editoriale di zaireeka

Una prima cosa la devo confessare.

Io non sono mai stato un fan scatenato di Franco Battiato, per cui chi vuole mi può accusare di essere uno di quei necrofili musicali, modaioli e senza pudore, che si appassionano davvero a certi artisti solo una volta che sono passati a miglior vita nel cordoglio generale.

Ma Battiato merita qualche parola anche da parte mia, forse perché solo in questi giorni ho deciso di conoscerlo ed esplorarlo davvero, come artista e come uomo.

Ma cosa c’entra la vispa Teresa con Battiato?

Niente, ieri una scena che mi si è presentata davanti agli occhi, e che ho immortalato nella foto sopra, mi ha ricordato un episodio della mia infanzia.

Giorni d’estate, la strada per mare, in macchina con mia madre, mia nonna e mia sorella, ad un certo punto una svolta, sulla sinistra uno spiazzo di verde, un prato e, in mezzo al verde, quasi sul ciglio della strada, un albero fronzuto, e seduta sotto l’albero una signora dai vestiti colorati che non si poteva non notare..

“Mamma, ma che fa quella signora?”.

“Niente, quella è la vispa Teresa” (che avea tra l'erbetta a volo sorpresa gentil farfalletta..).

Beata ingenuità, avrei voluto mantenerla per sempre, o almeno trasformare il mio credere in tutto, tipicamente infantile, in qualcosa di davvero bello e unico come è probabilmente successo a Franco Battiato, ecco, appunto..

Franco Battiato era un meraviglioso folle, punto, e lo ho capito un po’ di più documentandomi, in questi giorni, soprattutto da video su youtube.

E da adesso in poi le mie parole avranno solo la forma di impressioni e libere associazioni, alcune riuscite, alcune meno, comunque di riconoscimento della grandezza e unicità di Franco Battiato.

Le prime canzoni che mi vengono in mente, spero le meno scontate.

“Le leggi dell’universo non sono quelle di questa città” (Vasco Brondi, “Mezza nuda”).

“Che la geometria sentimentale” (Dente, “Geometria sentimentale”).

Sarebbero mai esistite queste parole, in queste canzoni, senza Battiato?

“Di esseri umani ce ne sono tantissimi nell’universo, se mai di un genere diverso, e ogni tanto passano da un pianeta ad un altro”.

"Purtroppo oggi i marziani se lo sono ripreso" (citazione da un commento su YouTube).

“Ci sono alcuni, ed io sono fra loro, che hanno ricordi prima di entrare nello spermatozoo”.

La ribellione alla più scontata razionalità, forse.

Luminosissimo oscurantismo spirituale.

Parole e frasi cosmiche prive di senso terrestre.

Meraviglioso complottista dello spiririto.

“Stiamo perdendo un certo grado di coscienza”.

Stiamo diventando insetti meccanici.

“Lasciamo da parte Darwin che ne ha sgarrate davvero tante, pace all’anima sua”.

Mi sarebbe piaciuto assistere ad un incontro fra lui e Daniel Dennett, o il nostro Odifreddi, ne avremmo sentito delle belle…

Il pianto mentre cantava "La canzone dell’amore perduto” di De Andrè.

“‘Non penserai che io sia così misero da giudicare una persona in base al modo in cui mi tratta”.

“In parlamento troie disposte a tutto”.

Uno sguardo fisso nell’assoluto, con due piedi nella realtà quotidiana.

Prendersi gioco e ridere del mondo, amarlo ed odiarlo, sognando l’infinito.

Oggi ho rifatto la strada verso mare, sono arrivato alla svolta, dopo anni mi sono concentrato nell’osservare di nuovo lo spiazzo.

L’albero fronzuto non c’è più, e neanche la vispa Teresa.

In compenso c’è una foresta di alberi-cespugli che “il guardo escludono”, chissà cosa c’è oltre.

“Torneremo ancora”.

Lo spero, sarebbe triste finisse davvero tutto qui.

 di più
editoriale di Caspasian

"Ti rivelerò, Gilgameš,
Un triste mistero degli Dei:
Come essi si riunirono un giorno
Per decidere di sommergere la terra di
[Šuruppak".

Tanto mi è caro quel cappello di astrakan di Battiato, di Gurdjieff, di Mingus, perché lo aveva anche mio padre. Insieme al cappotto di cammello ricordo così mio papà che ci lasciò presto, che mi lasciò in eredità una prematura solitudine. Il cappotto ce l'ho ancora e lo porto con eleganza passata mentre il cappello Sufi è scomparso in convulsi traslochi subìti. Mi ricordo al tatto la vellutata sensazione che mi investiva, si sentiva il velluto dei petali di rose.

Dal punto di vista di Gurdjieff può venire chiamato "straordinario" soltanto l'uomo che si distingua da quelli che lo circondano per le risorse del suo spirito e che sappia contenere le manifestazioni provenienti dalla propria natura, pur mostrandosi giusto e indulgente verso le debolezze altrui. Io non so se Battiato fosse un uomo straordinario ma che ci abbia regalato tanti momenti gioiosi e intimi di questo sono sicuro.

E per ritornare sulla diatriba sterile che non sapesse cantare, supererei questo sofismo occidentale inquadrando Battiato come un ašowł, cioè come cantastorie e poeta. "Il nome di ašowł indica dappertutto, in Asia e nella penisola balcanica, i Bardi locali che compongono, recitano o cantano poemi, canzoni, leggende, racconti popolari e storie di ogni genere".

Per 76 anni "qui fece campo" il figlio di Grazia, il Venere di Milo Francesco aka Mustafà Mullah Barazani che, confuso dal "fumo di una sigaretta", si ritrovò nei campi del Tennessee, come c'era arrivato non si sa.
Ma inseguendo la Quarta Via quando stava prendendo un tè al Caffè de la Paix incontrò Giorgio che gli offriva "sigarette turche". Fumare senza filtro può trapassare la barriera bronchiale tra Oriente e Occidente e ricominciare tutto diversamente abbisognava di un Fetus(o) per la rinascita. Da lì il passo per una ritenzione seminale è breve e l'esclamazione Me cojoni che Pollution! iniziava ad essere sostituita sempre più da uno "Stockausen chi legge!".

Il Clic innescato stava più sulle corde dell'artista che con le sue Arie(s) musicali conquistava una Propiedad Prohibida di impasti e accumulazioni di tentativi di innesco linciaggi. Ma i datteri coltivati in quel rigoglioso Egitto di prima delle sabbie erano di un sapore irripetibile vista la loro invisibilità. Il "Gladiator" sazio del silenzio settenario pitagorico sposta il suo jukebox in un vaso di Pandora a doppio taglio mistificando eternità con formula canzonante un pop etnico delirante geografia di reincarnazioni dove "restano i nomi e cambiano le facce e l'incontrario, tutto può accadere".

E fedele al "chi non si aspetta l'inaspettato non troverà mai la verità" srotola la matassa di lava (presa direttamente dall'Etna) di eterni ritorni sventolando bandiere e cinghiali bianchi, diventando un Re del Mondo, con giullare annesso, sulla Venezia-Istanbul, passando per la Prospettiva Nevskij facendo scalo a Grado. Cercando un centro di gravità permanente in sella al suo antico tappeto volante, si vuole vedersi danzare derviscio e da aquila che è stata, data la pronunciata nasca che si ritrova, spicca il volo del successo definitivo dove uno stormo di Uccelli lo accompagna nel suo icaro planare a scalar classifiche trascendenti.

La stagione dell'amore è aperta e l'Animale è un po' liberato dove accoppiamenti artistici Russo-Alice-Milva appagano l'androgino ermetico in lui e con la collaborazione con Sibilla si ripassa Fisiognomica arcaica riconoscendo la sorella gemella monozigote di altre vite che lo aiutano a superare la dualità sessuale, ma che non va giù ai baroni di Sanremo che sabotano la nemesi siamese sdoppiando audii.

Rispondendo esotericamente al "perché un corvo è come uno scrittoio" partono i nuovi lavori all'insegna di: "è più facile che un cammello passi per la cruna di una grondaia", "ero in compagnia di una macchina da cucire sopra un ombrello" e Haiku sparsi, dove iniziamo a cogliere frasi occidentali dopo il diluvio orient express di un Patriots curdo che a bordo della sua arca invitava al viaggio verso mondi lontanissimi che stazionano nella nostra ombra cercando tramite campane tibetane di destare l'orizzonte.

In calici finemente screziati frusciano vini che inebriano l'obnubilazione di ricercare carnalmente di celebrare riti di sangue ma la presenza astrale di quell'armonium sfiatato ci riporta per terre ignote dove le legioni del nostro ego cercano di instradarci all'antica saggezza di "delendare" vanità, dove l'imboscata dell'inganno di "tutto quello sarà tuo" ci fa stare sul chi vive dalla delusione della perdita delle cose che possediamo, che in fin dei conti ci possiedono.

Lo shock addizionale risveglia kundalini di un'ottava e ricordiamo quella vita passata di Faraone a costruire piramidi alzando le tonnellate di pietra dei massi con la forza del pensiero, masticando con nonchalanche un chewing-gum di manna dal cielo nel mentre dell'accumulazione cubica. E la leggerezza del sorrisetto della Sfinge, di cui un frammento e altro sospesi in acqua, segna l'eterno ritorno di una boccaccia velata in faccia alla Gioconda.

"Se fossi più simpatica sarei meno antipatica" cantava Giuni dove l'epurazione dei "buoni sentimenti" lascia spazio a un Sentimiento Nuevo che non ha bisogno degli occhiali da sole dove carisma e mistero non fanno più parte neanche come complemento d'arredo vista la rincorsa alla sparizione tramite un'arrendevolezza definitiva di fronte allo scontro di psicosi da albero genealogico.

La Cura è fornita da argomenti di riflessione che constatano l'esigenza di andare a scovare l'esistenza di quel Dio interiore che tutti abbiamo, battere il Ferro finché è caldo di accettare che "macula non est in te" e mai più giustificarsi nel delegare la propria anima firmando taciti accordi col guru di turno. La responsabilità della propria vita, della propria libertà è un regalo cinico del Paradiso dove la conquista della noia del divino ci suggerisce che non siamo questo corpo ma siamo qui: beata solitudine, isola benedetta.

Ulteriori tentazioni suicide vengono mediate dal vecchio cameriere di quel piccolo pub che ci serve un cordiale, dove dispute egoiche si sciolgono nell'effluvio della libagione e del flusso di una voce amica che, sbilenca, ci Sgalambra in zone rarefatte del pensiero. Il circo burlesco psicomagico dell' amico Alejandro ci fa sorridere del disagio quando provochiamo la nostra invisibilità di fronte agli altri: l'unicità dell'Unità fa passare il martedì portoghese surfando di passaggio in questi strani giorni.

È stato molto bello fornicare mentre i Fleurs si schiudevano, il ricordo di gioventù si materializza sentendo la temperatura della borsa dell'acqua calda sulla mano e lo spavento supremo Fu quello che Fu quando riconosci il cammino interminabile e lo abbracci. Gli stratagemmi aiutano a sballottolare la carcassa in tutto questo miscuglio che è la vita, sai che sbadigli sennò senza i Krisma.

Resta solo il Vuoto in un'immersione atlantidea che ci ricorda che non sopportammo la felicità.

Vorrei continuare all'infinito la frantumazione di questo dialogo interiore ma fa capoccella un protagonismo pruriginoso che è fuori luogo e subitamente intervengo a tagliare la testa al metodo e al maestro. Ci vediamo nei Giardini della Preesistenza, ciao Fra'.

 di più
editoriale di ZiorPlus

Doverosa premessa:

che la DeScemenzia ci accompagni.

-------------------------------------------------------------------------

Due amici dopo aver trascorso la serata al bar ed averci dato dentro con il beveraggio

uscendo si ritrovano a passeggiare su di un sentiero in aperta campagna al chiaro di luna discutendo del più e del meno.

Ad un certo punto uno dei due distrattamente adocchia una merda (Una cacca?) ed a quel punto gli viene uno strano pensiero quindi rivolgendosi all'amico:

"Scommetto 100 €uro che non hai coraggio di mangiala"

L'altro ci pensa sopra un bel pò interdetto da quello che ha tutta l'aria di essere uno scherzo se non una provocazione bella e buona ma alla fine un pò per non darla vinta all'amico un pò per il tasso alcolico pur controvoglia e con un certo ribrezzo decide di accettare la sfida e se la mangia.

Continuano discorrendo come niente fosse nella loro passeggiata sotto le stelle finchè non è la volta del secondo amico adocchiare a sua volta un'altra merda ed allora è il suo turno di proporre all'altro la stessa sfida:

"Quando l'hai proposto a me io non ho esitato, vediamo se ora anche tu sempre per 100 €uro hai lo stesso mio coraggio"

Pur riluttante ma per di non essere da meno toccato nel proprio orgoglio alla fine anche l'altro si decide ad ingoiarla.

Proseguono ancora per un certo tratto finchè uno dei due rimurginando sopra su quanto accaduto improvvisamente si ferma come folgorato ed esclama:

"Ma ti rendi conto di cosa abbiamo appena fatto? Praticamente abbiamo mangiato due merde gratis, per niente!"

-----------------------------------------------------------------------------

OK, la piccola storiellina ZEN/DeScemenzia sarà quel che vi pare (Storia di M.da) ma una sua morale ZEN ce l'ha.

#LoZenPerTutti.

 di più
editoriale di  Jimmie Dimmick

La luna è un faro che nasconde le stelle, non c'è nulla da fare in paese.

Una canna al cimitero, un film in camera, e pare già troppo.

Se solo ci fossi tu.

Avrei l'aria tra i capelli, gli occhi lucenti, sarei bellissimo.

Ma soprattutto, quest'erezione avrebbe un senso.

 di più
editoriale di lector

La scuola, per come la conosco io, è finita una mattina di fine febbraio del 2020.

Avrebbe dovuto essere solo una chiusura per disinfestazione straordinaria causa covid. Ma tutti noi sapevamo, nel salutarci, che da quel momento il cammino si sarebbe fatto incerto. E, infatti, ho rimesso piede nella mia scuola solo a fine giugno, per quella roba che qualcuno ha voluto ostinarsi a chiamare “Esame di Stato”.

La scuola ha poi riaperto i battenti alla fine del settembre successivo, ma col 50% degli alunni in presenza, e li ha rapidamente richiusi il 16 ottobre: la Campania è stata l’ultima Regione a riaprire e la prima a chiudere.

A tutt’oggi non sono ancora rientrato in classe. Dal 26 aprile il sindaco di Avellino posticipa, con ordinanze a cadenza settimanale, il rientro a scuola per gli Istituti Superiori.

Si va avanti in DAD (o DID o qualunque altro idiotissimo acronimo l’ottusità burocratica voglia inventare). Da sempre nella scuola la parola d’ordine è “arrangiatevi” ed i matrimoni si celebrano rigorosamente con pizza & fichi.

In questo anno e mezzo la mia casella di posta è stata invasa da petizioni, richieste di adesione, lamentazioni, proposte, alti guai, peana, accorati appelli, richieste di aiuto, denunce piene di amarezza, cahiers de doléances…

Ho letto di tutto, credetemi, da chi si sentiva cavia di laboratorio a chi proponeva nuove rinascite e piani di ricostruzione fantascientifici, da chi pretendeva considerazione per un lavoro che, spergiurava, la DAD non aveva sminuito a chi riteneva la stessa DAD il vero futuro per l’insegnamento. Alla fine a dominare era sempre la paura: paura di dover tornare in classe senza le dovute rassicurazioni, paura di dover subire orari scaglionati e pomeridiani, paura di dover lavorare PURE D’ESTATE!! E tutte con allegata richiesta di firmare e di far circolare la petizione di turno.

E tutte con un solo grande assente: gli studenti.

Così alla fine ho fatto una cosa che non faccio mai: ho mandato una lettera di risposta.

----------------------------------------------------------------------------------------------

Get.le Scrivente

Una commessa di supermercato va a lavorare tutti i giorni ed è necessario che sia così: la chiusura dei supermercati comporterebbe problemi difficilmente risolvibili. A nessuno è venuto in mente di richiedere che l’apertura dei supermercati avvenisse solo dopo che si fossero assicurati trasporti sicuri e nessun assembramento fuori dei supermercati stessi (immaginate cosa gli sarebbe stato detto!), né tantomeno si è ritenuto di aprire una corsia preferenziale per la vaccinazione di questa tipologia di lavoratori. Per non parlare delle tabaccherie, la cui ventilata chiusura rischiava di provocare sommosse popolari.

Da questa banale osservazione traggo che:

  1. A quanto pare le commesse dei supermercati sono enormemente più utili degli insegnanti (e di questo i più convinti sembrano essere gli insegnanti stessi) per cui non capisco perché le stesse debbano, inoltre, essere pagate meno di noi.
  2. Fumare o portare a pisciare il cane sono libertà e diritti irrinunciabili (come fare la spesa come e quando ci pare) chiaramente prioritari rispetto allo studio, e che una generazione di bambini ben pasciuti – a quanto pare - sarà meno danneggiata di una di ragazzini semianalfabeti.
  3. La nostra irrilevanza sociale è un patrimonio a cui, noi docenti, siamo particolarmente affezionati.
  4. Non tutti hanno uguale diritto ad avere paura.

Inoltre, che fine facciano e che futuro si offra agli eventuali figli delle suddette commesse e dove vengano lasciati (specialmente se piccoli) quando le suddette commesse lavorano è – a quanto pare – problema solo delle suddette in questione (che si arrangino!)

Ora io, davvero, trovo che sia una gran vigliaccata continuare a nascondersi dietro la presunta difesa del benessere e della protezione quando sono decenni che, pecoroni silenti, lavoriamo in scuole che sono al di sotto di ogni standard di sicurezza degno di un paese civile. Abbiamo continuato a lavorare in ambienti, troppo spesso fatiscenti e malsani, in molti casi delle vere e proprie trappole in caso di incendio o terremoto, sempre sprezzanti del pericolo.

Evidentemente anche per le paure ci sono le mode.

In questi anni ci siamo fatti umiliare da scelte politiche e didattiche al limite dell’idiozia, abbiamo ingoiato riforme demenziali scritte da ottusi burocrati che non avevano mai messo piede in un’aula scolastica, con la bovina sopportazione di polli da allevamento. Al massimo con qualche borbottìo.

Ed ora eccovi qua, tutti a scrivere per difendere la DaD, a dire che “certo è una situazione di emergenza”, che “chiaramente la scuola in presenza è meglio” ma…

Ma, in fondo, il nostro lavoro lo facciamo lo stesso (anzi c’è persino chi giura di fare molto di più! Gente che scimmiotta riti e formule che erano già obsoleti in presenza, figuriamoci in DAD!), che i ragazzi non sono stati lasciati soli, che noi docenti abbiamo eroicamente e con spirito di adattamento fronteggiato una situazione assolutamente extra-ordinaria.

Solo che ci dimentichiamo che la scuola è (o dovrebbe essere) molto più di questo: è un presidio in zone (la Campania ne è piena, pensate anche solo al “Parco Verde” di Caivano) dove non arriva non solo lo Stato ma neanche la luce della speranza. In troppi posti chiudere la scuola è significato aprire le porte alla Camorra, allo spaccio, alla prostituzione minorile o alla semplice disperazione.

Solo un imbecille può credere che la DAD possa arrivare là dove è capace di arrivare la scuola. Ma solo quando è aperta.

I discorsi sulla scuola dell’inclusione con cui ci siamo riempiti la bocca per anni erano solo fuffa per i grulli, evidentemente.

E, comunque, la DAD è solo immondizia didattica. Lo è sempre, anche laddove le cose – apparentemente – funzionano.

Ma sono cose che sappiamo tutti, è inutile dilungarsi. Io, personalmente, in questo anno e mezzo ho perso sei alunni – Carmine, Davide, Annarita, Pio, Giuliano, Luana – sei persone, sei storie, sei futuri; scomparsi, ingoiati dalla DAD.

E’ un prezzo TROPPO ALTO!

Ma che io lo dica serve a poco.

E allora l’unica cosa che posso fare è chiedervi di non scrivermi più, di non chiedermi firme o adesioni, di cassarmi da newsletters, gruppi di discussione e/o di classe, contatti lavorativi e personali, liste di ogni tipo e quant’altro. Con questa mia intendo disdire ogni abbonamento a riviste e bollettini che mi aggiornano sul mondo della scuola e revocare ogni delega ed iscrizione a sindacati e gruppi di base (dove sarà necessario scriverò lettera formale).

Insomma lasciatemi perdere. Tenetevi le vostre petizioni. Non voglio avere più niente a che fare con voi.

Grazie (firma).

---------------------------------------------------------------------------------------------

Ogni tanto mi chiedo come mai ho così pochi amici tra i miei colleghi…

 di più
editoriale di paolofreddie

E' da diversi minuti che cerco di capire in quale libro, in quale film, in quale anfratto dell'esistenza io abbia sentito quest'espressione. Cercandone online il significato, ho scoperto che deriva dal titolo di un film, e ancor prima dall'omonima rivista che lo ha ispirato, e che sta, più o meno, ad indicare una situazione piena di bizzarrie e sorprese, tipo quella che si va a creare - mi vien da fare collegamenti - nella sezione "Willow Farm" di "Supper's Ready".
Continuo ad arrovellarmi il cervello, cercando di recuperare l'origine della mia conoscenza in merito a una tale bizzarra parola, che per definizione la bizzarria la grida a pieni polmoni. Vi è mai capitato? Ussignur', ci sono certo migliori modi di passare il tempo, ma perché no, perdiamoci i minuti, le ore. Magari servirà a qualcosa! So solo che quest'espressione l'ho vista scritta da qualche parte, o l'ho sentita dire ("I saw it written and I saw it say"). Ho appena mangiato un panino con la frittata, e vado di rutto libero, bollicine di coca cola complici, a frizzare dentro di me.
Faccio appello al mio buonsenso, e scrivo di questa mia ricerca, fregandomene se oggi, o domani, o tra una settimana scoprirò qualcosa di più ... L'importante è mettere nero su bianco. Mi sembra di essere Montaigne, che problematizzava qualsiasi cosa che gli capitasse di pensare, su di sé, sul mondo, sull'esistente. Per noia, mi riascolto un album che non mi piace particolarmente, anzi, mi fa abbastanza cagare. L'idea che mi comunica è semplicemente di vecchiume, e di malinconia stinta, di un gruppo di guaglioni inglesi che cercavano di fare del buon prog in maniera più accessibile. Meglio sicuramente di chiodi nelle palle, ma se a salvarsi è solo una manciata di canzoni, tra le quali a spiccare è pure uno dei singoli che ha fatto accendere più accendini ai concerti, il godimento non è di certo assicurato.
"Hellzapoppin'" è un film comico del 1941, in forma di musical. Attore principale, Ole Olsen, che negli anni '30 formava con Chic Johnson un duo comico anomalo, diverso dai classici Stanlio e Ollio, o Gianni e Pinotto. Il disco che sto ascoltando è di 37 anni dopo. Il riferimento del titolo è a un romanzo giallo del '39, in periodo "helzapoppin'". Fregacazzo della numerologia, tutto questo serviva giusto a giustificare (pun intended!) il legame, seppur labile, che può avermi portato ad ascoltare un album che poco mi comunica, dalla prima volta che l'ho ascoltato. La noia fa fare tante cose. Sono al quinto pezzo, e ancora non so dove io abbia letto o sentito per la prima volta la buffa espressione interessata - di certo non interessante. Sono sempre meno convinto che caverò un ragno dal buco. Hell - zap - poppin'. Scompongo la parola per inerte gioco autoreferenziale.
A questo punto, il lettore si chiederà, a diritto: "Che diavolo di senso ha tutto questo? Non riesco a credere di essere arrivato qui!". Forse questa stessa sensazione è anche la mia. "The part was fun, but now it's over" canta qualcuno, proprio ora, e non poteva essere più puntuale.

 di più
editoriale di Stanlio

Ultimamente tra “La ballata di Adam Henry” e “Lettera a Berlino” di Ian McEwan (che ho qui indegnamente recenziato), mi son letto pure altri suoi tre romanzi ovvero “Nel guscio” del 2017, “Miele” del 2012 e “Chesil Beach” del 2007 (esattamente in quest’ordine cronologico).

In “Nel guscio” si vive un "noir" visto con gli occhi o meglio con le sensazioni vivissime di un personaggio prossimo alla nascita ovvero che se ne sta ancora acquattato bello bello nel pancione di mammà, e da qui è testimone di un "pasticciaccio" che riguarda i suoi più lo zio paterno e una certa consistente eredità immobiliare, posso solo anticipare che il finale resta aperto ad una conclusione non descritta nel romanzo ma ben presumibile.

Gli ingredienti sono:

  • Una vittima
  • Due carnefici
  • Un testimone che non può testimoniare
  • Un ispettrice di Polizia
  • Una Londra moderna
  • Un’atroce modo di morire
  • Diverse sessioni con maniere che ricordano certe posizioni del Kama Sutra (note a tutti/e scommetto…)
  • 184 pagine che scorrono come ruscelletti di montagna quando il sole con i suoi potenti raggi bacia i ghiacciai

Quando mi decisi a leggerlo sapevo solo che era raccontato da un futuro nascituro e niente della trama, son sicuro che come pe altri libri di IME anche da questo trarranno prima o poi una sceneggiatura per un film e niente.

Di “Miele” premetto che pure qui se ne potrebbe trarre un godibile film incentrato sui primi anni ’60 nell’Inghilterra che si concedeva all’epoca beat anche se a dir la verità c’è poco di ciò essendo incentrato su una spy story con annesse varie peripezie amorose dell’ingenua (ma fino a che punto?) protagonista arruolata nel famoso MI5, sorta di servizio segreto britannico, dove spie e spiati s’imbrogliano a vicenda com’è giusto che sia, il tutto condito da "sex & food & wine" per ben 368 pagine anzichenò e niente, anzi no, pare che nell’insieme vi siano diverse situazioni autobiografiche.

La storia narrata in “Chesil Beach” nelle sue brevi 146 pagine, appartiene ad un diverso registro ed è molto molto triste, è una sorta di “analisi” psicologica dove il non detto porta a conseguenze imprevedibili per i due protagonisti innamoratissimi ma a loro stessi sconosciuti, il tutto entro una cornice che si rifà pure qui ai prodromi degli anni ’60 in un Inghilterra assai bacchettona, ça va sans dir che anche stavolta qualcuno ha pensato bene di usare il testo per ricavarne dieci anni dopo una pellicola intitiolata “Chesil Beach - Il segreto di una notte”, mi verrebbe da dire grossolanamente riguardo ai due giovani amanti che “non è tutto oro quello che luccica” e “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” e niente, anzi no (se non ci metto un “anzi no” non son contento e niente bis), insomma tre romanzi + due dove IME (affettuosamente chiamato in patria "Ian Macabre") per la sua lugubricità presumo, si rende ogni volta irriconoscibile ma non per questo meno godibile nel leggere come ci apre alle sue descrizioni particolareggiate ed esaustive su molteplici argomenti.

Che dire per finire in bellezza?

Buona lettura a chi si farà catturare dal suo sottile stile dove spesso anche lo humor si mescola in giusta dose con dati e fatti precisi il tutto accompagnato nei suoi romanzi da titoli di pezzi musicali di non poco conto.

 di più
editoriale di ZiorPlus

Un giorno un condor adocchiando un topolino decide di farne il suo pasto.

Cala in picchiata e ne fà un solo boccone ingoiandolo ancora vivo.

Dopo essere passato dal becco attraverso la gola e giù giù lo stomaco il topolino infine giunge al colon, il bucio del culo e mette fuori la testa rendendosi conto di trovarsi a centinaia di metri d'altezza.

A quel punto esclamando terrorizzato verso il condor:

"Ciò, condor, non è che adesso ti metti a fare lo stronzo!"

---------------------------------------------------------------------

#LoZenPerTutti

 di più
editoriale di andisceppard

Se invece che un messaggio fosse una recensione, o un articolo, o un editoriale, allora dovrebbe avere un titolo.

E il titolo sarebbe Lee Aaker.

Che già. uno dice, pensa la sfiga di nascere con un cognome che inizia con due A. Cioè, a scuola, al massimo, ti può fregare una donnina allegra!

Di quelle mi chiamo AAA astenersi perditempo! Siccome però simili signorine di solito le scuole non le frequentano troppo, ecco che diciamo uno non è proprio contento del nome che gli è toccato.

Sì, perché se fosse una recensione, se fosse qualcosa d'altro, parlerebbe del nome che ti è toccato.

Come i tre pulcinetti, sopra al Pirellone, che il nome ancora non ce l'hanno mica.

Oh, da questo punto di vista, il mio prof di filosofia (quello che sa tutto) fu chiarissimo. Davvero, sai quelle cose illuminanti? Assiomi, quasi, non fosse che non è matematica. Dare un nome significa averci potere sopra.

Per dire radicedidue, quando è nata, mica si chiamava così.

Non si chiamava.

Non si poteva dire.

Perché dirla era ammettere che esistesse.

E se esisteva erano cazzi.

Così non la si chiamava in nessun modo. Semplicemente non la si diceva. Poi, ma ci sono voluti davvero migliaia di anni, le si è trovato un nome. E con un nome anche il modo di averci a che fare. Dici radice di due e dici infinite cifre non periodiche. Comincia con 1.414213563 eccetera. Infinite cifre. Non finiresti mai di dirle. Ma non periodiche. Non si ripetono mai.

Oh, le cifre sono 10, chiaro che riappaiono.

Ma uno schema mai. Una roba che non puoi mai prevedere cosa viene. Criminal Minds chiuderebbe, per dire.

C'è un cereal killer che uccide.

Che schema segue? Boh.

Si ripete? No.

Così gli dai un nome e la notte dormi tranquillo (ma solo perché non ci pensi abbastanza).

E' un nome anche bellino. Perché è verissimo - e quasi indiscutibile - dare un nome significa avere potere su quella cosa.

I tumori, fino a poco fa, si chiamavano un brutto male. Chiamarli per come sono è un gran bel segno.

Dici radice di due e dici quella stranissima infinità di numeri. Un numero lì vicino, che ha comunque infinite cifre, non periodiche, che magari è quasi tutto uguale a radice di due, meno una cifra. Un nome non ce l'ha. E per dirlo devi dire tutte le sue cifre. E dirle non puoi.

Sai, a scuola, la scuola che facevo io, mica era fatta perché se no mi deprimevo. Ma perché un paio di cose, un paio di assiomi, te li davano. Magari te li dava uno di filosofia. E non era proprio sicuro di dirti una cosa di matematica. (nel caso del mio prof sì, lui sa tutto).

Così i tre pulcinetti non hanno ancora un nome. Nemmeno si sa bene se sia un nome maschile o femminile, da dargli. Come se potessero essere qualsiasi cosa. Che è davvero anche bello. O forse no. Sarà più bello quando un nome ce l'avranno.

E quel nome sarà un nome d'amore.

E di tenerezza. E potranno essere mille cose, ma quella tenerezza, per prima.

Ecco, per questo, fosse un articolo, un editoriale, avrebbe un titolo.

Si chiamava Lee Aaker. E certo non ringraziava il cielo, la mattina a scuola, quando un prof diceva chi interrogo. Famoso perché - da piccolino - faceva Rusty. Quello di Rintintin. Dopo solo un sacco di cazzate. Alcool e droga e povertà. Però faceva Rusty.

Incidentalmente - fino all'ultimo suo giorno - il nome che mia mamma dava a me...

 di più
editoriale di iside

Grazie per la felicità, Rusty

Il primo aprile, a 77 anni, dopo una vita segnata dall’alcol, dalla droga e dalla povertà, è morto in miseria Lee Aaker. Il nome non dirà molto a chi ha meno di una certa età. Ma riaccenderà i fuochi della memoria ai miei coetanei se lo chiamo Rusty. Nella seconda metà degli anni Cinquanta e nei primi Sessanta, è stato il caporale bambino di Fort Apache nella serie di telefilm «Rin-Tin-Tin», dal nome del cane pastore suo inseparabile amico e mascotte della guarnigione di cui erano comandanti il tenente Rip Masters e il sergente Biff O’Hara. Un avamposto di «civilizzazione bianca» nella terra degli infidi e crudeli indiani. Quando ancora si pensava che i soli indiani buoni fossero gli indiani morti o quelli addomesticati per fare da scout alle giacche blu.

Noi bambini però non la vedevamo così e a lungo cavalcammo con il Settimo Cavalleggeri contro Sioux, Apaches, Comanches e tutte le tribù ribelli che uccidevano, torturavano e scalpavano i coloni bianchi. Una menzognera epopea che durò fino agli inizi degli anni Settanta. Fino a quando la stessa Hollywood non ci aprì gli occhi con film revisionisti come «Piccolo grande uomo», «Soldato blu», «Uomo bianco va con il tuo Dio», «Corvo Rosso non avrai il mio scalpo» e altri che riabilitarono, ormai troppo tardi, i popoli autoctoni d’America.

A quell’epoca, Rusty non indossava più l’uniforme blu, non recitava più, aveva intrapreso il mestiere di falegname che avrebbe continuato tra alti e bassi per una ventina d’anni, ma soprattutto era entrato nell’inferno degli ex bambini prodigio prima spremuti e poi gettati dalle major del cinema. Gli fecero compagnia droga, alcol, solitudine e scelte sbagliate. Fino alla fine. Di tanto in tanto una tivù o un giornale lo riesumava per un’intervista sui bei tempi andati o per raccontare cinicamente il suo sfacelo. La nostalgia canaglia e la caduta degli idoli sono temi che appassionano da sempre e ovunque la plebe televisiva.

La morte di Rusty m’intristisce perché mi rimanda ad anni in cui la tivù era un bene prezioso e raro, non alla portata di tutti. Dei 169 episodi di Rin-Tin-Tin ne avrò visti al massimo una decina sul finire degli anni Cinquanta. Quella sigla televisiva con la tromba che suona l’adunata, lo schieramento dei soldati in riga e la colonna che esce a cavallo da Fort Apache è un ricordo indelebile. Una scheggia dei miei anni spensierati. Quel che io provavo lo hanno provato per molti anni centinaia di milioni di piccoli telespettatori sparsi in tutto il mondo. Un sentimento universale chiamato felicità.

Quelle immagini in bianco e nero che il tempo ha ingrigito furono il nostro sogno a colori di un’America immaginata e immaginaria. Uguale per tutti, sia che abitassimo nelle metropoli come nei piccoli paesi. Chi viveva in campagna faceva meno fatica a sentirsi nel Far West. Mai avrei pensato che quello che per noi era stato un sogno potesse diventare un incubo, un fardello esistenziale, per il piccolo Lee Aaker. Rusty pagò la nostra felicità con la sua infelicità. Un prezzo troppo alto. Eravamo complici dello sfruttamento di un ragazzino poco più grande di noi e non lo sapevamo. Invidiavamo il suo mondo. Sia quello fasullo di Fort Apache, sia quello vero di Hollywood. A vent’anni siamo stati colpevolmente stupidi, a dieci lo eravamo con innocenza. Mi piacerebbe poter credere che ci sono stati momenti in cui Lee Aaker era consapevole di averci regalato un sogno. Grazie per quel dono, Rusty.

#sceltodaiside

la pagina FB di Ivano Sartori autore dello scritto https://www.facebook.com/ivano.sartori.79

 di più
editoriale di ZiOn

A un anno di distanza da W il producer Andrea Mangia, in arte Populous, pubblica "Luna liquida", brano che anticipa l'album Stasi, in uscita il 21 maggio per La Tempesta.

Dopo un primo ascolto si nota un cambio di rotta, una virata verso sonorità ambient e hip-hop che ci riporta (almeno in parte) alle atmosfere di Night Safari e Queue for Love.

Ecco a voi il link di YouTube:

https://youtu.be/g3ropIx3LuY

 di più
editoriale di Danny The Kid

Salve a tutti, qui Daniele, o Danny The Kid, come preferite. Forse vi sarete chiesti (o magari anche no) il perchè della mia quasi inesistente presenza su questo sito nell'ultimo periodo. Una delle ragioni è che mi sto dedicando anima e corpo al mio nuovo hobby... la scrittura, come avrete probabilmente già intuito. Veniamo al dunque. Ho scritto un libro, l'ho inviato a una casa editrice e tale casa editrice l'ha ritenuto degno di pubblicazione. Centro al primo colpo; bravura o semplice culo, non sta a me dirlo. Dal primo aprile del 2021 tale libro sarà ufficialmente acquistabile, e io ho deciso di usufruire di questo spazio per mettervene al corrente.

Questo libro nasce, principalmente, da un altra delle mie grandi passioni: l'Opera lirica. Cominciai ad ascoltare opere in un momento in cui faticavo a trovare qualcosa che mi piacesse veramente tra le svariate branchie della cosiddetta musica leggera, tra cui mi ero mosso fino ad allora. Ero ancora agli albori di questo nuovo percorso quando mi imbattei nalla pagina di Wikipedia dedicata al Guglielmo Ratcliff di Pietro Mascagni e, nel leggerla, una frase mi colpì immediatamente: "l'opera non entrò mai in repertorio, in parte a causa del ruolo del tenore, tra i più difficili mai scritti." Ovviamente mi misi subito alla ricerca, e quello che trovai rappresentò per me un'epifania.

"Come veduto volentieri t'avrei, di quelle pugna nerborute a far croce in atto pio di supplicante, a stemperar que' fieri, fulminei sguardi in un molle languor sentimentale" Questo specifico passaggio mi colpì particolarmente e, a poco a poco, decisi di costruirci intorno qualcosa di mio, qualcosa che mi rappresentasse. Era il 2019, e appena prima della fine di quell'anno riuscii a portare a termine Benjamin. Non il mio primo tentativo di creazione letteraria, ma il primo andato a buon fine. Benjamin è un'opera letteraria in quattro atti, ogni atto diviso in scene, con una trama costruita su tre personaggi principali. In termini più convenzionali, si tratta di una breve novella leggibile in un paio d'ore. Tra le sue pagine troverete montagne di riferimenti a Verdi, Wagner, R. Strauss, Britten, Massenet e, naturalmente, Mascagni. E pure Kate Bush, Kirsty MacColl e Marc Almond. Ma troverete anche molto di mio, le mie idee, la mia visione del mondo, la mia eccentricità, cosa ancora più importante.

Oltre al Maestro Mascagni, mi è doveroso ringraziare anche Emily Bronte e Francis Lee, regista e sceneggiatore di God's Own Country, per l'ispirazione che hanno rappresentato e senza i quali Benjamin così com'è non sarebbe stato possibile. E devo ringraziare anche DeBaser, che in tutti questi anni è stato per me una preziosissima palestra che ha affinato le mie capacità di scrittura. Nel caso voleste darmi una possibilità, il libro è acquistabile su Amazon, o su IBS, se preferite, oppure potreste prenotarlo nella vostra libreria di fiducia. Mi pare di aver detto tutto, arrivederci e, ancora una volta, grazie.

 di più
editoriale di Abraham

Ma che ne sanno i 2000, cantano i giovani d'oggi beati loro.

Nel 1993, perché correva il 1993, così mi avrebbero apostrofato: ma che ne sai, sedicente sedicenne deficiente. Perché così ero messo, ma perdio avevo una coscienza musicale impastata e modellata, che in casa tutti suonavamo prima ancora di proferir parola (giuro, lo chiamano 'orecchio assoluto' - io la chiamo botta di culo).

E insomma, si guardava Sanremo con leggerezza ma anche compassata voracità, nel senso: se esce fuori del buono, sono qui pronto ad addentare.

Ma quell'anno mi stracciai le vesti, fu la mia resa, fu presa di coscienza pura e meschina. Pensai: l'italiano medio è stupido, è citrullo. E' bello ciò che piace eccetera, ma non lo accettai. No.

I fatti: vinse 'Mistero' di Enrico Ruggeri. Del tipo, recitava, su un giro di do o giù di lì: cosa ti prende cosa ti fa quando si ama davvero, mistero.

Nel mio cuore impavido di adolescente, così come nei suonati 44 anni di oggi, questa cacofonia a tutto tondo grida vendetta. Mi suona orripilante, oltraggiosa. La musica è sacra, la musica mi è sacra, andate in pace e ditelo anche ai vostri amici.

Non lo accettai. Quinta, arrivò 'Ave Maria' di Zero, un brandello inesplorato di poesia e amore contrito, ecco: quella doveva vincere, quella l'italiano medio doveva spingere su, al primo posto. Allora avrei respirato e metabolizzato.

In sede di finale, che non ero solo, quando Ruggeri (che povero è un brav'uomo, non ha colpe, ma non gli farei comporre nemmeno il beep di watsapp) salì per essere celebrato e prendere la medaglia d'oro e ripropinare il brano, dal pubblico partirono buu, proteste, malcontento.

Baudo: basta, smettetela, non lo ammetto. Ma era in difficoltà, e si vedeva. Lui non poteva parteggiare, ma ha animo d'altro stampo. Ricordo, nel 96, pur non potendosi sbilanciare, disse : 'eh, se dovessi scegliere, credo L'elefante e la farfalla di Zarrillo', che per l'appunto era struggente, una dichiarazione di sconfitta un inno alla solitudine più nera.

E niente, era solo per dire che io Sanremo non lo seguo da lì, dal 1993. Per me è morto e sepolto. La Pausini, cara ragazza, in quell'anno, tra i nuovi, vinse con 'La Solitudine' e ci sta, mancherebbe altro. Mi andò bene, e che volevi, i primi Articolo 31 con 'Fotti la censura' ? Va bene la solitudine di Marco, dai.

Voi fate come vi pare, mancherebbe altro.

 di più
editoriale di Fratellone

San Remo, 1968.

Chi sono le persone qui in foto?

 di più
editoriale di masturbatio

Le volte in cui il cuore è andato all’impazzata non si contano. Faccio prima a contare le stelle delle costellazioni. Ho avuto degli amici d’infanzia solo per un breve periodo. Ho lasciato gli amici ma non l’infanzia.

Lo schermo è nitido, fa da contrasto agli occhiali sporchi.

Partire con l’auto in ciabatte con 30 euro in tasca per Milano dopo il coprifuoco. E la musica così reale non la senti mai, ti manda messaggi subliminali. Piangi e ridi. Insieme, lo spogliarello del cervello è ormai suoi minuti finali. Tra l’altro becco un chiodo con una gomma.

È tardi, mi fermo ad una pompa di benzina dove c’è un maggiolino bianco parcheggiato targato GO. Avendo visto prima “Terminator 2 Il Giorno Del Giudizio” con gli occhi della verità mi aspetto che la portiera come minimo sia aperta. No. Allora si provano 2 3 cazzotti al vetro ed il dolore mi riporta ad un’anticamera di realtà.

Io ci volevo andare in maggiolino a Milano ma pazienza, in compenso nel portapacchi dietro trovo una borsetta che pare la tracolla di un soldato del 15-18 con dentro rispettivamente: fazzoletti, spazzolino monouso con annesso dentifricio, due pacchetti di settebello impolverati. Prendo tutto sia mai possa tornare utile.

Mi fermo e sento il vento con le dita. Riparto a velocità sostenuta, dopo un po’ un angelo delle autovie venete con le sirene spiegate mi fa accostare ad una piazzola di sosta. Mi chiede: “Serve aiuto?” Vorrei dirgli che non so dove sputare e che la sua faccia potrebbe anche andar bene, invece fumo una sigaretta dietro l’altra, vorrei raccontargli la storia del mio presente ma quello appena m’avvicino al finestrino e metto la mano sul vetro, questi immediatamente lo rialza con un gesto di diffidenza irrispettosa. Allora gli dico “No niente, mi han chiamato i carabinieri ma non ricordo perché.”

Molto più tardi il medico ricorrente, tacchi alti occhi verdi capelli biondi meshati, faccia furbetta di una che ama farsi dominare mi chiede se ho la morosa, chiaro che si. È proprio quello che sto facendo, sto andando a Milano a trovarla.

 di più
editoriale di Geo@Geo

È passato molto tempo, molto tempo. Non pensavo ti avrei più rivisto, non è possibile incontrare delle persone nell'ultimo anno, giusto? Invece è capitato.

Eravamo entrambi a una conferenza, forse perché lavoriamo nello stesso campo, ma giurerei che non ci era mai successo prima. Eravamo piuttosto vicini, nella stessa stanza e mi hai anche riconosciuta, cosa che mi ha particolarmente lusingata. Numerosi gli interventi dei colleghi e anche gli sguardi, o almeno mi pareva.

Il tempo passava veloce, pochi minuti e l'evento si sarebbe concluso. Piano piano la stanza si svuota, e quando tocca a me, sono un po' indecisa, ma alla fine esco, con un ultimo sguardo che però non hai incrociato: mi sa che abbiamo cliccato contemporaneamente sulla X in alto a destra dello schermo, e dopo un obbligatorio "vuoi abbandonare?", clicco sul "si".

 di più
editoriale di iside

sul deb c'è solo una regola:

Non prendetevi mai sul serio.

 di più
editoriale di Kiodo

Commettiamo ogni volta lo stesso errore: guardare il dito e non la luna. Credo non impareremo mai.

Disney piazza un bel disclaimer su alcuni suoi film (roba sua, perciò può farci quello che vuole) e la logica vorrebbe che sia un'ulteriore occasione per dirsi e dirci "sticazzi, io da questo esatto momento mi impegnerò con ancora più forza nel trasmettere ai miei figli il valore della tolleranza e del rispetto per gli altri, così che già da domani nessuno si senta più nella condizione di venirmi a fare la morale attraverso prese di posizione ridicole come questa, tantomeno il vecchio Walt".

Ed invece, puntuale suona l'orchestrina di indignati da social, che porta via sicuramente meno tempo e fatica.

Questa deriva del politicamente corretto ha stufato anche me, perciò non credo sia il caso di farmi troppi problemi nel lasciarmi andare ad un maiuscolissimo I FILM DELLA DISNEY NON VI HANNO INSEGNATO NIENTE, SIETE UNA MANICA DI PANCINE E DI RAMMOLLITI.

 di più
editoriale di Matteo95

Chiuso in casa causa pandemia in corso.. mi sono messo in cuffia “Blue Train” di John Coltrane, e dal nulla mi sono posto una domanda.. Cos’è la “buona musica”? Certo, il disco che stavo ascoltando è uno dei capolavori del jazz, e quindi rientrava sicuramente in questa definizione.. ma.. cos’è la “buona musica”?

Quanto spesso, parlando di musica con qualcuno, ci si scontra perché i gusti musicali sono differenti?

Quanto spesso in una discussione sentiamo dire “..quella che ascolto io è buona musica.. non quella robaccia li..”.

Ma cos’è sta “buona musica”?

Per me la buona musica è quella suonata, ma suonata veramente, con degli strumenti veri.. non rintanati dietro ad un computer, senza nemmeno sapere come si imbraccia una chitarra e senza conoscere nemmeno il nome delle note..

La buona musica è quella cantata, ma cantata veramente, con la voce naturale.. senza bisogno dell’autotune o di altro per farti sembrare intonato/a, perché sono belle anche le imperfezioni..

La buona musica è quella che ti fa emozionare, che ti fa scattare quel qualcosa dentro, che ti trasporta da un’altra parte mentre la ascolti..

La buona musica è quella che ha qualcosa da dire..

La buona musica la possiamo trovare all’interno di qualsiasi genere musicale (reggaetton e trap italiana a parte… scusate non riesco a trovarci un senso).

Rock, pop, metal, country, blues, jazz, elettronica.. e chi più ne ha più ne metta..

Anche nei nostri giorni c’è buona musica, solo che bisogna andarla a cercare, perché in radio (salvo alcune stazioni) non passa.. o almeno.. fa molta fatica.

Le commercialate le ascolto anche io ogni tanto capiamoci.. ma da “musicista” e appassionato di musica, so riconoscere che non posso chiamarla “buona musica” al pari di altra..

Non so nemmeno io se quello che ho scritto sopra abbia un senso.. bah.. anche perché.. in effetti.. cos’è sta buona musica?

Riflessioni di una domenica pomeriggio in zona arancione

 di più