editoriale di Stanlio

Ultimamente tra “La ballata di Adam Henry” e “Lettera a Berlino” di Ian McEwan (che ho qui indegnamente recenziato), mi son letto pure altri suoi tre romanzi ovvero “Nel guscio” del 2017, “Miele” del 2012 e “Chesil Beach” del 2007 (esattamente in quest’ordine cronologico).

In “Nel guscio” si vive un "noir" visto con gli occhi o meglio con le sensazioni vivissime di un personaggio prossimo alla nascita ovvero che se ne sta ancora acquattato bello bello nel pancione di mammà, e da qui è testimone di un "pasticciaccio" che riguarda i suoi più lo zio paterno e una certa consistente eredità immobiliare, posso solo anticipare che il finale resta aperto ad una conclusione non descritta nel romanzo ma ben presumibile.

Gli ingredienti sono:

  • Una vittima
  • Due carnefici
  • Un testimone che non può testimoniare
  • Un ispettrice di Polizia
  • Una Londra moderna
  • Un’atroce modo di morire
  • Diverse sessioni con maniere che ricordano certe posizioni del Kama Sutra (note a tutti/e scommetto…)
  • 184 pagine che scorrono come ruscelletti di montagna quando il sole con i suoi potenti raggi bacia i ghiacciai

Quando mi decisi a leggerlo sapevo solo che era raccontato da un futuro nascituro e niente della trama, son sicuro che come pe altri libri di IME anche da questo trarranno prima o poi una sceneggiatura per un film e niente.

Di “Miele” premetto che pure qui se ne potrebbe trarre un godibile film incentrato sui primi anni ’60 nell’Inghilterra che si concedeva all’epoca beat anche se a dir la verità c’è poco di ciò essendo incentrato su una spy story con annesse varie peripezie amorose dell’ingenua (ma fino a che punto?) protagonista arruolata nel famoso MI5, sorta di servizio segreto britannico, dove spie e spiati s’imbrogliano a vicenda com’è giusto che sia, il tutto condito da "sex & food & wine" per ben 368 pagine anzichenò e niente, anzi no, pare che nell’insieme vi siano diverse situazioni autobiografiche.

La storia narrata in “Chesil Beach” nelle sue brevi 146 pagine, appartiene ad un diverso registro ed è molto molto triste, è una sorta di “analisi” psicologica dove il non detto porta a conseguenze imprevedibili per i due protagonisti innamoratissimi ma a loro stessi sconosciuti, il tutto entro una cornice che si rifà pure qui ai prodromi degli anni ’60 in un Inghilterra assai bacchettona, ça va sans dir che anche stavolta qualcuno ha pensato bene di usare il testo per ricavarne dieci anni dopo una pellicola intitiolata “Chesil Beach - Il segreto di una notte”, mi verrebbe da dire grossolanamente riguardo ai due giovani amanti che “non è tutto oro quello che luccica” e “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” e niente, anzi no (se non ci metto un “anzi no” non son contento e niente bis), insomma tre romanzi + due dove IME (affettuosamente chiamato in patria "Ian Macabre") per la sua lugubricità presumo, si rende ogni volta irriconoscibile ma non per questo meno godibile nel leggere come ci apre alle sue descrizioni particolareggiate ed esaustive su molteplici argomenti.

Che dire per finire in bellezza?

Buona lettura a chi si farà catturare dal suo sottile stile dove spesso anche lo humor si mescola in giusta dose con dati e fatti precisi il tutto accompagnato nei suoi romanzi da titoli di pezzi musicali di non poco conto.

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editoriale di ZiorPlus

Un giorno un condor adocchiando un topolino decide di farne il suo pasto.

Cala in picchiata e ne fà un solo boccone ingoiandolo ancora vivo.

Dopo essere passato dal becco attraverso la gola e giù giù lo stomaco il topolino infine giunge al colon, il bucio del culo e mette fuori la testa rendendosi conto di trovarsi a centinaia di metri d'altezza.

A quel punto esclamando terrorizzato verso il condor:

"Ciò, condor, non è che adesso ti metti a fare lo stronzo!"

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#LoZenPerTutti

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editoriale di andisceppard

Se invece che un messaggio fosse una recensione, o un articolo, o un editoriale, allora dovrebbe avere un titolo.

E il titolo sarebbe Lee Aaker.

Che già. uno dice, pensa la sfiga di nascere con un cognome che inizia con due A. Cioè, a scuola, al massimo, ti può fregare una donnina allegra!

Di quelle mi chiamo AAA astenersi perditempo! Siccome però simili signorine di solito le scuole non le frequentano troppo, ecco che diciamo uno non è proprio contento del nome che gli è toccato.

Sì, perché se fosse una recensione, se fosse qualcosa d'altro, parlerebbe del nome che ti è toccato.

Come i tre pulcinetti, sopra al Pirellone, che il nome ancora non ce l'hanno mica.

Oh, da questo punto di vista, il mio prof di filosofia (quello che sa tutto) fu chiarissimo. Davvero, sai quelle cose illuminanti? Assiomi, quasi, non fosse che non è matematica. Dare un nome significa averci potere sopra.

Per dire radicedidue, quando è nata, mica si chiamava così.

Non si chiamava.

Non si poteva dire.

Perché dirla era ammettere che esistesse.

E se esisteva erano cazzi.

Così non la si chiamava in nessun modo. Semplicemente non la si diceva. Poi, ma ci sono voluti davvero migliaia di anni, le si è trovato un nome. E con un nome anche il modo di averci a che fare. Dici radice di due e dici infinite cifre non periodiche. Comincia con 1.414213563 eccetera. Infinite cifre. Non finiresti mai di dirle. Ma non periodiche. Non si ripetono mai.

Oh, le cifre sono 10, chiaro che riappaiono.

Ma uno schema mai. Una roba che non puoi mai prevedere cosa viene. Criminal Minds chiuderebbe, per dire.

C'è un cereal killer che uccide.

Che schema segue? Boh.

Si ripete? No.

Così gli dai un nome e la notte dormi tranquillo (ma solo perché non ci pensi abbastanza).

E' un nome anche bellino. Perché è verissimo - e quasi indiscutibile - dare un nome significa avere potere su quella cosa.

I tumori, fino a poco fa, si chiamavano un brutto male. Chiamarli per come sono è un gran bel segno.

Dici radice di due e dici quella stranissima infinità di numeri. Un numero lì vicino, che ha comunque infinite cifre, non periodiche, che magari è quasi tutto uguale a radice di due, meno una cifra. Un nome non ce l'ha. E per dirlo devi dire tutte le sue cifre. E dirle non puoi.

Sai, a scuola, la scuola che facevo io, mica era fatta perché se no mi deprimevo. Ma perché un paio di cose, un paio di assiomi, te li davano. Magari te li dava uno di filosofia. E non era proprio sicuro di dirti una cosa di matematica. (nel caso del mio prof sì, lui sa tutto).

Così i tre pulcinetti non hanno ancora un nome. Nemmeno si sa bene se sia un nome maschile o femminile, da dargli. Come se potessero essere qualsiasi cosa. Che è davvero anche bello. O forse no. Sarà più bello quando un nome ce l'avranno.

E quel nome sarà un nome d'amore.

E di tenerezza. E potranno essere mille cose, ma quella tenerezza, per prima.

Ecco, per questo, fosse un articolo, un editoriale, avrebbe un titolo.

Si chiamava Lee Aaker. E certo non ringraziava il cielo, la mattina a scuola, quando un prof diceva chi interrogo. Famoso perché - da piccolino - faceva Rusty. Quello di Rintintin. Dopo solo un sacco di cazzate. Alcool e droga e povertà. Però faceva Rusty.

Incidentalmente - fino all'ultimo suo giorno - il nome che mia mamma dava a me...

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editoriale di iside

Grazie per la felicità, Rusty

Il primo aprile, a 77 anni, dopo una vita segnata dall’alcol, dalla droga e dalla povertà, è morto in miseria Lee Aaker. Il nome non dirà molto a chi ha meno di una certa età. Ma riaccenderà i fuochi della memoria ai miei coetanei se lo chiamo Rusty. Nella seconda metà degli anni Cinquanta e nei primi Sessanta, è stato il caporale bambino di Fort Apache nella serie di telefilm «Rin-Tin-Tin», dal nome del cane pastore suo inseparabile amico e mascotte della guarnigione di cui erano comandanti il tenente Rip Masters e il sergente Biff O’Hara. Un avamposto di «civilizzazione bianca» nella terra degli infidi e crudeli indiani. Quando ancora si pensava che i soli indiani buoni fossero gli indiani morti o quelli addomesticati per fare da scout alle giacche blu.

Noi bambini però non la vedevamo così e a lungo cavalcammo con il Settimo Cavalleggeri contro Sioux, Apaches, Comanches e tutte le tribù ribelli che uccidevano, torturavano e scalpavano i coloni bianchi. Una menzognera epopea che durò fino agli inizi degli anni Settanta. Fino a quando la stessa Hollywood non ci aprì gli occhi con film revisionisti come «Piccolo grande uomo», «Soldato blu», «Uomo bianco va con il tuo Dio», «Corvo Rosso non avrai il mio scalpo» e altri che riabilitarono, ormai troppo tardi, i popoli autoctoni d’America.

A quell’epoca, Rusty non indossava più l’uniforme blu, non recitava più, aveva intrapreso il mestiere di falegname che avrebbe continuato tra alti e bassi per una ventina d’anni, ma soprattutto era entrato nell’inferno degli ex bambini prodigio prima spremuti e poi gettati dalle major del cinema. Gli fecero compagnia droga, alcol, solitudine e scelte sbagliate. Fino alla fine. Di tanto in tanto una tivù o un giornale lo riesumava per un’intervista sui bei tempi andati o per raccontare cinicamente il suo sfacelo. La nostalgia canaglia e la caduta degli idoli sono temi che appassionano da sempre e ovunque la plebe televisiva.

La morte di Rusty m’intristisce perché mi rimanda ad anni in cui la tivù era un bene prezioso e raro, non alla portata di tutti. Dei 169 episodi di Rin-Tin-Tin ne avrò visti al massimo una decina sul finire degli anni Cinquanta. Quella sigla televisiva con la tromba che suona l’adunata, lo schieramento dei soldati in riga e la colonna che esce a cavallo da Fort Apache è un ricordo indelebile. Una scheggia dei miei anni spensierati. Quel che io provavo lo hanno provato per molti anni centinaia di milioni di piccoli telespettatori sparsi in tutto il mondo. Un sentimento universale chiamato felicità.

Quelle immagini in bianco e nero che il tempo ha ingrigito furono il nostro sogno a colori di un’America immaginata e immaginaria. Uguale per tutti, sia che abitassimo nelle metropoli come nei piccoli paesi. Chi viveva in campagna faceva meno fatica a sentirsi nel Far West. Mai avrei pensato che quello che per noi era stato un sogno potesse diventare un incubo, un fardello esistenziale, per il piccolo Lee Aaker. Rusty pagò la nostra felicità con la sua infelicità. Un prezzo troppo alto. Eravamo complici dello sfruttamento di un ragazzino poco più grande di noi e non lo sapevamo. Invidiavamo il suo mondo. Sia quello fasullo di Fort Apache, sia quello vero di Hollywood. A vent’anni siamo stati colpevolmente stupidi, a dieci lo eravamo con innocenza. Mi piacerebbe poter credere che ci sono stati momenti in cui Lee Aaker era consapevole di averci regalato un sogno. Grazie per quel dono, Rusty.

#sceltodaiside

la pagina FB di Ivano Sartori autore dello scritto https://www.facebook.com/ivano.sartori.79

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editoriale di ZiOn

A un anno di distanza da W il producer Andrea Mangia, in arte Populous, pubblica "Luna liquida", brano che anticipa l'album Stasi, in uscita il 21 maggio per La Tempesta.

Dopo un primo ascolto si nota un cambio di rotta, una virata verso sonorità ambient e hip-hop che ci riporta (almeno in parte) alle atmosfere di Night Safari e Queue for Love.

Ecco a voi il link di YouTube:

https://youtu.be/g3ropIx3LuY

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editoriale di Danny The Kid

Salve a tutti, qui Daniele, o Danny The Kid, come preferite. Forse vi sarete chiesti (o magari anche no) il perchè della mia quasi inesistente presenza su questo sito nell'ultimo periodo. Una delle ragioni è che mi sto dedicando anima e corpo al mio nuovo hobby... la scrittura, come avrete probabilmente già intuito. Veniamo al dunque. Ho scritto un libro, l'ho inviato a una casa editrice e tale casa editrice l'ha ritenuto degno di pubblicazione. Centro al primo colpo; bravura o semplice culo, non sta a me dirlo. Dal primo aprile del 2021 tale libro sarà ufficialmente acquistabile, e io ho deciso di usufruire di questo spazio per mettervene al corrente.

Questo libro nasce, principalmente, da un altra delle mie grandi passioni: l'Opera lirica. Cominciai ad ascoltare opere in un momento in cui faticavo a trovare qualcosa che mi piacesse veramente tra le svariate branchie della cosiddetta musica leggera, tra cui mi ero mosso fino ad allora. Ero ancora agli albori di questo nuovo percorso quando mi imbattei nalla pagina di Wikipedia dedicata al Guglielmo Ratcliff di Pietro Mascagni e, nel leggerla, una frase mi colpì immediatamente: "l'opera non entrò mai in repertorio, in parte a causa del ruolo del tenore, tra i più difficili mai scritti." Ovviamente mi misi subito alla ricerca, e quello che trovai rappresentò per me un'epifania.

"Come veduto volentieri t'avrei, di quelle pugna nerborute a far croce in atto pio di supplicante, a stemperar que' fieri, fulminei sguardi in un molle languor sentimentale" Questo specifico passaggio mi colpì particolarmente e, a poco a poco, decisi di costruirci intorno qualcosa di mio, qualcosa che mi rappresentasse. Era il 2019, e appena prima della fine di quell'anno riuscii a portare a termine Benjamin. Non il mio primo tentativo di creazione letteraria, ma il primo andato a buon fine. Benjamin è un'opera letteraria in quattro atti, ogni atto diviso in scene, con una trama costruita su tre personaggi principali. In termini più convenzionali, si tratta di una breve novella leggibile in un paio d'ore. Tra le sue pagine troverete montagne di riferimenti a Verdi, Wagner, R. Strauss, Britten, Massenet e, naturalmente, Mascagni. E pure Kate Bush, Kirsty MacColl e Marc Almond. Ma troverete anche molto di mio, le mie idee, la mia visione del mondo, la mia eccentricità, cosa ancora più importante.

Oltre al Maestro Mascagni, mi è doveroso ringraziare anche Emily Bronte e Francis Lee, regista e sceneggiatore di God's Own Country, per l'ispirazione che hanno rappresentato e senza i quali Benjamin così com'è non sarebbe stato possibile. E devo ringraziare anche DeBaser, che in tutti questi anni è stato per me una preziosissima palestra che ha affinato le mie capacità di scrittura. Nel caso voleste darmi una possibilità, il libro è acquistabile su Amazon, o su IBS, se preferite, oppure potreste prenotarlo nella vostra libreria di fiducia. Mi pare di aver detto tutto, arrivederci e, ancora una volta, grazie.

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editoriale di Abraham

Ma che ne sanno i 2000, cantano i giovani d'oggi beati loro.

Nel 1993, perché correva il 1993, così mi avrebbero apostrofato: ma che ne sai, sedicente sedicenne deficiente. Perché così ero messo, ma perdio avevo una coscienza musicale impastata e modellata, che in casa tutti suonavamo prima ancora di proferir parola (giuro, lo chiamano 'orecchio assoluto' - io la chiamo botta di culo).

E insomma, si guardava Sanremo con leggerezza ma anche compassata voracità, nel senso: se esce fuori del buono, sono qui pronto ad addentare.

Ma quell'anno mi stracciai le vesti, fu la mia resa, fu presa di coscienza pura e meschina. Pensai: l'italiano medio è stupido, è citrullo. E' bello ciò che piace eccetera, ma non lo accettai. No.

I fatti: vinse 'Mistero' di Enrico Ruggeri. Del tipo, recitava, su un giro di do o giù di lì: cosa ti prende cosa ti fa quando si ama davvero, mistero.

Nel mio cuore impavido di adolescente, così come nei suonati 44 anni di oggi, questa cacofonia a tutto tondo grida vendetta. Mi suona orripilante, oltraggiosa. La musica è sacra, la musica mi è sacra, andate in pace e ditelo anche ai vostri amici.

Non lo accettai. Quinta, arrivò 'Ave Maria' di Zero, un brandello inesplorato di poesia e amore contrito, ecco: quella doveva vincere, quella l'italiano medio doveva spingere su, al primo posto. Allora avrei respirato e metabolizzato.

In sede di finale, che non ero solo, quando Ruggeri (che povero è un brav'uomo, non ha colpe, ma non gli farei comporre nemmeno il beep di watsapp) salì per essere celebrato e prendere la medaglia d'oro e ripropinare il brano, dal pubblico partirono buu, proteste, malcontento.

Baudo: basta, smettetela, non lo ammetto. Ma era in difficoltà, e si vedeva. Lui non poteva parteggiare, ma ha animo d'altro stampo. Ricordo, nel 96, pur non potendosi sbilanciare, disse : 'eh, se dovessi scegliere, credo L'elefante e la farfalla di Zarrillo', che per l'appunto era struggente, una dichiarazione di sconfitta un inno alla solitudine più nera.

E niente, era solo per dire che io Sanremo non lo seguo da lì, dal 1993. Per me è morto e sepolto. La Pausini, cara ragazza, in quell'anno, tra i nuovi, vinse con 'La Solitudine' e ci sta, mancherebbe altro. Mi andò bene, e che volevi, i primi Articolo 31 con 'Fotti la censura' ? Va bene la solitudine di Marco, dai.

Voi fate come vi pare, mancherebbe altro.

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editoriale di Fratellone

San Remo, 1968.

Chi sono le persone qui in foto?

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editoriale di masturbatio

Le volte in cui il cuore è andato all’impazzata non si contano. Faccio prima a contare le stelle delle costellazioni. Ho avuto degli amici d’infanzia solo per un breve periodo. Ho lasciato gli amici ma non l’infanzia.

Lo schermo è nitido, fa da contrasto agli occhiali sporchi.

Partire con l’auto in ciabatte con 30 euro in tasca per Milano dopo il coprifuoco. E la musica così reale non la senti mai, ti manda messaggi subliminali. Piangi e ridi. Insieme, lo spogliarello del cervello è ormai suoi minuti finali. Tra l’altro becco un chiodo con una gomma.

È tardi, mi fermo ad una pompa di benzina dove c’è un maggiolino bianco parcheggiato targato GO. Avendo visto prima “Terminator 2 Il Giorno Del Giudizio” con gli occhi della verità mi aspetto che la portiera come minimo sia aperta. No. Allora si provano 2 3 cazzotti al vetro ed il dolore mi riporta ad un’anticamera di realtà.

Io ci volevo andare in maggiolino a Milano ma pazienza, in compenso nel portapacchi dietro trovo una borsetta che pare la tracolla di un soldato del 15-18 con dentro rispettivamente: fazzoletti, spazzolino monouso con annesso dentifricio, due pacchetti di settebello impolverati. Prendo tutto sia mai possa tornare utile.

Mi fermo e sento il vento con le dita. Riparto a velocità sostenuta, dopo un po’ un angelo delle autovie venete con le sirene spiegate mi fa accostare ad una piazzola di sosta. Mi chiede: “Serve aiuto?” Vorrei dirgli che non so dove sputare e che la sua faccia potrebbe anche andar bene, invece fumo una sigaretta dietro l’altra, vorrei raccontargli la storia del mio presente ma quello appena m’avvicino al finestrino e metto la mano sul vetro, questi immediatamente lo rialza con un gesto di diffidenza irrispettosa. Allora gli dico “No niente, mi han chiamato i carabinieri ma non ricordo perché.”

Molto più tardi il medico ricorrente, tacchi alti occhi verdi capelli biondi meshati, faccia furbetta di una che ama farsi dominare mi chiede se ho la morosa, chiaro che si. È proprio quello che sto facendo, sto andando a Milano a trovarla.

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editoriale di Geo@Geo

È passato molto tempo, molto tempo. Non pensavo ti avrei più rivisto, non è possibile incontrare delle persone nell'ultimo anno, giusto? Invece è capitato.

Eravamo entrambi a una conferenza, forse perché lavoriamo nello stesso campo, ma giurerei che non ci era mai successo prima. Eravamo piuttosto vicini, nella stessa stanza e mi hai anche riconosciuta, cosa che mi ha particolarmente lusingata. Numerosi gli interventi dei colleghi e anche gli sguardi, o almeno mi pareva.

Il tempo passava veloce, pochi minuti e l'evento si sarebbe concluso. Piano piano la stanza si svuota, e quando tocca a me, sono un po' indecisa, ma alla fine esco, con un ultimo sguardo che però non hai incrociato: mi sa che abbiamo cliccato contemporaneamente sulla X in alto a destra dello schermo, e dopo un obbligatorio "vuoi abbandonare?", clicco sul "si".

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editoriale di iside

sul deb c'è solo una regola:

Non prendetevi mai sul serio.

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editoriale di Kiodo

Commettiamo ogni volta lo stesso errore: guardare il dito e non la luna. Credo non impareremo mai.

Disney piazza un bel disclaimer su alcuni suoi film (roba sua, perciò può farci quello che vuole) e la logica vorrebbe che sia un'ulteriore occasione per dirsi e dirci "sticazzi, io da questo esatto momento mi impegnerò con ancora più forza nel trasmettere ai miei figli il valore della tolleranza e del rispetto per gli altri, così che già da domani nessuno si senta più nella condizione di venirmi a fare la morale attraverso prese di posizione ridicole come questa, tantomeno il vecchio Walt".

Ed invece, puntuale suona l'orchestrina di indignati da social, che porta via sicuramente meno tempo e fatica.

Questa deriva del politicamente corretto ha stufato anche me, perciò non credo sia il caso di farmi troppi problemi nel lasciarmi andare ad un maiuscolissimo I FILM DELLA DISNEY NON VI HANNO INSEGNATO NIENTE, SIETE UNA MANICA DI PANCINE E DI RAMMOLLITI.

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editoriale di Matteo95

Chiuso in casa causa pandemia in corso.. mi sono messo in cuffia “Blue Train” di John Coltrane, e dal nulla mi sono posto una domanda.. Cos’è la “buona musica”? Certo, il disco che stavo ascoltando è uno dei capolavori del jazz, e quindi rientrava sicuramente in questa definizione.. ma.. cos’è la “buona musica”?

Quanto spesso, parlando di musica con qualcuno, ci si scontra perché i gusti musicali sono differenti?

Quanto spesso in una discussione sentiamo dire “..quella che ascolto io è buona musica.. non quella robaccia li..”.

Ma cos’è sta “buona musica”?

Per me la buona musica è quella suonata, ma suonata veramente, con degli strumenti veri.. non rintanati dietro ad un computer, senza nemmeno sapere come si imbraccia una chitarra e senza conoscere nemmeno il nome delle note..

La buona musica è quella cantata, ma cantata veramente, con la voce naturale.. senza bisogno dell’autotune o di altro per farti sembrare intonato/a, perché sono belle anche le imperfezioni..

La buona musica è quella che ti fa emozionare, che ti fa scattare quel qualcosa dentro, che ti trasporta da un’altra parte mentre la ascolti..

La buona musica è quella che ha qualcosa da dire..

La buona musica la possiamo trovare all’interno di qualsiasi genere musicale (reggaetton e trap italiana a parte… scusate non riesco a trovarci un senso).

Rock, pop, metal, country, blues, jazz, elettronica.. e chi più ne ha più ne metta..

Anche nei nostri giorni c’è buona musica, solo che bisogna andarla a cercare, perché in radio (salvo alcune stazioni) non passa.. o almeno.. fa molta fatica.

Le commercialate le ascolto anche io ogni tanto capiamoci.. ma da “musicista” e appassionato di musica, so riconoscere che non posso chiamarla “buona musica” al pari di altra..

Non so nemmeno io se quello che ho scritto sopra abbia un senso.. bah.. anche perché.. in effetti.. cos’è sta buona musica?

Riflessioni di una domenica pomeriggio in zona arancione

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editoriale di ZiorPlus

Con Flavio C. ci siamo avuti in sorte l' ultimo anno di elementari.

Flavio aveva 2 anni più di me in quanto io ero di quelli che un tempo o forse anche adesso chiamavano primini mentre lui la 5a elementare la stava ripetendo.

Non sò come fu che ci trovammo in banco assieme e neanche credo importi quello che ha avuto importanza piuttosto è il peso che questo incontro ha avuto.

Flavio C. era un friulano atipico per i tempi e forse anche per adesso, scuro di carnagione capelli crespi ribelli e due occhi scuri come fondi di bottiglia di birra.

Per questo suo colorito color caffelatte ricordo che la mia prima impressione per tutta una serie di pensieri strani fù che a casa sua probabilmente dovevano tenere il riscaldamento acceso anche d'estate altrimenti diventava inspiegabile come stranezza.

Dopo qualche schermaglia iniziale diciamo di assestamento, due anni di differenza a quell'età bene o male hanno il loro peso, una mattina mi sorprese presentandosi con in tasca un paio di mutandine da donna sporche di chissa quali umori femminili rubate nella camera di suo fratello maggiore, camera nella quale il fratellone era solito chiudersi a chiave con la sua ragazza.

Fù solo l'inizio di un anno tribolato ed allo stesso tempo unico che mi riserverà altre diverse cosucce del genere come quando per es. durante l' ora di religione si fece una sega accanto a me invitandomi ad associarmi a quello che per lui probabilmente doveva essere interpretato come un innoquo passatempo, cioe' tutto pur di non studiare e buttarla in vacca.

Avrei voluto morire non tanto per la sega ma per il terrore che venisse beccato e di essere in qualche modo tirato dentro come se in qualche maniera fosse anche colpa mia.

Bisogna anche dire che a quei tempi non era come adesso che se fai qualche cazzata alla più porca "Metteremo i tuoi genitori al corrente della cosa", genitori che, non tutti ma diversi, quasi sempre hanno talmente tanti cazzi a cui pensare che se ne fregano beatamente delegando tutto alla scuola ed agli insegnanti.

Quel tipo di scuola era come il Far West, l' insegnante di turno era lo sceriffo indiscusso ed in casi estremi anche giudice giuria e carnefice con tanto di esecuzione seduta stante.

Il nostro maestro dell' epoca era un ex partigiano con un paio di baffoni ma soprattutto di metodi alla Stalin.

I sassolini sotto le ginocchia erano per le ragazzine, a noi maschetti era riservato il trattamento ti prendo a schiaffoni fin che non ti entra un po' di sentimento in zucca.

Entravamo in classe senza sapere se ed in che condizioni ne saremmo usciti, molto probabile che in alcuni di noi questo modo di intendere l' insegnamento qualche segno lo abbia lasciato almeno per un certo periodo a seguire.

Per la sua visione di stato delle cose e di ordine sociale le punizioni corporali erano un dovere morale facente parte di una piu' ampia visione della società alla quale lo stesso probabilmente avrebbe voluto aspirare ed in questo non si risparmiava assolutamente anzi tutt'altro era ben prodigo di mettere in atto questa sua particolare visione del mondo e di come le persone avrebbero dovuto impare a starci in questo mondo, soprattutto noi ragazzini.

Morì, Stalin il maestro, verso il finire dell' anno scolastico, un infarto credo e sarà anche brutto dirlo così ma per me e soprattutto per Flavio che a quel punto sembrava più un punching ball che un normale ragazzino fù l' inizio di tutta una serie di scoperte, sulle quali ritengo inutile dilungarmi, del mondo e delle sue stranezze senza ormai alcun freno.

Ma guarda te cosa vado a rimembrare.

Flavio C. cazzone che non sei altro, che fine hai fatto, finito in banca pure tu? (Cit.)

P.S. Ovviamente Flavio C. non e' Flavio C. e nemmeno B.

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editoriale di 19Walter67

Manca poco: finalmente il 20 gennaio una volta per tutte Mr Trump andrà via dalle scatole e sicuramente finirà sotto processo. E il mondo sarà un posto un pò più tranquillo ( spero ) senza questo cane rabbioso che non vuole mollare l'osso. Vai a cuccia !

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editoriale di Vegeth65

Buongiorno professore, parlare del mio stato d'animo in questo periodo risulta fintroppo facile.

Presumo, che sia lo stato d'animo anche di tanti miei compagni di classe, visto che siamo chiusi in casa e non possiamo fare grandi cose.

Ho tanta paura di questa situazione che ci circonda e parlando anche in casa con mio babbo, sostiene che la situazione economica che ci troveremo ad affrontare anche se il coronavirus dovesse finire, sarà molto dura e che anche tutte le relazioni sociali che avevamo in precedenza non saranno più le stesse per un bel po' di tempo.

Fortunatamente ho una famiglia numerosa e sia il babbo e la mamma sia i nonni che lo zio cercano a suo modo di farmi vivere senza patemi d'animo questo momento e tutte le volte hanno una parola giusta di conforto quando vedono che io sono sconsolato.

Spero solo di essere anch'io d'aiuto a loro quando parliamo del più e del meno e cerchiamo di ammazzare veramente la giornata come possiamo.

La giornata professore si svolge così:

mi sveglio circa agli stessi orari di come quando venivo al liceo e cerco di affrontare la giornata come un comunissimo giorno di scuola, quindi vado in bacheca, guardo i compiti che mi sono stati assegnati e chiedo ai miei maestri di sostegno come svolgere le lezioni al meglio visto che loro mi hanno sempre aiutato ed ora mi trovo costretto a farle da solo.

Mi tengo in contatto con tutti i miei amici tramite social visto e considerato che non possiamo vederci con nessuno e nei momenti liberi dopo che ho fatto tutte queste cose vado a fare delle passeggiate con uno dei due cani o con tutte e due i cani di casa, molte volte con mio padre dove parliamo del più e del meno e cerchiamo di farci coraggio a vicenda.

Chi l'avrebbe mai pensato che dopo aver iniziato il quarto anno di liceo nella maniera di sempre dopo pochi mesi si dovesse affrontare un problema così grande.

Come ripeto professore, mi fa veramente paura e mi mette anche un po' di ansia.

Spero che tutto finisca presto, non ci sono tante parole che riesco a trovare perché lo stato d' animo non è dei migliori e spero solo un giorno di poter riabbracciare Lei e tutta la mia classe, e poter condividere tanti moment i belli andando a riprendere anche tutti quelli dei momenti che non ci hanno dato la possibilità di vederci.

Vorrei salutarla, riprendendo uno di questi Motti che abbiamo messo in pratica in questi giorni,

"insieme ce la faremo", tutti insieme ce la faremo, Buona giornata Prof.

Un abbraccio virtuale da casa mia.

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editoriale di kloo

Scrollando e senza lavarmi le mani ho letto fin troppo dal sito e, annegato nella noia, mi annoio anche di fronte ad un eventuale stupore.
Baccanale sospinto dalla frenesia dei tempi, autosoddisfazione e vibromassaggiatori per le emorroidi, killer dell'intelletto, killer non tanto diversi da chi faceva le merende.

Covo di agnellucci liberal-social-demo-autarchici che s'infrattano in dischi più o meno densi.
Anarchia del sottoproletariato diventata borghesia del semper eadem.

Scrollando e senza lavarmi le mani.

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editoriale di TataOgg

E' una cosa che sognavo da tempo, parlare del Debasio, essendo lui il mio supereroe preferito del web. Fin da quando ero soltanto una De-Bambina col moccio al naso e le treccine in disordine mentre facevo casino fuori da casa sua.

Il divertimento consisteva nel lanciargli un pallone, nascondermi e stare ad aspettare che rilanciasse... qualche volta me lo rimandava bucato perché ovviamente gli distruggevo i fiori del giardinetto. Ma era divertente osservare che se lo faceva, dopo avere rosicchiato un po' la gomma, emetteva alcuni buffi e divertenti versacci (a conferma che non era ancora proprio morto-morto, come si vociferava) e mi sono convinta sarebbe valsa la pena farci amicizia.

E così, un bel giorno, diventai una Debaseriota doc.

Benché la placida mucca e la rilassante colorazione pastello abbiano lo scopo di tranquillizzare gli estranei frequentatori, il Debasio è in verità un malefico mostro. Possiede numerose teste, parlano tutte insieme e spesso litigano, altre volte fanno cose che non voglio scrivere.

Al tempo della De-Infantilità, quindi, il Debasio lo osservavo a debita distanza e in verità non ci capivo granché di come funzionasse realmente. Le recensioni di norma interessanti certe volte riportavano delle colossali minchiate, altre mi incantavano con oniriche riflessioni o illuminanti conoscenze (anche in virtù di fiumi di interventi più o meno surreali) lasciandomi perplessa. Comunque quelle che consultavo erano per lo più vecchie come il cucco, scrivevo dei commenti che nessuno si filava e più spesso c'era chi sembrava appostato lì con l'unico scopo di insultarmi... In pratica mi faceva ridere oltre a propormi nuova musica, tanto bastava per continuare a frequentarlo. Col tempo scoprii che faceva anche delle fusa straordinarie e, come tutti i gattari sanno, un prrprrprr ben fatto è una di quelle cose al quale è difficile resistere. Mi ha conquistata.

Perciò, a un certo punto, ho scritto anche io la mia prima derecenzia e credo di essere entrata nella famiglia. Delle teste. Dico.

Ma cosa fosse per davvero Debaser qualcuno, prima o poi, me l'avrebbe dovuto dire, Ajò!

La risposta è arrivata.

ILLIBRO dipana la matassina dei più misterici dilemmi che mi hanno accompagnato durante la permanenza qua. Cosa si fa veramente nel Debasio? Chi sono i padri fondatori? Gli editors sono realmente esistiti? Chi sono i più interessanti recensori storici? Quando una recensione può dirsi “riuscita”? Che differenza intercorre tra il Debaseriota e il Debaseriano? Riuscirò mai a sposarmi con Korn? Cose così.

Un compendio per nuov_ deutent_ e un album dei ricordi per vecchi de-bacucchi. Un lettura molto debasica a disposizione dell'universo, finalmente anche fuori dal web.

Ma Debaser nasce, cresce, pasce e si riproduce nell'impalpabilità del mezzo internet. Quindi, che diavolo è successo 'sta volta?

Potremmo intendere questo sperimentale ILLIBRO quale nostalgico ma gioioso ritorno a quello strumento di celluloide quasi perduto, quasi un vezzo in previsione del futuro post-apocalittico senza enel e senza internet che ci attende, quando finalmente gli alieni si decideranno ad invadere la Terra e una nuova generazione di esseri a sei zampe studierà i nostri oggetti di uso quotidiano come preziosi reperti archeologici decantando la grandezza della nostra civiltà... oppure è semplicemente nell'ordine naturale delle cose, a un certo punto della vita, dare una forma palpabile a ciò che amiamo e che abbiamo pazientemente coltivato nel nostro orticello.

… E se ILLIBRO fosse un ortaggio, quale sarebbe? Mi è sembrato un quesito tanto scalcinato quanto intrigante, quindi givstoh. Che fosse anche la strada da percorrere affinché mi si mandasse perdavveramente accagare ottenendo l'agognato de-ban e poi vantarmene con gli amici?! L'ipotesi mi ha solleticato, lo ammetto.

Speranzosa, ostentando falsa timidezza, ho quindi domandato agli “agricoltori” che hanno creduto nel progetto ILLIBRO, proprio quelli che hanno pezzato le proprie ascelle “zappando”, mentre noi stravaccavamo ignari sul de-divano del catzeggio.

Le cose sono andate più o meno così:

C'è il possibilista, quello che tergiversa rigirandomi psychedelicamente la domanda: « Direi che di ortaggi possiamo anche inventarne uno, tipo che succede se un ravanello si innamora di una melanzana? ». Si, che succede?

C'è lo sfuggente parafrasista:

Io: « Credi [suggerisco] che ILLIBRO sia una cipolla per il suo animo sensibile e stratificato naturalmente commovente? »

ESSO: « Chiaramente sono d'accordo con te: [è](...) la stratificata e complessa cipolla! ». Lo dicevo io, eh.

C'è a chi non l'ho chiesto. Avrebbe mangiato la foglia. [((♥?))]. Oppure gliel'ho chiesto ma non mi ha risposto, non sono sicura.

C'è chi inizialmente fa finta di nulla, aprendomi la mente a miglioni di migliardi di differenti possibilità, compresa quella della risposta subliminale indiretta... Che uomo affascinante! Pensavo ♥... ma intendeva il Foeniculum vulgare. Ah! Interessante. Certo... è una pianta dolce di sapore e allegra e profumata d'aspetto (??????).

C'è soprattutto chi divinamente de-capisce tutto-tuttissimo (ma di un'altra domanda) e dà la superba risposta che manderebbe in brodo di giuggiole qualunque DeUtentessa dal palato fino:

« Per me DeBaser è senz'altro un cavolfiore.
1° per l'espressione che ne deriva (e che cavolo)
2° per la sua doppia natura di rude cavolo e di + raffinato fiore
3° per la natura frattale della sua costruzione
4° perchè sembra un cervello ma non lo è
5° è sano nutriente economico ma a volte difficile da digerire.
»

Voglio dire, lui [!♥!]. Punto.

[#gnegnegne agli altri]

Quindi sembra palese che nell'imminente Vol.3 verrà introdotta la fantastica sezione De-Ricette d'Itaglia (che qua nel Vol.2, unica pecca, manca) nella quale ci verrà rivelato come gustare Debaser, melanzelli o ravanzane e produrre in casa un'ottima forma di illegale, brulicante e scoppiettante casumarzu... ma... a questo punto siamo a un nodo cruciale e non potevo che interpellare un aquto amante&sostenitore della prelibata pietanza:

Io : « XXXXXy, secondo te il Debasio è come una forma di casumarzu? »

Esso.: « UH!
Non è "come", è PROPRIO una forma di CasuMarzu!
Grazie per avermelo svelato dopo solo 15 anni di frequentazione!
Le sarò riconoscente à vita.
»

Mò me lo segno. Voi testimoni.

ILLIBRO avrà avuto un qualche effetto su chi è stato pubblicato ma io non ne so niente, non avendoglielo domandato. Avrei potuto, sia chiaro, ma volevo lasciare spazio alla (mia) fantasia e immaginarlo più un sentimento pieno di ardente passione come “ la poesia cose??la poesia e il sesso , l'odio, fusi insieme. ” (cit.)

Insomma, la mia impressione è che ILLIBRO sia una leggendaria carezza papale per tutti i debaserini a casa. E' per questo che ho intercesso per un'esclusiva de-benedizione Nasalizia per tutti, una urbi et orbi che potrete portare nei vostri palpitanti cuoricini per sempre:

« Che si penta tutta la peccaminosa e recidiva deutenza. La prossima piaga microbiologica lanciata dall'Onnipotente colpirà in maniera irreversibile i mediocri scrittori e farà cadere il pene a tutti gli altri. Buona estinzione a tutti.» Padre Amorth

Cin-Cin, attrus annus mellus.

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editoriale di Taddi

Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono.

Mi sarebbe piaciuto avere 20 anni nel 1979.

Si, mi sarebbe proprio piaciuto passare davanti a Nannucci in via Oberdan (Le bombe all'Orsini il pugnale, alla mano a morte l'austriaco sovrano), vedere tra le novità una oscura copertina di un LP (oggi dove li trovo?) raffigurante un palco con quattro musicisti, enormi casse acustiche sullo sfondo, ed un microfono alto tre metri in primo piano. Sarei entrata, avrei chiesto di ascoltare il primo brano e…

My my hey hey, rock’n roll is here to stay […] Hey hey my my, rock’n roll can never die passando da “it's better to burn out than to fade away” (è meglio bruciare che spegnersi lentamente), frase diventata tristemente famosa 15 anni più tardi perché rinvenuta sulla lettera d'addio scritta da Kurt Cobain prima di suicidarsi.

Oppure ascoltare le parole “Jesus died for somebody's sins but not mine” (Gesù è morto per i peccati di qualcuno ma non per i miei) nel momento dell’uscita, non vent’anni dopo!

Chi oggi è in grado di cominciare con una frase del genere, a cappella, nel disco d’esordio, “coverizzando” Van the man? Chi cavolo è in grado di farlo? Chi inventa oggi qualcosa di nuovo che valga la pena ascoltare? Chi regalandomi un ciddi e descrivendolo mi dice che non assomiglia a… Nessuno? Insomma ci sono oggi bravi giovani che possono scrivere un altro Kind of blue, What’s going on, Nevermind o Born to run?

Oggi ho la risposta, si ci sono.

Accidenti se ci sono! Il bello è che non ho la minima idea se l’abbiano già scritto.

E io dov’ero?

Sei sempre in ritardo... in ritardo, non hai più 20 anni, guarda che nessuno ti aspetta più.

La traccia di un discorso, frasi sparse, poco senso, riascolto… Blood

Soma.

Forse la Terra è l’inferno di un altro pianeta.

Non si può separare la pace dalla libertà perché nessuno può essere in pace senza avere la libertà

Il liquore macchia la tua tavola le donne cambiano il tuo letto

Ti alzi la domenica mattina proprio come i morti viventi

Il tuo inferno è fornicazione Il tuo paradiso è lo stesso

Ma il padrone è compiaciuto Quindi tutto il mio sangue è invano

Per tutto il tuo amore per il soma Tutto il mio sangue è vano

Tu dì che la tua storia è finita Tutto il mio sangue è vano …

Quattrocento anni di torture Quattrocento anni schiavo

Morto solo per vederti sprecare proprio quello che abbiamo cercato di salvare

Ora la morte è alla tua porta e stai ancora giocando

Quindi annegare nel divertimento perché tutto il nostro sangue è vano.

Domani mi compro tutti i loro dischi.

Poi “sposo” l’amico che me li ha fatti scoprire.

Suonano come se i *** (che non sono proprio il mio genere) volessero imitare Marvin Gaye (che adoro), dentro la loro anima trovate tutti i dischi citati sopra con l’aggiunta di dub, soul, industrial, post-rock ed anche gospel.

Mai sentito nulla del genere.

God bless you, rev. Franklin James da Algeri!

Nonna Tina, ancora pochi giorni e quest’anno ci divertiremo.

(continua…)

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