editoriale di lector

E’ un mostro la Storia. Un drago a tre teste e, con le sue tre bocche, mastica e stritola il tempo e le ossa e le divinità coi loro simulacri.

Vola alto, troppo alto per ascoltare urla e bestemmie. Non sa delle vittime, non conta il tempo e si fa beffe della direzione del vento.

E se ne fotte dei fatti.

Coi fatti ci fai, al massimo, la cronaca.

Però certe volte scende a volare più in basso, si diverte a sfiorare i tetti e, se hai pazienza e scruti con attenzione, e stai attento ai segni, magari (dico magari!) la riesci ad intravedere.

Se la riconosci!

Ecco, in questi giorni, io sto qui e scruto dalla finestra e mi sento un po’ come quel topolino.

Quello di quella vecchia storiella….

Fuori dalla finestra c’è “La Grande Pandemia Del 2020” ed io lo so che, nascosta lì dietro, c’è anche la Storia.

Socchiudo gli occhi e mi sforzo di guardare.

Vedo la gente che canta dai balconi, le bandiere che sventolano, gli Inni.

I vip che lanciano richiami bonari, i potenti con lo sguardo smarrito e le mascelle serrate che prendono decisioni improrogabili.

Le immagini televisive di eroi sfiniti che combattono la battaglia in prima linea, di poliziotti impettiti, di commercianti smarriti, e di chi è costretto a lavorare, e di chi non sa se tornerà a lavorare.

I morti senza nome, le pubblicità televisive che continuano ad essere sempre le stesse, le file ai supermercati.

E la gente alle finestre che aspetta….

Ma questi sono solo fatti, cartoline, spettacolo.

E’ cronaca.

La Storia è altro. La Storia verrà dopo.

Perché “La Grande Pandemia Del 2020” come tutte le cose, ad un certo punto, finirà.

Gli scampati usciranno dai loro ricoveri. Intellettuali e pensatori, preti e politici, complottisti, poeti e scrittori, registi, astrologi, santi e buffoni ci spiegheranno cosa è successo. Ce lo racconteranno e riracconteranno e lo analizzeranno e ce lo sviscereranno.

E ci spiegheranno che dovranno esserci delle conseguenze.

Che “c’è stata la Grande Pandemia del 2020, non lo sai?” Che dovremo rimboccarci le maniche, che “uniti ce la faremo”, che “mica può essere di nuovo come prima?”, che non ci faremo ricogliere impreparati.

Ma il problema è che qualcuno ha dovuto tirare fuori i soldi e che – non ce lo ha detto – ma era solo un prestito!

Adesso tocca restituirlo.

Analisi e conseguenze saranno consegnate ai libri di storia. Studenti annoiati snoccioleranno cifre, date, teorie a professori altrettanto annoiati che assegneranno il capitolo sulla “Grande Pandemia Del 2020”.

Le strade saranno piene di reduci.

“E tu c’eri?”, “ Tu te la ricordi?”

“Te la ricordi “La Grande Pandemia Del 2020”?”

E così, io mi sforzo di interpretare i segni. Socchiudo gli occhi e scruto nella notte.

E mi sento come quel topolino.

Quello di quella vecchia storiella….

Si, la storiella è vecchia ma, magari, non tutti la conoscete.

E, insomma, c’è questo topolino affacciato all’ingresso della sua tana che scruta nella notte.

Ad un certo punto vede un pipistrello.

Allora tutto eccitato si precipita dalla mamma:

-“Mamma, mamma” – urla – “Ho visto un angelo!”

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editoriale di Ildebrando

Talvolta non si può resistere al piacere di costruirsi penitenze pur di percepire scorrere nelle proprie vene quella dolorosa esaltazione che può provocare, in chi celasse dentro sé certe corde, il godere dell'essere usati. C'è una galvanizzante perversione nel rendersi schiavi di colui che eleggiamo ad idolo; c'è una eccitazione inebriante nell'implorazione lanciata da decriptati gemiti che sottolineano l'esultazione della carne e la prostrazione della mente.

La canzone è uno dei mezzi di lenizione dei propri moti interiori.

Per la situazione sopra descritta, uno dei brani in cui potersi immedesimare è Minuetto:

"È un'incognita ogni sera mia, Un'attesa pari a un'agonia,molte volte vorrei dirti no, ma poi ti vedo e tanta forza non c'è l'ho"...

Il malandrino-idolo, descritto in Minuetto è probabilmente il più famoso, ma ci sono almeno altri tre brani degni di nota, aventi il medesimo argomento; canzoni-sorelle da riscoprire.

Raffaella Carrà: Io la colpa non ce l'ho

"Ti credi più che fantastico,
E con una marcia in più,
La tua libertà è grande più di te,
Non so come farò a ribellarmi a te.

Per giunta ti senti un'aquila,
Che vola sempre più in là,
E io sempre qui, nellincredulità,
Sapendo che con te non cè continuità.

Io la colpa non ce lho,
Se mi sono innamorata così,
La mia mente dice no,
Ma il mio corpo grida un sì!

No, no, no, no,
Io la colpa non ce lho,
No, no, no, no,
Io la colpa non ce lho."

Il testo sembra una lunga circonlocuzione dei primi quattro versi di Minuetto, mentre, per una certa stucchevolezza nella voce di Raffaella e per l'arrangiamento, molto dolce, si respira un'aria più romantica.

Milva: Domenica, domenica

"Stai con me il tempo che ci vuolea af un po' l'amore e poi subito via,cravatta ancora in mano,le scarpe da allacciare,col tuo sorriso idiota,un bacio tra le dita, mi dici:

"Ci vediamo domenica"Domenica...questa è la mia domenicaè il pomeriggio in cui tu disfi il letto e vai lasciando indietro me

che guardo quel soffitto che non è un cielo azzurro, ma una parete in testa che incombe su di me"

Tra i brani in oggetto è quello dall'aria maggiormente plumbea.

Una chitarra, molti violini e la voce, profonda e drammatica in primo piano. Solo in coda si aggiungono le note di un pianoforte, ma mantenendosi sommesso, al pari degli altri strumenti musicali.

L'apice è raggiunto quando Milva canta:

"Ma...che bisogno c'è, di scappare via così,

come se questa casa non fosse roba tua

Ma il posto di lavoro,

Cartello da timbrare,

Catena di montaggio

O che accidenti è!?"

Loretta Goggi: Solito amore

"Giorno d'Amore,

Solito lunedì,

Appuntamento lì da te, solito Amore..."

L'incipit dimostra una arresa consapevolezza dell'effimera natura del rapporto. Quest'ultimo viene consumato con quella regolarità da ordinaria mansione che Milva denunciava nel brano sopra analizzato.

Il resto del testo, invece, è una vera dichiarazione d'Amore.

"Non m'importerebbe niente

se non fosse che avrei voglia

di lasciarmi andare e andare,
non riuscire a ragionare
con la voglia che ho di te.

Giuro, non lo toccherò
quel disordine che c'è,
sai che non mi arrenderò
fino in fondo insieme a te.

Solo lasciami sfogare,
poi me la vedrò con me.

Giuro, non mi perderò
nelle colpe che ti dai,
ma con te dividerò
un rimorso se ce l'hai.

Per chi bussa nel tuo cuore
senza il minimo rumore,
per l'anonimo dolore
di chi non si arrende mai."

In quest'ultimo brano, non ci ritroviamo innanzi a semplici languori frustrati.

Troviamo, qui, una donna pronta a sostenere il peso dei disordini emotivi del proprio amante. Ce la farà a parlare o continuerà il gioco in silenzio?

E voi conoscete altri brani affini?

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editoriale di andisceppard

Questo - mi dicono - è un sito di recensioni. Di gente che sa di musica. Molto più di me. E allora questa è una recensione. La recensione di un EP (qualcuno, magari, se li ricorda gli EP). Però io credo che questa qui, questa cantante, non la sapete. Si chiama Arianne Caoili. Non sentitevi inadeguati. Non la so nemmeno io. Non come cantante, almeno. Però un EP l'ha fatto. Informazioni le trovate qui. Ma mica è per questo che scrivo un editoriale. Solo che per questo faccio finta che sia una recensione.

Ora - siccome di tempo ne abbiamo - (avrete mica da andare a lavorare domani?) mettiamoci un altro personaggio. Lui si chiama Levon. Aronian. Nato 1982. In Armenia (dove cazzo è l'Armenia? Più sopra o più sotto dell'Uzbekistan? A risiko c'era? Io mi ricordo solo la Kamchatka!). Lui è davvero strano. E simpatico. E difficile da definire. Di mestiere fa il Grande Maestro. Gioca a scacchi, non l'aveste capito. E' uno forte. Molto forte. Di lui dicono che è il miglior giocatore armeno dopo Tigran Petrosian. Eh... Non mi fate aprire parentesi...

Siccome questo è un editoriale, non una recensione, non qualcosa d'altro, evito di aprire una parentesi su Petrosjan (lo scrivo ogni volta diverso così i vari puristi sono felici). Vi dico solo di Levon. Levon è uno strano. A me - ogni volta che lo vedo - mi ricorda Gustav Mahler. Che non è che fosse il mio compagno di banco alle elementari (vi ricordate le scuole? Quella roba che c'era, una volta? I banchi? No, dai, ormai, se qualcosa c'è è online. Non funziona ed è online). Però io vedo Levon e penso a Mahler. A uno che nemmeno sa dove cazzo sia la terra dove è nato. Che si veste in un modo che definire particolare è dire poco. E poi gioca. Ora, io so che molti di voi pensano che gli scacchi sia una roba da cervelloni. Come dire, una roba scientifica, gioco questa mossa vedo che tra 23 mosse ti do matto. E allora cosa cavolo vuol dire che gioca a modo suo? Scacchi non è una roba che o giochi quella giusta oppure no?

No.

Proprio no. Levon gioca a scacchi come uno che nemmeno sa dove cazzo è nato. Ma non se ne fa un problema. Gioca che mica si sa dire se è tattico o strategico (come dire, traducendo, non riesci a dire se è di destra o di sinistra, se gli piace la birra o il vino, i bitli o i rolling stones). Se glielo chiedi non sa rispondere. Gioca, coi suoi pantaloni colorati, le camicie che difficilmente metteresti domani, e gioca come cazzo gli viene.

Levon è uno dei più forti giocatori al mondo, attualmente. Uno dei primi quattro o cinque. Poi - si sa - è tutto un po' a modo suo. Un po' strano. Meno quadrato di Magnus. Meno secchione di Caruana. Meno cattivo di Nakamura. Però - sai - siediti qua davanti, e vediamo cosa ci inventiamo.

Due anni fa Levon (e vi assicuro che c'era qualcuno a fare il tifo) vince un importante torneo. Uno dei più importanti. Davanti a Magnus, a Caruana, a Nakamura, a tanti altri. Vince e lo intervistano (in streaming, si vede tutto ormai). E dice dedico la mia vittoria ad Arianne. Che tra poco ci sposiamo. E io sono felice. Chiusa parentesi.

Arianne è una ragazza australiana. Di origine filippina. Nata nel 1986. Nel 2001 viene in Italia. A Bratto. Provincia di Bergamo. Uno di quei posti che oggi c'è da chiedersi quanti ne sono morti. Lei ha quindici anni. Gioca a scacchi. Viene lì, in quello che allora era il Festival di Sanremo degli scacchi in Italia. E lei - ha quindici anni - ha una cosa. E' bella. Proprio bella. Per cui fa innamorare tutti. Quella cosa lì puoi averne novanta di anni. Ma se ce l'hai ce l'hai per sempre. E lei ce l'ha. Mi dicono abbia pure fatto un EP. Così ho deciso che ne scrivo qui. Che mi dicono sia un sito di gente che sa di musica. Che si scrivono le recensioni. L'EP, se ne avete voglia, ve lo cercate, lo ascoltate, lo recensite.

Arianna e Levon si sposano. Lui ha un vestito che è meglio dimenticarselo. Però mica gli sta male. Lei è bella. E basta. Vivono in Armenia. Ci sarà - in Armenia - il corona virus? Credo di no. Dove cazzo sta l'Armenia? Vicina alla Kamchatka?

Boh, sta di fatto che lei, Arianne, che ha fatto un EP, che WIM (è un titolo, a scacchi), che ha fatto innamorare ogni persona che l'ha conosciuta, e più di tutti uno strano che si chiama Levon e che l'ha sposata, lei ieri decide di prendere una macchina. E si schianta. Su quella macchina. Da sola. In Armenia. Senza pensare al coronavirus.

Fate finta che sia una recensione, questa. Sarà per quel suo EP, il link lo trovate in alto. Ma io, per questi due - anche in questi giorni - faccio il tifo.

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editoriale di De...Marga...

Albeggia quando raggiungo in automobile La Gomba, quota 1250 m., da dove inizierà la mia escursione. Zaino il più leggero possibile, scarpe da trekking da poco acquistate e si parte. In solitaria, come piace così tanto al sottoscritto. Ho controllato per filo e per segno il percorso da seguire scaricando la traccia GPS sul telefonino; tra andata e ritorno dovrò percorrere una ventina di chilometri, con un dislivello a salire che supera abbondantemente i 1000 metri. Non ho fretta, mantengo un passo tranquillo ed i primi due chilometri attraversano una bella mulattiera in un bosco di conifere. Il sole deve ancora sorgere, l'aria è frizzante il giusto; intorno a me la quiete, il silenzio più profondo. Non potete immaginare quanto amo questi doni della natura. Giungo senza problemi al primo "strappo" i famigerati "14 tornanti" dove d'improvviso le pendenze da superare si fanno aggressive. Sono poche centinaia di metri, ma salgo di quota in maniera esponenziale. Ecco il sole spuntare dietro la solenne vetta del Pizzo Montalto ed il sentiero ritorna ad essere molto più facile da seguire; prima breve sosta per togliermi il leggero maglione indossato. Rimango in maglietta, anche se la temperatura esterna si mantiene frizzante; mai sofferto il freddo e queste temperature, non ci saranno più di 10 gradi, sono un autentico toccasana. Il viaggio prosegue fino all'alpeggio ormai tristemente abbandonato di Oriaccia; un altro traverso arduo, facendo le dovute attenzioni ad alcuni passaggi di relativa difficoltà visto che alla mia sinistra si aprono profondi dirupi, e sono alla Croce del Vallaro (1850 m.). Doverosa un altra sosta perchè il panorama è davvero gigantesco: vedo in fondo alla vallata che sto attraversando Domodossola e la sua piana, la cresta montuosa che divide l'Ossola dall'impervia e selvaggia Val Grande, parte della Valle Antigorio, la Valle Vigezzo...ma non posso fermarmi a lungo perchè avrò percorso 5 chilometri e me ne mancano almeno altrettanti per concludere l'ascesa al Passo di Straciugo. Non scendo al rifugio del Vallaro, ma prendo un percorso più diretto verso il Passo di Campo; questo è il tratto più difficile della giornata, una serie di tornanti duri da superare, pendenze che mettono alla prova la mia resistenza, le mie gambe, il mio fiato; minuti tosti, il Passo si avvicina e lo raggiungo; mi merito un altra breve fermata ristoratrice. Ho ormai superato la fatidica quota dei 2000 metri ed inizio a vedere, anche se distante, il traguardo. Ciò mi rincuora e si riparte verso i meravigliosi laghi di Campo: acque cristalline, pure, gelide. Qualche nevaio entra ancora nel terzo lago, quello più bello e posto più in alto rispetto ai suoi fratelli più piccoli. Altro traverso che devo affrontare, altre pendenze da sostenere; ma ormai ci sono. Poche decine di metri, gli ultimi durissimi perchè l'acido lattico ha preso possesso dei miei arti inferiori. Sono in cima, sono arrivato. Un vento fortissimo mi accoglie, ma non mi disturba. Quota 2350 raggiunta in poco più di 3 ore di cammino; ho mantenuto una buonissima media e sono contento. Credetemi a parole mi risulta difficilissimo quantificare, descrivere che cosa provo in questi momenti. Una gioia infinita; sarò banalissimo lo so ma mi sembra di essere in Paradiso. Non ho incontrato nessuno nel mio peregrinare: quello che cercavo, quello che desideravo più di ogni altra cosa oggi. Davanti a me il Canton Vallese in territorio Svizzero, il trittico del Sempione (tre imponenti cime che raggiungono i 4000 metri di altezza). Alla mia destra il filo di cresta che sale, con un percorso molto difficile ed adatto per escursionisti esperti, fino al Pizzo di Straciugo, la cima più elevata di questa parte della Val Bognanco. Scatto tantissime foto e quel video che ho postato ieri negli ascolti e che ben rende l'idea della solennità del luogo raggiunto...

Era il 2 Luglio del 2019...sembra passato un secolo...

Passerà questo periodo assurdo...passerà questa forzata reclusione...ci ritornerò la prossima estate...e non sarò solo perchè ho promesso a qualcuno del sito di portarlo con me...

Ad Maiora.

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editoriale di kloo

Chiuso in uno spazio infinito.

Chiuso in un universo.

Chiuso in una galassia.

Chiuso in un sistema solare.

Chiuso in un pianeta.

Chiuso in un continente.

Chiuso in uno stato.

Chiuso in una regione.

Chiuso in una provincia.

Chiuso in un comune.

Chiuso in una via.

Chiuso in una casa.

Chiuso in una stanza.

Chiuso nella mia mente.

Chiuso in un neurone.

Chiuso in un atomo.

We ciao corona, come ti va?

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editoriale di luludia

(Luce)...

Siamo tutti in grado di annusare l'aria. Qui ad esempio c'è un bel silenzio, scariche di energia buona o qualcosa del genere. Quale genere fate voi.

Per capirci potrei citare quel film che dice che le canzoni stanno in piedi da sole. E allora, ok, questo posto sta in piedi da solo. Sto parlando del laboratorio di falegnameria per utenti con handycap fisico o psichico.

Dell'aria vi ho detto? Si? Sarà per via di quell'aria che tutti sembrano tenere a quello che fanno? Possibile che ci sia tanta salute in un posto pieno di gente messa malissimo?

Vi dirò, i laboratori son anche il mio lavoro. Teatro, poesia, collages, filastrocche. E quell'aria che vi dicevo pure io sono un esperto. E non lo dico tanto per dire. Michele il falegname però è di un'altra categoria. Lui e le sue favolose casette per uccellini buone soprattutto se di uccellini non ne avete.

Non tutti i Mangiafuoco riescono a trasformarsi in Geppetto.

(Ombra)

Il capo parla, i sottoposti confermano.

Quelli che contano -psichiatri, assistenti sociali, responsabili d'area- si beano della messinscena. Della messinscena e dell'ordine...

Oggi poi non siamo soli. E' presente una pletora di guest star di passaggio: il tizio in viaggio premio, il guru dalla voce di velluto, lo stagista dal sorriso di circostanza. Un fottuto tre per due, un black friday di mercoledì.

Scopo del brain storming è dirci quanto siamo fighi. Un sixty nine party in socialese stretto alla faccia di Mr. Wolf.

Tutti i discorsi son pieni di nauseanti paroline magiche -relazione, scambio, dialogo, confronto- ma quel che conta è il

sottotesto iper cinico.

L'utente X non ci è mica stato affidato per farlo star meglio ma per risolvere gli immani casini ( in famiglia, al bar sotto casa, in fila al supermercato) che da un po' (ovvero da sempre) si ostina a provocare. Insomma, beccatevi sto tizio, tenetelo lontano dal richiamo della foresta e fate in modo che non si senta più parlare di lui. Ecco perché non ci sono mai problemi.

Del resto mica vorrai dar l'impressione di non essere in grado di gestire la situazione? Poi finisce che di X non te ne mandano più. Un mercato...

E così il brain storming non è che uno squallido gioco delle parti. Si parte con il caffè e si finisce a ridere delle battute del capo.

Mai che un'anima pura, a suo rischio e pericolo, rompa il giochino, mai. A parte il sottoscritto. E a parte Michele...

Michele, uno che sembra il gigante gentile di quella vecchia, vecchissima pubblicità. “Gigante, pensaci tu...”

Non solo, una delle più belle risate che io abbia mai visto.

Beh, un giorno Michele divenne il nostro coordinatore. Dalle casette per uccellini al nostro centro di mattoidi.

Merda, a chi cazzo era venuto in mente di fare coordinatore uno così? Erano forse impazziti?

Noi eravamo abituati a persone di merda, oppure a gente costretta a mostrare il peggio di sé. Che ci faceva in mezzo a noi un perfetto gentiluomo?

Poi, un bel giorno, quella riunione...

Nessun cappello introduttivo. Nessuna dritta. Nessuna imbeccata. Nessun filtro. La parola alle anime sperdute. Ovvero il caos.

Ecco allora l'urbanissima psichiatra che dice “cazzo” in pubblico per la prima volta in vita sua. L'assistente sociale che sgrana gli occhi. Miss scoreggia di rana che invita a non essere “epidermici”, a ritrovare l'essenza del progetto. E io godo come un pazzo.

Il sixty nine party in socialese stretto va clamorosamente a puttane.

Il meglio (anzi il meglio/peggio) però deve ancora venire.

Passa qualche giorno e Michele viene convocato dal presidente e dalla responsabile d'area. E lui cosa fa? Si esibisce nella sua famosa risata.

“Tutti a dirmi che la riunione era stata un disastro, che era tutto sbagliato, tutto da rifare e allora dai, mi è venuto da ridere...”

Alla fine l'hanno rimandato, con sua grande gioia, a fare casette per uccellini.

E quelle casette son proprio belle, ve l'assicuro...

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editoriale di iside

Mario
forse l'unica cosa di buono che tu hai fatto nella vita
Mario
è non avere avuto figli
non hai fatto in tempo a metterli al mondo
avrebbero quarantanni e noi che nonni saremo
chissà se ci faremo?
ma ci pensi, col cyloom
tutti impazziti a chiederci ce la faremo?

Mario
ma tu pensa milioni che hai speso
per volere la luna e tutto il cielo
i soldi non restano, vanno/vengono
e tu cercavi di spiccare il volo
noi quaggiù ci sbattiamo, gridiamo crepiamo
ma a dio non gli frega niente?

Niente!
tu volevi una vita diversa
chissà che sognavi guardando quella finestra?
La Domenica ci si vedeva per stare in compagnia
poi scappavi ti nascondevi perché la tua vita era solo tua
poi che c’entra che non ami tua madre
sei è lei che è stata la tua sfortuna

Mario
non ti resta che "la bamba"
Mario
la cercavi alla stazione

Mario
a pensarci avevi solo sedici anni
ti sei bruciato in fretta
Mario
quante volte ti ho portato su quello scale pieno di fumo e di vino
mi guardavi e mi chiedevi "me la dai una sigaretta"
poi viene il giorno che non si sale
lo sapevi che il Roipnol con l'alcool fa un gran casino
ma volevi solo vedere
se oltre alle spade c'era un'altro modo di ammazzare le sere...

Citazioni:

Mario

scale e sigarette

Roipnol

PS nella foto il quartiere dove sono cresciuto io (Stocchetta BS), la foto sarà degli anni '50 ma negli anni '70 era ancora tutto uguale.

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editoriale di Stanlio

Ci sono artisti di cu si sa poco o nulla (o almeno io, so poco o nulla) e son straconosciuti invece nell’ambiente degli “addetti ai lavori”, vedi Marc Benno.

Marc chi?

Ecco cosa dicono di Lui i giapponesi in breve:

マーク・ベノ(Marc Benno、1947年7月1日 - )は、テキサス州ダラス出身のアメリカ合衆国のシンガーソングライター、ギタリスト。

ベノは、レオン・ラッセルとともに1960年代末にアサイラム・クワイアを組んでいたが、1970年代初めにはソロ活動を始め、1972年のアルバム『Ambush』は商業的にも一定の成功を収めた。ベノが書いた「ロックン・ロール・ミー・アゲイン (Rock 'n Roll Me Again)」は、ザ・システム(英語版)が録音し、1985年の映画『ビバリーヒルズ・コップ』で使用され、グラミー賞を受賞したサウンドトラックにも収められた。ベノが共演したミュージシャンとしては、ドアーズ、エリック・クラプトン、スティーヴィー・レイ・ヴォーン、リタ・クーリッジなどが挙げられる。ベノはドアーズの曲「L.A.ウーマン」でロビー・クリーガーのセカンド・ギターとして参加している。(cit. w i k i)

Ossia:

Marc Benno (nato il 1 luglio 1947) è un cantautore e chitarrista statunitense di Dallas, in Texas.

Benno formò i “Asylum Choir” con Leon Russell alla fine degli anni '60, ma iniziò come solista nei primi anni '70, con l'album “Ambush” del 1972 che ebbe un successo commerciale.

Benno ha scritto "Rock 'n Roll Me Again" https://youtu.be/_dxTJZLRg1c, registrato dai “The System” e utilizzato nel film del 1985 "Beverly Hills Cop" vincendo un “Grammy Award” per la colonna sonora.

I musicisti che hanno suonato con Benno includono “The Doors”, Eric Clapton, Stevie Ray Vaughan e Rita Coolidge.

Benno fu il secondo chitarrista con Robbie Krieger nell’album “LA Woman” dei Doors.

Oh, mica bruscolini, anzi oltre ai citati, il ns. Marc ha collaborato suonando la chitarra anche con Clarence White (chitarrista), Albert Lee (chitarrista), Jim Keltner (batterista), Carl Dean Radle (bassista), Lightnin 'Hopkins (chitarrista), Bill Wyman (bassista), Georgie Fame (organista), Booker T. Jones (tastierista), Ry Cooder (chitarrista) e niente… ma di esempi ce ne stan a bizzeffe (dall’arabo bezzaf راكي)!!!

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editoriale di sfascia carrozze

Nel mezzo del digitar di nostra vita
mi ritrovai per un DeBasio obscuro,
ché la telematica via era scempiata.

Uh! Quanto a dir qual era è cosa dura
esto DeBasio selvaggio, aspro e forte
che nel pensier rinova la visura!

Tant'è avara che poco è più morte;
ma per trattar dei troll ch'i' vi trovai ,
dirò de l'altre cose bone-e-givste ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant'era pien di loschi ceffi et farnetici viandanti
a quel punto che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui dentro al sito giunto,
là dove terminava quella rete
che m'avea di paura il cor compunto,
scrutai in alto, e vidi le sue corna puntute
vestite già de' raggi del pianeta
che mena diritti e rovesci per ogne valle.

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editoriale di CosmicJocker

Persino io, che sono avvinghiato alla mia epoca un po' di sghimbescio, sono (relativamente) a conoscenza del marasma prodotto da questo CoronaVirus.

Mentre sto scrivendo si stanno verificando i primi casi in Italia, vicino alle mie parti (ok ok, più vicino alle parti del Comandante Carlos). Già vedo che si sta autoalimentando un focolaio non meno pericoloso (a quanto pare) del virus stesso: la psicosi.

Starnutisci in pubblico? Untore omicidia! Vai a bere un bianco al bar cinese? Pazzo suicida!

È tutto molto semplice, può succedere che: A) l'etere in cui gironzoliamo è scevro da qualsivoglia infezione; B) eh no! L'infezione ci raggiunge. E, nel caso si verifichi il caso B), la relativa biforcazione sarebbe: B1) abbiamo un Norton Anti-virus a prova di bomba; B2) verremo formattati.

Però, ora come ora, la considerazione che mi viene da formulare è la seguente: è tutto molto normale.

Nella pre-adolescenza ero dotato di un fisico portentoso che mi permetteva di sgranocchiare sassi di fiume come fossero mandorle tostate e di saltare i fossi per il lungo per raggiungere la pulzella di turno che, immancabilmente, cadeva ai miei piedi (forse, invero, a causa dello spostamento d'aria prodotto dal mio balzo felino).

Orbene, in quel tempo i miei mi portarono in gita ai piedi delle Alpi (o erano le Dolomiti? Bah, tutto ciò è irrilevante ai fini di questa scemenza filosofica degna del peggior Epicuro). Come molti pischelli dell'epoca subivo il fascino avventuroso (financo beduino oserei dire) del buon Indiana Jones e, in un momento in cui ero in avanscoperta solitaria in un sentiero poco battuto, non stupisce il fatto che mi sopraggiunse l'uzzolo di saltare attraverso un conglomerato di fresche frasche fruscianti che ostruivano la via.

Mi sono concentrato come Indy impegnato nella scelta del vero Santo Graal e ho pompato nelle vene quel mio sangue limpido di allora non ancora intorbidato dal MacBarren Nero, dal rosso Bonarda e dall'hashish color del caramello.

Ho preso la ricorsa e... STOP! Fermo di colpo come se ora scovassi su Discogs un EP di Alva Noto a poco prezzo.

L'attenzione completamente rapita da uno scoiattolo che stava ridendo di me dalla sua lignea dépendance. E io gli devo la vita a quel pacioccoso nume tutelare dei boschi.

Quella barriera vegetale infatti dava su un terrificante strapiombo che mi avrebbe, se non ucciso (ricordate il fisico portentoso?), cambiato notevolmente i connotati: BrokenJocker avrei dovuto farmi chiamare.

Insomma, chissà quante altre volte siamo stati prossimi alla morte (molto più di quanto ci possa avvicinare questo virus da cui sembra sia più probabile guarire) e l'abbiamo scampata per puro miracolo, perché il nostro spirito guida ci ha protetto, perché l'ultima delle Parche si era scordata le forbici a casa.

Ed io ho parlato di un caso in cui mi ero accorto del pericolo scampato, ma può benissimo darsi che molte altre volte la falce della Nera Signora mi abbia solleticato le nari ed ho scambiato il tutto per un moscerino impertinente.

Calma e gesso avrebbe detto quel pazzo di mio nonno che fumava come un turco e beveva come un irlandese (e che è vissuto, guarda caso, fino a 90 anni).

Siamo vivi, dunque viviamo.

P.S.
Non mi sto informando molto su questo virus, non ho voglia e ho troppo di meglio da fare.
E poi sono restìo a documentarmi attraverso i canali ufficiali d'informazione verso i quali nutro la stessa fiducia che avrebbe Indy sapendo l'Arca dell'Alleanza finita in mani naziste.

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editoriale di pier_paolo_farina

Mi manca tanto Giorgio, oggi.

E' perché l'ho sognato stanotte mentre che si vantava, cercando di non farlo pesare, di avere collaborato colla polizia e smascherato l'autore di un omicidio. Aveva intuito (lui, medico anestesista) che il sospettato del delitto avesse non so quale forma di cancro al cervello, e che tale sua patologia fosse alla base dell’atto di follia compiuto. E ricordo pure, mentre lo indicava al tizio con cui si stava pavoneggiando, il disegno rappresentativo del carcinoma in questione, appeso a una parete accanto a tanti... una specie di calotta rosso/marrone vistoso sopra il disegno sfumato di una testa d'uomo. L'uomo a cui Giorgio si stava riferendo non riuscivo o meglio non volevo metterlo a fuoco; il mio impegno era di origliare discreto accanto a loro, che non s'erano accorti di me o in ogni caso non mi consideravano.

Poi comunque si andava tutti fuori a far due passi nel marciapiede di fronte all'ospedale… ma non uscendo da esso, bensì da una palazzina di fronte… Che cazzo di sogno!

Il quale si era interrotto a questo punto (erano le sei del mattino, circa): dei colpi di tosse di mia moglie (nell'altra camera, in preda ancora al pesante e snervante disturbo gastrico a quanto pare psicosomatico perché non le hanno trovato niente ancora, ma che la affligge ciclicamente da una vita, da prima che ci conoscessimo) avevano interrotto la mia creazione onirica, col fiotto di adrenalina che mi aveva riproiettato bruscamente nella realtà problematica e ansiogena di questi giorni: ero sveglio, nel divano letto della cameretta, da qualche giorno mio luogo di riposo in attesa che lei si rimetta.

Giorgio è stato una figura importante nella mia vita, importantissima. Il mio carattere di gioventù notevolmente schivo, prudente, riflessivo, attendista necessitava assolutamente di un compagno di avventure ambizioso, deciso, focalizzato sul presente e sull’immediato futuro. Una persona che mi agitasse il ciuffo, che mi mettesse sotto il naso personaggi, situazioni, conoscenze, casini, feste, cose da fare e da pensare, donne da rimorchiare, amici degli amici degli amici da frequentare. E così è stato, per diversi anni, quelli decisivi.

E pensare che la prima volta che lo vidi mi sembrava assai goffo e un po' tardo. Eravamo nella stessa squadra di basket giovanile, io piuttosto sveglio e rapido e in fiducia, lui lungo lungo e legnoso, con quella faccia un po’ tonta. Però rammento che alla prima partita ufficiale insieme io segnai nove punti e lui fu il secondo marcatore della squadra con otto, pur non essendo neanche entrato in quintetto…Il suo metro e quasi novanta a quindici anni evidentemente pagava, anche se lento e non aggraziato.

Poi ci si incontrava in giro ogni tanto e basta, io preso solo dal basket, lui più dai boy scout (venni a sapere molto dopo), e al liceo lui era sì nella stessa sezione, ma la classe dopo della mia. Ci si salutava, ma non avevamo molto da dirci.

Finché mi è venuto a cercare un giorno di settembre che eravamo ormai ventenni. Era in parola, insieme a un suo amico, per un appartamento da quattro posti a Bologna e cercava altri due studenti per completarlo. Io m’ero stufato di fare su e giù col treno ogni giorno fino alla facoltà a sessanta chilometri da casa e per fortuna la mia famiglia, alla richiesta di cambiare ateneo e fare lo studente fuori sede a Bologna dal lunedì al venerdì, aveva assentito.

Neanche il tempo di passare dal primo problema (dirlo ai miei) al secondo e cioè trovare casa e compagni, che ripiomba nella mia vita Giorgio coi suoi piani, il suo appartamento in parola, il suo amico di scorta, la sua centralità nella vita, la sua decisione, il suo entusiasmo.

E lì per lì va tutto a puttane!. Il proprietario dell’appartamento di lì a un mese, ormai ottobre, si riunisce con noi e i nostri genitori e pretende sei mesi di caparra! Lo mandiamo tutti a cagare e siamo al punto di partenza, a tre settimane dall’inizio dell’anno accademico.

Giorgio non fa una piega, mi chiede immediatamente (a me, non al suo amico) se ci sto a fare un salto con lui qualche giorno a Bologna per cercare un altro appartamento. Il pernotto non è un problema, andiamo ospiti di altri studenti e concittadini che sono là dall’anno scorso. Così una domenica sera prendiamo il treno, poi l’autobus, poi un altro autobus e sbarchiamo a tarda sera in un appartamentino alla periferia di Bologna, dove tre coetanei e concittadini che naturalmente conosco più o meno bene, hanno appena finito di cenare. E’ avanzato lo stufato di fagioli e dal pentolone raschiamo tutto l’avanzo, poi due chiacchiere e a nanna su di un letto libero e su un divano.

Il giorno dopo di buon’ora usciamo, ci rechiamo alla stazione chissà perché e ci attacchiamo ad una cabina telefonica, elenco in mano alla pagina delle agenzie immobiliari. Lui chiama a mitragliatrice “...Siamo quattro studenti fuori sede cerchiamo un appartamento in affitto…” ecc. ecc., io gli passo i numeri, spunto quelli già chiamati, faccio insomma servizio logistico. Più di trenta chiamate, solo tre risposte positive.

Alle due del pomeriggio, dopo altri autobus e un panino al volo, siamo sullo scalino di accesso di un negozio di orologi in periferia accanto alla fermata d'autobus, indicataci come luogo convenuto per l’appuntamento con un'affittuaria. Un’ora di attesa, ci prelevano e ci portano all’estremissima periferia di Bologna facendoci vedere due stanze una grande e una piccola con tinello cucinotto e bagno. Sui sessanta metri quadri, niente di che ma il tempo stringeva e a me e a lui va bene.

Torniamo a casa e proponiamo la cosa agli altri. Al padre dell’amico di Giorgio la quota d’affitto risulta salata, e un po’ anche al mio. La soluzione è coinvolgere una quinta persona, tanto la stanza grande tre letti li tiene agevolmente. L’operazione va in porto e il due di novembre siamo tutti e cinque a Bologna a dare una bella svolta alle nostre vite.

Io arrivo per ultimo e da solo, però: avevo avuto un lavoretto da fare, o forse un impegno di famiglia non ricordo. Fatto sta che non partecipo al viaggio in camion coi mobili (l’appartamento era vuoto ad esclusione dei letti; per mobili si intende qualche rimasuglio dalle rispettive soffitte e cantine). Come risultato, quando arrivo anch’io il giorno dopo non c’è il mio letto! Ma m'informano che lo posso recuperare in un magazzino, vicino alla stazione, otto chilometri da lì. Li faccio andata e ritorno con uno di quei carrelli a tre ruote a pedale, mezzo vetusto che il contadino vicino a noi gentilmente mi presta (da quel contadino poi si andava ogni tanto… ci dava una coppia di ovetti freschi delle sue galline per ogni chilo di pane raffermo che gli portavamo). Ci metto tutta la mattina, pian piano specialmente al ritorno, con le assi del letto e la rete di traverso al carrello. Una faticaccia ma a vent’anni la si fa, e son cose che restano.

Io e Giorgio poi ci siamo persi di vista e incontrati solo sporadicamente, da adulti. La nostra amicizia è durata un quindicina d’anni, gli ultimi dei quali una delusione via via più netta. La sua grinta e il suo spirito d’iniziativa, scevro di disagio o timidezza, il suo imbucarsi a destra e sinistra, fare e disfare, conoscere e provare, con l’andare degli anni e della maturità si sono semplificati in sostanziale, notevole opportunismo e narcisismo. Infatti è stato lui in definitiva ad allontanarsi, intento a fare conoscenze più importanti, potenti, utili a se stesso.

Così Giorgio è diventato una di quelle persone che da grande consideri paraculo, egoista, stronzo, che non hai nessuna intenzione di frequentare più ma per il quale resta un’incredibile, calda riconoscenza. Perché è stato importante, c’era nelle mie migliori giornate da giovanotto e restano i viaggi, le donne, le scelte, le situazioni, le serate infinite insieme, quell’insieme di esperienze che forgiano il tuo essere e indirizzano la tua vita.

Giorgio è morto tre anni fa: cancro al cervello. Se l’era diagnosticato da solo, e nell’anno che gli restava dalla diagnosi alla morte ha preso la decisione di mettere insieme e pubblicare la cosa più narcisistica che si possa immaginare: un libro che racconta tutta la sua esperienza medica, l’anno e mezzo da sottotenente sulla Vespucci, i quattro mesi in Iraq in un cantiere, gli studi e le ricerche e gli sforzi e il lavoro nei reparti di anestesia e rianimazione che ha girato, fino a diventarne primario.

Non gli amici, gli amori, la famiglia, i viaggi: l’anestesia e la rianimazione, dal punto di vista di chi ci ha dato dentro e ne ha avuto riscontro. Tipico di Giorgio.

Grazie di tutto Giorgio. Ti voglio bene. Mi hai dato tanto, anche se sono sicuro che è perché ti stavo vicino, non perché ci tenevi a me.

Al tuo funerale laico ci sono venuto, ma al momento dei discorsi di amici e parenti me ne sono stato zitto: non avevo solo del buono da dire, e c’era pure una vedova con due figli. Nè volevo mentire.

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editoriale di franc'O'brain

(Ri)ascolta i podcast di progrock su...

Ci sono diverse trasmissioni dedicate alla buona musica rock, rock progressivo in primis (è quello che interessa a noi!), che vengono poi replicate (e tenute in archivio per sempre o per qualche tempo) per la delizia di chi ha perso la live e vuole godersele a posteriori, magari spilluzzicandosele.

È il caso di Prog & Dintorni, diretta ogni venerdì sera, su RadioVertigo, da Gianmaria Zanier. Il link per ascoltare il podcast di Prog & Dintorni è: radiovertigo1.com/progedintorni.html

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Altra trasmissione-clou dedicata al prog è Prog Polis, di Max M., il cui podcast (comprese tutte le puntate passate) è presente qui: https://www.mixcloud.com/maxmurd/rock-polis-822-060220-prologo-di-paradisiaci-franti/

Il programma viene trasmesso live su Radio Godot (www.radiogodot.it) ogni giovedì.

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Una webradio perennemente dedicata al progressive rock è Progrock.com, che trasmette - appunto - 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. www.progrock.com

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Forse ancora più impegnata e completa la vetusta Morow: www.morow.com

Che è anche piena di informazioni. Qui ad esempio sul canale Youtube di Morow c'è un'intervista del 2017 a Mike Portnoy dei Sons Of Apollo (interessante da risentire in concomitanza con l'uscita del loro nuovo album MMXX).

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Infine, una menzione particolare a Mach 3 - il progressive rock che non ti aspetti che va in onda ogni domenica dalle 20 alle 22 su Radio City Trieste (www.radiocitytrieste.it). Mach 3 si distingue dagli altri programmi perché manda in onda, in gran parte, perle completamente o quasi completamente sconosciute (ed anche "esotiche"!) del rock progressivo di tutti i decenni. Per approfondire, visita la pagina Facebook della trasmissione.

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editoriale di Kiodo

Ciao, scrivo a te perché la stima che nutro nei tuoi confronti mi spinge a farlo. Stima e rispetto per la forza con la quale esprimi il tuo parere ed il tuo supporto ad Achille Lauro. In questa settimana in cui gli sta piovendo addosso di tutto tu sei lì in prima fila, guidato da autentico trasporto e sincera partecipazione e senza mai scadere nelle volgarità, fatto non comune in questo contesto sociale caratterizzato da slogan ruttati.

Ti scrivo perché tu, come moltissimi altri in questi giorni, mi stai letteralmente fracassando i maroni via social con Achille Lauro, solo che tu, a differenza di troppi, hai quel non so cosa a livello di comprensione del fenomeno del momento che purtroppo manca a me, troglodita cibernetico che ha appena messo il pollicione del piede fuori dall'uscio dalla sua caverna.

Bene, fine della premessa.

Ricordi la canzone di Valerio Scanu? "In tutti i luoghi e in tutti i laghi"? Ottimo, quel brano porta la firma di un ragazzo del quale so ancora meno di quanto non sappia a proposito di Scanu, tale Pierdavide Carone, che se non ricordo male venne escluso dallo scorso festival di Sanremo perché il pezzo proposto non venne ritenuto adatto, trattando di storie di abusi realmente accadute o solo presunte, ma tristemente attuali, su alcune bambine.

Ora, dalla finale della scorsa edizione del festival é passato meno di un anno (364 giorni, il 2020 é pure bisestile ma non credo c'entri granché) e tu vorresti seriamente farmi credere che ti é bastato così poco tempo per diventare sensibile su certi temi?

E quando dico TU, non mi rivolgo specificamente a te, parlo di noi. Davvero é servito Achille Lauro a svegliarci tutti?

"Eh ma lui ha la tutina", "si é spogliato di tutto", "fa l'ambiguo", "sta un passo indietro", "canta al femminile". E sticazzi? Stai dicendo che uno vestito in maniera per così dire tradizionale, messo sul palco con un brano di musica per così dire leggera, magari pure in grado di cantare, non avrebbe lo stesso potere comunicativo di un saltimbanco? Che mancherebbe di forza e credibilità una volta messo lì, sullo stesso palco dal quale Lauro biascica le sue 4 banalità, con una canzone che denuncia le medesime brutalità?

É questo che io onestamente non comprendo, in tutta sincerità credo che non ci serva Achille Lauro.

Non solo, ho seri dubbi sul fatto che sia così avanti. Per esempio, prendi "Me ne frego" e mettici su la voce di Gianluca Grignani. Cazzarola, che svolta! La verità é che l'industria culturale é satura, i modelli positivi oggi devono essere camuffati così da provocare avversione. Di questo Achille non ha colpa, tu stesso non hai colpa. Peró, invece che plaudire al miracolo artistico che aspettavamo da decenni (???), dovremmo tutti interrogarci su come siamo arrivati al punto di essere ricettivi solo quando ci provocano. Il fatto di aver assunto le sembianze di tutto quello che ci spaventa non fa di Lauro un genio nemmeno per sbaglio, la provocazione é fine a sé stessa e non porta con sé nessun contenuto di particolare rilevanza:la lotta per il rispetto delle diversità andrebbe presa sul serio e, purtroppo (a causa tempistiche eccessivamente dilatate, un po' per la tendenza tutta italiana a procrastinare ed un po' per mancanza di cultura), combattuta in campo neutro. Il buffone che si presenta in tutú su di un palco, giocando con un'ambiguitá che Mario il benzinaro con la terza media può solo che attaccare, non serve assolutamente a perorare la causa.

Achille Lauro é il Marilyn Manson che non abbiamo avuto nel bel paese e come tale finirà nel dimenticatoio. Disinnescato, innocuo, grasso e calvo.

E per allora, nessuna delle sue trovate ci avrà salvati dallo squallore umano al quale siamo destinati.

Achille Lauro non é avanti, é oltre. É superato, pur essendo arrivato tardi.

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editoriale di Bubi

Buio. Non sapevo mai se era giorno, se calava la sera oppure se era notte. Ero sempre disteso sul letto, non avevo la cognizione del tempo e nessuna voglia di alzarmi. Ero incatenato a quel giaciglio. Un materasso, qualche lenzuolo, un pacchetto di sigarette e una vecchia radio era tutto quello che c'era a portata di mano. Niente di più. Ma bastava perché avevo un bellissimo pensiero che m’accompagnava costantemente: il mio amore.

Si chiamava Clizia, abitava nella casa di fronte e da quasi un mese l'osservavo da dietro le tende. Anche se Clizia era un nome di fantasia, per me, era divenuta il simbolo della sensualità e della purezza, il pensiero dove trovavo rifugio quando l'angoscia generata dalla solitudine, mi portava ad avere lo sguardo spaesato. Poi, un giorno, mentre ascoltavo un radiodramma: «Triplice omicidio: sia Veronica che Mary erano state strangolate...» appena capii che Clizia stava aprendo la porta di casa, smisi di trastullarmi, scattai in piedi e in un attimo raggiunsi la finestra. Stava in cortile. La vidi raccogliere qualcosa tra i sassolini, inaspettatamente guardò verso la mia finestra, non mi scostai, sorrisi e feci un altro tiro di sigaretta. Lei ricambiò il sorriso e sparì nel suo giardino abitato da piante che parevano dipinte, Clizia, sono sicuro, ne percepiva il respiro, udiva i loro silenzi. Poteva stare ore nel suo terreno cercando qualche animaletto nell'erba, ed io, ero sempre davanti alla finestra e immaginavo dicesse: «Puoi farmi visita e staremo sempre mano nella mano.» Non avevo bisogno d'altro, a parte la sigaretta tra le dita.

Dopo il sorriso che mi aveva regalato, le giornate passavano in fretta, era un vivere pervaso da sentimenti, non un mero trastullarsi con fantasticherie. Pensavo a storie romantiche e la radio era sempre accesa: «La polizia aveva trovato i diari di Veronica: parlava di qualcuno indicato solo con la b, dovevano capire chi fosse b...» Mi addormentai. Fu lo squillo del telefono a svegliarmi. Era lei, per la prima volta ascoltavo la sua voce. Parlammo per ore, disse che stava aspettando l’amore, quello vero, nel frattempo, l’unica cosa che le dava gioia era annusare fiori e camminare tra gli alberi. Mi raccontò della sua vita avventurosa. Di quando conobbe la donna chiamata "macchina per il latte” una signorina che era ingrassata talmente tanto da tramutarsi in una mucca, di un posto sperduto in Colombia, dove alcuni pescatori tirando su le reti, tra sardine e sgombri pescarono anche un leone.

Erano favole, lo sapevo, ma sapevo anche che un animo poetico come il suo, non inganna, reinventa la realtà, le dà colore. Clizia aveva vissuto tutto il vivibile era la donna che avevo sempre desiderato, bella e con un immaginazione libera da costrizioni. Invece io, povero mortale, le raccontai qualche frottola, le dissi che avevo da parte un sacco di soldi, 70.000 per la precisione. Sarebbero bastati per fare un lungo viaggio, noi due da soli. Ci saremmo imbarcati e ci saremmo baciati e poi baciati ancora e tutto sarebbe stato bello, molto bello.

All'ora stabilita nel posto stabilito, Clizia arrivò puntuale. Ero talmente agitato che mi chiedevo se quello che stavo vivendo fosse vero o un bel sogno. Stava davanti a me, immobile, sicura di sé. Chiusi gli occhi, li riaprii, Clizia era ancora lì. Imbracciava una Browning calibro 270 win, la teneva puntata verso il mio cuore. S'era fasciata il volto con uno Hijab azzurro, gli occhi erano privi d'emozione, la mente impenetrabile, l’anima inaccessibile. Sorrideva beffardamente, sembrava assaporare la mia paura, disse: «al mondo non c'è sognatore più sognatore di te, lo so che soffri e che sei infelice, lo vedo dal tuo sguardo, consumi la vita vagando di fantasia in fantasia, adesso sei stanco di fuggire. Lo so. Ho portato qualcosa che ti solleverà da ogni angoscia, ti farò conoscere un bellissimo paese, si chiama: "l'altro mondo", lì non ci sono ingiustizie, malattie e preoccupazioni. Adesso ci andrai.» Non avrei dovuto dirle dei 70.000. Mi piantò in grembo un pallettone 000 buck da 9 millimetri e non appena iniziai a respirare a fatica, scoprii che non provavo alcun dolore e non ero angosciato, ero curioso. Uscivo dal mondo dei vivi avendo sempre creduto che di là non c’è niente, ma quella fucilata in pancia, quel misero incidente, mi aveva svegliato il desiderio di vedere in quale diversità andavo a finire. Dissi a me stesso: «Lo spettacolo è finito ma la recita continua, non è bello andarsene odiando, pensa al suo sorriso, al suo profumo, cerca di ricordare la sua voce, amala anche adesso.» Mi trascinavo in avanti tenendo una mano sulla ferita e lei all'improvviso divenne affettuosa e mi baciò con fervore.

«Oh, bel piccolo viso a forma di ciliegina che m’appari stretto nello Hijab, sembri una maschera di carnevale, che belle gote bianche e lisce che hai, che incantevoli labbra color violetto. Sei bella come una bambola e uccidere ti viene naturale, ma per me, anche se mi stai ammazzando continui ad essere portatrice di felicità» Sussurrai. Sapevo che continuare ad amarla era l'unico modo per preservare la ragione, l'avevo sempre fatto, anche quando stavo aggomitolato nel mio guscio e avrei voluto fermare... non so cosa, mi sentivo non so come. Non riuscivo a cancellarla dalla memoria, così, di nuovo, mi lasciai carezzare dal suo profumo e pensai ai suoi morbidi seni. Con i sogni avevo sempre protetto la mia vita, volli assaporarli fino all'ultimo, così che, avevano reso più leggero anche il momento più triste, quello della mia morte. Tutto si consuma e la realtà riemerge sempre. Crudele o liberatoria. Morii perché ero mortale. Lacrime mi velavano gli occhi, ma, questa volta, non per lo sgomento, per la felicità. Sorridevo quando mi congedai dalle passioni, e lassù, in cielo, dietro le nuvole, la luna brillava più intensa. Solo per me.

Buio. La mano sinistra cercò la radio, trovò l’interruttore e spense. Fine del radiodramma e del mio sogno ad occhi aperti. Non stavo morendo e non c'erano viaggi per mare, giardini delle meraviglie, leoni, anche Clizia, il mio castello in aria, era svanito. Stavo sul letto e sentivo i primi sintomi di astinenza: ero un drogato.

Accanto a me c'era Chiara una ragazza che avevo conosciuto pochi mesi prima ad un party di sbandati. Mi stava vicino rannicchiata sul letto, dormiva. Le carezzavo il suo bel culo, un fondo schiena che era come una preghiera, riempiva ogni mancanza, occupava tutti gli spazi. Stavamo insieme, amandoci tiepidamente, senza slancio e complicità, più semplicemente ci sembravamo giusti l’uno per l’altro, stavamo insieme perché tutti lo fanno. Eravamo giovani e non avevamo voglia di fare niente, solo qualche striscia di coca tutti i giorni, molte strisce di coca. La mano cercò il registratore. Accese. Ascoltammo «Where is my mind» dei Pixies. Era sabato e dovevamo darci da fare per passare il week-end, gran cosa un week-end organizzato con cocaina e qualsiasi altra cosa che ti butta di fuori.» Seguitavo ad accarezzarla ed avrei potuto continuare per quanto lo desideravo, ma volevamo spassarcela con la cocaina: «Vado» dissi. Era venuta l'ora di trovare la roba, non potevo stare a giocare coi pensieri. Chiara si era svegliata, mi trattenne per un braccio, pronunciò mestamente: «Vale, la roba ci ammazza, invece, dovremmo riuscire a scordare chi siamo e perché siamo così. E non per un attimo. Questa realtà è tanto dura, ci confonde, alla fine, non conosceremo più il Cammino, Vale, ci perderemo.» Non feci caso alle parole, il cervello era preso da un solo pensiero: «Devo trovare la roba»

Mi alzai e cercai l’interruttore della luce. Accesi e guardai attorno: il pavimento era appiccicaticcio, riviste e giornalini erano sparpagliati dappertutto, il divano aveva la fodera strappata e si vedeva l'imbottitura. C'era solo sporcizia, disordine e bottiglie. Bottiglie in lungo e in largo, sul tavolo, per terra, infilate in mezzo ai libri nella libreria. La luce doveva stare fuori, così avevo chiuso la finestra con un pezzo di polistirolo che ci avevo attaccato sopra, l'effetto era che l'aria non circolava e nelle stanze c'era un opprimente odore di mangiare deteriorato. Sul tagliere c'erano pezzettini di carne, briciole e formiche morte, nel lavandino, piatti lerci sparsi alla rinfusa. Dovunque guardavo vedevo bottiglie. Di superalcolici e di bevande dolci. Usavo soprattutto la Coca Cola per allungare i liquori, così andava giù ogni schifezza. Non tenevo roba di marca, solo di pessima qualità. L'alcool non doveva piacermi, doveva buttarmi di fuori. Mi guardavo in giro e pensavo: «dentro me è uguale.» Non era un bel mondo ma era il mio mondo. Non c’era nessuna poesia in quella stanza e nemmeno nella mia vita, non c'era Clizia e neanche Chiara. Avevo fatto un doppio sogno e tutto era triste, molto triste.

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editoriale di Caspasian

Avvertimento: necessariamente un po' prolisso perché il nesso è lungo e grosso.

Da parte mia l' esposizione dell' argomento è puramente impersonale frequentando io lidi sia mentali che materiali completamente differenti, prediligendo obiettivi più psichici e trascendenti, cosa che al di fuori di ogni giudizio personale mi ha permesso di scandagliare (si, qui c'è vanità ma fatemela passare) questa leggenda dell' immaginario collettivo che è il Siffredi: "no Rocco no party..." Il suo motore ha l' "intercooler" perpetuo.

Il personaggio ha creato un' epica pornografica alla stregua di omeriche avventure e ulissiadi dilatazioni temporali in coesione con l' evoluzione dell' indotta decadenza morale odierna, collegata come gemelli siamesi, e amplificata, a questa accelerazione tecnologica, paravento per inquinamento di coscienze: la possessione sessuale è d' altronde uno dei fattori primari che corrompendo ci influenza sviandoci continuamente, distraendoci da un qualsivoglia centramento. Il dilemma amletico è rigirato in siffredico: "Venire o non venire...?!?" Preoccupante, ma dunque e comunque diamo a Rocco quel che è di Rocco... lui si che ce l' ha profumato... È lui il prototipo dello slogan per quel tipo di essenza: "Per l' uomo che non deve chiedere mai!", gliela danno sempre...

Ed ecco che, affrontato con un' ottica patriottica, Rocco Siffredi si staglia come unico fulgido riferimento italico odierno. Mettiamo il dito nella "piaga" alla stregua di Rocco. L' ultimo scossone in difesa della sovranità nazionale lo avemmo con Bettino Craxi, quello che "anche Ronald Reagan ha fatto rimbarzà". Dopo 25 anni di nefandezze politiche ed economiche ci aggrappiamo ancora a Rocco, in mancanza di altro. Almeno un po' ci rifacciamo dal punto di vista del mazzo: a tutti noi fanno il mazzo, lui fa il mazzo a tutti, tutt' oggi.

Rocco Siffredi è la chiavata definitiva: Armageddon sessuale in un Maelström di deflorazioni infinite.

Quella capacità, dopo un suo passaggio, di mantenere dilatato l' orifizio anche oltre i dieci secondi è incredibile: una sorta di ipnotizzazione di anfratti ottenuta col metronomo-batacchio. La prima espressione da parte del gentil sesso è di sorpresa (amMAZZA!), ammirazione, divertimento ma dopo la fruizione lo sguardo è "abbottato". Non si contano quante gravidanze abbia provocato sol col suo sguardo spermatico. Esistono molti casi dove la sua benedizione ha innescato vere e proprie vocazioni, molte donne si sono ritirate in conventi di clausura, svariati uomini si sono dati all' ascetismo. Ha riportato in auge l' antico metodo della rabdomanzia certificandola come scienza esatta, fa niente che l' arnese al posto dell' acqua scova fica a go-go. Ha commercializzato dunque un gadget scala 1:1 del suo attrezzo in tiratura limitata annesso zampillo che è andato subito esaurito, non ci sono state altre repliche perché la scatola veniva a costare più dell' arnese...

Si sta rivalutando la tesi che l' essere umano discenda dai dinosauri. Luminari del settore, scienziati e paleontologi, hanno evidenziato affinità specialmente con lo Stegosauro. Come in questo sauro è stata appurata la presenza di due cervelli, uno nella testa e uno nella coda, anche nel Siffredi è stato inconfutabilmente provato che in lui dimorano due entità pensanti: uno nella testa (il più piccolo) e l' altro nel glande. Vista la grande irrorazione di sangue necessaria per armare il "cervello" è un mistero come ancora non sia morto per dissanguamento: trasfusioni aliene?

Ha il potere di materializzare proverbi e modi di dire che da figurativi diventano reali sconvolgendo la percezione della realtà. Alcuni esempi: "M' ha fatto il culo come un secchio", effettivamente risulta così dopo un suo "passaggio" - La negativa affermazione "Faccio un lavoro del cazzo" si ammanta di un nuovo significato, mai cosa fu più vera. Come per "Chi ti credi di essere 'sto cazzo?" Ci crediamo. "Sei un sottosviluppato! Uno sviluppato "sotto", si intendeva... 'Sto ragazzo parla poco ma ficca tanto. E come FIcCA... Rocco te pija hARd CORE: alla moltiplicazione dei pani e dei pesci contrappone una moltiplicazione di orifizi, sempre una moltiplicazione taumaturgica è.

Ha ridimensionato e nobilitato parole come nerchia, mazza sleppa fava asta verga fallo bigo. Ha reinterpretato latinismi: in culo veritas, Deus sex machina, Melius est abundare (di 24 cm) quam deficere, rigor penis, fotti Diem, Ecce Penis! Ha revisionato il suo dizionario e tante parole, che non esisterebbero nel suo lessico, assumono un significato siffrediano (non freudiano) come: "barzotto": otto senza leva' - "ritiro": mai, sono sempre in tiro - "basta!": è una cosa che a un certo punto lo dicono le altre... - "moscio": mai sentita questa parola. Cosicchè il giuramento alla naja è legittimato: "L' ho duro!" Uscire a fare jogging e inalare un po' di aria fresca diventa per lui "venire a fare fotting e prendere una boccata di fica fresca".

Poliedrica figura ha prodotto importanti contributi scrivendo libri, due su tutti, un romanzo sentimentale-romantico dal titolo "Va dove ti porta il culo", divenuto in poco tempo un best seller, e un saggio filologico stampato solo in francese: "La bouche d' Hercule" (pronunciatelo appropriatamente), dove sonda a suo modo gli anfratti più reconditi dell' esistenza e dove dimostra la penetrazione della cultura classica greca nella nostra vita. Non sazio di esplorare si cimenta nella settima arte e lì trova la sua vocazione definitiva vincendo innumerevoli Oscar (con la "O" maiuscola!) che lo consegneranno per sempre all' immaginario collettivo. Film come "Mai dire mai a Rocco Siffredi" (tutto un programma il titolo), "Rocco più che mai a Londra" (più che mai che?) e specialmente "Rocco + che mai a Londra 2" (non è bastato il primo...), si rivelano chiave escatologica e ponte invasivo che divide (chiappe e grandi labbra) collettivizzando. Il soggetto in questione è la prova vivente che l' AIDS non esiste! Nell' ambito musicale le collaborazioni "Tese" e a 'na "Piotta" all' ora le conosciamo tutte: è la tromba(ta) lo strumento che suona l' uomo di Ortona?

Anche se è prematuro dirlo, al momento che sarà la sua dipartita, il Siffredi si potrebbe concedere anche il lusso, post mortem, di conciliare le quattro religioni monoteiste gettando le basi per un eventuale premio Nobel per la pace, chissà. Anche se la celebrazione funebre del rabbino potrebbe dilungarsi, e non di poco, se applicasse l' antico rituale ebraico di girare intorno alla salma per liberare le anime bloccate degli spermatozoi fuoriusciti con polluzioni a fondo perduto e cioè quello sperma esternato che non è stato finalizzato per la procreazione. E si sa il nostro campione è stato generoso ad elargire nella sua vita ettolitri di liquido seminale. Potrebbe presentare un problema di espletamento della funzione funebre quei due, tre giorni di girotondi da parte del rabbino non foss' altro per il pericolo che un effetto collaterale del trottolare lo potrebbe convertire in derviscio, in questo caso generando anche un miracolo: i poteri sconosciuti della nerchia!

Ci sta poi tutta l' esclamazione del prete cinese buddista dopo la cerimonia di tumulazione di Rocco: "È stato un glande!" Ed il prete cattolico che ostenta orgoglioso il "bastone" simbolo di virilità, potere, forza, fuoco. E sulla lapide l' epitaffio: "Generoso, disponibile, instancabile nell' elargire bene accompagnato dalla modestia di chi si e' fatto letteralmente "i cazzi suoi", di chi si è fatto il culo (di tutti). Lascia un vuoto (buco) incolmabile." Poeti che con slancio sincero improvvisano canti del tipo: "Mai un altro verrà così, che lanciava con nonchalance le ultime "fiches" sul 23 (bucio di culo), bandiere a "mezz' asta" in tutti i bordelli d' Italia, un singhiozzo disperato di culi sgomenti!" Ed esce un quadro cristallino e diretto di un uomo che riesce a mettere d'accordo tutto e tutti: ogni Re ha il suo scettro e quello di Rocco è unico. La fiducia smisurata per l' umanità è dimostrata dalla sua genuina generosità: sereno lo "presta" a tutte senza voler in garanzia nessuna caparra, né deposito.

Portato per sua natura a sperimentazioni estreme, anche nel campo della fisica, riesce a mettere in difficoltà la comunità scientifica indicando più volte un nuovo orizzonte sulla dilatazione dei corpi, insinuando il dubbio che lo si possa prendere per un abile illusionista ma smentendo con prove di fatto le infanganti millanterie fatte circolare: tutto vero! Una prova tanto più sostenuta dal successo planetario di vendite di una t-shirt raffigurante il suo volto ed una vignetta a mo' di fumetto dove leggiamo: "Posso entrare..." stampata in 23 lingue. Sfidando la sterile tecnologia OGM è stato artefice dell' unico caso al mondo di un innesto naturale che ha portato i suoi alberi di fichi, dove dappertutto crescono i fichi, a maturare fiche.

Quando si dice che uno ha la vocazione (è nato sotto il segno del Toro!), che hai un chiodo fisso, quando capisci il perché sei venuto al mondo, quando c'è la Missione da compiere. Suscitare moti di solidarietà, pellegrinaggi spontanei, gruppi di preghiera per quel non esentarsi mai nell' accogliere tutti con benevolenza dividendo il "pane" fraternamente con performance "corali" come se non ci fosse un domani. A furor di popolo fonda la F.I.C.A., Federazione Italiana Copulatori Accaniti, ma un vizio di forma nella documentazione (c'è l' ha troppo grosso) non gli permette di svolgere il primo trofeo di "scopa"! (imperativo).

Dimostra ulteriormente a tutti la sua profondità interiore palesando il suo disinteresse alla forma quando imbastisce un happening bollente con un gruppo di "very old ladies" innescando con la sua torrida performance una sorta di gradito ritorno per le signore facendo rivivere esplosivi orgasmi del passato: "L' erezione è uno stato mentale!", la sua massima definitiva. "La macchina del tempo esiste", sussurravano le anziane signore...
In guisa di ciò e consapevole della nozione Tempus Fugit annulla la dimensione spazio-temporale fottendo una mole infinita di "materia" alla velocità della luce. Questa facoltà gli permette di esplorare i buchi neri fuori dal nostro pianeta terra, il tutto ampiamente documentato nel saggio "Cavalcando le galASSie. Memorie di un erotonauta". Esperienze esposte a seminari in tutte le università del mondo. Portando avanti l' ASSoluta mancanza di fondamento sulle paure ataviche riguardo i buchi neri, anzi incoraggiando e incitando la frequentazione di questi ultimi, ha aperto speranze concrete nel campo della psicanalisi in tutti quei soggetti affetti da problemi di autostima, accettazione di sé, insicurezza, attacchi di pANIco, conseguendo nelle guarigioni risultati eccezionali.

Non ha mai dato adito a tentativi di infiltrazioni mirate alla destabilizzazione: l' inculata è canonica! ... e lo spacco è verticale, anche se, tramite una confidenza intima, sappiamo di una situazione orizzontale capitatagli. È visitato inoltre dal dono dell' ubiquità che mette in pratica infilandolo " in ogni dove..." Ottimizza ulteriormente la resistenza sessuale scandendo il mantra-tantra: + me lo - + vengo - x non venire + - non me lo - + o x lo - me lo - di - ! Rassicurando tutti che le pippe se le continua a tirare anche lui.

Per il fatto di non aver potuto sviluppare la sua passione per il calcio, dovuto al problema che quando penetrava le difese avversarie gli fischiavano sistematicamente Fallo!, passa un periodo di sconforto ma lo supera trovando aiuto nella poesia. Emblematica del suo disagio è una sua composizione poetica ermetico dadaista: "Il tuo piercing sul grilletto luccica come la mia cappella di alabastro". Per poi riprendersi galvanizzato come ai vecchi tempi:

"Dalla frequenza parossistica anale scaturisce uno squirting primordiale:
Metti il dito sul clito!
Metti il dito sul clito!
Quando spinge, Rocco sderena!
...e tutta la terra trema".

Culo e camicia con tutti annulla ogni forma di competizione chetando l' aggressività con una portanza da campione: Rocco ha perso la verginità prima di suo padre! Unica persona al mondo a dover esibire ai controlli aeroportuali, oltre i documenti, il porto d' armi, pur non possedendo alcuna arma convenzionale... Ed è di poco tempo fa la notizia del ricovero in ospedale del nostro eroe per problemi uretrali (ma va'?) che ha innescato una guerra tra le infermiere in corsia per chi si doveva occupare del catetere e che ha fatto schizzare il picco di domande per diventare "nurse", settore questo deficitario di personale: a nessuno gli andava di fare l' infermiera prima della prospettiva di avere quel certo tipo di paziente... Questa ultima sfaccettatura ci fa fare mente locale sulla parte esistenziale dell' episodio dove al superamento del mezzo secolo di vita Rocco contrappone un' esuberanza che ancora stupisce per la sua frequenza (alta, sempre alta) e anche qui siamo in presenza di un superamento dei limiti temporali, chissà che il nostro non si proponga a tempo debito come ministro del... beh, fate voi di che, e metta subito in agenda il cambio dell' inno nazionale proponendo "Tanti auguri" di Raffaella Carrà o "Kobra" della Rettore. Ma vi immaginate tutto lo stadio che canta il nuovo inno: "Com'è bello far l' amore da Trieste in giù, com'è bello far l' amore io son pronta e tu?" Lui è pronto, è pronto sempre...

Dobbiamo però constatare che nella componente run (rabbit run) è celato un Ma! (si, c' è un ma): nell' imprevedibilità dell' esistenza si è rivelato un individuo, che io conobbi tramite un mio amico, che ne ha combinate di peggio, non usufruendo di nessun ritorno di notorietà, forte soltanto della sua irresistibile verve, se vogliamo chiamarla così: il suo nome è bOb! Se Rocco è un animale da 350 all' ora ci sarà sempre un BOB che, zitto zitto, va a 360 km/ h. Meditate gente, meditate...
"Il cobra non è un serpente
Ma un pensiero frequente
Che diventa indecente
Quando vedo te
Quando vedo te
Quando vedo te
Quando vedo te, ah!"
All' anima della RETROspettiva... AH!

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editoriale di splinter

Fosse stato per me - abituato a fare foto solo quando sento che è davvero necessario il supporto visivo - ne sarei stato fuori per sempre ma vedendo il fenomeno crescere (quanta gente ha perfino smesso di postare su Facebook o ne ha ridotto significativamente l’uso…) ho dovuto cedere per evitare di soccombere. Sto cercando, se proprio devo, di utilizzarlo in maniera creativa, presentando foto un tantino sensate, magari un tantino originali, talvolta davvero non so che cazzo farci, ma mi ritrovo anche ad osservare una realtà virtuale che qui si rivela in tutta la sua nullità.

Tutto a partire dal suo fondamento principale: Instagram è un social network prettamente visivo, che obbliga a postare un’immagine o un video, un contenuto visivo che sovrasta nettamente la parte descrittiva, quest’ultima collocata sotto all’immagine, anzi, figura semplicemente nei commenti, è il primo della serie, quasi come se dovesse scomparire o passare inosservata. Questo è già sufficiente per definire la società in cui ci troviamo: la società dell’apparire, quella dove il nostro modo di vestirci o di presentarci visivamente è più importante di quello che abbiamo da offrire, poco importa se poi dentro non si ha nulla. Sta di fatto che per mantenere viva la propria presenza sul social la gente si impegna a farsi una serie di foto perlopiù inutili e spesso uguali, molti sono banalissimi selfie in pose improbabili, spesso addirittura verso lo specchio con tanto di orrenda visione della manina che sorregge il cellulare mentre scatta la foto; sono foto talmente banali e prive di valore artistico ed estetico che è troppo evidente che l’unico motivo dello scatto è quello di rimanere sulla cresta dell’onda. Poi ecco i filtri, tutti già preparati da qualcun altro e pronti per essere utilizzati, con un clic ecco che una foto palesemente insulsa diventa apparentemente “seria”; è il trionfo del saper diventare chiunque con poco, mostrare a chiunque di essere persone “brillanti” che la sanno lunga, con un’aria da saccenti tuttofare, in un’epoca in cui tutti si spacciano per esercenti di professioni del quale non conoscono nulla chiaramente non potevano mancare gli pseudo-fotografi. Non bastasse fingersi fotografi ecco che ci si finge pure poeti, con risultati altrettanto discutibili, nel tentativo di darsi un tono e far sembrare sensato l’ennesimo scatto di bassa lega ecco che la fighetta di turno ci piazza la frase poetica, ma una frase il più delle volte già sentita e risentita, basata sui soliti concetti di amore, sincerità e quant’altro, spesso copiata in giro qua e là, figurati se la sciacquetta che quotidianamente inizia i discorsi con “se io avrei” è dotata di sufficiente fantasia per poter creare una frase d’effetto in piena autonomia. Poi c’è il festival degli hashtag, di cui la gente fa un vero e proprio abuso senza nemmeno sapere qual è la loro funzione, altrimenti non si metterebbe ad usare tag ipergenerici o completamente inventati; questo aspetto rivela l’incapacità della gente di usare la logica e la tendenza ad imitare ciecamente gli altri senza manco sapere cosa fanno, semplicemente fidandosi del fasullo motto “Vox populi, vox Dei”.

Poi ci sono le stories, queste specie di sequenze di immagini che scorrono automaticamente, non esiste un modo ufficiale per stoppare lo scorrere delle immagini (se non con alcuni escamotage) e spariscono dopo 24 ore, molti utenti le preferiscono ai post permanenti. Anche questo fenomeno stories ci rivela un dettaglio importante della società in cui viviamo: siamo meteore di passaggio, tutto quello che facciamo è cool in questo momento domani no, nessuna speranza di essere ricordati in futuro, dobbiamo solo cercare di attirare l’attenzione in questo momento e poi levarci subito dalle palle perché è così che la società vuole e anche la gente vuole così perché la società l’ha indirizzata a volere così. Storie che poi sembrano non avere davvero qualcosa da raccontare, niente a che vedere con i tempi in cui ci si metteva sul divano con il papà o con il nonno ad ascoltare con pazienza veri e propri racconti di vita, o con i tempi in cui si acquistava un rullino e ci si portava la macchina fotografica soltanto quando si partiva all’avventura e bisognava scrivere la storia di quel viaggio o di quell’esperienza; si facevano poche foto ma che avevano qualcosa da dire e da raccontare, chi si metterà più a riguardare le migliaia di foto che facciamo invece oggi?! Queste stories il più delle volte sono semplicemente sterili book fotografici prodotti in un momento di noia o spesso anche in questo caso per rompere il silenzio e riaccendere i riflettori su di sé per paura che si spengano per sempre.

Ma poi non capisco questo continuo proliferare di social network, abbiamo Twitter, Instagram, Snapchat, TikTok quando ne bastava UNO (Facebook) che era unico e completo di tutte le funzioni. Facebook ha tutto, stati, foto, video, note (funzione corrispondente al blog mai troppo valorizzata), giochi, sondaggi, domande, link, eventi, gruppi di discussione e quant’altro. Non capisco che bisogno ci fosse di spostarsi su una versione discount del social fatta solo di foto e video, con soli tre formati disponibili, con un massimo di solo 10 foto per volta non organizzabili in album e di 1 minuto per i video in bacheca. Ma credo di aver capito anche questo: la gente oggi non ha pazienza di ascoltare, non è interessata né curiosa, quante volte vi sarà capitato di cominciare un discorso e di venire interrotti, a volte dopo un po’ perché vi stavate dilungando o addirittura subito perché l’argomento non era interessante o peggio era scomodo, sembrano tutti sempre in preda alla paura di perdere tempo da spendere in cose migliori da fare quando in realtà di concreto da realizzare non hanno nulla perché oltre al tempo non hanno nemmeno la fantasia per realizzarlo; oppure a far paura è la verità, quella verità che potrebbe spegnere le illusioni. Lo sappiamo, la gente non vuole sentire altro che quello che vorrebbe sentirsi dire, quindi non vuole leggere stati e notizie che esprimono opinioni contrarie su qualsiasi argomento, non vorrebbe vedere l’articolo che rinfaccia la verità sul fatto che il mondo rischia il cataclisma oppure il post di quello antipatico, accettato fra gli amici per compassione, che rinfaccia la verità su quanto appunto il mondo sia falso, ipocrita e vuoto. C’è poi un altro elemento vincente, la mancata reciprocità delle amicizie, su Instagram si può seguire qualcuno senza che necessariamente l’altra persona lo faccia a sua volta; questo alla gente piace, piace essere guardata senza voler guardare gli altri o viceversa piace guardare gli altri ma pretende che l’altro tenga gli occhi a posto (come si spiegherebbero i numerosissimi profili privati?), non credo sia un caso se su Instagram non si è ancora creato un fenomeno “rimuovi dagli amici”; triste verità, la gente non è per lo scambio, non è per il confronto. Solo in un contesto così frettoloso e vacuo poteva avere successo un social network così immediato e povero di contenuti.

Qualcuno invece si lamenta semplicemente del fatto che Facebook è diventato un puttanaio, un elenco di post ingestibile e confusionario causato dalle continue modifiche all’algoritmo (che pretende di decidere per noi cos’è importante) ma se ci pensiamo siamo stati proprio NOI a renderlo invivibile; circa una decina d’anni fa esisteva la cronologia dei post in tempo reale, qualsiasi cosa veniva postata in quel momento da un amico o da una pagina veniva fuori, ma noi ne approfittavamo condividendo la minima cazzata, tonnellate di link mielosi o pseudo-satirici che intasavano letteralmente la home, poi ci iscrivevamo a tutti i gruppi possibili ed immaginabili creati per noia a rappresentanza di ogni singolo spostamento d’aria della nostra vita, roba del tipo “quelli che la mattina aprono la finestra” o “quelli che la sera dopo cena prendono il caffè”; se forse all’epoca ci fossimo limitati a postare solo quando avevamo davvero qualcosa da dire, non avessimo inviato richieste d’amicizia anche all’amico dell’amico dell’amico dell’amico visto una volta sola ad una festa o messo like a centinaia di migliaia di pagine forse Facebook sarebbe ora un luogo molto meno caotico e magari non avremmo costretto Zuckerberg a modificare l’algoritmo nella maniera più improbabile e dittatoriale e sarebbe ancora il re indiscusso dei social…

Per me Facebook resta il social per eccellenza, unico e completo, per il resto sono uno di quelli a cui piacerebbe ogni tanto ancora vedere la meritocrazia e le cose al posto giusto e pertanto penso che Instagram doveva rimanere una vetrina per fotografi con la passione vera per la fotografia e non per pseudo-influencer.

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editoriale di Taddi

Attenzione, non è una recensione né un editoriale, è una storia d’amore.

Per 29 anni è stato vivo, per 42 è stato innamorato, e per 9 è stato morto. Che lui sia stato uno dei migliori cantanti del ‘900 probabilmente lo sapete. Che quella con June Carter è la più bella storia d’amore degli ultimi 100 anni, forse no. (Sarah Vowell)

Lui è nato da una famiglia poverissima in Arkansas, da bambino aiutava i genitori a raccogliere il cotone nei campi. All’età di 12 anni il padre lo incolpò ingiustamente del terribile incidente mortale accaduto al fratello maggiore, scolpendo così il suo cuore per sempre. Dopo il servizio militare, nonostante i problemi di dipendenza dalle droghe ed una scarsa propensione alla monogamia, sposa Vivian.

Lui vestiva sempre con giacca, pantaloni, camicia, cravatta e cappotto regolarmente neri, tanto da essere soprannominato the man in black. Negli anni ’70 nessuno vestiva in nero, tutti avevano abiti sgargianti, cappelli da cowboy, lustrini e paillettes, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Ha scritto una grande canzone nel 1971 per spiegarci il perché:

“Beh, ti chiedi perché mi vesto sempre in nero
Perché non vedi mai colori luminosi sulla mia schiena
E perché il mio aspetto sembra avere un tono cupo
Beh, c’è una ragione per le cose che ho indosso

Indosso il nero per i poveri e gli emarginati
che vivono nella lato senza speranza e affamato della città
Lo indosso per il prigioniero che ha da tempo pagato per il suo crimine
Ma è lì perché è una vittima dei tempi

(…)

Lo indosso per i vecchi malati e soli,
Per quelli spericolati il ​​cui brutto viaggio li ha lasciati freddi,
Indosso il nero in lutto per le vite che avrebbero potuto essere
Ogni settimana perdiamo un centinaio di bei giovani.

(…)

Ma finché non iniziamo a fare una mossa per fare alcune cose giuste,
Non mi vedrai mai indossare un abito bianco.

Ah, mi piacerebbe indossare un arcobaleno ogni giorno,
E dire al mondo che va tutto bene,
Ma proverò a portare via un po'di oscurità sulla schiena,
Fino a quando le cose non saranno più luminose, sono l'uomo in nero
”.

Lei, June,di cognome famoso (Carter, della Carter Family), si trovò a lavorare con lui nel suo road show statunitense. Entrambi erano sposati ma i rispettivi coniugi non parteciparono a quella tournée. June, ragazza rispettabile, non avrebbe mai rubato il marito ad un’altra, soprattutto se lui a quei tempi era irrimediabilmente fanatico e drogato. Ma il destino aveva già scritto quella pagina, June dichiarò “mi sentivo come se fossi caduta in un pozzo infuocato, stavo letteralmente bruciando viva”. Non sapendo come uscire da questa situazione, affidò i suoi sentimenti ad una pagina bianca, poi aggiunse una splendida melodia, una chitarra ed il titolo “Love’s ring of fire” e la diede alla sorella, Anita per inciderla su disco. Si è fidata della musica.

“L' amore è una cosa che brucia e crea un anello di fuoco

Costretta da un selvaggio desiderio a cadere in un ardente anello di fuoco

Sono caduta nell’ardente anello di fuoco

E brucia, brucia, brucia l' anello di fuoco

Il gusto dell'amore è dolce quando cuori si incontrano

Ti credo come una bambina oh ma il fuoco si è scatenato

Sono caduta dentro dentro dentro l’anello di fuoco”

Sono andata sempre più giù giù giù nel fuoco più profondo

Una struggente dichiarazione d’amore fatta tramite la musica che lei ama. Come si potrebbe fare meglio? In quella canzone coesistono sentimenti contrastanti, gioia e dolore, disperazione ed illusione. Ovviamente lui ascoltato il brano, ne percepisce solo la parte gioiosa, capisce di esserne il destinatario e lo riscrive in una sera, imbottito di barbiturici per smaltire le anfetamine. Lo riscrive intuendo istintivamente il finale della storia, nasce così la splendida cover che tutti conosciamo. Aggiunge sonorità mariachi, fiati, cori e la promessa del suo amore eterno, rendendo il brano immortale. A conferma in seguito anche Jerry Lee Lewis, Tom Jones, Eric Burdon, Ray Charles, Wall of Voodoo, Blondie, Dwight Yoakam, Social Distortion, Frank Zappa, Bob Dylan, Elvis Costello, Blondie, Chris Isaak e tanti altri ne fecero una loro versione, omaggiando così l’amore (per ora) impossibile dei nostri protagonisti.

A nessuno è mai venuto in mente di essere predestinati? Di pensare “ecco doveva capitarmi per forza”. Immaginatevi la scena, la sera seguente sul palco the man in black cantava la canzone scritta per lui dalla sua amata con ai cori la stessa amante, la madre e la sorella di lei. Se questo non è un segno del destino…

Negli anni ’60 c’era un visione più casta dell’amore, un brano con quel testo quasi esplicito, addirittura cantato da una donna non sarebbe stato concepibile avrebbe creato scandali, censura ed ostracismo. Paragonare l’amore per un uomo sposato al fuoco a quei tempi era come tuffarsi nelle fiamme dell’inferno. Ci voleva coraggio, incoscienza ma anche tanto amore.

June Carter stava desiderando l’uomo di un’altra donna, violava il nono comandamento!

Il momento in cui June riconosce a sé stessa di amarlo, è molto simile a quello in cui Huckleberry Finn (M. T.) decide di aiutare lo schiavo nero Jim a scappare, anche se gli hanno insegnato che farlo è sbagliato. “E va bene” dice Huck, “andrò all’inferno”. Quel momento è esattamente quando June canta “oh”, c’è un’immensità di apprensione in quella piccola parola, “oh”. Come in oh, cosa ho fatto. Oh, la sua povera moglie. Oh, Signore, perdonami. Oh, per l’amor del Cielo, è meglio che gli butti tutte quelle pillole nel gabinetto. E … oh, continuerò ad amarlo ugualmente.

“Ring of Fire” divenne la hit numero uno nel 1963. Poi, finalmente, lui divorziò. E June divorziò. E lui smise con le droghe. E nel 1968 si sposarono.

Quando dico che questa è la più grande storia d’amore del ventesimo secolo, non penso alla situazione che ho appena descritto anche se, certo, le migliori storie d’amore necessitano di alcuni ostacoli da superare, e loro ne incontrarono diversi. No, penso in realtà al loro matrimonio 35 anni in cui vissero felici e contenti.

Una favola? No, nessuna favola, la realtà. Chi potrebbe scrivere una lettera così dopo 24 anni di matrimonio per il 65° compleanno della moglie?

Buon compleanno principessa, ormai siamo vecchi e ci siamo abituati l'uno all'altra. La pensiamo nello stesso modo. Leggiamo la mente dell'altro. Sappiamo quello che l'altro vuole anche senza dirlo. A volte ci irritiamo anche un po'. Forse a volte ci diamo anche per scontati. Ma ogni tanto, come oggi, medito su questo e mi rendo conto di quanto sono fortunato a condividere la vita con la più grande donna che abbia mai incontrato. Continui ad affascinarmi e ad ispirarmi. La tua influenza mi rende migliore. Sei l'oggetto del mio desiderio, la prima ragione della mia esistenza. Ti amo tantissimo. Buon compleanno principessa.”

“June mi ha salvato la vita, e poi le piacciono gli stessi film che piacciono a me.”

C’è una loro canzone, una ballata gospel, in cui duettano insieme, June canta

Se sarò davvero io la prima ad andar via,
e, chissà come, mi sento che sarà così,
quando sarà il tuo turno non sentirti perso

Perché sarò io la prima persona che vedrai

Così, senza aprire gli occhi, aspetterò su quella spiaggia

Finchè non arriverai tu, e allora vedremo il paradiso.

Come lei aveva previsto nella canzone, June morì per prima. Soltanto quattro mesi dopo lui la raggiunse. Prima di morire disse: “questa cosa, fra noi due va avanti dal 1961, e non voglio fare nessun viaggio se lei non può venire con me”.

Avete capito lui chi è? All’inizio dei concerti era solito presentarsi così:

Hello, i’m Johnny Cash

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editoriale di Flame

Ingredienti (per 4 persone):

  • 500 grammi di lenticchie
  • Due zebedei (i vostri)
  • Uno spicchio d’aglio
  • Un cucchiaio di sale
  • Alcune foglie di alloro
  • Sedano e carote a piacere
  • Una partner (moglie/compagna) della tipologia: puoi badare a quello che sta sui fornelli mentre mi lavo i capelli/faccio la tinta/etc … (altre cose da donna)?
  • Un’indole naturale a non curarsi nulla delle faccende di casa e a dimenticarsi in tempo zero di ciò che vi dice la vostra partner.

Preparazione

Posizionare sul piano della cucina una pentola con dell'acqua all’interno, i 500 grammi di lenticchie, aglio, sale, alloro, sedano e carote. Quindi posizionare nei pressi del piano cottura la vostra partner. Nel caso non si lasci posizionare a vostro comodo, ricorrere al sotterfugio. L’indole naturale e gli zebedei vi serviranno in seguito.

Posizionati gli ingredienti come descritto il processo di preparazione delle lenticchie dovrebbe avviarsi in automatico senza che occorra un intervento in prima persona da parte vostra. Potrete quindi dedicarvi a farvi i cazzi vostri.

Dopo circa un quarto d’ora la vostra partner vi chiederà di badare ogni tanto alla bollitura dell lenticchie mentre lei va a fare altro. È a questo punto che vi servirà l’indole naturale precedentemente citata.

La scarsa fiducia nei confronti del proprio compagno che dovrebbe avere ogni donna che si rispetti, spingerà la vostra partner ad andare a controllare le lenticchie al momento opportuno, e cioè un attimo dopo che abbiano iniziato ad attaccarsi sul fondo ma molto prima che il tutto si carbonizzi.

Otterrete così le lenticchie aromatizzate alla bruciatura su fondo pentola.

È giunto il momento di passare alla trifolatura degli zebedei. Anche in questo caso la vostra partner si occuperà dell’intera preparazione.

Se gradite una trifolatura moderata si consiglia l’utilizzo di frasi del tipo “come stai bene con quell’acconciatura di capelli!”, ostentando sincerità se possibile.

Se gradite una trifolatura media occorre non aprire bocca e non fare alcunché fino a completamento del processo.

Se gradite una trifolatura particolarmente severa si consiglia l’utilizzo di frasi con un grado di misoginia proporzionale al livello di trifolatura desiderato, del tipo “Donna! La cucina è affar tuo! Cosa vuoi da me?”

Mischiate il tutto ed otterrete il vostro pasticcio.

Abbinamenti con i vini.

Per i piemontesi, si consiglia si accompagnare la degustazione del piatto con un’intera bottiglia di Barbera Bricco dell’Uccellone. La forte nota di tannino data dall’invecchiamento in barrique dovrebbe coprire totalmente il gusto per piatto e farvi dimenticare la trifolatura di zebedei.

Se siete di Zena come Dislo e non avete un rosso degno di nota da mandare giù, si consiglia la bevuta di almeno due bottiglie di Giancu du Pescou.

Se siete del Nord Est come Almo, lasciate perdere tutti quegli aromatici ed il gusto di pipì di gatto del Sauvignon e buttate giù galloni di birra.

Se siete di Milan … bevetevi del Cinar, pheeeeeega.

Dal centro in giù bevetevi quello che ritenete più opportuno.

Buon appetito.

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editoriale di luludia

Primo gennaio venti venti...

Caffettino con sambuca, un po di drum...

Me ne sto qui in mezzo a operai sdentati, vecchietti che giocano a carte, donne senz'arte ne parte.

Tutto bene, anche perché questo sole inaspettato ingentilisce tutto. Senza contare che le donne comunque son donne.

Sono spelacchiato come un vecchio cane di strada, magico come un artista da due soldi in un'ora di pace. E c'è come una specie di verità, ovvero questo è quanto.

Torno a casa e ho bisogno di qualcosa che mi restituisca una sensazione simile. Musica chiaramente.

Musica. Si, musica.

Vado sul tubo a caccia di meraviglie black, li la verità c'è sempre. Sorry per la retorica.

Donny Hathaway ha un bel cappello e una bella faccia. Ed è intenso. Al punto che l'aria nella stanza si fa umida. E questo è un bene, visto che il mondo è secco, arido...

Un vero deserto...

Si sentono le lacrime, gli umori del corpo. E' una specie di pioggia, tutti i fiori ne godono, tutti i fiori bevono...

E abbeverarmi a una fonte buona è esattamente quello che volevo.

"Ho dato poesia agli uomini e dunque nel mio mestiere sono re", così Cesare Pavese. Beh Donny, eri un re anche tu...

Auguri, brothers and sisters...

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editoriale di zaireeka

Che piacevole/spiacevole scoperta ho fatto oggi..

Mi sono accorto che, anche se appartengo a questo sito ormai da ben sedici anni non ho mai avuto modo di parlare, fra tutte le cose interessanti da trattare, approfonditamente di quello che è, nel campo “classico” della musica, assolutamente il mio più grande amore: Sergej Vasil'evic Rachmaninov (ecco, ho fatto outing..).

E qui, di cosa si dovrebbe parlare soprattutto, almeno delle intenzioni originali dei padri fondatori?

In compenso alcuni di quelli, debaseriani storici, che hanno avuto invece modo di leggere le mie cose nel corso degli anni, si saranno convinti che sono appassionato, oltre che di musica, anche di scienza, di fisica e non solo, “estrema”, quella “ai confini della realtà”, figlia illegittima della filosofia.

Per anni, e ogni tanto lo faccio ancora, ho acquistato centinaia di libri, oltre che su buchi neri, Big Bang e Big Crunch, su meccanica quantistica, relatività ristretta e generale, libri di novecento pagina con nomi altisonanti (un esempio? “La strada che porta alla realtà” del grandissimo Roger Penrose) e cose simili.

Ed anche libri di matematica “estrema”, come “Alla ricerca di omega” del grande Gregory Chaitin (di cui ho già parlato, indirettamente, in un editoriale).

E molti libri di scienze cognitive estreme come “Il tunnel dell’io” e “Anelli nell’Io” rispettivamente dei grandi Thomas Metzinger e Douglas Hofstadter (del primo qualcuno dirà: "Chi è costui??", del secondo ho già parlato in una recensione).

E tanto e tanto altro, tutti libri che mi sento di consigliare (e così mi sono levato davanti almeno una altra trentina di recensioni..)

Obiettivo: La “modesta” pretesa di riuscire a capire qualcosa di più sulla Natura finale della realtà, dell'universo e della coscienza in particolare.

Da tutte queste letture cosa ne è emerso?

Molto e nulla, più che altro una visione del reale forse un po’ idealista (in termine filosofico), spesso nostalgica del tempo in cui credevo senza farmi troppe domande, e, nel caso peggiore, un po’ nichilista.

Un misto fra il protagonista di “Vita di Pi” (lui in verità provava prima tutte le religioni) e tutte insieme “Do You Realize”, “When you smile” o “What Is The Light? (An Untested Hypothesis Suggesting That the Chemical [In Our Brains] by Which We Are Able to Experience the Sensation of Being in Love Is the Same Chemical That Caused the “Big Bang” That Was the Birth of the Accelerating Universe)” dei The Flaming Lips...

Ed ora, nei primi giorni dell’AD 2020, eccomi nuovamente ad ascoltare il secondo concerto per pianoforte e orchestra del mio amato compositore russo, con in testa un titolo per questo editoriale ispirato al saggio di Thomas Nagel (“Cosa si prova ad essere un pipistrello”), filosofo cognitivista, saggio del 1974 che aveva l’obiettivo di far capire che la coscienza (quella oltre il “fossato galileiano”), non è un fenomeno riducibile ad una analisi oggettiva da parte della scienza.

Per sapere cosa prova quella persona, i suoi sentimenti più profondi, le sue emozioni, le sue speranze, i suoi dolori, bisogna essere quella persona (o quel pipistrello), non c’è altro modo.

Sergej Rachmaninov compose il suo secondo concerto per pianoforte e orchestra nel 1901, al termine di quattro anni di profonda depressione seguita alla bocciatura della sua prima sinfonia. Riuscì a uscirne solo grazie alle sedute psicanalitiche di Nikolai Vladimirovich Dahl, un neurologo e psichiatra russo, suo medico e amico personale, a cui poi dedicherà proprio il secondo concerto.

Nella vita, se si è fortunati, si riescono a provare solitamente tante emozioni, gioia, felicità, stupore, speranza, rabbia, delusione, senso di impotenza, voglia di ricominciare, ma mai tutte insieme...

Il secondo concerto per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov è meno conosciuto dal pubblico del famoso Rach 3 (qui recensito molto bene) celebrato dal film “Shine”, ma è un universo di emozioni in tumulto come poca musica è in grado di essere.

La parte che inizia poco dopo il sesto minuto del primo movimento e dura circa un minuto è una meravigliosa sequenza di scale ascendenti melodico-armoniche, un dialogo pianoforte-orchestra crescente in intensità in puro stile Rachmaninov che rappresenta, per me, una fuga verso il cielo e un urlo di liberazione di un’anima dalla prigione delle proprie ansie, delle proprie angosce, e delle proprie insicurezze.

Ed ora la sto riascoltando, e sono il compositore alla fine di quei quattro anni, e penso che forse Nagel non ha del tutto ragione (e questo è meraviglioso), o non ha mai ascoltato Rachmaninov.

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