editoriale di Ildebrando

É una sera di agosto; una sera non oppressa da aria greve, ma l'atmosfera è pronta a riscaldarsi. Giovanna canta Milva. Lo fa senza divismo e senza ieraticità; lo fa con umiltà e con affetto.

"Gli artisti non si appartengo; appartengono al sorriso di un amico, all'Amore del loro pubblico",

riflette, nel corso dell'omaggio alla sua amica Pantera. Eppure, da questo intimo senso di non appartenenza, Giovanna riesce a far vibrare una atmosfera di serena convivialità; ad abbracciare il suo pubblico con intenzioni familiari.

Dalla sua voce scaturisce un incalcolabile slancio di gioia che, dalla pienezza del suo canto, si irradia e si deposita nel fondo delle anime dei suoi ascoltatori. Dai motivi anni '60, ai canti delle libertà, passando per Brecht e sino ad Alexanderplatz, ogni canzone, elevata dal sincero omaggio di Giovanna, trova un fuoco tutto suo, ed arde e riscalda.

Microfono alla mano, e sorrisi alle labbra, Giovanna sa regredire con il pensiero alla stato primigeneo delle melodie dalla lunga vita e sa fasciarle, con la sua voce, di nuove, ma rispettose, vesti. La sua scienza lancia fiati materni capaci di risollevare lo spirito. Sa schiudere mondi, Giovanna; dal suo petto rigonfio di passione, scaturisce l'Amore e, con gentilezza, ci accompagna, per mano, a traversare con giubilo le ore di una gradevole serata.

"Giovanna, omaggio a Milva", non é solo il tributo di una artista ad un'altra artista, é una lezione di "pragmatica della memoria" che insegna come l'omaggio non debba dare piacere dal mero soddisfacimento del fare ciò che si fa, ma, debba, invece, essere un saggio confrontarsi di un sapiente con un altro sapiente, gettando messaggi di universale comunione.

Allora voglio dire Grazie:

Grazie Giovanna, per la tua bravura per la tua grazia, per la tua eleganza e, soprattutto, per i tuoi sorrisi colmi di sincero affetto...

Perché Giovanna é una di quelle persone a cui viene naturale chiedere un abbraccio.

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editoriale di Bubi

Sono un fantasma. Sono il fantasma di un uomo assassinato. Volo qua e là nel cielo. Sono in grado d'andare ovunque. Nei deserti o sulle cime innevate, rincorrere un delfino che nuota in mezzo al mare, carezzarlo, osservarlo ben bene per cercare di capire perché è sempre contento. Posso seguire a volo d'angelo la donna che ho sempre amato. Sta seduta su una panchina di un parco, guarda una mia foto e sorride. Sorrido anch'io. Mi avvicino e l'abbraccio. La bacio. Ma lei non se ne accorge e, se non avverte la mia presenza, le tenerezze non hanno senso. Sopravvivo solo nella sua memoria e nell'immagine sulla foto. Allora, di cosa può nutrirsi una creatura come me, che pensa, ha sentimenti, ma non ha luoghi dove stare e qualcuno da amare? Se non c'è l'amore non esisto. Chi è morto dovrebbe morire completamente senza cercare momenti di felicità. Dovremmo limitarci a essere presenze e lasciare le gioie ai vivi, noi fantasmi.

Sotto di me vedo un brulicare di gente e di vita, ma sono solo in questo grande cielo. Volo a rivedere casa mia, vedo la strada, i pini, alcune persone. Entro da una finestra. Steso al suolo, c'è un ragazzo con una ferita al petto, sta morendo. Sono io. Seduto su una poltrona c'è il mio assassino. Scivolo sulla sua spalla, tiene in mano la mia pistola e sorride. Sembra felice ma non lo è, non è mai stato felice. Nemmeno quando mi ha tolto la vita. Credo che non si sia nemmeno reso conto che mi stava uccidendo. Ma io sono morto e lui è seduto e sorride. Lo guardo di nuovo, lo guardo ben bene, non c'è dubbio è... morto. Ha gli occhi sbarrati ed ha la bava ai bordi della bocca, è morto anche lui! Non gioisco. Non c'è motivo. Lo farei soltanto se potessi tornare in vita e riprendere con nuova consapevolezza, ma questo non è assolutamente possibile. E poi, dov'è tutta questa differenza tra essere vivi, vivere senza vita ed essere spirito e volare dietro al nulla? Non c'è. Già allora ero un fantasma. Morto di fatto. Respiravo o poco più. Mi avvolgevo nella mia coperta di insensibilità e tutto sembrava filare liscio. Ma la vita, dov'era? Non la rimpiango e, neanche lui, credo. In fondo ci somigliavamo. Che strano tipo. Era un assassino che non commetteva reati, un assassino che desiderava essere amato, anzi lo pretendeva. Qui sta l'equivoco. L'amore non si può comprare o pretendere, se non te lo regalano, ci devi rinunciare. Ma lui non lo sapeva e negli altri non suscitava nulla, né affezione né odio. «Prova qualcosa per me! Ti scongiuro!» Deve aver pensato infinite volte. Invece niente. L'infelicità l'aveva piegato a odiare l'umanità ed a maledire il mondo nella convinzione d'essere il migliore. Aveva ucciso anche mio fratello e mia madre si era salvata perché pur di scamparla, se la intese con lui.

Appollaiato sulla sua spalla, vicino a quel sorriso bugiardo, lo osservo e rifletto. Lo conosco bene. Si illudeva d'essere dotato d'una grandezza ben maggiore di quanto la natura gli aveva donato. Pover'uomo, non sapeva entrare in intimità con nessuno, non capiva se stesso e non capiva gli altri. Soprattutto quelli cui piace vivere senza attirare l'attenzione, chi non vuole essere speciale e fa coesistere in sé il bello, il brutto, la luce e l'ombra. In definitiva, coloro che somigliano ai fiori, che sono belli e profumati senza averne coscienza. Era uguale a quel attore il cui solo scopo era ottenere l'applauso del pubblico. Mediocre attore. Una misera comparsa impegnata in una recita continua. Quando si guardava allo specchio, vedeva un cagnolino che scodinzolava, un cagnolino al guinzaglio delle opinioni degli altri. Vuoto, senza orrore di se stesso, avrebbe detto Petrolini. Che pena. Quanto dolore mi provoca, tanto tanto. E io, che dopo la mia dipartita ho avuto molto tempo per riflettere e sono diventato buono, quasi buono, provo compassione, sono vicino ad amarlo.

Quanto devi aver sofferto anche te, caro BABBO. In quei grandi occhi vedo luccicare lacrime, il sorriso bugiardo è in realtà un'espressione di profonda tristezza. Ti guardo ancora. Già cala l'indulgenza. Sentirmi vicino alle tue sofferenze, non basta a colmare la rabbia per avermi messo al mondo. Meglio affidarsi al vento, volare tra gli aquiloni, andare a caccia di delfini da carezzare, cercare l'amata da baciare. Ma, ahimè, dovrò immaginare il nostro bacio. Perché noi fantasmi, abbiamo in sorte di vivere le passioni solo per la nostra parte. E tu, amata mia, pur con tutte le tue tribolazioni, anomalie, imperfezioni, sei viva. Come puoi essere amata da me, se non puoi partecipare ai miei baci e ai miei abbracci? Non abito nel tuo mondo, solo nei tuoi ricordi. Povero fantasma. Sono nient'altro che rimpianti sogni e desideri che fluttuano nell'aria. Condannato a nutrirli eternamente. Quando si esauriranno, quando avrò consumato anche l'ultima fantasia, di me non resterà nulla.

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editoriale di editors

La prima cosa da fare è verificare se all'interno del DeDatabaser sia presente (o meno) il DeArtista autore della DeOpera (qualsiasi essa sia): questo lo puoi fare agevolmente griccando sull'apposito link "CERCA" ben visibile in alto in CasaPagina

- Se il DeArtista è presente occorre verificare se la DeOpera sia elencata tra quelle presenti e già associate al DeArtista.

- Se il DeArtista è presente ma la DeOpera desiderata NON è presente la si può sempre inserire all'interno della DePagina del DeArtista tramite il comodo tasto "Aggiungi Informazioni" in alto a destra.

Facciamo un esempio, accedi quà:
Anal Cunt - Recensioni, discografia

Lo vedi sulla destra il tasto "aggiungi informazioni"?

Cliccaci sopra.

Ora ti si dovrebbe aprire un menù a tendina con due opzioni:
- invia un'immagine
- invia un'opera


Questo ti consente di inserire e creare tutti i DeDischi che vuoi corredando il tutto con tante informazioni utili quali data di uscita, copertina e titolo.

Se viceversa il DeArtista NON è presente le cosettine iniziano lievemente à complicarsi: occorre dapprima inserire un nuovo DeArtista all'interno del DeDatabaser tramite l'apposito link

DeBaser: auténticati!

Visto chè ci sei procurati anche una bella immagine (non tua, per quanto Tu sia bellissim_ non ci serve in questa fase) del nuovo DeArtista da associare alla (nuova) DePagina appena creata del DeArtista (precedentemente mancante).

Una volta che hai creato il nuovo DeArtista (precedentemente mancante) puoi, volendo, ricorrere alla implementazione delle DeOpere di lui medesim_ seguendo la procedura indicatati per gli amabili Anal Cunt di cui sopra.

E, soprattutto, ricordati che noi non avremo cultura, ma in quanto a finezza non ce lo mette in culo nessuno.

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editoriale di ZiorPlus

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V.I.P. per modo di dire, ovviamente.

Tutto ha (ebbe) inizio quando mi è venuto il pallino di mettere in vendita su un sito online parte della mia collezione di Lp/CD/Libri/Fumetti e mirabilia assortita.

Di riflesso da diversi venditori che da tempo si occupano di vendite avevo avuto qualche sentore su come funzia la faccenda anche se poi uno dal di fuori tende sempre all'ottimismo ed a minimizzare quindi pensa > Ma sì può succedere, tutto sommato fà parte del giuoco quindi bisogna metterlo in conto.

Saranno un paio di soliti che hanno tempo da perdere, si divertono così.

Parte dunque l'ambaradan, metto tanto per provare 3 dischetti tre in vendita con foto, descrizione accurata ed alcune semplici necessarie regolette tirate all'osso aggiungendo che in caso di dubbi una semplice email e vediamo di trovare una soluzione che vada bene per tutti.

Niente di spaziale, avendo a mia volta acquistato per anni diversi oggetti on line ho cercato per quanto possibile di renderla e rendermela semplice come a loro volta hanno fatto altri nei miei confronti dall'altra parte.

Devo dire che ho quasi sempre avuto in sorte di trovare brava gente, disponibile e che si è sempre messa a disposizione.

Comunque, arrivano le prime offerte anche di un certo rilievo su un paio di oggetti quindi devo dire che tutto sommato inizialmente la cosa ha iniziato a prendermi.

Inizia uno contattandomi con un tono che non ammette replice intimandomi di cancellare la sua offerta in quanto aveva premuto per sbaglio il tasto conferma l'offerta ma soprattutto sottolineando che se non lo avessi fatto era un avvocato e si sarebbe fatto valere nelle opportune sedi (?) inviandomi a supporto tutta una sfilza di allegati email con varie leggi sulla tutela del consumatore.

Che ci vuole anche il suo tempo per tirarle fuori tutte con cognizione di causa ma và bene essendo avvocato probabilmente le avrà a portata di mano.

Ok no problem può capitare, ma quali opportune sedi ci manca solo di finire in tribunale per un dischetto, se uno non ha intenzione di portare a termine un acquisto avvocato o meno alla fine cambia poco si fà prima ad annullare ed amici come prima.

Altro giro però con oggetto aggiudicato stessa solfa solo che questa volta lo sbadato di turno è guarda caso parente del maresciallo della caserma dei Carabinieri di... che non si sà cosa c'entri ma si vede che ci teneva a sottolinearlo.

Che poi mia moglie, tornando alla realtà, è la figlia di un maresciallo dei Carabinieri ma non ho mai ne pensato ne avuto modo di andare sull'argomento con nessuno anche perchè non avrei motivi per farlo son quel tipo di cose che neanche ti passano per la mente.

Idem per un dischetto da 4 soldi di Alan Sorrenti. Stavolta si presenta lui stesso come appartenente alla GdF. Nelle intezioni immagino, perchè non mi viene in mentre altro, come dire occhio che se solo provi a dirmi di no non sai a cosa potresti andare incontro.

Questo in neanche una settimana, il tutto inframmezzato da diverse altre sfighe come: > mi hanno clonato l'account, il gatto a passeggio sulla tastiera del PC, l'amico che ha fatto uno scherzo, pensavo fosse L. Battisti ed invece no era Alan Sorrenti mi sono confuso, la moglie divorziata che ha ancora la mia password per farmi dispetto, è stato mio figlio piccolo senza sapere.

Ma almeno questi ultimi non hanno sentito la necessità di farsi passare per chi non sono o conoscenti di.

Delle vendite non è che mi importi granchè è un passatempo che mi sono trovato durante la pandemia nel tentativo se riesce di unire l'utile al dilettevole poi vada come vada.

Il punto piuttosto è che verrebbe da chiedersi e mi sono chiesto: > A meno che veramente tutti questi > Sig.ri conosco tal dei tali" siano capitati tutti a me e tutti in una volta per una serie di sfortunate coincidenze, ma è mai possibile che per cose tutto sommato banali come queste le persone possano andare in para al punto di millantare conoscenze ed appartenenze che alla fin fine lasciano il tempo che trovano (?)

Viviamo davvero in un Paese dove prima di ogni altra considerazione viene il > Io sono o conosco tal dei tali che a sua volta conosce ecc. e compagnia bella?

Magari non l'ho messa giù bene non rendendo appieno l'idea di come anche una cosa piccola ed astrusa come questa, il confronto con una realtà fatta di "giustizia" per interposta persona solo a patto di conoscere od essere qualcuno, mi abbia in qualche modo lasciato l'amaro in bocca.

Soprattutto buon proseguimento a tutti.-

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editoriale di Stanlio

Si è al solito aut-aut o dilemma, “essere” o “avere”…?

Sul Manifesto nemmanco una riga che sia una, sul Fatto poche righe che dicono poco ovvero che se estradato negli States, una sentenza di tribunale poteva costargli anche 30 anni di prigione, su laRepubblica di ieri Paolo Brera ce ne racconta di ogni e a me che non conoscevo John McAfee nemmeno di striscio, se non chè per il solo cognome che è uguale al famigerrimo antivirus col simbolo dell’ombrellino rosso, che anch’io a suo tempo usai gratuitamente ed infatti l’aveva prodotto proprio illo, eccoVi un esauriente collage del copia/incolla con le parti salienti da me medesimo bricolaggiate a Vs esclusivo beneficio, tratte dalla suddetta pagina online della testata, che ne racconta di ogni, partiamo dal titolo e relativo sottotitolo:

  • suicida in carcere l'inventore del software antivirus
  • Una vita travagliata tra soldi, alcol e sesso.

Passiamo all’articolo vero e proprio:

  • 23 GIUGNO 2021
  • l'inventore del sistema antivirus installato sui computer di tutto il mondo quando il mondo ha inziato ad avere un computer, si è tolto la vita oggi in un carcere di Barcellona per evitare l'estradizione negli Stati Uniti.
  • a 75 anni McAfee non se l'è sentita di affrontare un epilogo che non sopportava.
  • all'udienza di estradizione aveva detto chiaro come la pensava: le accuse contro di lui erano motivate politicamente. Avrebbe ancora potuto presentare ricorso contro la decisione del tribunale spagnolo, ma evidentemente non aveva più voglia di combattere.

Poi ci sta un secondo titolo con foto del 6 ottobre 2006 (ehm, accalappialettori) che inizia così: Evasione fiscale, arrestato in Spagna il re e finisce così: degli antivirus McAfee

Ok, proseguiamo con l’articolo principale:

  • Secondo McAfee, i suoi guai fiscali nascevano dall'offerta, rifiutata, di candidarsi nuovamente alle Presidenziali statunitensi del 2020.
  • I pubblici ministeri federali degli Stati Uniti lo avevano messo sotto accusa lo scorso ottobre per aver evaso le tasse e per avere volontariamente omesso di presentare le dichiarazioni dei redditi. […] contestandogli più di 23 milioni di dollari di redditi omessi attraverso una serie di manovre su criptovalute con dichiarazioni "false e fuorvianti".
  • Il tribunale spagnolo ne aveva autorizzato l'estradizione perché rispondesse delle accuse

[…] ma McAfee si è ucciso senza neppure provare a percorrere la via di un ricorso, impervio, contro la sentenza spagnola.

  • il suo antivirus nel Duemila aveva già 50 milioni di utenti registrati. Nel 2010 il colosso Intel ne aveva messo nero su bianco l'entità acquistando la società per 7,8 miliardi di dollari.
  • la sua vita era stata una vera e propria odissea tra sesso, droga e prostitute.
  • La notte del 21 novembre 2012 il cadavere del cinquantaduenne Gregory Faull viene ritrovato in una pozza di sangue nella sua casa di San Pedro, in Belize, dove si era trasferito dopo il divorzio. A ucciderlo e' stato un proiettile da 9 mm il cui bossolo viene trovato vicino al corpo. Il suo telefono e il suo computer sono spariti ma non ci sono segni di effrazione. Due giorni prima aveva avuto l'ultima di una serie di liti furibonde con il suo vicino, un ingegnere informatico che, nonostante l'eta' avanzata, trascorreva le sue giornate tra rumorosi party a base di droga e giovanissime prostitute. I poliziotti lo cercano per interrogarlo ma John McAfee e' gia' riuscito a scappare.
  • L'uomo che ci ha risolto un mare di guai non ha resistito a un grosso guaio con la giustizia: John McAfee, l'inventore del sistema antivirus installato sui computer di tutto il mondo quando il mondo ha inziato ad avere un computer, si è tolto la vita oggi in un carcere di Barcellona per evitare l'estradizione negli Stati Uniti. Era accusato di evasione fiscale.
  • L'Alta Corte spagnola ne aveva appena autorizzato l'estradizione, ma a 75 anni McAfee non se l'è sentita di affrontare un epilogo che non sopportava. Arrestato all'aeroporto di Barcellona nell'ottobre 2020, all'udienza di estradizione aveva detto chiaro come la pensava: le accuse contro di lui erano motivate politicamente. Avrebbe ancora potuto presentare ricorso contro la decisione del tribunale spagnolo, ma evidentemente non aveva più voglia di combattere.
  • Il gioiello di McAfee, quell'azienda creata nel 1987 per l'analisi delle reti informatiche, aveva cominciato a brillare ovunque dal 1997, quando aveva acquisito gli strumenti per lavorare al motore del suo sistema antivirus. Combattere il nemico giurato della rete digitale mondiale, i virus che già in quell'era pionieristica iniziavano a imperversare, si era rivelata una miniera d'oro: il suo antivirus nel Duemila aveva già 50 milioni di utenti registrati. Nel 2010 il colosso Intel ne aveva messo nero su bianco l'entità acquistando la società per 7,8 miliardi di dollari.
  • Un mese dopo lo ritrovano in Guatemala, dove viene arrestato per immigrazione clandestina. Per evitare di essere deportato in Belize finge un attacco cardiaco.
  • Alcuni mesi prima avevano smantellato il laboratorio dove fabbricava antibiotici sostenendo che, in realta', vi producesse anfetamine.
  • il sindaco di San Pedro lo aveva pure ringraziato quando l'8 novembre 2012, in conferenza stampa, McAfee aveva regalato alla polizia locale 40 pistole stordenti, manette e manganelli come personale contributo alla lotta al crimine
  • In Guatemala McAfee trova un avvocato che blocca il suo trasferimento in Belize. L'informatico viene deportato a Miami dove in un ristorante incontra la sua futura moglie, Janice Dyson, un'ex prostituta.
  • Prova a correre senza successo alle primarie del Partito Libertario per candidarsi alla presidenza Usa e torna a uno dei suoi vecchi amori, il mondo delle criptovalute. Nel mondo dell'informatica, McAfee era una leggenda. Le richieste di consulenze fioccano. I 23,1 milioni di dollari guadagnati, con consigli ritenuti per giunta fraudolenti, mancano pero' all'appello del fisco.
  • il 5 ottobre 2020, incriminato dal dipartimento di Giustizia, McAfee parte per l'ultima fuga, direzione Istanbul, ma viene fermato dalla polizia spagnola all'aeroporto di Barcellona Oggi il suicidio, che ha messo fine alla sua vita.

Insomma per concludere torniamo all’aut-aut iniziale s’è tolto la vita da solo veramente o l’hanno ehm, aiutato…?

PS come ciliegina sulla torta ci tengo ad aggiungere questo estratto dal Fatto del 11 agosto 2020 al curricuuim vitae del ns JMA titolo Indossa un tanga come mascherina: arrestato John McAfee, il fondatore dell’antivirus “Insisto, è la protezione più sicura che ho a disposizione e mi rifiuto di indossare altro”. Così ha detto il 74enne John McAfee agli agenti di polizia che l’hanno fermato al suo arrivo in aeroporto in Norvegia, appena sceso dal suo jet privato con indosso un tanga come mascherina.

PS2 chiedo scusa mi son confuso, quello con l’ombrellino rosso era un altro e niente…

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editoriale di POLO

Leggendo capirete.
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DENTE
FILM DELLA VITA: Io e Annie
LIBRO DEL CUORE: Cipì, Il Piccolo Principe
DISCHI DA ISOLA DESERTA: Closing Time (Tom Waits), Anima Latina, i primi due dei Belle and Sebastian
GUILTY PLEASURE: L’eredità su Rai1 tutte le sere prima di cena, cascasse il mondo
FRASE PER RIMORCHIARE: "sei fresca come una pesca sbucciata, un po’ come il mio ginocchio, ha!"
BUGIA CHE DICE PIÙ SPESSO: "ma no che non ci provo! al massimo ci guardiamo un film, dai vieni su"
COME INGANNA IL TEMPO QUANDO NON SUONA: fa un giro in bici sui navigli, guarda una serie su Netflix
PIZZA PREFERITA: capperi e acciughe

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FRANCESCO DE LEO (Officina della Camomilla)
FILM DELLA VITA: uno a caso di Godard in bianco e nero, Transformers II
LIBRO DEL CUORE: le poesie di Mario Luzi, La macchina morbida (Burroughs)
DISCHI DA ISOLA DESERTA: Piero Ciampi - “Andare camminare lavorare”, The Strokes - “is this it"
GUILTY PLEASURE: gli ABBA, Sfera ebbasta
FRASE PER RIMORCHIARE: “sei leggera quando pieghi le cose, leggera come un mazzo di fiori neri sul cestino di una bici”
BUGIA CHE DICE PIÙ SPESSO: “ma non sono per la droga... mi servono per prendere l'acqua"
COME INGANNA IL TEMPO QUANDO NON SUONA: non si ricorda, dice.
PIZZA PREFERITA: wurstel e patatine

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MANUEL AGNELLI (Afterhours)
FILM DELLA VITA: Pulp Fiction, Fight Club
LIBRO DEL CUORE: Fight Club (“Palahniuk ti prende davvero a cazzotti lo stomaco”)
DISCHI DA ISOLA DESERTA: Nebraska, Led Zeppelin IV, il primo dei Beastie Boys
GUILTY PLEASURE: non crede nel concetto di guilty pleasure: esistono la Bella e la Brutta musica. Se ci sono le chitarre è meglio, ma "non per forza”, “anzi”, gli piace “quasi solo altro, ormai”.
FRASE PER RIMORCHIARE: “in realtà i Nirvana non mi son mai piaciuti”
BUGIA CHE DICE PIÙ SPESSO: tutta quella storia che ha raccontato a Bonolis sulla volta che una tizia del pubblico voleva staccargli il pene è un’enorme cazzata.
COME INGANNA IL TEMPO QUANDO NON SUONA: panca piana e bilanciere, gioca a calcetto coi nuovi amici della tivù.
PIZZA PREFERITA: taleggio e noci

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UMBERTO PALAZZO (Santo Niente, Castellina Pasi)
FILM DELLA VITA: Amici Miei
LIBRO DEL CUORE: non ha letto granché perchè il rock è stata la sua letteratura, comunque Underworld di DeLillo l’ha letto ed è rimasto folgorato, dice.
DISCHI DA ISOLA DESERTA: il primo dei Litfiba / Dark Side of the Moon / Unknown Pleasure / The Wall
GUILTY PLEASURE: “Dimmi dove e quando”, ma non se ne vergogna: il mestiere del dj - spesso lo dimentichiamo - è far divertire la gente.
FRASE PER RIMORCHIARE: “ho visto Solange in concerto e ho capito che il futuro della musica è donna”
BUGIA CHE DICE PIÙ SPESSO: "da sempre ascolto musica black" (ha cominciato nel 2012, leggendo su Pitchfork di tale Frank Ocean)
COME INGANNA IL TEMPO QUANDO NON STA SU FACEBOOK: suona.
PIZZA PREFERITA: margherita con l'aggiunta di bacon e maionese

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FRANCESCO BIANCONI (Baustelle)
FILM DELLA VITA: Cul-de-sac, Ladri di biciclette
LIBRO DEL CUORE: Le particelle elementari (Houellebecq)
DISCHI DA ISOLA DESERTA: Histoire de Melody Nelson (Gainsbourg), Different Class (Pulp)
GUILTY PLEASURE: Lady Gaga, i post di Selvaggia Lucarelli
FRASE PER RIMORCHIARE: "noi ci siamo già visti in un’altra vita, vero? Passeggiavamo sulla Senna”
BUGIA CHE DICE PIÙ SPESSO: "sono perfettamente d’accordo con te"
COME INGANNA IL TEMPO QUANDO NON SUONA: legge, scrive, beve Coca Cola, fa l’amore.
PIZZA PREFERITA: calamari con mozzarella senza lattosio

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VASCO BRONDI
FILM DELLA VITA: “Powaqqatsi” (Goffrey Reggio), "The Tree of Life"
LIBRO DEL CUORE: le poesie di Vian, Camere Separate di Tondelli
DISCHI DA ISOLA DESERTA: tutti quelli dei CCCP, la pecora di De Gregori
GUILTY PLEASURE: non ne ha, è trasparente, ammette sempre e non mente mai. Davvero.
FRASE PER RIMORCHIARE: le canta “Cara Catastrofe” o le regala un libro bello, ma generalmente sono le donne a venire da lui.
BUGIA CHE DICE PIÙ SPESSO: non ne dice.
COME INGANNA IL TEMPO QUANDO NON SUONA: va a farsi un giro sulla via Emilia oppure in Tibet
PIZZA PREFERITA: vegan.

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TOMMASO PARADISO (Thegiornalisti)
FILM DELLA VITA: li ha scritti su Facebook, scelte ovvie tipo Love Actually, Riky & Barabba ecc
LIBRO DEL CUORE: “About a Boy” di Nick Hornby, letto dopo aver visto il film con Hugh Grant
DISCHI DA ISOLA DESERTA: tutti quelli di Venditti da “Cuore” in poi, Be Here Now degli Oasis (no, non Morning Glory: proprio Be here now!)
GUILTY PLEASURE: i cori fascisti in curva della Lazio
FRASE PER RIMORCHIARE: vabbè, dai.
BUGIA CHE DICE PIÙ SPESSO: "gli amici prima della donna" (stocazzo, ndr)
COME INGANNA IL TEMPO QUANDO NON SUONA: gioca a tennis, va in vespa, stalkera le ex.
PIZZA PREFERITA: marinara in riva al mare a Fregene

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NICCOLÒ CONTESSA (I Cani)
FILM DELLA VITA: dice Borotalco per fare il romano verace, ma in realtà è Inception perché c’è la matematica
LIBRO DEL CUORE: "Infinite Jest", ovviamente. "Ragazzi di vita" quando si sente romano verace
DISCHI DA ISOLA DESERTA: “Sweetener" di Ariana Grande, “Discovery” dei Daft Punk, un best of del Califfo per fare il romane verace
GUILTY PLEASURE: anche lui come Agnelli dice di non credere nel guilty pleasure, con la differenza che sente la necessità di spiegare il perchè di tale risposta attaccando un pippone talmente lungo da indurre il sospetto che in realtà ci creda eccome, e che ne abbia a palate, di guilty pleasure, oltre a un casino di altri dubbi da risolvere con se stesso.
FRASE PER RIMORCHIARE: le canta “Without You” di Tobias Jesso Jr al piano pensando che funzioni
BUGIA CHE DICE PIÙ SPESSO: “non ho mai nascosto di voler fare questo e questo soltanto: il pop” (all’inizio, poco prima di intraprendere la scelta estetica del synth-pop, era indeciso se iniziare un progetto folk pastorale tipo Fleet Foxes, o roba coi droni alla Sun O))), o roba punk tipo Jay Reatard)
COME INGANNA IL TEMPO QUANDO NON SUONA: va a vedere su YouTube le vecchie partite di Totti con la magica per fare il romano verace, partite che non aveva mai visto prima per via di un (vecchio) malcelato snobismo del calcio; una diffidenza che oggi non prova più, perché odiare il calcio non è fico.
PIZZA PREFERITA: la romanaaaaaaa

(fine prima parte)

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editoriale di Bubi

[Faccio un breve riassunto della prima parte, perché è legato al finale]

La spiaggia era come una cartolina in bianco e nero. Io sto in mezzo all'acqua, ho le labbra incollate a una bottiglia di sambuca, piscio nel mare e lascio bottiglia e busta a galleggiare sulle onde. Poco a poco comincio a non capire più un cazzo... Per diversi minuti la pioggia riprese intensa, rimasi con Isabella, un cane e una signora che camminava sulla riva. Isabella giocava col cane, gli occhi corsero alle gambe della signora. Aveva la pelle liscia e bianca, muoveva le anche come non avevo mai visto fare a nessuna.

Era una giornata magica. La pioggia aveva smesso di cadere, adesso c'era il sole, la spiaggia si animava e si svuotava, era in bianco e nero, subito dopo prendeva colore. Era come i miei pensieri e i miei stati d'animo e tutto quello che attraversava la mia vita, ora bianco, ora grigio, ora luminoso, ora senza speranza. La signora dalla pelle bianca si era seduta sul gavone d'un pattino a pochi metri di distanza, accavallò le gambe. L'immaginavo in intimo nero: Lentamente le tolsi le calze, il reggiseno, infine, finalmente, la smutandai. La signora mi notò, ripose il frutto nella stagnola e andò via.

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Isa socchiuse gli occhi. Si figurò che quella situazione fosse un invenzione. Immaginò che eravamo amanti insieme ad altre coppie innamorate. Che stavamo a flirtare in un bar di Marina di Pisa. Si sorseggiava una tazza di tè freddo e si chiacchierava d'amore e di cose futili. Pensò che il discorso cadesse su quando, all'inizio dell'estate, seduti su una panchina di marmo, ci baciavamo. Che tra un bacio e l'altro, le avevo detto: «sei il mio amore e lo sarai per sempre.» Per qualche istante fu presa da un infinita tristezza. Un lacrimone le corse giù per una gota. Tornò a piovere e furono gocce provvidenziali, col viso coperto di pioggia e lucciconi che le tremolavano tra le palpebre, Isa si rasserenò e continuò a guardarmi amabilmente. Era uno sguardo che avvolgeva come un caldo abbraccio. La sfiorai garbatamente e lei si strinse a me. Rimanemmo così a lungo. Senza parlare. Mi sentii sollevato ma la tristezza non se ne andava. Uno stato d'animo misto di ansia, paura e sofferenza mi consumava e non mi dava riposo. Il volto era segnato da durezza, nello sguardo non c'era espressione, non mostravo né felicità né sconforto. Non usciva nulla, tutto era controllato. Gli occhi, i miei occhi, non conoscevano lacrime, mai erano riusciti a bagnarsi.

La pioggia cadde più volte prima che facesse buio. Ero ancora disteso a terra e Isa si sdraiò accanto a me. Tutt'intorno picchiettavano gocce d'ogni colore. Cadevano sulla sabbia, sull'acqua, su pacchetti di sigarette gettati via, su flaconi di crema solare dimenticati, sulla carcassa di un uccello morto, su bottiglie e buste di plastica. Acqua, colori e luce, creavano sulla costa piena di immondizia, la stessa magia della pioggia che bagnava rami e foglie, nel bosco di pini descritto da Gabriele D'Annunzio. Col viso rivolto al cielo, in silenzio, ascoltavamo il ticchettio regolare delle gocce, sembrava una sinfonia, anzi, uno strumentale rock, pareva d'ascoltare: One of These Days, dei Pink Floyd. Ombre e luci si davano il cambio prendendo il colore delle nostre sofferenze e delle nostre gioie. Le stille di pioggia scendevano regolari e tingevano ogni cosa dando origine a un paesaggio nuovo, la costa somigliava a un quadro di Banksy. Su quel fazzoletto di spiaggia piena di sporcizia, vedendo quella natura incredibile, Isa ed io, avevamo abbandonato la tristezza e ci lasciavamo inzuppare dalla pioggia colorata. Quelle gocce erano le nostre emozioni. Il vento ce le disegnava addosso in mille gradazioni di colori e toni. Stavamo stretti stretti e molti sentimenti si alternavano: entusiasmo, noia, euforia, tenerezza. La pioggerellina li dipingeva sulla carne con magiche pennellate di rosso, lillà, verde, blu. Isa sembrava un dipinto surreale. Le gocciole si erano combinate sul volto e sul corpo formando un complesso intreccio di linee e macchie colorate. Bizzarrie cromatiche che parevano disegnate da mani d'artista. Se la bellezza è data dal l'armonia e dal colore, allora era lei la più bella. Sembrava una splendida maschera di carnevale. Provate ad immaginarla mentre mi sorride coi suoi melanconici occhi gialli, il viso dipinto da fantasie colorate ed i capelli bagnati dalla pioggia multicolore. Era l'incanto dei sensi. Mai avrebbe voluto abbandonare quel travestimento variopinto, invece, poche ore dopo, lavò via i colori e quello che generavano nella mente.

Non sapevo se quello che stavamo vivendo fosse vero o la creazione di una mente, la mia, impazzita per i troppi eccessi. Non sapevo se pioveva o se era bel tempo, se, nelle stille di pioggia, pure una moltitudine di emozioni era piovuta su me. Emozioni su me, dentro me, ne ero avvolto. Che bello. Mi piaceva essere preso da stati d'animo colorati. Mi davano la bella sensazione d'essere fragile anch'io. Io, che credevo di non provare niente, meno che mai turbamenti dell'anima. Se affoghi tutto nell'alcool, inevitabilmente, quello che più desideri è proprio ciò di cui l'alcool ti priva. Non voglio rivelare se quello che accadeva su quella spiaggia fosse reale, magico o immaginario. Dove sono adesso, non valgono le logiche terrene, qui, non c'è quasi niente, non c'è il bene, non c'è il male e il tempo scorre senza doverlo calcolare. Qui, non è un bel posto. Può diventarlo soltanto se usi la fantasia. Allora puoi anche commuoverti. Ma devi calarti nel mondo degli odori, dei suoni, dei colori, di tutte le sensazioni che le persone provano. Invece io, allora, non percepivo niente. Adesso si, ora so anche amare, ma dove sono, non ho la possibilità di esprimere stati d'animo. L'unico modo è sentirli dentro. Io ci riesco inventando racconti fantasiosi o ricordando quelli infelici, veri. Mi perdo in quelle storie e piango. Poi rifletto. Su tutto, più che altro sui casi della mia vita, cerco di capire quello che al tempo mi ero precluso e come mai. Cosa sarebbe potuto essere se. E piango ancora. Ora ho fantasia e sentimenti, ci riesco. Se racconto di una passeggiata sulla spiaggia, la faccio diventare un viaggio carico di esperienze emotive, se penso ad un temporale, lo immagino come l'opera d'arte d'un pittore.

Passarono le ore, passò la sbornia e la sera eravamo ancora vicini, sdraiati sulla sabbia. Faceva freddo e non riuscivamo a dormire. Quella sera c'era una luna piena che mi incantava. La solita luna bella e luminosa che irradiava la sua luce per proteggerci dal freddo della notte. Ma quei raggi si rivelarono crudeli, perché risvegliarono tutti gli stati d'animo che ci erano piovuti addosso nelle gocce colorate. Rancore, noia, gioia e invidia si erano svegliati nello stesso momento. Volevano avere espressione. Ma non era possibile. Si può dare espressione ad un solo sentimento per volta. Istintivamente chiusi gli occhi. Caddi in una disperazione che mi portò a rivivere in pochi istanti, immagini, odori, attimi vissuti ed emozioni provate nel passato. I raggi di quella spietata luce mi avevano portato via anche il resto della mia poca forza. Stavo steso a terra, privo di armi e coraggio per far fronte a qualsiasi circostanza. Isabella era seduta tenendo le mani sulle orecchie. Immobile, isolata, tratteneva il fiato e tremava. Anche in lei si era destato il vissuto segreto. Tutto quel dolore risvegliato, le bruciava dentro le composizioni colorate e le procurava dolorose lacerazioni sul corpo. Le guardava atterrita senza avere il coraggio di toccarle. Fu presa da sudori freddi, vertigini, nausea. Si strinse nelle braccia ed a bassa voce, quasi implorando, disse: «aiutami». Non feci in tempo a rispondere che già era sotto la doccia. Fece scorrere l'acqua e lavò via gli insopportabili motivi multicolore. Le lacerazioni erano scomparse, si rilassò e tornò a sdraiarsi vicino a me. Mi strinse una mano e in poco tempo il sonno la raggiunse. Per un paio di minuti lasciai la presa, corsi al mare, mi gettai tra le onde, mi feci un bagno e cancellai quei dannati arabeschi.

In breve rientrai nel solito stato di torpore, di nuovo tutto era come prima. Andai a sdraiarmi. Subito cercai la sua mano e guardai la luna e il cielo stellato. Immaginavo che la vita fosse facile, che quella sera tutto era possibile. C'era un gran silenzio, non si udiva nemmeno lo sciacquio delle onde sulla battigia, vedevo il cielo cliché e sentivo la presenza di Isabella, vicino. Potevo dormire. Come il vecchio Santiago, desideravo sognare di stare in spiaggia e giocare coi leoni. Sognai che ero al mare, ma i leoni non c'erano. C'era Isabella che giocava con un cane nero. Io stavo in mezzo all'acqua, reggendo una bottiglia di sambuca. Bevvi il ripugnante contenuto in un fiato, pisciai nell'acqua e lasciai la bottiglia a galleggiare sulle onde. Poco a poco cominciai a non capire più un cazzo. A quello aspiravo. Guardavo Isa giocherellare col cagnolino e mi sentivo innamorato più che mai. Dei leoni neanche l'ombra, però sul bagnasciuga c'era una signora che camminava in disparte. Una bella signora dalla pelle bianca. Un po' alla volta tornai nel mio guscio abituale, nel mio universo delle emozioni travolgenti, superficiali, solitarie.

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editoriale di JOHNDOE

1-La strategia della distrazione

L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.

La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza.

Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni.

Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3- La strategia della gradualità.

Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.

4- La strategia del differire.

Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.

5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.

La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.

Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.

7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.

Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.

“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori".

8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.

Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti ...

9- Rafforzare l’auto-colpevolezza.

Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s'incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.

Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.

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editoriale di Ermes

Le annotazioni che seguono sono integralmente estrapolate da:

Wu Ming 1, La Q di Qomplotto. QAnon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema, Alegre, 2021, pp. 133 ss.

Una bussola nella tempesta.

Errore comune è negare tout court l’esistenza dei complotti, col risultato di sminuire qualunque denuncia e di chiamare complottismo ogni inchiesta scomoda o manifestazione critica.

Tanto premesso, si tratta di capire cosa distingue i complotti veri (ipotesi di complotto) da quelli immaginari (fantasie di complotto).

Al centro delle fantasie di complotto la forma mentis del cospirazionismo: mentalità che vede la logica del complotto all’opera in ogni ambito e per ogni evento, fino a mettere un Grande Complotto al centro del funzionamento del sistema, esagerando il ruolo della volontà nella storia, una Volontà che sembra tutto prevedere e tutto ottenere, attribuita a lobby o supercaste pressoché onnipotenti.

Ma in che cosa consiste il complotto? Si ha complotto se ci sono questi tre elementi: primo, più di una persona; secondo, segretezza; terzo, intenzione di nuocere. Devono esserci tutti e tre. Se non c’è la prima, non è un complotto, perché non si complotta da soli; se non c’è la seconda, non è un complotto, ma un’azione alla luce del sole; se non c’è la terza, non è un complotto, al massimo un piano per organizzare una festa di compleanno a sorpresa. Puoi chiamarlo complotto, se vuoi, ma non c’è l’intenzione di nuocere.

Detto questo, torniamo al punto di partenza: cosa distingue i complotti veri da quelli immaginari?

I complotti reali tendono a presentare le seguenti caratteristiche:

  1. Hanno un focus preciso e un fine facilmente riassumibile.
  2. Coinvolgono un numero di attori limitato.
  3. Sono messi in pratica in modo imperfetto, perché la realtà è imperfetta.
  4. Terminano una volta scoperti e denunciati, cosa che di solito avviene dopo un periodo piuttosto breve, anche se gli effetti possono persistere a lungo […].
  5. Non sono raccontabili senza la loro epoca: sono immanenti a una fase storica e diventano passato insieme a essa.

I complotti fantasticati tendono a presentare le seguenti caratteristiche:

  1. Risultano sfocati e dispersivi, perché hanno il fine più vasto immaginabile: dominare, conquistare o distruggere il mondo.
  2. Coinvolgono un numero di attori potenzialmente illimitato, che cresce a ogni resoconto, dato che chiunque neghi l’esistenza del complotto è presto denunciato come complice. Secondo ogni logica, più persone sono al corrente di un complotto e più quest’ultimo è instabile e a rischio fallimento. Soltanto nella forma mentis cospirazionista, che rovescia la logica dei complotti reali, un complotto è tanto più solido e destinato al successo quante più persone ne fanno parte.
  3. Il loro svolgimento è coerentissimo, perfetto, tutto è attuato secondo i piani e nel minimo dettaglio, tutto fila liscio. Qualunque cosa succede era stata prevista. Se qualcosa sembra essere andato storto è perché doveva sembrare che andasse storto.
  4. Proseguono, vanno avanti indefinitamente anche se descritti e denunciati in innumerevoli libri, articoli e documentari.
  5. Sono astorici, trascendono ogni epoca e contesto. Sono in corso da decenni, secoli, millenni. Mentre se uno sente ‘Watergate’ o ‘piazza Fontana’ gli viene in mente una precisa epoca, ‘complotto giudaico-massonico’ evoca un complotto che dura da sempre ed è senza fine.

Ricapitolando, al centro della scena una coppia concettuale:

Ipotesi di complotto: servono a indagare complotti specifici e situati, orientati a un fine preciso, che solitamente cessano dopo essere stati scoperti, o al momento della loro scoperta sono già cessati.

Watergate, il programma Cointelpro, strategia della tensione.

Fantasie di complotto: riguardano sempre una cospirazione universale, che ha come fine la conquista o la distruzione del mondo intero da parte di società segrete, confraternite occulte, ‘razze infide’, singoli individui descritti come onnipotenti burattinai, conquistatori alieni.. o un’alleanza di tutti questi soggetti. Una cospirazione costantemente denunciata eppure sempre in pieno svolgimento, da decenni, da secoli.

Illuminati, piano Kalergi, George Soros che muove i fili del mondo, Bill Gates che ci controlla con nanochip nei vaccini, scie chimiche, Cabal di pedosatanisti.

Il confine tra questi due poli non è rigido: per un verso, dalle ipotesi di complotto è possibile scivolare nelle fantasie di complotto; da altro verso, le fantasie di complotto possono essere messe in circolo da cospiratori veri.

* * * *

Non sono mai riuscito a uscire. Abito per sempre un edificio che sta per crollare, un edificio intaccato da una malattia segreta (un sogno di Baudelaire, riportato da R. Calasso, L’innominabile attuale, Adelphi, edizione kindle, pos. 119).

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editoriale di Stanlio

"Adesso fanno le partite tra giudici e cantanti, ne dovevano fare una anche tra ministri e mafiosi: insomma, un'amichevole." (Roberto Benigni)

Lunedì 24.ho seguito la trasmissione "Report" condotta dal sobrio e prode Sigfrido Ranucci sui misteri perpretati dai servizi deviati e non dello Stato nella "strage di Capaci" (ci sarà la replica sabato 29 per chi se la fosse persa e ne fosse interessata/o) molti che sanno, sapevano qualcosa, non rispondono alle semplici domande poste, uno schifo tuttora alla faccia nostra che abbiam pagato e che continuiamo a pagare questi "signori" assassini e complici degli assassini.

Poi oggi mi son imbattuto nella frase soprascritta riportata dall'utente Krishna in un suo vecchio commento qui sul DeB e niente, ognuno tragga le proprie coclusioni.

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editoriale di zaireeka

Una prima cosa la devo confessare.

Io non sono mai stato un fan scatenato di Franco Battiato, per cui chi vuole mi può accusare di essere uno di quei necrofili musicali, modaioli e senza pudore, che si appassionano davvero a certi artisti solo una volta che sono passati a miglior vita nel cordoglio generale.

Ma Battiato merita qualche parola anche da parte mia, forse perché solo in questi giorni ho deciso di conoscerlo ed esplorarlo davvero, come artista e come uomo.

Ma cosa c’entra la vispa Teresa con Battiato?

Niente, ieri una scena che mi si è presentata davanti agli occhi, e che ho immortalato nella foto sopra, mi ha ricordato un episodio della mia infanzia.

Giorni d’estate, la strada per mare, in macchina con mia madre, mia nonna e mia sorella, ad un certo punto una svolta, sulla sinistra uno spiazzo di verde, un prato e, in mezzo al verde, quasi sul ciglio della strada, un albero fronzuto, e seduta sotto l’albero una signora dai vestiti colorati che non si poteva non notare..

“Mamma, ma che fa quella signora?”.

“Niente, quella è la vispa Teresa” (che avea tra l'erbetta a volo sorpresa gentil farfalletta..).

Beata ingenuità, avrei voluto mantenerla per sempre, o almeno trasformare il mio credere in tutto, tipicamente infantile, in qualcosa di davvero bello e unico come è probabilmente successo a Franco Battiato, ecco, appunto..

Franco Battiato era un meraviglioso folle, punto, e lo ho capito un po’ di più documentandomi, in questi giorni, soprattutto da video su youtube.

E da adesso in poi le mie parole avranno solo la forma di impressioni e libere associazioni, alcune riuscite, alcune meno, comunque di riconoscimento della grandezza e unicità di Franco Battiato.

Le prime canzoni che mi vengono in mente, spero le meno scontate.

“Le leggi dell’universo non sono quelle di questa città” (Vasco Brondi, “Mezza nuda”).

“Che la geometria sentimentale” (Dente, “Geometria sentimentale”).

Sarebbero mai esistite queste parole, in queste canzoni, senza Battiato?

“Di esseri umani ce ne sono tantissimi nell’universo, se mai di un genere diverso, e ogni tanto passano da un pianeta ad un altro”.

"Purtroppo oggi i marziani se lo sono ripreso" (citazione da un commento su YouTube).

“Ci sono alcuni, ed io sono fra loro, che hanno ricordi prima di entrare nello spermatozoo”.

La ribellione alla più scontata razionalità, forse.

Luminosissimo oscurantismo spirituale.

Parole e frasi cosmiche prive di senso terrestre.

Meraviglioso complottista dello spiririto.

“Stiamo perdendo un certo grado di coscienza”.

Stiamo diventando insetti meccanici.

“Lasciamo da parte Darwin che ne ha sgarrate davvero tante, pace all’anima sua”.

Mi sarebbe piaciuto assistere ad un incontro fra lui e Daniel Dennett, o il nostro Odifreddi, ne avremmo sentito delle belle…

Il pianto mentre cantava "La canzone dell’amore perduto” di De Andrè.

“‘Non penserai che io sia così misero da giudicare una persona in base al modo in cui mi tratta”.

“In parlamento troie disposte a tutto”.

Uno sguardo fisso nell’assoluto, con due piedi nella realtà quotidiana.

Prendersi gioco e ridere del mondo, amarlo ed odiarlo, sognando l’infinito.

Oggi ho rifatto la strada verso mare, sono arrivato alla svolta, dopo anni mi sono concentrato nell’osservare di nuovo lo spiazzo.

L’albero fronzuto non c’è più, e neanche la vispa Teresa.

In compenso c’è una foresta di alberi-cespugli che “il guardo escludono”, chissà cosa c’è oltre.

“Torneremo ancora”.

Lo spero, sarebbe triste finisse davvero tutto qui.

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editoriale di Caspasian

"Ti rivelerò, Gilgameš,
Un triste mistero degli Dei:
Come essi si riunirono un giorno
Per decidere di sommergere la terra di
[Šuruppak".

Tanto mi è caro quel cappello di astrakan di Battiato, di Gurdjieff, di Mingus, perché lo aveva anche mio padre. Insieme al cappotto di cammello ricordo così mio papà che ci lasciò presto, che mi lasciò in eredità una prematura solitudine. Il cappotto ce l'ho ancora e lo porto con eleganza passata mentre il cappello Sufi è scomparso in convulsi traslochi subìti. Mi ricordo al tatto la vellutata sensazione che mi investiva, si sentiva il velluto dei petali di rose.

Dal punto di vista di Gurdjieff può venire chiamato "straordinario" soltanto l'uomo che si distingua da quelli che lo circondano per le risorse del suo spirito e che sappia contenere le manifestazioni provenienti dalla propria natura, pur mostrandosi giusto e indulgente verso le debolezze altrui. Io non so se Battiato fosse un uomo straordinario ma che ci abbia regalato tanti momenti gioiosi e intimi di questo sono sicuro.

E per ritornare sulla diatriba sterile che non sapesse cantare, supererei questo sofismo occidentale inquadrando Battiato come un ašowł, cioè come cantastorie e poeta. "Il nome di ašowł indica dappertutto, in Asia e nella penisola balcanica, i Bardi locali che compongono, recitano o cantano poemi, canzoni, leggende, racconti popolari e storie di ogni genere".

Per 76 anni "qui fece campo" il figlio di Grazia, il Venere di Milo Francesco aka Mustafà Mullah Barazani che, confuso dal "fumo di una sigaretta", si ritrovò nei campi del Tennessee, come c'era arrivato non si sa.
Ma inseguendo la Quarta Via quando stava prendendo un tè al Caffè de la Paix incontrò Giorgio che gli offriva "sigarette turche". Fumare senza filtro può trapassare la barriera bronchiale tra Oriente e Occidente e ricominciare tutto diversamente abbisognava di un Fetus(o) per la rinascita. Da lì il passo per una ritenzione seminale è breve e l'esclamazione Me cojoni che Pollution! iniziava ad essere sostituita sempre più da uno "Stockausen chi legge!".

Il Clic innescato stava più sulle corde dell'artista che con le sue Arie(s) musicali conquistava una Propiedad Prohibida di impasti e accumulazioni di tentativi di innesco linciaggi. Ma i datteri coltivati in quel rigoglioso Egitto di prima delle sabbie erano di un sapore irripetibile vista la loro invisibilità. Il "Gladiator" sazio del silenzio settenario pitagorico sposta il suo jukebox in un vaso di Pandora a doppio taglio mistificando eternità con formula canzonante un pop etnico delirante geografia di reincarnazioni dove "restano i nomi e cambiano le facce e l'incontrario, tutto può accadere".

E fedele al "chi non si aspetta l'inaspettato non troverà mai la verità" srotola la matassa di lava (presa direttamente dall'Etna) di eterni ritorni sventolando bandiere e cinghiali bianchi, diventando un Re del Mondo, con giullare annesso, sulla Venezia-Istanbul, passando per la Prospettiva Nevskij facendo scalo a Grado. Cercando un centro di gravità permanente in sella al suo antico tappeto volante, si vuole vedersi danzare derviscio e da aquila che è stata, data la pronunciata nasca che si ritrova, spicca il volo del successo definitivo dove uno stormo di Uccelli lo accompagna nel suo icaro planare a scalar classifiche trascendenti.

La stagione dell'amore è aperta e l'Animale è un po' liberato dove accoppiamenti artistici Russo-Alice-Milva appagano l'androgino ermetico in lui e con la collaborazione con Sibilla si ripassa Fisiognomica arcaica riconoscendo la sorella gemella monozigote di altre vite che lo aiutano a superare la dualità sessuale, ma che non va giù ai baroni di Sanremo che sabotano la nemesi siamese sdoppiando audii.

Rispondendo esotericamente al "perché un corvo è come uno scrittoio" partono i nuovi lavori all'insegna di: "è più facile che un cammello passi per la cruna di una grondaia", "ero in compagnia di una macchina da cucire sopra un ombrello" e Haiku sparsi, dove iniziamo a cogliere frasi occidentali dopo il diluvio orient express di un Patriots curdo che a bordo della sua arca invitava al viaggio verso mondi lontanissimi che stazionano nella nostra ombra cercando tramite campane tibetane di destare l'orizzonte.

In calici finemente screziati frusciano vini che inebriano l'obnubilazione di ricercare carnalmente di celebrare riti di sangue ma la presenza astrale di quell'armonium sfiatato ci riporta per terre ignote dove le legioni del nostro ego cercano di instradarci all'antica saggezza di "delendare" vanità, dove l'imboscata dell'inganno di "tutto quello sarà tuo" ci fa stare sul chi vive dalla delusione della perdita delle cose che possediamo, che in fin dei conti ci possiedono.

Lo shock addizionale risveglia kundalini di un'ottava e ricordiamo quella vita passata di Faraone a costruire piramidi alzando le tonnellate di pietra dei massi con la forza del pensiero, masticando con nonchalanche un chewing-gum di manna dal cielo nel mentre dell'accumulazione cubica. E la leggerezza del sorrisetto della Sfinge, di cui un frammento e altro sospesi in acqua, segna l'eterno ritorno di una boccaccia velata in faccia alla Gioconda.

"Se fossi più simpatica sarei meno antipatica" cantava Giuni dove l'epurazione dei "buoni sentimenti" lascia spazio a un Sentimiento Nuevo che non ha bisogno degli occhiali da sole dove carisma e mistero non fanno più parte neanche come complemento d'arredo vista la rincorsa alla sparizione tramite un'arrendevolezza definitiva di fronte allo scontro di psicosi da albero genealogico.

La Cura è fornita da argomenti di riflessione che constatano l'esigenza di andare a scovare l'esistenza di quel Dio interiore che tutti abbiamo, battere il Ferro finché è caldo di accettare che "macula non est in te" e mai più giustificarsi nel delegare la propria anima firmando taciti accordi col guru di turno. La responsabilità della propria vita, della propria libertà è un regalo cinico del Paradiso dove la conquista della noia del divino ci suggerisce che non siamo questo corpo ma siamo qui: beata solitudine, isola benedetta.

Ulteriori tentazioni suicide vengono mediate dal vecchio cameriere di quel piccolo pub che ci serve un cordiale, dove dispute egoiche si sciolgono nell'effluvio della libagione e del flusso di una voce amica che, sbilenca, ci Sgalambra in zone rarefatte del pensiero. Il circo burlesco psicomagico dell' amico Alejandro ci fa sorridere del disagio quando provochiamo la nostra invisibilità di fronte agli altri: l'unicità dell'Unità fa passare il martedì portoghese surfando di passaggio in questi strani giorni.

È stato molto bello fornicare mentre i Fleurs si schiudevano, il ricordo di gioventù si materializza sentendo la temperatura della borsa dell'acqua calda sulla mano e lo spavento supremo Fu quello che Fu quando riconosci il cammino interminabile e lo abbracci. Gli stratagemmi aiutano a sballottolare la carcassa in tutto questo miscuglio che è la vita, sai che sbadigli sennò senza i Krisma.

Resta solo il Vuoto in un'immersione atlantidea che ci ricorda che non sopportammo la felicità.

Vorrei continuare all'infinito la frantumazione di questo dialogo interiore ma fa capoccella un protagonismo pruriginoso che è fuori luogo e subitamente intervengo a tagliare la testa al metodo e al maestro. Ci vediamo nei Giardini della Preesistenza, ciao Fra'.

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editoriale di ZiorPlus

Doverosa premessa:

che la DeScemenzia ci accompagni.

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Due amici dopo aver trascorso la serata al bar ed averci dato dentro con il beveraggio

uscendo si ritrovano a passeggiare su di un sentiero in aperta campagna al chiaro di luna discutendo del più e del meno.

Ad un certo punto uno dei due distrattamente adocchia una merda (Una cacca?) ed a quel punto gli viene uno strano pensiero quindi rivolgendosi all'amico:

"Scommetto 100 €uro che non hai coraggio di mangiala"

L'altro ci pensa sopra un bel pò interdetto da quello che ha tutta l'aria di essere uno scherzo se non una provocazione bella e buona ma alla fine un pò per non darla vinta all'amico un pò per il tasso alcolico pur controvoglia e con un certo ribrezzo decide di accettare la sfida e se la mangia.

Continuano discorrendo come niente fosse nella loro passeggiata sotto le stelle finchè non è la volta del secondo amico adocchiare a sua volta un'altra merda ed allora è il suo turno di proporre all'altro la stessa sfida:

"Quando l'hai proposto a me io non ho esitato, vediamo se ora anche tu sempre per 100 €uro hai lo stesso mio coraggio"

Pur riluttante ma per di non essere da meno toccato nel proprio orgoglio alla fine anche l'altro si decide ad ingoiarla.

Proseguono ancora per un certo tratto finchè uno dei due rimurginando sopra su quanto accaduto improvvisamente si ferma come folgorato ed esclama:

"Ma ti rendi conto di cosa abbiamo appena fatto? Praticamente abbiamo mangiato due merde gratis, per niente!"

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OK, la piccola storiellina ZEN/DeScemenzia sarà quel che vi pare (Storia di M.da) ma una sua morale ZEN ce l'ha.

#LoZenPerTutti.

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editoriale di  Jimmie Dimmick

La luna è un faro che nasconde le stelle, non c'è nulla da fare in paese.

Una canna al cimitero, un film in camera, e pare già troppo.

Se solo ci fossi tu.

Avrei l'aria tra i capelli, gli occhi lucenti, sarei bellissimo.

Ma soprattutto, quest'erezione avrebbe un senso.

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editoriale di lector

La scuola, per come la conosco io, è finita una mattina di fine febbraio del 2020.

Avrebbe dovuto essere solo una chiusura per disinfestazione straordinaria causa covid. Ma tutti noi sapevamo, nel salutarci, che da quel momento il cammino si sarebbe fatto incerto. E, infatti, ho rimesso piede nella mia scuola solo a fine giugno, per quella roba che qualcuno ha voluto ostinarsi a chiamare “Esame di Stato”.

La scuola ha poi riaperto i battenti alla fine del settembre successivo, ma col 50% degli alunni in presenza, e li ha rapidamente richiusi il 16 ottobre: la Campania è stata l’ultima Regione a riaprire e la prima a chiudere.

A tutt’oggi non sono ancora rientrato in classe. Dal 26 aprile il sindaco di Avellino posticipa, con ordinanze a cadenza settimanale, il rientro a scuola per gli Istituti Superiori.

Si va avanti in DAD (o DID o qualunque altro idiotissimo acronimo l’ottusità burocratica voglia inventare). Da sempre nella scuola la parola d’ordine è “arrangiatevi” ed i matrimoni si celebrano rigorosamente con pizza & fichi.

In questo anno e mezzo la mia casella di posta è stata invasa da petizioni, richieste di adesione, lamentazioni, proposte, alti guai, peana, accorati appelli, richieste di aiuto, denunce piene di amarezza, cahiers de doléances…

Ho letto di tutto, credetemi, da chi si sentiva cavia di laboratorio a chi proponeva nuove rinascite e piani di ricostruzione fantascientifici, da chi pretendeva considerazione per un lavoro che, spergiurava, la DAD non aveva sminuito a chi riteneva la stessa DAD il vero futuro per l’insegnamento. Alla fine a dominare era sempre la paura: paura di dover tornare in classe senza le dovute rassicurazioni, paura di dover subire orari scaglionati e pomeridiani, paura di dover lavorare PURE D’ESTATE!! E tutte con allegata richiesta di firmare e di far circolare la petizione di turno.

E tutte con un solo grande assente: gli studenti.

Così alla fine ho fatto una cosa che non faccio mai: ho mandato una lettera di risposta.

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Get.le Scrivente

Una commessa di supermercato va a lavorare tutti i giorni ed è necessario che sia così: la chiusura dei supermercati comporterebbe problemi difficilmente risolvibili. A nessuno è venuto in mente di richiedere che l’apertura dei supermercati avvenisse solo dopo che si fossero assicurati trasporti sicuri e nessun assembramento fuori dei supermercati stessi (immaginate cosa gli sarebbe stato detto!), né tantomeno si è ritenuto di aprire una corsia preferenziale per la vaccinazione di questa tipologia di lavoratori. Per non parlare delle tabaccherie, la cui ventilata chiusura rischiava di provocare sommosse popolari.

Da questa banale osservazione traggo che:

  1. A quanto pare le commesse dei supermercati sono enormemente più utili degli insegnanti (e di questo i più convinti sembrano essere gli insegnanti stessi) per cui non capisco perché le stesse debbano, inoltre, essere pagate meno di noi.
  2. Fumare o portare a pisciare il cane sono libertà e diritti irrinunciabili (come fare la spesa come e quando ci pare) chiaramente prioritari rispetto allo studio, e che una generazione di bambini ben pasciuti – a quanto pare - sarà meno danneggiata di una di ragazzini semianalfabeti.
  3. La nostra irrilevanza sociale è un patrimonio a cui, noi docenti, siamo particolarmente affezionati.
  4. Non tutti hanno uguale diritto ad avere paura.

Inoltre, che fine facciano e che futuro si offra agli eventuali figli delle suddette commesse e dove vengano lasciati (specialmente se piccoli) quando le suddette commesse lavorano è – a quanto pare – problema solo delle suddette in questione (che si arrangino!)

Ora io, davvero, trovo che sia una gran vigliaccata continuare a nascondersi dietro la presunta difesa del benessere e della protezione quando sono decenni che, pecoroni silenti, lavoriamo in scuole che sono al di sotto di ogni standard di sicurezza degno di un paese civile. Abbiamo continuato a lavorare in ambienti, troppo spesso fatiscenti e malsani, in molti casi delle vere e proprie trappole in caso di incendio o terremoto, sempre sprezzanti del pericolo.

Evidentemente anche per le paure ci sono le mode.

In questi anni ci siamo fatti umiliare da scelte politiche e didattiche al limite dell’idiozia, abbiamo ingoiato riforme demenziali scritte da ottusi burocrati che non avevano mai messo piede in un’aula scolastica, con la bovina sopportazione di polli da allevamento. Al massimo con qualche borbottìo.

Ed ora eccovi qua, tutti a scrivere per difendere la DaD, a dire che “certo è una situazione di emergenza”, che “chiaramente la scuola in presenza è meglio” ma…

Ma, in fondo, il nostro lavoro lo facciamo lo stesso (anzi c’è persino chi giura di fare molto di più! Gente che scimmiotta riti e formule che erano già obsoleti in presenza, figuriamoci in DAD!), che i ragazzi non sono stati lasciati soli, che noi docenti abbiamo eroicamente e con spirito di adattamento fronteggiato una situazione assolutamente extra-ordinaria.

Solo che ci dimentichiamo che la scuola è (o dovrebbe essere) molto più di questo: è un presidio in zone (la Campania ne è piena, pensate anche solo al “Parco Verde” di Caivano) dove non arriva non solo lo Stato ma neanche la luce della speranza. In troppi posti chiudere la scuola è significato aprire le porte alla Camorra, allo spaccio, alla prostituzione minorile o alla semplice disperazione.

Solo un imbecille può credere che la DAD possa arrivare là dove è capace di arrivare la scuola. Ma solo quando è aperta.

I discorsi sulla scuola dell’inclusione con cui ci siamo riempiti la bocca per anni erano solo fuffa per i grulli, evidentemente.

E, comunque, la DAD è solo immondizia didattica. Lo è sempre, anche laddove le cose – apparentemente – funzionano.

Ma sono cose che sappiamo tutti, è inutile dilungarsi. Io, personalmente, in questo anno e mezzo ho perso sei alunni – Carmine, Davide, Annarita, Pio, Giuliano, Luana – sei persone, sei storie, sei futuri; scomparsi, ingoiati dalla DAD.

E’ un prezzo TROPPO ALTO!

Ma che io lo dica serve a poco.

E allora l’unica cosa che posso fare è chiedervi di non scrivermi più, di non chiedermi firme o adesioni, di cassarmi da newsletters, gruppi di discussione e/o di classe, contatti lavorativi e personali, liste di ogni tipo e quant’altro. Con questa mia intendo disdire ogni abbonamento a riviste e bollettini che mi aggiornano sul mondo della scuola e revocare ogni delega ed iscrizione a sindacati e gruppi di base (dove sarà necessario scriverò lettera formale).

Insomma lasciatemi perdere. Tenetevi le vostre petizioni. Non voglio avere più niente a che fare con voi.

Grazie (firma).

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Ogni tanto mi chiedo come mai ho così pochi amici tra i miei colleghi…

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editoriale di paolofreddie

E' da diversi minuti che cerco di capire in quale libro, in quale film, in quale anfratto dell'esistenza io abbia sentito quest'espressione. Cercandone online il significato, ho scoperto che deriva dal titolo di un film, e ancor prima dall'omonima rivista che lo ha ispirato, e che sta, più o meno, ad indicare una situazione piena di bizzarrie e sorprese, tipo quella che si va a creare - mi vien da fare collegamenti - nella sezione "Willow Farm" di "Supper's Ready".
Continuo ad arrovellarmi il cervello, cercando di recuperare l'origine della mia conoscenza in merito a una tale bizzarra parola, che per definizione la bizzarria la grida a pieni polmoni. Vi è mai capitato? Ussignur', ci sono certo migliori modi di passare il tempo, ma perché no, perdiamoci i minuti, le ore. Magari servirà a qualcosa! So solo che quest'espressione l'ho vista scritta da qualche parte, o l'ho sentita dire ("I saw it written and I saw it say"). Ho appena mangiato un panino con la frittata, e vado di rutto libero, bollicine di coca cola complici, a frizzare dentro di me.
Faccio appello al mio buonsenso, e scrivo di questa mia ricerca, fregandomene se oggi, o domani, o tra una settimana scoprirò qualcosa di più ... L'importante è mettere nero su bianco. Mi sembra di essere Montaigne, che problematizzava qualsiasi cosa che gli capitasse di pensare, su di sé, sul mondo, sull'esistente. Per noia, mi riascolto un album che non mi piace particolarmente, anzi, mi fa abbastanza cagare. L'idea che mi comunica è semplicemente di vecchiume, e di malinconia stinta, di un gruppo di guaglioni inglesi che cercavano di fare del buon prog in maniera più accessibile. Meglio sicuramente di chiodi nelle palle, ma se a salvarsi è solo una manciata di canzoni, tra le quali a spiccare è pure uno dei singoli che ha fatto accendere più accendini ai concerti, il godimento non è di certo assicurato.
"Hellzapoppin'" è un film comico del 1941, in forma di musical. Attore principale, Ole Olsen, che negli anni '30 formava con Chic Johnson un duo comico anomalo, diverso dai classici Stanlio e Ollio, o Gianni e Pinotto. Il disco che sto ascoltando è di 37 anni dopo. Il riferimento del titolo è a un romanzo giallo del '39, in periodo "helzapoppin'". Fregacazzo della numerologia, tutto questo serviva giusto a giustificare (pun intended!) il legame, seppur labile, che può avermi portato ad ascoltare un album che poco mi comunica, dalla prima volta che l'ho ascoltato. La noia fa fare tante cose. Sono al quinto pezzo, e ancora non so dove io abbia letto o sentito per la prima volta la buffa espressione interessata - di certo non interessante. Sono sempre meno convinto che caverò un ragno dal buco. Hell - zap - poppin'. Scompongo la parola per inerte gioco autoreferenziale.
A questo punto, il lettore si chiederà, a diritto: "Che diavolo di senso ha tutto questo? Non riesco a credere di essere arrivato qui!". Forse questa stessa sensazione è anche la mia. "The part was fun, but now it's over" canta qualcuno, proprio ora, e non poteva essere più puntuale.

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editoriale di Stanlio

Ultimamente tra “La ballata di Adam Henry” e “Lettera a Berlino” di Ian McEwan (che ho qui indegnamente recenziato), mi son letto pure altri suoi tre romanzi ovvero “Nel guscio” del 2017, “Miele” del 2012 e “Chesil Beach” del 2007 (esattamente in quest’ordine cronologico).

In “Nel guscio” si vive un "noir" visto con gli occhi o meglio con le sensazioni vivissime di un personaggio prossimo alla nascita ovvero che se ne sta ancora acquattato bello bello nel pancione di mammà, e da qui è testimone di un "pasticciaccio" che riguarda i suoi più lo zio paterno e una certa consistente eredità immobiliare, posso solo anticipare che il finale resta aperto ad una conclusione non descritta nel romanzo ma ben presumibile.

Gli ingredienti sono:

  • Una vittima
  • Due carnefici
  • Un testimone che non può testimoniare
  • Un ispettrice di Polizia
  • Una Londra moderna
  • Un’atroce modo di morire
  • Diverse sessioni con maniere che ricordano certe posizioni del Kama Sutra (note a tutti/e scommetto…)
  • 184 pagine che scorrono come ruscelletti di montagna quando il sole con i suoi potenti raggi bacia i ghiacciai

Quando mi decisi a leggerlo sapevo solo che era raccontato da un futuro nascituro e niente della trama, son sicuro che come pe altri libri di IME anche da questo trarranno prima o poi una sceneggiatura per un film e niente.

Di “Miele” premetto che pure qui se ne potrebbe trarre un godibile film incentrato sui primi anni ’60 nell’Inghilterra che si concedeva all’epoca beat anche se a dir la verità c’è poco di ciò essendo incentrato su una spy story con annesse varie peripezie amorose dell’ingenua (ma fino a che punto?) protagonista arruolata nel famoso MI5, sorta di servizio segreto britannico, dove spie e spiati s’imbrogliano a vicenda com’è giusto che sia, il tutto condito da "sex & food & wine" per ben 368 pagine anzichenò e niente, anzi no, pare che nell’insieme vi siano diverse situazioni autobiografiche.

La storia narrata in “Chesil Beach” nelle sue brevi 146 pagine, appartiene ad un diverso registro ed è molto molto triste, è una sorta di “analisi” psicologica dove il non detto porta a conseguenze imprevedibili per i due protagonisti innamoratissimi ma a loro stessi sconosciuti, il tutto entro una cornice che si rifà pure qui ai prodromi degli anni ’60 in un Inghilterra assai bacchettona, ça va sans dir che anche stavolta qualcuno ha pensato bene di usare il testo per ricavarne dieci anni dopo una pellicola intitiolata “Chesil Beach - Il segreto di una notte”, mi verrebbe da dire grossolanamente riguardo ai due giovani amanti che “non è tutto oro quello che luccica” e “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” e niente, anzi no (se non ci metto un “anzi no” non son contento e niente bis), insomma tre romanzi + due dove IME (affettuosamente chiamato in patria "Ian Macabre") per la sua lugubricità presumo, si rende ogni volta irriconoscibile ma non per questo meno godibile nel leggere come ci apre alle sue descrizioni particolareggiate ed esaustive su molteplici argomenti.

Che dire per finire in bellezza?

Buona lettura a chi si farà catturare dal suo sottile stile dove spesso anche lo humor si mescola in giusta dose con dati e fatti precisi il tutto accompagnato nei suoi romanzi da titoli di pezzi musicali di non poco conto.

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editoriale di ZiorPlus

Un giorno un condor adocchiando un topolino decide di farne il suo pasto.

Cala in picchiata e ne fà un solo boccone ingoiandolo ancora vivo.

Dopo essere passato dal becco attraverso la gola e giù giù lo stomaco il topolino infine giunge al colon, il bucio del culo e mette fuori la testa rendendosi conto di trovarsi a centinaia di metri d'altezza.

A quel punto esclamando terrorizzato verso il condor:

"Ciò, condor, non è che adesso ti metti a fare lo stronzo!"

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#LoZenPerTutti

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editoriale di andisceppard

Se invece che un messaggio fosse una recensione, o un articolo, o un editoriale, allora dovrebbe avere un titolo.

E il titolo sarebbe Lee Aaker.

Che già. uno dice, pensa la sfiga di nascere con un cognome che inizia con due A. Cioè, a scuola, al massimo, ti può fregare una donnina allegra!

Di quelle mi chiamo AAA astenersi perditempo! Siccome però simili signorine di solito le scuole non le frequentano troppo, ecco che diciamo uno non è proprio contento del nome che gli è toccato.

Sì, perché se fosse una recensione, se fosse qualcosa d'altro, parlerebbe del nome che ti è toccato.

Come i tre pulcinetti, sopra al Pirellone, che il nome ancora non ce l'hanno mica.

Oh, da questo punto di vista, il mio prof di filosofia (quello che sa tutto) fu chiarissimo. Davvero, sai quelle cose illuminanti? Assiomi, quasi, non fosse che non è matematica. Dare un nome significa averci potere sopra.

Per dire radicedidue, quando è nata, mica si chiamava così.

Non si chiamava.

Non si poteva dire.

Perché dirla era ammettere che esistesse.

E se esisteva erano cazzi.

Così non la si chiamava in nessun modo. Semplicemente non la si diceva. Poi, ma ci sono voluti davvero migliaia di anni, le si è trovato un nome. E con un nome anche il modo di averci a che fare. Dici radice di due e dici infinite cifre non periodiche. Comincia con 1.414213563 eccetera. Infinite cifre. Non finiresti mai di dirle. Ma non periodiche. Non si ripetono mai.

Oh, le cifre sono 10, chiaro che riappaiono.

Ma uno schema mai. Una roba che non puoi mai prevedere cosa viene. Criminal Minds chiuderebbe, per dire.

C'è un cereal killer che uccide.

Che schema segue? Boh.

Si ripete? No.

Così gli dai un nome e la notte dormi tranquillo (ma solo perché non ci pensi abbastanza).

E' un nome anche bellino. Perché è verissimo - e quasi indiscutibile - dare un nome significa avere potere su quella cosa.

I tumori, fino a poco fa, si chiamavano un brutto male. Chiamarli per come sono è un gran bel segno.

Dici radice di due e dici quella stranissima infinità di numeri. Un numero lì vicino, che ha comunque infinite cifre, non periodiche, che magari è quasi tutto uguale a radice di due, meno una cifra. Un nome non ce l'ha. E per dirlo devi dire tutte le sue cifre. E dirle non puoi.

Sai, a scuola, la scuola che facevo io, mica era fatta perché se no mi deprimevo. Ma perché un paio di cose, un paio di assiomi, te li davano. Magari te li dava uno di filosofia. E non era proprio sicuro di dirti una cosa di matematica. (nel caso del mio prof sì, lui sa tutto).

Così i tre pulcinetti non hanno ancora un nome. Nemmeno si sa bene se sia un nome maschile o femminile, da dargli. Come se potessero essere qualsiasi cosa. Che è davvero anche bello. O forse no. Sarà più bello quando un nome ce l'avranno.

E quel nome sarà un nome d'amore.

E di tenerezza. E potranno essere mille cose, ma quella tenerezza, per prima.

Ecco, per questo, fosse un articolo, un editoriale, avrebbe un titolo.

Si chiamava Lee Aaker. E certo non ringraziava il cielo, la mattina a scuola, quando un prof diceva chi interrogo. Famoso perché - da piccolino - faceva Rusty. Quello di Rintintin. Dopo solo un sacco di cazzate. Alcool e droga e povertà. Però faceva Rusty.

Incidentalmente - fino all'ultimo suo giorno - il nome che mia mamma dava a me...

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editoriale di iside

Grazie per la felicità, Rusty

Il primo aprile, a 77 anni, dopo una vita segnata dall’alcol, dalla droga e dalla povertà, è morto in miseria Lee Aaker. Il nome non dirà molto a chi ha meno di una certa età. Ma riaccenderà i fuochi della memoria ai miei coetanei se lo chiamo Rusty. Nella seconda metà degli anni Cinquanta e nei primi Sessanta, è stato il caporale bambino di Fort Apache nella serie di telefilm «Rin-Tin-Tin», dal nome del cane pastore suo inseparabile amico e mascotte della guarnigione di cui erano comandanti il tenente Rip Masters e il sergente Biff O’Hara. Un avamposto di «civilizzazione bianca» nella terra degli infidi e crudeli indiani. Quando ancora si pensava che i soli indiani buoni fossero gli indiani morti o quelli addomesticati per fare da scout alle giacche blu.

Noi bambini però non la vedevamo così e a lungo cavalcammo con il Settimo Cavalleggeri contro Sioux, Apaches, Comanches e tutte le tribù ribelli che uccidevano, torturavano e scalpavano i coloni bianchi. Una menzognera epopea che durò fino agli inizi degli anni Settanta. Fino a quando la stessa Hollywood non ci aprì gli occhi con film revisionisti come «Piccolo grande uomo», «Soldato blu», «Uomo bianco va con il tuo Dio», «Corvo Rosso non avrai il mio scalpo» e altri che riabilitarono, ormai troppo tardi, i popoli autoctoni d’America.

A quell’epoca, Rusty non indossava più l’uniforme blu, non recitava più, aveva intrapreso il mestiere di falegname che avrebbe continuato tra alti e bassi per una ventina d’anni, ma soprattutto era entrato nell’inferno degli ex bambini prodigio prima spremuti e poi gettati dalle major del cinema. Gli fecero compagnia droga, alcol, solitudine e scelte sbagliate. Fino alla fine. Di tanto in tanto una tivù o un giornale lo riesumava per un’intervista sui bei tempi andati o per raccontare cinicamente il suo sfacelo. La nostalgia canaglia e la caduta degli idoli sono temi che appassionano da sempre e ovunque la plebe televisiva.

La morte di Rusty m’intristisce perché mi rimanda ad anni in cui la tivù era un bene prezioso e raro, non alla portata di tutti. Dei 169 episodi di Rin-Tin-Tin ne avrò visti al massimo una decina sul finire degli anni Cinquanta. Quella sigla televisiva con la tromba che suona l’adunata, lo schieramento dei soldati in riga e la colonna che esce a cavallo da Fort Apache è un ricordo indelebile. Una scheggia dei miei anni spensierati. Quel che io provavo lo hanno provato per molti anni centinaia di milioni di piccoli telespettatori sparsi in tutto il mondo. Un sentimento universale chiamato felicità.

Quelle immagini in bianco e nero che il tempo ha ingrigito furono il nostro sogno a colori di un’America immaginata e immaginaria. Uguale per tutti, sia che abitassimo nelle metropoli come nei piccoli paesi. Chi viveva in campagna faceva meno fatica a sentirsi nel Far West. Mai avrei pensato che quello che per noi era stato un sogno potesse diventare un incubo, un fardello esistenziale, per il piccolo Lee Aaker. Rusty pagò la nostra felicità con la sua infelicità. Un prezzo troppo alto. Eravamo complici dello sfruttamento di un ragazzino poco più grande di noi e non lo sapevamo. Invidiavamo il suo mondo. Sia quello fasullo di Fort Apache, sia quello vero di Hollywood. A vent’anni siamo stati colpevolmente stupidi, a dieci lo eravamo con innocenza. Mi piacerebbe poter credere che ci sono stati momenti in cui Lee Aaker era consapevole di averci regalato un sogno. Grazie per quel dono, Rusty.

#sceltodaiside

la pagina FB di Ivano Sartori autore dello scritto https://www.facebook.com/ivano.sartori.79

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