pagina più adatta per parlare del mio problema..Il mio pisicologo non non riescesce a darmi tranqyuillitità. i medici nulla. .Si parla di una cosa che ancora ai nostri giorni se non sai navigarare da solo sei solo

Cerco di farla semplice, da anni cerco di leberarmi da una fortissima dipendenzza eroina. coca, farmaci vari. Con la roba sono orma pulito i, dem per la svelta. Il mio problema sono i farmaci .a mia vera droga stastale. Premdo 40 mg di metadone denza essere in terapia,, 6 mg Xanax a gior, coma antidepressivi pappo 40 mg di Prozac ora sostituiti con Paroxatina +pregabalalin, , antidolorifici oppiaccei ( Mai usato L'ago) e di giorno mi bevo quasi un fraccccine si sinniffero

Ultimamente ho aggiunto il Rivotril 2m , solo chi ha fatto uso di Rivrtril può capire in quale inferno ti trov. . Molli la roba ma l'imferno è lo stesso.

I , medici non capiscono non capiscono in quale paratro priscologico ti trovi. per non parlare dei dolori. , le sue direttive sembrano fatto fa chi non sa di che parla, estranei al problema.

Il Rivotril è infernale, ma quando sei inscimmiatto , ognoi 2 giormi l'umica fuga no Antidolororogici e 4/6 rivotril, ho on pio di overdose alle spalle e non pblattero quando dicco che il sonno senna uscita è l'unica soluzione.

Il mio inferno ormai dura 15 anni, un serie di medici , pisichiatri e pisicologi che mi hanno scaricato.

ELIMINATI TUTTI GLI ERRORRI.non auguro a nessuno di sentirsi come me., una MERDA

Vorrei della pagine amiche che facciano sentitrmi meno solo. soffrire di meno con qulche trucco che non conosno, e qualche paoola amimca che fa tanto bene.

Una parola amica un acarezza sincera immginata ti tira su pìù di quanto immaggini.

ANCHE QUESTE SERVONO MOLTO PIU' IMMAGINI , UNA CARREZZA di UN?AMICO.

SPERANNDO CHE NON SIA SOLA, MA UNA MELLA RIDENTE COMPAGLIA

GRAZIE e CON LA SPERANZA SI CHIAMARVI "AMICI"

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editoriale di Stanlio

Non me ne vogliate cari amici del DeBasio se mi scappa da scrivere su quel che mi diverto a leggere e a farvene poi partecipi, ma avendo pochi contatti col mondo esterno a parte il lavoro c/o il ministero, cerco affetto e stimoli dove posso e nel dubbio pure qui sul DeBbio, come dicono in sicilia “cu va pi chisti mari chisti pisci s’a da pigliari”

Ordunque veniamo al contenuto della presente, in queste ultime settimane ho scaricato aggratis una caterba di ebook (ehm, centinaia…) da un sito italiano che presumo chiuderanno presto, non credo che riuscirò a leggerli tutti in questa vita, vista la mia modesta velocità di lettura ed i tempi ritagliati a lei dedicati, però intanto ho creato una piccola biblioteca privata da cui attingere di volta in volta qualcosa da leggere per passare meglio il tempo, tra i tanti libri offerti m’è venuto il ghiribizzo di calarmi nell’arte pittorica et scultorea (per iniziare a conoscerle un po’ di più), descritte in 4 o 5 volumi dal critico Vittorio Sgarbi, e di cominciare a leggermene uno a caso, ovvero “Dall'ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo. Il tesoro d'Italia. Vol. VI” quello che qui descriverò.

Tenete presente che prima di iniziarlo stavo già leggendomi una cosa totalmente diversa che nulla ha a che vedere con Sgarbi (a parte l’esser entrambi Professori) o l’arte, e cioè “A passo di gambero: Guerre calde e populismo mediatico” by Umberto Eco di cui Vi farò grazia non recensedolo affatto, insomma ho terminato prima “Dall'ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo” nonostante le sue XXVI + 574 pagine e illustrazioni a colori contro le 368 pagine senza illustrazioni di Eco, di cui sono arrivato appena a metà mentre scrivo, quindi se mi scappa qualche cenno sui conflitti in Iraq o in Afghanistan, o sul World Trade Center e le sue Twin Towers, (ma non credo che vi accennerò a meno che non vengano citate le sculture danneggiate per sempre nei paesi medio-orientali dai terroristi col cervello dislavato e ormai del tutto fuso, che sperano così di ottenere illusori benefici ultraterreni nell’aldilà presunto dove li attende anche un harem con decine di vergini a testa con cui poi sollazzarsi) non badateci più di tanto, comunque starò attento a che ciò non accada, promesso.

Sgarbi scrive abbastanza frettolosamente di vari artisti intorno al periodo “seicentesco”, soffermandosi appena su alcuni dei loro trascorsi ed alcune delle loro opere e comparandoli spesso a Caravaggio e/o a Tiepolo, preferendo (Sgarbi) però molti dei “minori” e semi sconosciuti ai più e detenendo (cioè avendole acquistate) anche alcune preziose opere, (nella sua collezione privata) scovate qua e là nei suoi peregrinaggi museali e chiesistici in Italia, in Europa e financo negli States, a volte va in sollucchero per delle sfumature o degli abbinamenti di colori e altrettanto per i temi perlopiù biblici dove la fanno da padrone la madonna, San Giuseppe, Gesù bambino (ehm, circonciso, e poi ci avanza di criticare i sopradetti popoli di cui fanno parte anche i terroristi per la loro pratica secolare della circoncisione… o altre pratiche che qui in occidente non ci siamo mai fatti mancare), Maria Maddalena, San Giovanni decollato e i San Sebastiani vari o le sante in estasi, temi mitologici grechi o romani e a volte (poche) temi contemporanei, legati alla vita reale del popolo con le loro abitudini o arti e mestieri e ritratti di gente comune e di nobili personaggi.

Alla fin fine di quel che ho letto m’è rimasto poco o nulla dentro se non la voglia di approfondire meglio quell’arte di cui Sgarbi con le sue scarne descrizioni m’ha invogliato a conoscere meglio per capire chi eravamo e perché siamo diventanti in parte ciò che siamo, leggendo di questi artisti e del mondo in cui vivevano, i più stentatamente e alcuni fortunati nella ricchezza a discapito di quei più… e niente mò mi restano gli altri volumi da finire o iniziare, invece che dormire.

ps Sempre m’è piaciuta fin da piccolo anche la massima o il proverbio “impara l’arte e mettila da parte” che qui ci sta a ehm, pennello…

ps2 poi dicono che il Professor Vittorio Umberto Antonio Maria Sgarbi, non ami le capre, ehm, qui le ha volute perfino in copertina e dentro ne parla anche (strano ma vero) in una maniera molto interessante con una certa dolcezza e positività…

ps3 ora posso tornare al libro che raccoglie i testi di diverse conferenze ed articoli apparsi anche su La Repubblica e L'Espresso nel periodo tra il 2000 ed il 2005 del Professor Umberto Eco per finirlo entro breve o quando capiterà…

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editoriale di POLO

Un po’ di dischi del 2019 passati velocemente in rassegna. I voti possibili sono OK, se l'album è bello, e NO, se fa schifo.

Vampire Weeeknd - Father Of The Bride - Dalla Columbia University al Mali, dal fumo di New York all’altare. E quindi a Gerusalemme, di nuovo a New York e infine a Berlino, ma mica a ballare. E non è che ci sia molto altro da dire su quest'album, se non che delle 100 canzoni pop più belle scritte nel corso di questo decennio, almeno 10 sono contenute qua dentro. Le altre otto sono comunque bellissime, a parte una sola, ma cercare di capire qual è di certo non renderà più bello quel disco dei Cure che tanto decantate e che altrettanto ha già rotto il cazzo. OK

Solange - When I Get Home - Solange Knowles ha indovinato un paio di canzoni belle da morire nella sua carriera e, manco a dirlo, adesso si crede l'Aretha Franklin di questa fluida generazione tutta queerness e dischi R&B che, più scatafasciano le balle, più sembrano piacere alla gggente. Agli americani che gli frega di guardare in tv il Giro d'Italia? Ecco, quindi a me che dovrebbe fregare di ascoltare questi trentaquattro minuti di lamenti art-soul pro-black power senza capo ne coda? Me ne frega, quindi state su di dosso, voi, i vinili e il trentennale di “Disintegration”. OK

Coma Cose - Hype Aura - Nel caso non si fosse capito dalla recensione precedente, il Giro d'Italia scassa la minchia, ma mai quanto ascoltare due zanza all'incrocio tra i Prozac+ e Luca Laurenti che, forti di un retaggio mezzo-rave e mezzo-cantautorap, si sentono autorizzati a farmi una pera di acido fluoridrico nelle orecchie a suon di slogan da giovani marmotte tipo "mio nonno è tropicale/ quindi ho un avo-cado". Ma se io ho un cane che è mio, quello sarà un d'io cane? NO

Massimo Volume - Il Nuotatore - Ho deciso di smontare i Massimo Volume a colpi di De Gregori. Emidio Clementi e compagnia sono delle persone facili che non hanno dubbi mai, ma sul palco portano la loro valigia dell'attore, e con gli occhi sudati e le mani in tasca fingono e recitano il loro ultimo discorso registrato. Peccato, però, che abbiano nella punta delle dita poco jazz, poche ombre nella vita. Quindi arriviamo Adelante! Adelante! al punto, perchè se è vero che gli aerei stanno al cielo come le navi al mare, De Gregori sta alla poesia come questo disco alla merda fumante appena sfornata. NO

Izi - Aletheia - A differenza di tanti eruditi colleghi della musica italiana che eruditi non sono, Izi sa scrivere. Per dire, quasi nessuno oggi riesce a buttare su carta cose come “quando sono nato non avevo pelle addosso/ ed ero penna e inchiostro in connessione con qualcosa”, barre che spolpano la carne del concreto fino a giungere a un’astrazione di dura matrice ossea. Ma in generale, “Altheia” è un disco introspettivo e coraggioso, che snobba con classe le leggi dello streaming dozzinale mostrando allo stesso tempo un bel dito medio in faccia a chi dava a Diego del rapper finito. O a chi non lo conosceva nemmeno, tipo voi. OK

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editoriale di De...Marga...

"Siamo fatti di emozioni. Cerchiamo sempre delle emozioni. E' solo questione di trovare il modo per provarle. Ci sono molti modi per provare un'emozione e c'è solo una cosa particolare che la Formula 1 può fornire. Siamo sempre esposti al pericolo. Pericolo di farsi del male. Pericolo di morire." (Cit. Ayrton Senna)

"Dov'eri quando è morto Ayrton Senna? Prova a fare questa domanda a chiunque. Ciascuno ti risponderà descrivendoti un luogo, il momento preciso." (Lucio Dalla, Bologna 1996).

Hai ragione Lucio; hai perfettamente ragione. Ricordo benissimo quel 1 Maggio del 1994...però devo tornare ancora più indietro. Devo ritornare al Gran Premio di Montecarlo del 1984 sotto un diluvio universale. Ayrton era al suo primo anno in Formula 1; gareggiava con una Toleman, vettura di categoria inferiore rispetto alla concorrenza. Strabiliò il mondo con la sua guida, galleggiando su di una pista resa ancora più insidiosa da una pioggia che non dava tregua. Recuperava 6 (sei avete letto bene) secondi al giro ad Alain Prost che conduceva la gara. Lo avrebbe ripreso, lo avrebbe superato; ma d'improvviso si decise di sospendere la gara e non ci fu vittoria per Ayrton; "soltanto" un secondo posto. Ma si fece notare, tutto il mondo sportivo dell'automobilismo capiì che il ragazzo di San Paolo aveva la stoffa da campione.

Da quel giorno mi innamorai di Ayrton come raramente mi è capitato nei confronti di un uomo dello sport; soltanto Michael Jordan e Roger Federer possono competere. Da quel giorno credo di non essermi perso nemmeno un Gran Premio di Formula 1; con le mitiche telecronache sulle reti RAI di Mario Poltronieri. Duelli sanguigni prima con Piquet, poi con Prost e Mansell; ho gioito per le sue vittorie; ho goduto per i suoi tre titoli di campione del mondo. Emozioni che conservo ancora dentro di me.

Ricordo benissimo...

Poi arrivò il 1 Maggio del 1994; mio suocero era ricoverato in un centro di cura per dimagrire sulle alture di Verbania. Dovevo accompagnare Marina e sua madre a trovarlo; non senza una certa dose di dispiacere perchè, per la prima volta, non potevo vedere il mio Ayrton in diretta. Quindi non seppi dell'incidente, non c'erano telefonini, non c'era internet. Rimasi all'oscuro della tragedia fino a quando rientrai a casa, in quella casa di un mio precedente editoriale a Pieve Vergonte.

Mio padre mi raccontò; da pochissimi minuti era giunta la notizia ufficiale della morte di Ayrton; si spense la luce per me. Ho dei nebulosi ricordi su come ho reagito; fu comunque devastante. Avevo la camera tappezzata di poster; prima di Gilles Villeneuve, poi di Ayrton.

Per me la Formula 1 è finita quel giorno; certo ho continuato a seguirla...ma non è mai più stata la stessa cosa.

Ayrton o lo amavi alla follia o lo odiavi.

Era una bestia in pista, non aveva pietà per nessuno; un vincente, che voleva soltanto tagliare il traguardo per primo.

Maniacale nella preparazione fisica, abilissimo nel trovare le soluzioni ideali per l'assetto sulle varie piste. Arrivava dal kart e dalle formule minori; si era formato battagliando con chiunque. Sempre cercando di essere al comando, da subito, dalla prima curva. "Se sei davanti non hai problemi con i sorpassi, a parte i doppiati. Non hai davanti nessuno ed i cartelli che espongono dai box puoi leggerli meglio". Così diceva.

"Non esiste curva dove non si possa sorpassare".

"Arrivare secondo significa soltanto essere il primo degli sconfitti"

"Non saprete mai come si sente un pilota quando vince. Quel casco nasconde sentimenti incomprensibili".

Queste alcune delle sue citazioni più famose. Ma ce ne sono a decine.

Aveva anche una fede incrollabile; molto spesso parlava del suo rapporto con Dio, con la religone. Ma lo faceva senza essere tedioso; lo faceva perchè era onesto e sincero.

Raramente sorrideva; mi ha sempre dato l'impressione di una persona triste, almeno quando gareggiava. Ma non era così; ci sono tantissimi filmati dove lo si vede amare la vita, sorridere, divertirsi nel suo Brasile.

Con la sorella Viviane iniziò a pensare di creare una fondazione a suo nome per aiutare la sua gente, la sua povera gente ed in particolare i bambini. Tutto ciò divenne cosa concreta pochi mesi dopo la sua morte; una fondazione che ancora opera tutt'oggi in Brasile e non solo.

Qualche anno fa sono stato ad Imola alla curva Tamburello dove è avvenuto l'incidente. C'è un monumento, una statua di Ayrton che lo ricorda; commozione tanta. Ho incontrato delle persone che arrivavano dalla Russia; come me hanno lasciato uno scritto sulla rete che separa il parco dalla pista.

Volevo andarci anche quest'anno ad Imola; per i venticinque anni...non ne ho avuto il coraggio. Sono troppo emotivo.

Ho quasi concluso; vi lascio consigliando la visione in rete dei suoi tre CAPOLAVORI in Formula 1 che certificano indissolubilmente la sua infinita grandezza.

1) Gran Premio del Brasile 1991, la sua prima vittoria nel circuito di casa. E' in testa nettamente, una gara dominata. Ad undici giri dal termine il cambio si rompe, ed è costretto a finire la gara in sesta marcia!! Tenendo una mano sulla manopola del cambio per evitare la fuoriuscita della marcia ed il ritiro: uno sforzo gigantesco. Patrese alle sue spalle guadagna secondi su secondi; ma riesce a concludere in testa. Godetevi l'urlo impressionante sia del telecronista brasiliano, sia di Ayrton tagliato il traguardo. Sul podio è distrutto dalla fatica ma riesce ad alzare la bandiera del suo paese; un paese in delirio per il proprio eroe.

2) Prove del Gran Premio di Montecarlo 1988. Il suo è il giro perfetto nelle stradine contorte del principato. Una danza millimetrica, una precisione di guida che impressiona. Non c'erano tante diavolerie tecnologiche nella Formula 1 di allora. Rifila quasi un secondo e mezzo a Prost e più di due secondi a Berger. A detta di molti il giro di qualifica migliore di tutti i tempi!! Sono totalmente d'accordo.

3) Gran Premio di Donigton 1993. Ancora sotto il diluvio. Un primo giro leggendario; Ayrton è indietro nello schieramento di partenza e parte anche male. Alla prima curva è quinto con la sua McLaren; ma ci mette pochissimo a prendere confidenza con un asfaldo insidioso, viscido ed infido. Quattro sorpassi, uno dei quali all'esterno di una curva dove nessuno si sarebbe sognato anche soltanto di provarci. Al termine del primo giro è già in testa, lasciando dietro di se piloti del calibro di Prost, Hill e Schumacher. Trionferà con distacchi mai più visti in Formula 1.

Grazie Ayrton; oggi come allora.

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editoriale di paolofreddie

Il tipico cristiano moderno condanna, quanto e come può – con la più sentita e "dovuta" convinzione –, la violenza in tutte le sue forme: in generale, il dolore inferto o subìto. Senza pensare che la sua religione è tutta basata sulla violenza, a partire dalla sua storia, e dai suoi dogmi e insegnamenti.
Al di là dei buoni precetti - buoni ma retorici in egual misura -, per esempio l'amore verso il prossimo (mai, o raramente, messo in pratica, oppure messo in pratica ipocritamente), ecc., il Cristianesimo è lo "scenario" privilegiato per episodi paradigmatici di dolore, gratuito e non.

Solo che il dolore di Gesù Cristo, frustato, riempito di sputi, malmenato, crocefisso, rispetto a quello di un sadomasochista che si fa frustare; a quello di un ragazzo che, in prima fila a un concerto punk, si fa sputare addosso dal cantante; a quello di un boxer sul ring; a quello di un ragazzo che si fa legare, per scommessa, a un albero; insomma, il dolore di Nostro Signore Gesù Cristo, rispetto a tutte le altre “cavie umane”, è giustificato. Perché? Perché è sacrificio volto alla Redenzione e alla Salvezza dell'essere umano – e non un esercizio volto al piacere individuale o mutuale di più persone (!?).

Il tipico cristiano moderno può benissimo arrivare a possedere dieci croci, di diversa grandezza, una per ogni stanza della casa, per ogni comodino o mensola, tutte in egual modo simbolo del sacrificio di un uomo che è stato ucciso nella maniera più brutale possibile; ma condannerà puntualmente, come sbagliato, diabolico, innaturale, malato, un ragazzo che, con i suoi traumi (per esempio dovuti al bullismo), si infligge dei tagli alle braccia, o che si fa di droga, o chi fa sport estremo per eliminare le ansie. Non vedrà la vittima in lui, ma solo il carnefice. Addirittura non sarà più il bullo a essere il carnefice numero 1, ma chi si taglia, droga o fa sport estremo.

Insomma, che uno lo apprezzi o meno, che uno lo faccia o lo subisca, il dolore è sbagliato – o dovrebbe esserlo – per il tipico cristiano moderno.
Ma, allora, come mai il dolore di Gesù Cristo sulla Croce non gli fa provare schifo o dolore? Risposta: perché il Suo dolore aveva un senso, una logica (!?).
Ma, allora, Gesù Cristo faceva bene a essere frustato, riempito di sputi, malmenato, crocefisso? Insomma, si meritava tutto questo? Risposta: … (Silenzio) … (Dopo un po’ … risposta tipo) … “Eh, ma Lui non aveva colpa, Lui ha subìto, era una vittima".

E allora uno può chiedere “E allora, un sadomasochista che si fa frustare; un ragazzo che, in prima fila a un concerto punk, si fa sputare addosso dal cantante; un boxer sul ring; un ragazzo che si fa legare, per scommessa, a un albero; non sono tutti questi delle vittime?”.
“Eh no, loro sbagliano, sono malati, magari non si rendono conto, seguono degli esempi sbagliati”.
“Esempi di chi? Forse di Nostro Signore Gesù Cristo!?”.
“Eh, ma Lui è morto e resuscitato per il Bene dell’Umanità!”.
“Quindi, se Leopold Von Sacher Masoch si fosse fatto frustare per una buona causa, sarebbe stato giusto?”
“Eh no, ma a lui piaceva!”
“Certo, gli sarebbe piaciuto, come sarebbe piaciuto, allo stesso modo, ai suoi giustizieri. Come nel caso di Cristo, i cui esecutori hanno goduto nel fargli del male”.
“Sì, ma loro erano nel torto, non conoscevano il Bene, la Verità. Erano ignoranti, non avevano capito il Messaggio …”.
“Perché, te capisci il messaggio che c’è dietro il dolore o la violenza che certe persone fanno o subiscono consenzientemente? Il sadomasochista, il punk, il boxer sul ring, il ragazzo legato per scommessa; non fanno, tutti, qualcosa per il proprio bene o per quello del proprio gruppo? Non vogliono portare un messaggio? Non hanno valori?”.

“Ok, ma allora tutti possono dire di portare valori. Non tutti però agiscono nel bene. Alcuni credono di farlo, ma sono perversi. Alcuni non intendono fare del bene a prescindere. Quindi, non puoi fare queste associazioni!”.
“Gesù Cristo, nella situazione in cui stava, secondo quanto riferito nelle Scritture, non credeva di fare del bene sacrificandosi per l’Umanità? Non si è fatto frustare in virtù di questo? Anche lui voleva portare valori, che avessero a che fare con il Bene – e il Bene di certo non significava, per lui, giustiziare o essere giustiziato. Non voleva forse dire l’opposto? Che il Suo sacrificio, cioè quello di un solo uomo, mettesse fine a quello di altri.
Quindi, se giudichi i sadomasochisti, ecc., non sei forse tu stesso giustiziere di persone che, consenzientemente, fanno ciò che credono sia piacevole o giusto per loro, senza dar fastidio altrui? Giudicandoli e condannandoli, non fai di loro delle vittime? Nel concetto di Bene trasmesso da Cristo attraverso la Crocifissione, c’era quello di giudicare chi fa male, a sé stesso, capace di intendere e di volere, e agli altri, di comune accordo?
Il punto è che né la Crocifissione di Cristo, né le frustate, lo sputo, le risse, gli sport pericolosi odierni, sono giustificati o hanno un senso. O, se ne hanno, le due cose sono sullo stesso livello. Chi fa distinzioni è un ipocrita o un idiota. Non c'è né colpa né merito in quello che fa Cristo piuttosto che un masochista post-"Venere in Pelliccia", e viceversa".

“No, invece! C’è assolutamente del merito nel sacrificio di Cristo! Lui è il Salvatore che ha perdonato tutti i peccatori e ha redento l’Umanità”.
“Se si è davvero sacrificato per l’Umanità, come mai ci sono ancora persone come te che giudicano e condannano con tanta facilità coloro che, peccatori o meno, sembrano non percorrere la retta via, o sembrano non fare il bene nel modo più comune? Come mai ci sono tanti Suoi fedeli, tra cui te, che dimenticano piuttosto facilmente il perdono e/o non sono disposti a venir loro incontro o a sacrificarsi per loro, per il Bene?”.
“Non eri proprio tu che dicevi che l’esempio che Cristo ha trasmesso tramite il sacrificio è che, dopo di lui, non ci sarebbe dovuto essere nessun Messia, nessuna vittima predestinata – nessun giustiziere, nessun giustiziato? Se mi sacrificassi per persone come quelle da te elencate, non diventerei io stesso un “povero Cristo”?”.
“Quindi, pur di non essere “povero Cristo", devi far sì che lo siano persone che, apparentemente o a tutti gli effetti, non seguono la retta via? Non vuoi essere giustiziato, ma giustiziere sì?”.
“Ok, ma allora cosa è giusto fare? Lasciarli perdere? Oppure appoggiarne i gesti? E lasciandoli perdere, non è più facile che si moltiplichino?”
“Voi cristiani pretendere la tolleranza religiosa, e non accettate che un sadomasochista o un punk abbia la sua di libertà – ideologica?”.
“No, perché si fanno del male”
“Invece, cristiani come te, condannando queste persone, alla maniera di Ponzio Pilato & Co, fanno loro del bene? Emarginandoli dalla società, o diffondendo l’idea, anche a livello mediatico, che siano sbagliati, non fate forse loro del male, quando invece potreste analizzare il “problema” e agire con intelligenza e umanità?”

"Ok, mettiamo caso che li si lasciasse stare. Loro eviterebbero di diffondere le loro abitudini, attraverso i media? Non vorrebbero forse sensibilizzare o far credere agli altri che quello che fanno è giusto, o comunque normale – come se stessero bevendo una tazza di tè o portando a spasso il cane –?".
"Se così volessero e facessero, ne avrebbero tutto il diritto, dal momento che anche loro rappresentano una realtà, e il mondo, come tutto il sistema solare, e le diverse galassie (che neanche puoi immaginare, e alla cui esistenza forse non vuoi, o non puoi, credere) non è fatto solo di una Realtà. Se tu, in questo pianeta Terra, e i tuoi simili (cristiani), volete diffondere il vostro verbo, assolutamente opinabile, come ogni messaggio, anzi, pretendete di diffonderlo - perché chi si taglia le vene a causa del bullismo, i sadomasochisti, o i punk non possono far conoscere la propria situazione?".
"Perché contagerebbero altre persone".
"Non mi sembra che voi cristiani, settimanalmente, organizziate tra di voi e su di voi delle crocifissioni, o delle sessioni di frustate. Allo stesso modo, un drogato, portando la sua testimonianza, con i suoi modi personali di esprimersi, magari non edulcorati, vuole comunicare, non contagiare".

"Ma allora, oggigiorno, fanno bene i cantanti, gli scrittori, gli attori a raffigurare con le loro parole o le loro immagini delle situazioni estreme, e nessuno avrebbe il diritto di dirgli niente!? Uno può parlare di sesso, di droga, di dolore, di frustrazione, di guerra, di patologie, ecc., con assoluto cinismo e realismo, senza prendersi la responsabilità di eventuali conseguenze sulla mente dei giovani!".
"Ecco, qui ti volevo. Si parla proprio di canzoni ora, di media! Ah, i cari media, che voi cristiani odiate tanto, ma usate a vostro favore. Avete i vostri spazi in televisione, e non vi bastano.
Voi, che, da censurati, vi sentite martiri, siete così pronti a stigmatizzare con il vostro “no”, con la vostra forza di opposizione, qualsiasi contenuto esuli dal buon gusto e dai valori fondanti della società, che voi ritenete debba essere plasmata a immagine e somiglianza di ciò che il vostro Libro dice. Ma non è forse la Bibbia stessa che, attraverso degli espedienti, dei mezzi termini, indorando la pillola, propone gli stessi concetti, le stesse immagini, che vengono comunicate oggi in altri modi meno dogmatici? Non lo fa forse in maniera talmente subdola da far sembrare quegli stessi concetti carichi di senso, di spiritualità, ecc.? Il vostro Testo Sacro non parla forse di stragi, che, giuste o meno, sono state necessarie? Non parla di incesti, di violenza familiari, di violenze tra popolazioni diverse in nome di Dio, di carestie, di amori sbagliati e giusti, di matrimoni combinati, di figli morti alla nascita e di patriarchi che erano pronti a sacrificare il loro stesso figlio su ordine del Signore?
Nonostante tutte queste componenti, incluse, come in un pacchetto completo, nella vostra Lettura preferita, condannate di buon grado “Il Signore degli Anelli”, le poesie della beat generation (con i suoi Kerouac e Ginsberg), ritenete sporchi film come “Pulp Fiction”, inappropriati i dischi di Eminem o dell’ultimo fenomeno del momento, perché parlano di violenza. Perché non lo ammettete, che la violenza vi piace, in fondo, che ve la godete in modo subliminale?

Perché non lo ammettete che quelle vocine che avete in testa sono quelle che sentono anche gli altri esseri umani, magari miscredenti, che però condividono, di voi, il sangue, le fattezze, il cervello, ecc.?
Perché non vi amate un po’ per quello che siete? Perché non vi odiate quando siete così meschini? Perché dovete essere ipocriti? Potete credere in quello che volete, ma lasciare credere anche gli altri in quello che vogliono!
Perché nelle vostre teste non entra il concetto che, se voi avete il diritto di dire 3 pater noster e 4 ave maria al giorno, un ateo o una persona non legata alla Chiesa Cristiana può permettersi tranquillamente, e legittimamente, di far uscire dalla propria bocca un sontuoso “Porco Dio!”.
Perché non siete superiori davvero, coltivando il vostro orto (che è la vostra anima), cercando al contempo di non sputare su quello degli altri? Se volete davvero il Bene, un mondo davvero cristiano, accettate soprattutto chi vi fa storcere il naso, perché sono proprio coloro che vi faranno storcere il naso a mettervi in discussione, e a farvi migliorare".

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"Per molte ore buie
Ho pensato a questo
Che Gesù Cristo
È stato tradito con un bacio
Ma non posso pensare per voi
Dovrete essere voi a decidere
Se Giuda Iscariota
Aveva Dio dalla sua parte"
(Bob Dylan - With God On Our Side)

"E morì come tutti si muore
come tutti cambiando colore
non si può dire che sia servito a molto
perché il male dalla terra non fu tolto
ebbe forse un po' troppe virtù
ebbe un volto ed un nome Gesù
di Maria dicono fosse il figlio
sulla croce sbiancò come un giglio"
(Fabrizio De André - Si chiamava Gesù")

"Quando l'eroina è nel mio sangue
E il sangue è nella mia testa
A quel punto ringrazio Dio di essere bello che morto
E ringrazio il vostro Dio di non essere cosciente
E ringrazio Dio perché non mi frega più niente di niente
E suppongo di non sapere più niente
E suppongo di non sapere più niente"
(The Velvet Underground - Heroin)

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editoriale di splinter

Da una manciata di anni impazza la moda dei pantaloni a vita alta. Li vediamo addosso alle giovani adolescenti così come a ventenni, trentenni e oltre, sono addosso alle influencer e alle fashion blogger. E fin qui tutto ok, una moda come le altre… no, aspe’, fermi un attimo… Andate con la mente indietro nel tempo… Vi ricordate cosa si diceva tempo addietro su questi pantaloni che arrivano al di sopra dell’ombelico??? Ma andiamo con ordine e riflettiamo un po’ su tutto ciò che vi ruota attorno…

Partiamo con una breve cronistoria. Io, un classe ’89, ho affrontato l’età adolescenziale e le scuole superiori con il culto dei pantaloni a vita bassissima (era il periodo 2003-2008), indossati dalle star e di conseguenza dalle giovani adolescenti; ricordo benissimo quei bellissimi perizomi colorati che si intravedevano senza aguzzare troppo la vista specialmente quando la ragazza era seduta, anzi li adoravo, ne ero uno dei maggiori estimatori e valorizzatori, erano pittoreschi quanto tremendamente sexy, era come se l’intimo volesse insorgere, non volesse più accettare il suo ruolo di prigioniero e allora eccolo fare prepotentemente capolino dai jeans quasi a dire “sono parte dell’abbigliamento e del fascino anch’io, sono arte del vestiario anch’io”; alcuni avevano poi colori e motivi che sembravano fatti apposta per attirare l’attenzione (una mia compagna di classe ne aveva uno verde con le paperelle), in pratica l’intimo nel suo intento di insorgere spesso sceglieva una veste che gli potesse dare ragione, che gli permettesse di dire “ve lo ripeto, anch’io merito di essere guardato”; era proprio questo spirito ribelle ed insolito, questo volersi rendere visibile sebbene non fosse originariamente creato per esserlo a renderlo così sexy, così artistico. Feci anch’io la mia parte, così come anche i maschi della mia età: noi però lo facevamo in modo ovviamente un po’ diverso, indossavamo il boxer e ciò che doveva essere visibile era l’elastico con il marchio (eh sì, a quell’età il marchio fa la differenza); poi c’erano i più tamarri (ma nemmeno così pochi) che addirittura li portavano diversi centimetri sotto il boxer (e non mi dispiaceva nemmeno come moda anche se sinceramente io non sono mai riuscito a portarli né a capire come facessero a non cadere). Un’arte però non riconosciuta come tale da tutti, soprattutto dalle personalità più anziane e mentalmente arretrate, quante volte i professori ci chiedevano di tirare su i pantaloni, qualche preside emanò addirittura una circolare per bandire questa moda nel proprio istituto, in due degli Stati Uniti si cercò inutilmente di renderla illegale.

Qualcuno però già allora avvisava che la vita dei pantaloni più avanti si sarebbe alzata. Nel 2004 giravo spesso sull’ormai defunta All Music ed ero solito guardare la trasmissione All Moda. Una volta accendo e vedo la conduttrice Lucilla Agosti annunciare con tono quasi minaccioso che i pantaloni a vita bassa sarebbero scomparsi in favore di quelli “ascellari stile Fantozzi anni’80” (sì, ricordo che usò all’incirca queste parole); vennero pure intervistate alcune persone in giro e queste si dimostrarono tutte palesemente contrarie al ritorno della vita alta. Ma ricordo anche un servizio visto da mia madre (forse qualche rubrica del TG2) in cui qualche stilista diceva che “com’è stato difficile abituare la gente alla vita bassa sarà altrettanto difficile abituarla alla vita alta”; ma ne parlavano anche le riviste del settore e quant’altro…

Ma se fate un salto con la mente in quegli anni… vi ricordate come venivano visti ai tempi i pantaloni a vita alta? Semplice, erano ridicolizzati, scherniti, specie in Italia, dove sono stati a più riprese collegati alla figura comica del ragionier Fantozzi; quante volte abbiamo usato l’espressione “pantaloni alla Fantozzi” oppure anche “pantaloni ascellari”; quante volte abbiamo visto uno portare i pantaloni un pochino più in su rispetto allo standard e abbiamo detto “Oh ma dove ce li ha i pantaloni quello? Sembra Fantozzi!”, il più delle volte si trattava di una persona non più giovanissima, quante volte abbiamo visto andare in giro un anziano con una maglietta infilata in dei pantaloni classici sopra l’ombelico (sì, perfino la maglietta o la camicia infilata dentro non era granché benvista in quegli anni), talvolta accompagnati da un paio di bretelle, tant’è che spesso abbiamo identificato questo look “ascellare” come il tipico look dell’anziano che se ne frega di come va in giro vestito (“sei vestito come un vecchio, guardati!”); oppure erano considerati un retaggio degli anni ’80-‘90 da non imitare (“ahahah ma guarda come ci vestivamo”); ricordo che in classe nostra guardavamo male la nostra prof. di matematica per i suoi jeans e pantaloni piuttosto alti molto anni ’80, figuriamoci se ad indossarli era un alunno…

Alla luce di tutto questo non avrei mai pensato che circa una decina di anni dopo (sì, effettivamente ci hanno messo molto tempo a tornare) li avrebbero indossati tutte come se niente fosse.

Chiariamo una cosa: a me piacciono (e detto da un vecchio sostenitore del perizoma in vista direi che vale doppio), non solo perché evidenziano curve e fondoschiena ma anche e soprattutto per quell’alone di mistero che creano; la ragazza che li indossa diventa più coperta ma anche più misteriosa; è il discorso del vedo-non vedo ma espresso in un’altra modalità, in tal caso è la camicetta o la maglietta che viene parzialmente nascosta dentro il pantalone, sporgendosi e “gonfiandosi” ma risultando visibile solo parzialmente e ciò risulta piuttosto intrigante. C’è anche un ché di stravagante, il pantalone che dovrebbe coprire soltanto le gambe arriva invece a fasciare gran parte della pancia arrivando talvolta a dominare più di metà della silhouette, mentre la maglietta o la camicia che dovrebbe essere in gran parte visibile qui viene parzialmente nascosta, è come se i ruoli si invertissero; in più le caviglie scoperte oltre ad avere un qualcosa di sexy spostano il baricentro del pantalone verso l’alto; e onestamente, un tocco di stravaganza nella moda non è mai da bocciare. Negli outfit eleganti poi la vita alta sembra essere maggiormente raccomandata, mi sono recentemente convinto che “l’eleganza è a vita alta”.

C’è però da dire una cosa: un sacco di ragazze non li sanno portare! Innanzitutto infilare qualcosa nei pantaloni è una cosa che va fatta con criterio e non si può fare proprio con tutto, altrimenti è soltanto una soluzione di comodità che può risultare sgradevole alla vista. Ad esempio li ho visti portare senza cintura (per me una cintura più o meno stilosa è d’obbligo con un outfit a vita alta, il fibbione assume così un importante valore estetico) infilandoci dentro cose che non sono certo fatte per essere infilate dentro, tipo un top, una maglia attillata o addirittura un maglione! Pensa un po’, un maglione infilato nei pantaloni, guarda dove siamo arrivati… Per non parlare di chi li accoppia con una camicetta annodata o peggio con una di quelle alquanto antiestetiche magliettine larghe e cortissime (diciamo “mozzate” che è più corretto) che lasciano scoperta la pancia… Ma davvero trovate fashion quelle robe lì? Sembra una roba del tipo “sì, scopriamo la pancia però mi raccomando il pantalone deve arrivare sopra l’ombelico perché la moda dice così”, un outfit che non sta né in cielo né in terra, se dovete scoprire la pancia o l’ombelico meglio farlo con un tradizionale pantalone a vita bassa e un top normale. Qualcuna poi infila nel pantalone solo metà maglietta o camicia, altra trovata piuttosto trash, in commercio poi vendono quei modelli con la fila di bottoni ma con i passanti per la cintura ad altezza anca, cerco ancora di capire che senso abbiano; in pratica tutte queste soluzioni sembrano fatte apposta per dire “guarda, sto indossando un pantalone all’ultima moda”, non importa che il risultato estetico sia orrendo, l’importante è essere trendy (“fossi figo indosserei vestiti trendy, certe volte son dei capi orrendi che a nessuno li rivendi” cantavano Elio e le Storie Tese mica per niente)…

Ma la domanda di fondo è semplice: perché state indossando tutte questi pantaloni? Vi piacciono davvero o “è la moda”? Siete consapevoli di quello che state facendo? O siete guidate dall’inconscio? Ma non li reputavate orrendi fino all’altro ieri? E perché quelli a vita bassa non li indossate più? Ah ok, ora non sono più cool, perché ve l’ha detto lo stilista di turno, no anzi, la vostra influencer di riferimento su Instagram o la vostra YouTuber, figure che ora vanno di moda e che voi seguite perché non avete una personalità e un vostro stile che venga dalla fantasia e pertanto come delle pecore vi affidate alla prima per numero di follower perché così facendo siete convinte di andare nella direzione giusta (sìììì, la direzione che seguono tutti è quella giusta, woooow)…

C’è poi da aggiungere una considerazione… per il loro ritorno in voga i pantaloni a vita alta hanno anche trovato un terreno favorevole: ci troviamo infatti non solo in un periodo decisamente revivalista in cui per mancanza di idee si vanno a rispolverare vecchie mode, vecchia musica, vecchie trasmissioni televisive… ma anche in un periodo in cui tutti stanno diventano tristemente più moralisti, bigotti, vegani, pseudoantisessisti, pseudofemministe, ecc… ed ecco che anche i pantaloni che mostrano giusto un pochino di intimo diventano improvvisamente indecorosi…

Tornando un attimo indietro… a volte non pensiamo a che cosa brutta che è la moda: una forma mascherata di dittatura, che ti dice cosa indossare e che se non lo indossi sei una persona brutta e sfigata, mentre brutta e sfigata sarai se indosserai la stessa roba domani. E chi sono i dittatori? Persone altrettanto brutte che sfruttano la debolezza altrui, dagli stilisti che con le loro modelle supermagre hanno rovinato la vita a migliaia di ragazzine all’influencer che non ha un lavoro serio e non sa nemmeno coniugare i verbi. Mi piacerebbe che un giorno si smettesse di parlare di “moda” e ci si mettesse definitivamente a parlare di “stile”, che ognuno fosse veramente libero di avere il proprio venendo accettato ed apprezzato così com’è e che nessuno si sentisse obbligato a cambiare secondo il momento. Ma sta a noi cominciare a dire “faccio come voglio”!

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editoriale di DiggeiRapina

Chissà quante volte vi sarete chiesto:
"Ma chi le inventa queste proverbiette, che ci fanno riflettere e ridere allo stesso tempo? "

Sono misteri atavici che servono a rendere più dolce la nostra vita di diabetici

Ma non è questo il punto
Volevo mostrarvi, un esempio di proverbietta (o barzellerbio) per comprenderne la rima, la metrica, ma anche i maravigliosi giochi sottili e le intenzioni etiche del proverbiettante (o barzebilerbico)
Che sono io,senza false modestie (o molte fadestie)

Ciò ci porta a

MAL COMUNE
S'INDACO I PRIMITIVES (Proverbietta in sestine)
Una ciliegia tira l'altra
decisamente molto.
Più di un carro di buoi.

E le dice, scaltra
"Rubiamo allo stolto
la torta mentre guarda noi"

La sestina dice molto:
sarà tutta
la ragione

di uno stolto
che fissa frutta
di stagione?

La mezza stagione,
ne sono sconvolto
ma è morta da un pezzo

La piena ragione,
o caro stolto
come il torta sta nel mezzo
(Diggei Rapina)

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editoriale di Lao Tze

“Perché siamo un Paese di merda” - fu la risposta (precisa) a una domanda (vaga) posta dalla giornalista.

Che suonava, più o meno, così: “Perché siamo arrivati ultimi all'Eurofestival?”.

L'anonimo intervistato all'ingresso di una discoteca di Madrid, a suo modo, si trovò ad interpretare il sentimento di un'intera nazione in quell'esatto momento. La sensazione, appunto, di essere un Paese de mierda.

Perché l'Eurofestival, diciamola tutta, è un po' come la Coppa Italia. Tutti lo snobbano, non frega niente a nessuno, ma a nessuno piace perdere. Soprattutto quando si perde male.

Vi butto là un esempio di quelli tosti.

La spedizione spagnola a Kiev 2017 si è conclusa con una di quelle batoste epocali da non poter scordare. Roba da vergogna eterna, altro che Ventura e Italia-Svezia.

Se non avete mai guardato l'Eurofestival (cioè l'Eurovision Song Contest come lo chiamano adesso, ma noi continuiamo a chiamarlo così perché ci ricorda i nostri fasti, non esattamente recenti ma chi se ne frega – leggasi: TOTO A ZAGABRIA 1990), sappiate che non è un problema, perché non c'è molto da capire. Anzi, se non lo capite fa lo stesso.

L'Eurofestival ruota sempre attorno ad alcune costanti, che si ripetono invariabili ogni anno:

  • Cipro vota Grecia e viceversa.

  • San Marino boicotta l'Italia e disperde il voto in Armenia o in Lettonia.

  • La Germania sta sul cazzo a tutti e non la vota nessuno. Per cui arriva sempre ultima, o comunque negli immediati paraggi dell'ultima piazza.

A Kiev, però, due anni fa, succede l'imponderabile.

Succede che i Crucchi hanno la brillante intuizione di puntare su un'accattivante biondina che riscuote qualche consenso in più, anche degli abituali dispersori del voto. Gli inattesi 3 punti della Germania (per la cronaca, il Portogallo ha vinto con 376...) hanno così fatto scivolare all'ultimo posto la terrificante boy-band scelta per rappresentare la Spagna alla kermesse continentale.

Zero punti. Verdetto inappellabile, mentre a Madrid si consumava lo psicodramma in eurovisione.

Ma zero punti, al di là del numero, lo sapete che significa?

Zero punti significa che non ti ha votato manco un cane. Significa che non ti hanno votato né col televoto in nessun Paese, né un singolo giornalista in giuria. Considerato che (quarta legge non scritta dell'Eurofestival) il 90% delle canzoni presentate all'Eurofestival fà schifo, significa che hai fatto più schifo dello schifo.

Sei il nulla. Zero, appunto.

Di qui la constatazione che, se prendi zero e non ti chiami Germania, sei un Paese di merda.

Le alte sfere della discografia iberica corrono ai ripari: per la prima volta dopo anni, il nome del candidato all'Eurofestival uscirà da “Operacion triunfo”, un'accademia musicale in forma di reality-show, in onda su LA1 tutte le settimane il mercoledì sera.

(ma in diretta-streaming su YouTube 24 ore al giorno)

In sostanza un Amici di Maria De Filippi senza Maria De Filippi. E hai detto niente.

Per quanto lodevole nel suo tentativo di rimettere al centro la musica (vabbè solo in apparenza, chiaro), Operacion Triunfo fatica a sfornare buoni interpreti che siano anche artisti. E che, soprattutto, lo diventino in tre mesi d'accademia...

A Lisbona 2018, in effetti, non che sia andata molto bene. 23esimi su 26. E contestuale suggerimento di cambiare il nome del programma (che comunque va avanti con successo) da Operazione trionfo a Operazione quartultimo posto.

A riprova del fatto che non c'è una ricetta per sfondare, in questa durissima e avvincentissima gara.

Ah, e comunque: guarderò l'Eurofestival pure quest'anno. Ci mancherebbe.

Lo guarderò per l'inimitabile esibizione di trash gratuito che ogni anno garantisce.

Per l'assolutamente demenziale polemica post-voto che seguirà la gara.

Per la bava alla bocca dei giornalisti in sala-stampa accalorati sul verdetto finale.

Per il tifo ottuso e triviale di Flavio Insinna che puntualmente tirerà all'Italia bordate di sfiga fotonica.

Per la gnocca.

E, ovviamente, per vedere a chi spetterà stavolta il titolo di Next Paese di Merda of the year. Vuoi mettere.

Buttatevi.

In tutti i sensi.

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